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Autore: heliodor    26/03/2019    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il prigioniero

 
Si rese invisibile e scese dalla collina facendo attenzione a non smuovere troppo terriccio. Nessuno sembrò badare a lei quando superò la palizzata attraverso uno degli ingressi secondari.
Le tende erano vuote e silenziose e il campo sembrava abbandonato. Si aggirò tra di esse per quasi un'ora, cercando qualche traccia di Vyncent.
Ogni tanto incrociava una pattuglia, ma sempre con grande preavviso. Nessuno di loro si curava di non fare rumore.
Per sfuggire all'ultima si nascose in una tenda. C'era un sacco gettato in un angolo. Lo aprì e ne trasse un mantello grigio col cappuccio.
Era simile a quello che usavano le streghe e gli stregoni dell'orda.
Se lo mise sulle spalle e alzò il cappuccio a proteggerle il viso. Era un travestimento abusato nei romanzi d'avventura, ma poteva essere utile. Continuando a muoversi con l'invisibilità, prima o poi sarebbe incappata in una strega o uno stregone con la vista speciale.
Col mantello poteva aggirarsi tra le tende senza destare sospetti.
O almeno era quello che sperava di fare.
Uscì dalla tenda pronta a dimostrare di avere ragione o darsi a una fuga precipitosa. Poco più avanti un soldato stava arrostendo della carne sul fuoco.
Joyce si avvicinò con cautela. "Tu" disse con tono deciso.
Il soldato alzò la testa. "Che vuoi?" chiese con indolenza.
"Che stai facendo?"
"Mangio un topo che ho preso nella trappola. Ne vuoi un po'?"
Joyce cercò di non mostrare tutto il suo disgusto. "Ho già mangiato. Sono piena. Ti ringrazio."
Il soldato fece spallucce.
"Non dovresti essere di guardia al prigioniero?"
"E dove vuoi che vada? È chiuso nella grotta da tre giorni e non ha mai dato problemi. Dilton dice che se fossero tutti così si farebbe mettere di guardia ogni giorni." Con un morso strappò una zampa al topo arrostito. "Sei sicura di non volerne un po'? È buono e bello grasso, non come quelli che prendevo a Theroda."
Joyce scosse la testa.
Una grotta, si disse. Devo trovare una grotta.
Si allontanò con passo veloce.
Uno dei lati del campo confinava col fianco di una collina. Lì non c'era una palizzata, essendo una difesa naturale. Ed era il luogo più naturale dove aspettarsi la presenza di una grotta.
Vi si diresse senza esitazione.
Mentre si avvicinava, notò che i soldati di guardia aumentavano e anche streghe e stregoni. Tutti però sembravano piuttosto annoiati.
"Dovevo andare anche io."
"Che fregatura. Noi qui e quegli altri a fare un facile bottino."
"Visto come hanno ridotto le altre città, ci sarà ben poco bottino da fare."
"Tu" disse uno stregone dalla folta zazzera scura. "Dove stai andando?"
"Devo dare il cambio a Dilton" disse d'istinto.
"Te l'ha ordinato qualcuno?"
"No" disse, la mente che lavorava a pieno ritmo. "Ma gli devo un favore così faccio il turno di guardia al suo posto."
"Sempre fortunato quello lì" disse lo stregone. "Già che ci sei, porta da mangiare al prigioniero." Prese un vassoio di legno e ci mise sopra una scodella e un pezzo di pane. "E di' a Dilton che se Alyson lo vede in giro non gli farà passare un buon momento, intesi?"
"Tutto qui?" fece Joyce guardando la misera porzione messa sul vassoio.
"Vuoi dargli anche la tua razione? È quello che mangiamo tutti."
A parte quelli che si arrangiano con i topi, pensò.
Scosse la testa e prese il vassoio.
Camminò senza voltarsi, temendo che se lo avesse fatto lo stregone se ne sarebbe accorto. La base della collina era piena di grotte naturali, poco più di fori scavati nella roccia.
Forse una volta erano stati ingressi di altrettante miniere o forse erano le antiche abitazioni degli uomini.
Sul continente maggiore esisteva ancora gente selvaggia che viveva nelle grotte. Erano vissuti anche lì, sul continente vecchio?
Una delle grotte era chiusa da una pesante porta di metallo rinforzato. Un soldato dall'aria annoiata montava di guardia davanti alla porta.
Joyce si avvicinò con aria decisa. "Porto da mangiare per il prigioniero" disse.
Il soldato la guardò con sospetto. "È già ora di pranzo? Eppure il sole non mi sembrava così alto."
"Ordini di Alyson" disse Joyce.
Il soldato si strinse nelle spalle. "Che gli inferi se lo portino. Da quando lo hanno promosso a comandante di truppa si da un sacco di arie quello lì."
"Mi ha ordinato di darti il cambio" disse Joyce. "Così puoi andare a mangiare qualcosa."
"Non me lo faccio ripetere. L'altra volta ho fatto tardi e mi sono dovuto accontentare di qualche topo. Ormai scarseggiano anche quelli."
Dilton si allontanò senza aggiungere altro.
Appena fu abbastanza lontano, Joyce appoggiò il vassoio vicino alla porta e picchiò contro il metallo.
Nessuna risposta.
"Vyncent" disse appoggiando la testa alla superficie borchiata. "Sono io. Sibyl."
Udì qualcuno muoversi all'interno della grotta. "Che cosa hai detto?"
La voce era deformata dal metallo, ma era quella di Vyncent, ne era certa. Sentì il cuore quasi scoppiarle nel petto.
"Sono io, Sibyl."
"Che cosa ci fai qui?"
"Sono venuta a liberarti. Ti farò uscire. Ho già un piano" mentì. Non aveva idea di come tirarlo fuori da lì dentro, ma con la sua collaborazione poteva riuscirci.
"Di che cosa parli? Perché sei venuta?"
"Per liberarti."
"Non devi."
Joyce si accigliò. "Che cosa?"
"Ho detto che non devi, vattene subito via prima che ti scoprano."
"Ma io sono qui per farti uscire."
"E io ti ripeto che non lo farai. È troppo pericoloso."
"Non me ne andrò senza di te" disse col tono di una bambina capricciosa.
"Ascoltami bene Sibyl" disse Vyncent con tono paziente. "Io sono la tua guida. Sei sotto la mia protezione."
"È vero ma..."
"Niente ma. Devi fare quello che ti dico."
Joyce tacque.
"Devi lasciarmi qui e tornare indietro. Adesso."
"Persym ti ucciderà."
"Se lo avesse voluto, l'avrebbe già fatto. Vuole usarmi per qualche scopo. Finché gli sarò utile, resterò vivo. Non devi preoccuparti per me."
Io non sono preoccupata, pensò. Io sono disperata. Il pensiero di perderlo per sempre era insopportabile. Anche dopo tutto quello che era successo tra lui e Bryce di cui nessuno voleva parlare.
"Ti prego" piagnucolò Joyce. "Permettimi di salvarti come tu hai salvato me."
Per tre volte l'aveva salvata. Al ballo per la consacrazione di Bryce facendole da scudo. Nei sotterranei di Valonde quando Persym e Celora la stavano inseguendo e lì a Malinor, nella prigione dove per colpa sua era stato attirato in trappola.
"Ci siamo salvati insieme" disse Vyncent. "Ora torna a Malinor e aspetta al sicuro l'arrivo dei rinforzi. Ho scritto una lettera a Bryce e lei sarà già sulla strada."
"Non posso lasciarti solo." Fu tentata di farsi catturare per stare al suo fianco.
No, si disse, sarebbe una sciocchezza. Mi userebbero contro mio padre e l'alleanza se scoprissero che la figlia del re è una maga.
"Devi fidarti di me, Sibyl. Torna a Malinor e prenditi cura di Bardhian. Devi condurlo da una donna di nome Joane. È una strega del circolo di Barakzah ed è molto famosa."
"Chi è?"
"È la madre di Bardhian. Lei sa che cosa fare. Promettimi che non appena l'assedio sarà finito lo porterai da lei."
"Lo farai tu."
"Promettilo" fece Vyncent con tono perentorio.
Joyce ingoiò il groppo che le si era formato in gola. "Lo farò" disse. "Te lo prometto. Porterò Bardhian da questa donna. Ma tu devi promettermi di non morire."
"Non ci penso affatto. Se avrò fortuna, troverò una persona a cui tengo molto."
"Chi?"
Dilton si avvicinò. "Hai finito col prigioniero?"
Joyce infilò il vassoio nella sottile fessura alla base della porta e si rialzò di scatto. "Finito" disse.
"Di che cosa stavate parlando?"
"Cercavo di scoprire delle informazioni sulle difese di Malinor."
Dilton fece spallucce. "Il colosso li travolgerà in ogni caso. Ormai dovrebbero essere già alle mura."
Joyce si accigliò. "Sono andati all'attacco?"
"Sono partiti ore fa. Non lo sapevi?"
"Sono stata mandata a esplorare i dintorni alla ricerca di spie e sono tornata solo poco fa."
Dilton brontolò qualcosa. "In ogni caso, lord Persym non vuole che si parli troppo al prigioniero. Chissà che vuole farsene. Forse lo ucciderà o lo manderà a Krikor. Chi lo sa?" Rise. "Ora torna al campo. C'è del lavoro più utile per una strega come te."
Joyce annuì e se ne andò. Lottò per non voltarsi e guardare un'ultima volta la prigione di Vyncent. Non era nemmeno riuscita a vederlo un'ultima volta.
Appena al campo si infilò in una tenda e divenne invisibile. Muovendosi con cautela superò le palizzate e si diresse alle colline. Rifece la strada che l'aveva condotta al campo, girando attorno alla stessa collina.
L'arrampicata fu difficile, ma in un paio d'ore raggiunse la cima. Da lì poteva vedere la valle attorno alla città
Ciò che vide la lasciò senza fiato.
La valle davanti alla porta principale, lo splendido arco decorato alto cinquanta metri, era ricoperta di soldati ordinati in quadrati di cento uomini per ogni fila.
Joyce contò almeno quindici quadrati prima di smettere. Dietro questi venivano i cavalieri, ordinati in quadrati simili ai primi.
Nelle file retrostanti avanzavano i mantelli grigi di streghe e stregoni. Da quella distanza lo scintillio dei dardi magici e degli scudi era accecante.
Sui camminamenti delle mura e i merli delle torri di guardia si agitavano le minuscole figure dei difensori della città.
Anche se da quella distanza non poteva udirli, Joyce immaginò gli ordini convulsi dei comandanti. Mantelli neri e oro si mescolavano alle armature scintillanti.
Ogni tanto qualcuno scagliava un dardo o una palla di fuoco verso le mura o lo schieramento avversario, ma i comandanti dell'orda avevano posto i loro soldati a una distanza tale da non poter essere raggiunti.
D'improvviso, come a un segnale convenuto, uno dei quadrati si divise in due, formando un corridoio.
In mezzo a questo avanzarono cinque figure. Da quella distanza Joyce poté vedere solo i mantelli che si agitavano al vento.
I cinque si fermarono una decina di passi davanti allo schieramento, come a sfidare i difensori a colpirli.
Qualche proiettile partì verso di loro, ma nessuno li raggiunse. Una delle figure si staccò dal gruppo e avanzò di un'altra decina di passi. Quando si fermò attese qualche altro secondo.
Joyce fu colpita dal silenzio che era calato nella valle.
La figura che era avanzata alzò le mani al cielo come se stesse invocando qualche divinità. Attorno al suo corpo si formò un cerchio di luce azzurra che prese a vorticare come quello di un portale.
Il cerchio si allargò e divenne più luminoso. Per un attimo fu come se un piccolo sole si fosse formato al centro della pianura.
Un sole freddo e azzurro, malaticcio e dai colori smorti.
E all'improvviso la terra tremò.
Dal bagliore accecante del portale apparve una figura gigantesca che torreggiava sulla pianura e l'esercito sottostante.
Da quella distanza poteva cogliere l'enormità della cosa. Un corpo con braccia e gambe e una testa proporzionata, ma alto quanto cento uomini, emerse dal bagliore.
Era nudo, ma il suo ventre era liscio e inumano. Il viso era privo di espressione, con la bocca e gli occhi spalancati come in un urlo silenzioso.
Appena il bagliore fu sparito, la cosa si mosse. Sollevò il piede e quando lo appoggiò al suolo, tutto prese a vibrare.
Joyce sentì il riverbero di quel primo passo fin nelle ossa. Ed era spiacevole.
Dalla città partirono dardi magici e palle di fuoco dirette verso il colosso. Vide balenare fulmini e frecce infuocate che si infrangevano sulla pelle del mostro senza lasciare alcuna traccia.
Il colosso avanzò verso l'arco, torreggiando sopra di esso come un bambino davanti al suo giocattolo preferito.
Joyce vide i difensori agitarsi come formiche che proteggevano la loro tana e, altrettanto impotenti, le vide correre via quando il colosso sollevò una mano e si preparò a colpire le mura.

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