“Ma perchè non riesci a dormire?”
Ilario aveva perso la pazienza: Duccio era ancora perso nei meandri della loro Italia. Aveva lasciato a casa Darim, pensando che la domestica che aveva assunto avrebbe fatto del suo meglio. In effetti era così: ma quella sera soppraggiunse un emergenza e la domestica era dovuta accorrere al centro di Monteriggioni. Ora nella grande Villa restavano Tazim e Ilario. Non erano in buoni rapporti. Ogni scusa era buona per litigare, per lanciarsi frecciatine e ricordarsi l’un altro che, nonostante Duccio li amasse entrambi, avrebbero potuto lottare fino alla morte.
“Non ho sonno.”
“Si che ne hai, ti stai negando preziose ore di
riposo.”
“Mi manca Duccio.” Disse Tazim,
sospirando. Teneva tra le braccia un pelouche che rappresentava un
cavallo. Era uno dei tanti doni (e capricci) che Duccio gli aveva
regalato (e accontentato).
“Non cambiare discorso… Vuoi che ti
racconti una storia?”
Tazim guardò il Pariah con sorpresa.
“Tu non sai raccontare storie.”
“Ci posso provare.”
Tazim sospirò… Pariah che raccontava una storia? Era inverosimile quanto ridicolo: se doveva (o poteva) raccontare delle favole, di solito le metteva in pratica. E con Duccio lo faceva sempre.
“Ti ascolto.” A quelle parole Ilario era rimasto sorpreso, ma contento. Si sistemò meglio a fianco del ragazzino e cominciò a raccontare. Per la prima volta in vita sua Tazim rimase talmente rapito dalle vicende del Pariah, che dimenticò di odiare quell'uomo con la maschera. Al suono esotico e all'immagine di nomi mai sentiti, lande sconosciute, terre inesplorate e cieli che Tazim avrebe desiderato toccare, dopo un pò si appisolò.
“Tazim, vuoi che smetta? Hai
sonno?” Chiese pacatamente il Pariah, alzandosi dal
giaciglio. Ma una mano di Tazim lo trattenne al suo fianco.
“Resta.” Biascicò il giovane.
Ilario per la prima volta lo accontentò. E non fu affatto
dispiaciuto nel farlo.“