Storie originali > Azione
Segui la storia  |       
Autore: Old Fashioned    08/04/2019    16 recensioni
Guerra del Vietnam, 1968. Dopo aver combattuto in varie battaglie, un soldato viene allontanato dalla linea del fronte e collocato in un tranquillo magazzino delle retrovie. Nonostante la situazione comoda e poco stressante, è spesso tormentato da allucinazioni, al punto che fa fatica a distinguere ciò che realmente esiste da ciò che viene prodotto dalla sua mente.
I Vietcong che vede aggirarsi intorno alla base, ad esempio, sono veri o sono allucinazioni?
Seconda classifcata al contest "Spade Incrociate" indetto da mystery_koopa sul Forum di EFP.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Gente, ecco fatto: abbiamo finito anche questo mappazzone!^^
Un grazie a tutti quelli che mi hanno seguito, ricordato o preferito. Un ringraziamento particolare a tutto coloro che mi hanno lasciato un parere!





Capitolo 3

MacFarland appoggiò una mano a un tronco e si passò il dorso dell’altra sulla fronte. Il sudore gli scendeva a gocce dalle sopracciglia, dalla punta del naso e dai capelli, gli scorreva giù per il collo, gli inzuppava la maglietta. Staccò la mano dall’albero e torse un lembo dell’indumento, facendone colare gocce lattiginose. Abbassò gli occhi sui propri pantaloni, incrostati fino a sopra le ginocchia di un fango tenace, che li appesantiva e li rendeva viscidi sulla pelle.
A quel punto si passò anche la mano sulla schiena, dove pulsava un dolore sordo e intenso, tastando cautamente alla ricerca di lesioni. Forse i Charlie non gli avevano bucato un polmone, forse era stato soltanto un colpo di striscio.
Si pulì la mano sui pantaloni e realizzò che il palmo si era lasciato dietro nel movimento una strisciata rossa.
Alzò le spalle. Non che gli importasse, per la verità.
L’unica cosa di cui gli importava era far fuori il maggior numero possibile di quei bastardi.
Portò la mano alla tasca in cui conservava la mappa della zona, ma una sensazione di allarme lo pervase, facendo sì che il movimento rimanesse a metà. Si guardò intorno, cercò di cogliere qualche variazione nei suoni e nei movimenti che lo circondavano. Si rifugiò in una macchia di felci e di nuovo raccolse foglie fradice e fango da passarsi addosso.
Si appiattì e attese.
Silenziosi come ombre, sopraggiunsero due uomini: erano snelli, piccoli, dalla muscolatura nervosa. Si guardavano intorno come animali selvatici, sembrava stessero addirittura fiutando l’aria. I lineamenti orientali conferivano ai loro volti affilati un’espressione tesa e dura.
Per quanto fosse stato attento a non lasciare segni di sé, MacFarland era consapevole che non avrebbe potuto far perdere le sue tracce a Vietcong nati e cresciuti nella foresta. Estrasse lentamente il pugnale.
I due continuavano a guardarsi intorno. Non parlavano fra loro, ma si scambiavano rapidi segni, indicandosi l’un l’altro ciò che ritenevano significativo.
Immobile e coperto di fango, il soldato non li perdeva d’occhio. Se i Charlie erano arrivati fin lì, esattamente dietro il suo culo, era chiaro che sapevano o perlomeno intuivano dove si trovava. Probabilmente non l’avevano ancora visto solo perché era riuscito ad accorgersi in tempo del loro arrivo, ma la base era ancora lontana, e anche se fossero andati via, di sicuro non avrebbe avuto per la terza volta la fortuna di sentirli arrivare in tempo.
Li osservò attentamente: gente esperta, che sapeva come muoversi. Borracce completamente piene, armi cariche. Niente che sbattesse o producesse rumore nelle sacche che avevano a tracolla.
Diede una seconda occhiata alle borracce e si leccò le labbra.
Uno dei due Charlie si avvicinò, si piegò con le sopracciglia aggrottate. Fece un gesto per chiamare il compagno, che subito fu al suo fianco.
I due si scambiarono brevi cenni, poi uno fece l’atto di aggirare il cespuglio nel quale MacFarland era nascosto.
Il soldato balzò in avanti, rovesciando all’indietro il più vicino dei due Vietcong. Questi si divincolò come un felino ed egli se lo vide sgusciare fra le dita. Lo riafferrò per un lembo della casacca, se lo tirò contro. Colse il baluginare di una lama ed evitò per un soffio un fendente al collo. “Figlio di puttana,” ringhiò. Colpì a sua volta con il più pesante Ka-Bar, poi venne sbilanciato in avanti dall’attacco del secondo Charlie. Si girò rapido, senza abbandonare la presa sugli abiti del primo, colpì prima con un fendente e poi dal basso verso l’alto, strappandogli un gemito soffocato e mandandolo a rotolare a terra con le mani premute sul ventre.
Il primo vibrò un’altra pugnalata, la lama gli strisciò sul costato producendogli un taglio. Si fece indietro, il Charlie lo incalzò con un altro colpo, egli sottrasse bersaglio saltando di lato, quindi impugnò l’arma con una presa rovescia e gliela calò sulla schiena dall’alto verso il basso, facendola penetrare fino all’impugnatura.
Il Charlie cadde a terra faccia in avanti, lui gli puntò il piede sul dorso e fece forza per estrarre il Ka-Bar, quindi tornò dall’altro, che nel frattempo aveva smesso di muoversi. Ad ogni buon conto, lo afferrò per i capelli, gli tirò indietro la testa e gli tagliò la gola.
Si rialzò ansimante e con una smorfia di dolore si toccò il costato, dove il coltello l’aveva ferito. Ne ritrasse la mano sporca di sangue.
Frugò i due corpi alla ricerca di qualcosa di utile, ammucchiando da una parte le due borracce, qualche pacchetto di medicazione, un involto con dentro un po’ di riso, due M-16 e relativi caricatori.
Tracannò il contenuto di una delle borracce fino all’ultima goccia, si applicò un pacchetto di medicazione sulla ferita e se ne ficcò un altro paio in tasca, mangiò il riso e scelse il migliore dei due M-16. Estrasse il caricatore all’altro e se lo mise in tasca assieme al resto della roba, quindi tolse l’otturatore e lo lanciò più lontano che poteva.
A quel punto, tirò da una parte i due corpi e l’equipaggiamento rimasto e ricoprì tutto di terra e foglie, poi si mise la borraccia ancora piena a tracolla e il fucile a spall’arm. Controllò ancora una volta la sua posizione con la bussola e riprese la marcia.

Era ormai l’imbrunire quando si accorse che tra le radici contorte di un immenso ficus si trovavano le vestigia di un edificio. Si avvicinò cauto: mangiata dai licheni e dalle intemperie, coperta di muschio, vi era una costruzione di pietra grigia in cui si vedevano ancora i resti di sculture e decorazioni. Si distingueva una figura femminile in piedi a lato della porta, sembrava vestita con un abito lungo e teneva qualcosa fra le mani. Dall’altro lato dell’ingresso doveva essercene una uguale, ma le radici secolari l’avevano probabilmente già da tempo sbriciolata.
Erano ancora visibili gli architravi scolpiti dell’edificio, pareti coperte di bassorilievi e un pavimento di pietre ormai affogato sotto uno strato di foglie e detriti. Più oltre si vedevano altre costruzioni, così coperte di muschio e rampicanti da sembrare, nella luce che ormai andava scemando, non più che scuri cumuli di terra. Su altre erano cresciuti enormi alberi e le radici, grigie e contorte, si confondevano con gli elementi architettonici.
L’M-16 imbracciato, MacFarland prese a camminare adagio tra gli antichi edifici. Il cielo stava sbiadendo verso il tramonto, l’aria si faceva meno calda. Rasoterra si stava raccogliendo una lieve nebbia. Il frusciare di ali membranose rompeva il silenzio estatico che stava calando ovunque.
Il soldato raggiunse una specie di cortile rettangolare, al centro del quale si trovava una fossa che un tempo doveva essere stata una piscina, punteggiata di innumerevoli fiori di loto bianchi e rosa. Sull’acqua scura si rifletteva un edificio solenne, con un’alta torre centrale e due laterali più piccole. La vegetazione ne ricopriva la maggior parte, ma qua e là si coglievano ancora i sorrisi remoti dei Buddha che guardavano ai quattro punti cardinali.
Passo dopo passo, meravigliato dall’insolito spettacolo, il soldato si avvicinò all’imponente costruzione. La porta principale gli rivolgeva un muto invito.
Egli la oltrepassò ed entrò in un piccolo cortile. Il rigoglio della giungla sembrava aver risparmiato il luogo, liane e rampicanti pendevano dagli edifici che circondavano lo spiazzo, ma lasciavano libero il selciato.
Entrò in una delle stanze che si aprivano sul cortile. Il vano era vuoto, ovviamente, ma era comunque appartato rispetto all’immensità della giungla. Egli si sedette in un angolo dal quale avrebbe potuto tenere d’occhio la porta, quindi appoggiò la schiena contro la parete, poggiò accanto a sé l’M-16, emise un lungo sospiro e chiuse gli occhi.

Si svegliò tempo dopo con la sensazione di non essere più solo. Si guardò intorno, cercando di scorgere qualcosa nella penombra che ormai cancellava ogni particolare, e identificò alcune sagome umane. La sua mano scattò a recuperare l’M-16.
Non c’è bisogno di quello,” disse una voce conosciuta.
MacFarland si addossò maggiormente alla parete. “Carver?” mormorò. “Ma tu non puoi essere vivo. Io ho visto quello che ti hanno fatto i Charlie. Non puoi essere vivo.”
Infatti non lo sono.” Il padrone della voce si fece avanti e MacFarland dovette faticare per non distogliere lo sguardo.
E allora… allora cosa ci fai qui?” Il soldato deglutì faticosamente. “Non dovresti essere qui.”
Volevo vederti.”
MacFarland deglutì. In quella penombra vagamente nebbiosa, lo spettacolo offertogli dal suo commilitone era ancora più orribile. Con voce roca, gli disse: “Mi dispiace per quello che è successo, ok?”
Carver fece un gesto di noncuranza. “Ah, lascia perdere, non è stata colpa tua.”
Ma io non ero al mio posto quando sono arrivati i Charlie, non sono riuscito ad avvertirti.”
Eri a trasportare le munizioni del mortaio, dico bene?”
Come fai a saperlo?”
Carver alzò le spalle in un gesto che poteva significare molte cose. MacFarland mantenne lo sguardo rivolto a terra, perché ogni volta che lo alzava su di lui era invaso dall’orrore. Infine chiese: “Cosa fai qui, Bobby?”
L’altro fece una risata, che dato il modo in cui era ridotto uscì stranamente liquida e gorgogliante. “Volevamo vederti,” disse. “Ci siamo tutti. Io, Sam, Dave, Harry… Harry fa un po’ fatica. È finito su una mina, se ti ricordi.” Fece un’altra risata.
Alle sue spalle nel frattempo andava addensandosi una folla macilenta e sanguinante. A qualcuno mancavano pezzi, altri erano sfigurati.
State lontano,” balbettò MacFarland. Cercò di indietreggiare, ma era già con la schiena contro il muro. Si alzò lentamente in piedi come per scappare, ma era circondato.
Volevamo solo dirti di non metterti a ronfare così in mezzo alla giungla,” lo informò Sam. “Charlie ti fotte di brutto, se ti becca a ronfare.”
Si fece avanti un altro soldato coperto di sangue, con spuntoni di bambù piantati ovunque. “Esatto,” confermò. “Come me, vedi?”
Johnny!” esclamò MacFarland fissandolo inorridito.
Proprio io,” rispose l’altro con aria soddisfatta.
Va’ via. Andate via, per favore!” Si coprì il volto con le mani.
Perché? Non ci vuoi più bene? Non siamo più i tuoi compagni di plotone?”
Andate via, vi prego!”
Si ristabilì il silenzio. MacFarland riabbassò le mani e vide solo una stanza vuota e polverosa, fiocamente illuminata dai raggi della luna che filtravano attraverso i rami.
Fuori c’era un uccello che emetteva un richiamo lungo e triste, gli insetti ronzavano e frinivano. Si udì poco lontano lo schiocco di un geco in cerca di preda.
Il soldato emise un sospiro e si rannicchiò nuovamente alla base della parete, in una zona d’ombra. Estrasse la pistola dalla fondina e se la pose sulle ginocchia.

§

L’alba arrivò con una luce lattiginosa e priva di colore. La foschia ammantava ogni cosa, strisciava sul terreno e rendeva vaghe e indistinte le cime degli alberi.
MacFarland fece qualche passo nell’erba intrisa di rugiada e si strofinò il viso con le mani. Il fango con cui le aveva coperte, ormai ridotto a polvere, gli fece bruciare gli occhi. Il soldato osservò la patina brunastra e screpolata che ormai lo ricopriva ovunque ed ebbe quasi l’impressione che essa lo stesse impregnando come faceva l’acqua su un terreno poroso.
La giungla ti entrava dentro e non usciva più.
Ti rimaneva dentro per tutta la vita.
Tirò fuori la mappa e la studiò, riconobbe i templi in cui aveva trascorso la notte. La cosa lo rincuorò, perché gli dava un'ulteriore conferma di aver scelto la direzione giusta. Dalle rovine alla base non c'era molta distanza, ma entro un paio di miglia la foresta avrebbe ceduto il posto alle risaie. La cosa non gli piacque per nulla: risaie significava villaggi, quindi gente. Se nel corso delle missioni SAD aveva imparato a nascondersi nella giungla come i Charlie, nello spazio aperto dei campi coltivati non sarebbe stato altrettanto facile evitare di essere visto.
Non toccò la medicazione sul costato, che probabilmente si era già appiccicata al taglio che ricopriva, né si occupò della ferita che aveva sulla schiena. Ci avrebbe pensato, se mai, una volta giunto a destinazione. Soppesò la borraccia ancora piena, riguardò sulla mappa la distanza da percorrere, svitò il tappo del recipiente e bevve fino a che si non fu dissetato, quindi abbandonò il resto.
Controllò la pistola e l'M-16, si accertò che il Ka-Bar fosse facilmente raggiungibile, quindi riprese la marcia.
Non ci volle molto perché la vegetazione cominciasse a cambiare. Gli alberi si fecero più radi, il sottobosco meno fitto. I versi di animali diminuirono.
Non più schermato dal tetto verde della foresta, il sole picchiava.
Anche l'aria aveva cambiato odore: al sentore greve di acqua stagnante e foglie morte si sostituiva un vago aroma di fiori ed erba tagliata, screziato qua e là di fumo di legna. A un certo punto gli parve di sentire anche l'eco lontana di un gridare di bambini.
I villaggi non dovevano essere distanti.
Raggiunse il limitare della boscaglia, si appiattì tra le fronde di un cespuglio e da lì rimase per lunghi minuti a osservare le risaie di un verde intenso, attraversate qua e là da sentieri rossicci di terra battuta. Di tanto in tanto il sole baluginava sull'acqua sottostante, dando l'idea che qualcosa di prezioso fosse nascosto sotto i folti steli del riso.
MacFarland ghignò. L'unica cosa che poteva essere nascosta lì sotto era una mina antiuomo, esattamente come quella che aveva fatto saltare le gambe al povero Harry Williams.
Vide passare in lontananza un paio di contadini che conducevano un bufalo d'acqua. Più oltre si levava un esile filo di fumo. Nell'aria immobile si coglieva un remoto vibrare di pale d'elicottero.
Mantenendosi sul margine della boscaglia, si mise in marcia. Si impose di non farsi prendere dalla fretta: era proprio in vicinanza dell'obiettivo che si facevano le maggiori stronzate, quelle che facevano saltare gambe e braccia, o quelle che attiravano proiettili di mortaio e frotte di Charlie incazzati.
Si chiese, a proposito di Charlie, se quelli dei tunnel avessero capito cos'aveva preso. Fece mente locale: probabilmente i Viet si erano già accorti dei due che aveva ammazzato nella giungla. Data la posizione in cui ciò era accaduto, non dovevano averci messo molto a capire quale fosse la sua destinazione.
Si chiese che idea si fossero fatti di lui: lo credevano semplicemente un povero grugno disperso che tentava di raggiungere il suo reparto o avevano intuito che era riuscito a mettere le mani su qualcosa di importante?
Meccanicamente si palpò la tasca in cui aveva infilato la mappa dei tunnel, quindi fece scorrere di nuovo lo sguardo sulle risaie: tranquilli campi, in apparenza, che però potevano contenere trappole mortali.
Le radio le avevano anche i Charlie, e se davvero avevano capito che cosa aveva trovato, da lì in poi sarebbe stato l'inferno.

I rumori di elicottero si erano fatti più intensi e frequenti, non doveva mancare molto alla base.
Di nuovo si immobilizzò: il villaggio di cui aveva scorto il fumo era emerso dalla vegetazione. Si vedeva la gente che svolgeva le faccende quotidiane, c'erano un paio di bambini che giocavano. Un battere ritmico faceva pensare che qualcuno stesse preparando pali di legno per edificare una capanna.
Sempre che non li stessero preparando per impalare qualche americano: quando avevano trovato Carver avevano scoperto che i Charlie erano capaci anche di quello.
Si ributtò nel folto della macchia.
Procedette adagio per un po’, acquattandosi a ogni rumore sospetto, imponendosi l'attenzione e la lentezza laddove l'istinto gridava di coprire l'ultimo tratto che lo separava dalla meta il più in fretta possibile.
D’improvviso echeggiò non lontana una raffica di M-16. Alla prima ne seguì un’altra e poi una cacofonia di spari e urla. Un'esplosione diffuse ovunque l'odore caratteristico del Comp B.
Si mosse in quella direzione e quasi subito vide una nuvola di fumo allargarsi tra le piante del sottobosco. Sentì qualcuno urlare.
Una sagoma verde gli passò davanti agli occhi. Si girò in quella direzione e vide un marine con i gradi di caposquadra cadere a terra prono. Il corpo sussultò e poi rimase immobile, una pozza rossa gli si allargò sotto con impressionante velocità. Altri sparavano nella boscaglia, ma sembravano presi dal panico a tal punto che rischiavano quasi di colpirsi a vicenda.
Al riparo di un tronco, MacFarland li osservò: reclute. Gente appena arrivata, probabilmente, che fino a quel momento aveva visto Charlie solo nei documentari di propaganda.
Un biondino aveva perso l’elmetto e assurdamente lo cercava, più preoccupato di ritrovare quello che del Viet che gli stava puntando contro un AK-47.
Il soldato si lanciò in avanti estraendo nel movimento la Colt 1911, afferrò il ragazzo e lo buttò a terra, quindi si rigirò fulmineo e sparò al Vietcong. Non perse tempo a controllare le condizioni del marine, saltò in piedi e urlò: “Ripiegare, ripiegare!”
Afferrò un'altra recluta per la collottola, la strappò indietro. Un altro colpo di pistola, poi cilecca. Abbandonò l’arma scarica, si fece scivolare dalla spalla l’M-16, sventagliò una raffica nella boscaglia. Si udirono delle urla.
Ripiegare!” ripeté.
Pur nel panico, i ragazzi sembrarono dargli retta. Gli si strinsero intorno, uno addirittura gli chiese: “Cosa facciamo, signore?”
Ripiegare, ho detto!” ripeté MacFarland, poi il suo udito allenato colse un rimbalzo metallico. “A terra!” urlò con quanto fiato aveva in gola, si gettò addosso al ragazzo che gli aveva parlato per ultimo e lo buttò all’indietro con il proprio peso.
L’esplosione gli risucchiò l’aria dai polmoni, l'onda d'urto lo colpì come un poderoso maglio. Un nugolo di schegge arroventate gli straziò il corpo.

Signore?” chiese una voce incerta. Una mano tremante gli infilò una sigaretta accesa fra le labbra.
MacFarland aspirò il fumo, tossì e una fitta di dolore gli attanagliò il torace. Era sdraiato da qualche parte, c’era il rumore di un motore. Sopra la sua testa scorrevano i rami degli alberi. “Devo raggiungere la base,” mormorò con voce roca. “La base, subito.”
Una mano gli strinse appena il braccio. “È là che stiamo andando, signore. Lei ha bisogno di cure.”
Il soldato sbatté gli occhi infastidito dalla luce che filtrava attraverso le foglie, di nuovo tossì, poi debolmente rispose: “Fanculo le cure, ho informazioni importanti da comunicare.”
Ma signore...”
E non chiamarmi signore, sono un grugno come te. Devo consegnare una mappa al comandante della base.”
Il cielo si fece azzurro, le fronde erano finite. “Stiamo uscendo dalla giungla, signore,” lo informò premuroso uno dei ragazzi.
MacFarland riuscì quasi ad abbozzare un pallido sorriso. “Una volta che ci sei entrato, dalla giungla non esci più. Ti rimane dentro.”
Chiuse gli occhi.

§

Immobile sull’attenti, Morley Hatfield – il biondino – abbassò lo sguardo, un po’ per proteggersi dal sole, ma un po’ anche perché aveva gli occhi lucidi e non voleva che gli altri se ne accorgessero.
Cerò di concentrarsi sulle parole del comandante della base: “...atto di coraggio e ardimento a rischio della propria vita e al di là del richiamo del dovere mentre impegnato in uno scontro con un nemico degli Stati Uniti...”
Niente sacco nero per quel soldato: avevano fatto venire una bara apposta da Saigon.
Avevano messo ovunque bandiere a stelle e strisce, ma mancava il vento e tutte quante pendevano come stracci bagnati.
...Medaglia d’Onore del Congresso...”
Hatfield si morse un labbro. Rivide il momento in cui quel soldato coperto di fango, con gli occhi azzurri che brillavano nel volto sudicio, era balzato fuori dalla boscaglia e aveva salvato la vita a lui e a tutta la squadra.
Sbatté di nuovo le palpebre e deglutì cercando di vincere il groppo che gli serrava la gola.
Il comandante finì il discorso. Fu suonato il silenzio, tutti si irrigidirono nel saluto militare mentre il feretro veniva sollevato e deposto sul pianale di uno Huey.
Le pale dell’elicottero cominciarono a girare, dapprima lentamente e poi sempre più veloci. Si alzò la polvere, le bandiere si animarono. Dal palco del comandante frusciarono via i fogli del discorso.
Lo Huey si sollevò traballando, prese quota.
Il biondino sentì una lacrima rotolargli lungo la guancia. Girò lo sguardo e si accorse che anche i suoi compagni di squadra stavano faticando a trattenere la commozione.
L'elicottero, ormai alto nel cielo azzurro, si allontanava velocemente. La polvere sollevata dalle pale aleggiava ancora intorno, le bandiere pendevano di nuovo immote.
Silenziosa, la giungla aspettava.

   
 
Leggi le 16 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Old Fashioned