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Autore: Opalix    27/07/2009    20 recensioni
PARADOSSO DI KIERKEGAARD: Se ti sposi, te ne pentirai. Se non ti sposi, te ne pentirai lo stesso.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 6: SUCH A NIGHT

Non bisogna mai cercare di capire una donna. Le donne sono delle immagini; gli uomini sono dei problemi. Se vuoi sapere che cosa una donna veramente intenda (il che comunque è sempre pericoloso) guardala, non ascoltarla.
Oscar Wilde

La cucina giapponese è in realtà una subdola forma di condizionamento mentale: tutti quei rotolini, pacchettini, bocconcini sembrano costruiti esattamente per far fare agli innamorati delle cose estremamente stupide. Per esempio, infilare sensualmente un rotolino di riso bollito e pesce crudo nella boccuccia spalancata della moglie/fidanzata/amante di turno.

Draco distolse lo sguardo disgustato dai due ragazzi seduti al tavolo, al di là della vetrina del ristorante giapponese. Grazie a Dio, Ginny si era lasciata portare senza fare storie nel ristorante francese dal quale erano appena usciti ed aveva mangiato dal proprio piatto, con le proprie posate. I suoi movimenti lenti e misurati, diretta conseguenza della cecità, facevano sì che Ginny possedesse una compostezza e una signorilità che di certo non erano frutto della sua educazione marchio straccioni-Weasley.
Abbassò lo sguardo sulla donna al proprio fianco. Si attaccava al suo braccio, cercando di nascondere la vaga incertezza nel camminare sui tacchi alti, il mantello nero sventolava attorno alle sue gambe, celando l’abito di seta blu che le aveva regalato. Un fermaglio di cristalli scintillava alla luce dei lampioni, e tratteneva i morbidi riccioli rossi che normalmente avrebbero incorniciato il viso come piccole fiamme. Il viso di Ginevra era incredibilmente espressivo, in un modo del tutto diverso da ciò che aveva considerato espressivo fino a quando l’aveva conosciuta (o riconosciuta, ma quella era un’altra storia e Draco non era sicuro di voler pensare davvero al fatto che la donna appesa al suo braccio era la stessa Ginny Weasley che gli aveva fatto più di una dolorosa fattura nei bei tempi andati…).
Strano pensare a quante frasi di uso comune, quante descrizioni facevano riferimento a ciò che lei non possedeva più: sguardi che si rabbuiano, che si illuminano, sguardi affettuosi, perplessi. Occhiatacce. Occhi che baluginano di rabbia, che scintillano di felicità, che si spalancano di stupore, che si alzano al cielo per l’esasperazione.
Gli occhi sono in grado di parlare una lingua che va al di là delle parole. Ma certo, non se sei cieco.
Gli occhi di Ginny non avevano nulla da offrire: lo sguardo di un cieco è uno sguardo… muto.
Eppure… Eppure sul suo viso riusciva a palesarsi una tale diversità e complessità di emozioni da lasciare Draco incantato, perso nell’osservazione delle reazioni di lei. La bocca di Ginny poteva schiudersi in una quantità incredibile di sorrisi diversi e di piccole smorfie che sarebbero risultate ridicole su qualunque altra donna. Il viso intero, quell’ovale pallido addolcito dall’attaccatura dei capelli a forma di cuore, aveva una mobilità impressionante.
Era l’esatto opposto di una maschera. Il suo perfetto contrario.
Gli occhi erano pozzi neri e inanimati, mentre il resto di lei – di tutto il suo essere – compensava ampiamente quella mancanza di vitalità.

Era una sensazione sconosciuta, quella di poter guardare una donna… Osservarla, studiarne ogni piccolo particolare, ogni singola espressione, senza che lei potesse accorgersi di essere praticamente sotto esame.
“Mi stai fissando.”
Come non detto.
“Come te ne accorgi?”
Ginny agitò la mano libera in un gesto vago.
“Sensazione. Il rumore del tuo respiro, probabilmente. Non lo so: quando sei cieco percepisci di più, immagino.”
Draco annuì, ma continuò a guardarla (incurante del fatto che sarebbe stato opportuno guardare dove stavano andando, considerato che la sua accompagnatrice era cieca).
Come sarebbe passata la rabbia su quel viso? Come l’avrebbero deformato la delusione, la collera… la sofferenza?
Beh, vecchio mio, per quanto riguarda la rabbia, immagino che lo scoprirai presto.
Prima o poi avrebbe dovuto comunque dirle chi era.
Già era stato un pazzo a lasciare che le cose andassero così avanti tra di loro, proprio nel periodo del divorzio. Ma… davvero, non era colpa sua. Non aveva mai avuto intenzione di trasformare un flirt nato per scherzo o per noia (o perché era fondamentalmente un coglione) in una relazione con tanto di fiori e regali (condita da un’abbondante spolverata di coglionaggine). Non era mai stata sua intenzione nemmeno quella di prendersi gioco di lei… Cioè, certo, era sempre stato un po’ uno stronzo (e un coglione) ma certe cose, tipo l’approfittarsi della cecità di una donna, andavano decisamente oltre.
Ovviamente, non era mai stata sua intenzione neanche quella di ritrovarsi con una cotta da manuale, tale che un cotechino la vigilia di Natale in confronto a lui era da considerarsi una crudité.
Era cotto.
Era successo nell’arco di pochi giorni. Prima la sensazione di libertà, il poter essere qualcun altro per una volta soltanto, l’idea intrigante di sapere tanto del passato di lei e nulla del suo presente. Poi era venuto il brivido, il fascino pungente del pericolo: vederla, parlarle, toccarla… e sapere che lei glielo permetteva soltanto perché non poteva vedere chi effettivamente aveva davanti. E, infine, era arrivata la consapevolezza: indipendentemente dal fatto che quella donna fosse Ginny Weasley, stare con lei gli piaceva. Lei gli piaceva. Era praticamente ossessionato da quei capelli rossi e scomposti, dalla sua risata spontanea e sexy, dalla sua dolcezza e semplicità.
Sarebbe rimasto ad osservarla per ore senza perdere interesse. Era capace di perdere la cognizione del tempo quando pensava a cosa avrebbe potuto farle piacere, a quale fiore profumato avrebbe potuto regalarle stavolta. Le avrebbe regalato un armadio intero pieno di vestiti, le avrebbe comprato diamanti, pellicce, scarpe firmate, se fosse stato abbastanza scemo da pensare che era quello che Ginny voleva (era coglione certo, ma non fino a quel punto).
Se tutto ciò significava essere cotti, allora sì che era cotto. Cotto come un cotechino.
E i cotechini, si sa, non brillano per astuzia.

“Andiamo a bere qualcosa nel mio appartamento?”

LEGGE DI JERROLD
L’amore è come il morbillo: più tardi arriva peggio è.

Un’altra cosa destabilizzante di Ginny era il fatto che lei non si guardava mai attorno.
Quale donna, entrata nell’appartamento di un uomo, non avrebbe cominciato a guardare in giro? Quale donna non sarebbe entrata di filato nel bagno per curiosare nel suo armadietto?
Una che non poteva vedere niente, appunto.
Ginny stava seduta sul divano, le gambe accavallate uscivano provocanti dal vestito di seta, e teneva il bicchiere freddo appoggiato alle labbra: una posa naturalmente sensuale, priva di affettazione. Il leggero rossore sulle sue guance pallide tradiva un certo imbarazzo.
Draco si sedette al suo fianco e accarezzò il polso di lei, appoggiato sullo schienale di pelle. La pelle era bianca, setosa, piccole vene azzurrine pulsavano appena sotto la superficie, il battito del cuore appena accelerato.
“Sei imbarazzata?” mormorò.
Ginny si morse le labbra contro il vetro del bicchiere, ma subito accennò un sorriso.
“Si.”
“È perché ti ho regalato il vestito, il fatto che siamo qui, qualcosa che ho fatto stasera…?”
Ginny scosse il capo. “No. Tu sei… Tu mi fai sentire bene. Sei attento, ma non mi tratti come una menomata. Mi sento bene con te, davvero.” Un sorriso vagamente malizioso le incurvò le labbra. “Ho deciso che per una sera voglio approfittare di te, e lasciarmi viziare. Mi hai fatto sentire una principessa stasera, in quel ristorante.”
Draco aprì la bocca per dirle non è stato nulla, ma qualcosa gli diceva che sarebbe stato come sminuire quello che lei sentiva. Per lei non era affatto “nulla”, e Draco capì che era giusto così. Voleva che per lei non fosse “nulla”, non era suo desiderio che i suoi regali, i posti in cui la portava fossero “nulla”.
“Sono contento che tu abbia deciso di comportarti come una signora di classe e lasciarti corrompere.”
Ginny ridacchiò.
“Ah si? Quindi è una corruzione. E cosa ti aspetti da me in cambio di questa meravigliosa serata?”
Draco le posò una mano sulla guancia e le vece voltare leggermente il viso. Le sue labbra sfiorarono quelle della donna in un bacio lento, sensuale, consapevole… completamente diverso da quello rubato e frettoloso che si erano scambiati la mattina al negozio. Si prese tutto il tempo necessario per farle capire, piano piano, quanto la desiderava. Ginny schiuse le labbra al suo bacio, arrendevole, ma la mano che posò sul petto di lui tremava leggermente.
“Che c’è?” sussurrò Draco sulla bocca di lei.
“Dan, io…”
Draco sbattè le palpebre, sentendosi chiamare in quel modo: per un attimo si era dimenticato che lei lo conosceva come Dan Jordon. Si allontanò e le accarezzò il viso.
“Non sei obbligata a restare qui, Ginny, se non vuoi. Il camino è collegato alla metropolvere, puoi tornare a casa in qualunque momento e…”
“No!” Ginny gli aveva preso la mano e l’aveva stretta forte per interromperlo. “No, non è questo, io… voglio restare qui. È che… Oddio, ora mi prenderai per una sciocca!”
“No, non potrei, ho avuto a che fare con sciocche vere e proprie e ti assicuro che sono fatte in modo diverso.”
Ginny rise di nuovo, ma si alzò in piedi e prese a sistemarsi alla meglio i capelli sfuggiti al fermaglio, un altro gesto che sembrava esprimere imbarazzo.
“Ginny, sul serio, che c’è che non va?”
La donna sospirò e lasciò cadere le braccia, voltandosi nella sua direzione.
“Dopo l’incidente sono stata al San Mungo per mesi e, quando sono tornata a casa, ormai le cose con Harry non andavano più…” si interruppe e scosse la testa. Draco alzò un sopracciglio: dove diavolo voleva andare a parare tirando in ballo Potter proprio in quel momento? Ginny allungò una mano verso di lui e lui la afferrò prontamente.
“Non sono mai stata con un uomo da quando non posso più vedere, Dan…” sussurrò, arrossendo ancora di più, “Non so cosa aspettarmi, non so… come fare.”
Draco rimase praticamente paralizzato. Tutto si era aspettato, tranne quello. Un sorrisetto soddisfatto si disegnò sulle sue labbra e fu lieto che lei non potesse vederlo.
“Ginny…”
“Sei deluso, vero? Chissà cosa stai pensando.”
“E perché mai dovrei essere deluso?” rise Draco, mentre si alzava in piedi la stringeva tra le braccia. La sensazione di far scorrere le mani sul corpo di lei, velato soltanto dalla seta lucida, gli procurò un brivido lungo la schiena. “Sei bellissima, Ginny. Sei così affascinante che non so veramente cosa pensare di quel cretino di Potter che non è stato in grado di tenersi stretto quello che aveva. Peccato per lui, tanto meglio per me… Io voglio che stare con me, per te, sia importante. Quello che c’è da scoprire, lo scopriremo insieme.”
Ginny gli sorrise, gli occhi scuri fissi su un punto imprecisato vicino al nodo della cravatta di lui. “Fidati di me,” sussurrò Draco.
Le mani di lei trovarono la sua cravatta e la tirarono verso il basso, costringendolo a piegarsi verso il basso. “Non credi che allora questa sia ora di toglierla…?”

”La felicità di un uomo ammogliato dipende dalle donne che non ha sposato.”
Oscar Wilde

Probabilmente per la prima volta nella sua vita, Draco realizzò l’esatto significato del detto popolare “fare i conti senza l’oste”.
Dopo che Ginny aveva espresso il motivo del proprio imbarazzo, lui si era preparato (non senza un certo compiacimento) ad avere a che fare con una donna insicura, da guidare sulla via della perdizione con l’abilità consumata di un viveur mondano quale era. Tranquillo e sicuro, aveva rispolverato i propri trascorsi da vitellone e si era accinto a fare gli onori di casa alla signorina con… le dovute forme.
Quello con cui non aveva fatto i conti era che Ginny, le mani, le usava per guardare.
E quella sera la signorina pareva aver deciso di volerselo guardare per bene il caro vitellone.
Da cima, a fondo.

Data la situazione, Draco aveva subito calcolato che slacciarsi la cravatta con lenta, sensuale nonchalance, o dilettarsi in altre simili pleasantries, non sarebbe servito allo scopo. Anche la sempre in voga trombata occhi-negli-occhi, un classico degli ex giocatori di quidditch abituati a tenere gli occhi sulla pluffa, non avrebbe qui trovato applicazione. Ma… ok, tutto ciò non lo aveva certo spaventato, era un uomo di mondo in fin dei conti: non era come se lui non si fosse mai scopato una donna bendata. Era certo di potersi inventare qualcosa.
Ginny però, non era semplicemente una donna bendata. Il tatto era, insieme all’udito, il senso principale su cui faceva affidamento, e quattro anni di cecità avevano affinato oltre misura la sua sensibilità fisica. Toccarla significava far vibrare una delicata e fremente corda di violino, tesa nel desiderio di essere abilmente suonata. Lasciarsi toccare… era permetterle di osservare ogni linea del corpo, ogni curva e spigolo, consentirle di creare nella sua mente l’immagine dell’uomo che aveva tra le braccia; significava lasciarsi tormentare da quella dolce curiosità, all’infinito, per tutto il tempo che lei avesse ritenuto necessario.
Le dita di Ginny si lasciarono guidare da quelle di Draco nello slacciare i piccoli bottoni della camicia, ma quando i palmi della ragazza si posarono sul suo petto nudo e cominciarono la loro lenta, sensuale esplorazione, Draco dovette riconsiderare da cima a fondo i propri calcoli.
Il letto, per esempio, era fuori discussione: se non si dava un regolata non avrebbe fatto in tempo nemmeno a buttarla sul divano che era si e no a mezzo metro di distanza. Intanto le mani di Ginny avevano già raggiunto il suo ventre e sembravano intenzionate ad osservare minuziosamente tutti i muscoli addominali. Draco interruppe il bacio e trasse un respiro profondo, chiedendosi se valeva la pena rovinarsi la digestione pensando a qualcosa che coinvolgesse sua madre, l’imbianchino e un barattolo di vernice… così, giusto per precauzione. Scelse invece di rivolgere la propria attenzione alla seta che ancora avvolgeva Ginny, contando da 100 all’incontrario per recuperare un minimo di autocontrollo. La cerniera sul fianco scivolò verso il basso sotto la mano esperta di Draco e, piano piano, sempre più centimetri di pelle bianca emersero dalla stoffa blu che li celava.
La cosa più sensuale di un abito di seta, pensò Draco, è il modo in cui scivola via dal corpo di una donna, dapprima lentamente, poi sempre più veloce, con quel fruscio inconfondibile, fino a ritrovarsi come uno straccetto appallottolato attorno a tacchi delle scarpe. E come una Venere che emerge dalle acque, il corpo della donna si rivelava all’improvviso, in tutta la sua bellezza e fragilità.
Draco abbassò gli occhi sulla spalla destra di Ginny, e probabilmente fu la cosa giusta da fare: un moto di compassione per quanto quella ragazza doveva aver patito nel non vedere le proprie cicatrici, immaginando probabilmente di essere un mostro, gli fece recuperare il controllo di se stesso. Accarezzò la pelle segnata e ruvida, e avvicinò le proprie labbra all’orecchio di lei.
“Sei bellissima,” mormorò, cercando di mettere in quelle parole tutta la propria sincerità.
Ginny si strinse a lui e gli permise di farla sdraiare sul grandissimo divano. Il peso del corpo di Draco su di lei, e la sensazione della pelle di lui contro quella delicata del suo seno, le strapparono un sospiro. Con le mani fece scivolare via la camicia di Draco dalle spalle, dalle braccia e dai polsi, senza lasciare intoccato un solo centimetro di pelle… voleva vedere tutto, e avrebbe guardato non solo con le mani, ma anche con le labbra, e con tutta la superficie del suo corpo a contatto con quello di lui, che sembrava non essere mai abbastanza.

Passò davvero un sacco di tempo, probabilmente ore (o forse sembravano tali solo nella mente un po’ annebbiata di lui), prima che tutti i vestiti finissero sul pavimento, e Draco credeva di essere diventato matto. Quando finalmente si ritrovò dentro di lei e sentì il suo gemito soffocato contro la propria spalla, rischiò di mandare alle cozze in un istante gli infiniti preliminari, rendendosi conto che anche quella parte di Ginny lo stava guardando.
Draco non era mai stato uno stinco di santo: erano, si, due anni e mezzo che non andava a letto con sua moglie, ma non è che non avesse trovato dove sfogare i propri salutari istinti, nel frattempo. Pensava di potersi ritenere discretamente allenato, tutto sommato.
Ma Ginny sembrava fatta apposta per mettere in discussione ciò di cui ogni uomo non vorrebbe mai e poi mai dubitare. Dentro di lei Draco si era sentito sull’orlo del precipizio, come un pivello alle prime armi che deve ricorrere ad ogni espediente, compresa la nonna in mutande, pur di non bruciare tutte le tappe e arrivare in casa base in un unico, umiliante, scatto. Ci volle tutta la sua autodisciplina per resistere quel tanto che bastava per sentirla gemere sempre più forte, per sentirla stringere a se la sua schiena tremante per lo sforzo, perché lei si inarcasse contro di lui e piantasse le unghie nelle sue spalle… per poi lasciarsi andare, e collassare su di lei a corto di fiato come un cinquantenne che ha corso la maratona.
“Mio Dio…” borbottò, sollevandosi a fatica, per evitare di schiacciarla sotto il proprio peso.
Ginny ridacchiò, anche lei ansimante. “Quello non lo dovrebbero dire le ragazze?”
Draco rotolò su un fianco, ridendo, e si tirò Ginny sul petto, stringendola a sé. “Infatti sarebbe carino, per l’integrità del mio ego, che tu ora dicessi qualcosa del genere.”
Ginny avvicinò il viso all’orecchio di lui e sospirò, mormorando deliziata “Oh, mio Dio…”.

“The moon was bright, oh how so bright
It was, it really was, such a night
The night was alight with stars above
Oh-oh when she kissed me
I had to fall in love.”
Elvis Preasley
“Such a night”

“Vuoi avvertire a casa che non ti aspettino alzati?” mormorò Draco nell’orecchio di Ginny.
Sdraiati sul divano, ancora mezzi nudi ed avvolti in un plaid, stavano godendosi il calore del grande camino che Draco aveva acceso. La mano di lui accarezzava incessantemente la schiena di Ginny e i capelli rossi, sciolti in una cascata di morbide onde sul suo petto.
“Sono grande, Dan… Nessuno mi sta aspettando alzato.”
Quand’era esattamente che sentirsi chiamare da lei con quel falso nome aveva cominciato a dargli fastidio?
“Pensavo che, data la tua condizione, i tuoi familiari fossero più protettivi nei tuoi confronti.”
“Lo sono. Ma ho cercato di mettere loro dei limiti. Non ho intenzione di rispettare un coprifuoco o rendere conto dei miei spostamenti come una quindicenne. Essere cieca mi limita già abbastanza di per sé.”
Le fiamme del camino erano l’unica fonte di luce nella sala ed accendevano di riflessi dorati non solo i capelli di Ginny, ma anche la pelle bianca punteggiata di lentiggini. Guardarla, in quel totale abbandono di amanti spossati, fece conoscere a Draco un sentimento di cui non aveva forse mai avvertito la potenza: la malinconia. Ginny era un fuoco fatuo rifugiatosi momentaneamente tra le sue braccia, effimero e sfuggente, che sarebbe scappato lontano al primo soffio del vento della verità. Ciò che aveva trovato con lei sarebbe scomparso, come i fuochi fatui scompaiono all’alba, lasciando dietro di sé l’odore putrescente dell’odio che lei avrebbe provato per lui. La solitudine, allora, sarebbe ritornata ad essere la sua discreta, ma opprimente, compagna.
“Cosa ti manca di più?” mormorò Draco.
“Gli sguardi,” rispose Ginny, “gli occhi della gente. Posso sentire i sorrisi nelle parole… Ma non potrò mai più vedere gli occhi di qualcuno illuminarsi per un regalo, splendere di gioia. Sembrano tutte frasi fatte e scontate, ma non puoi renderti conto di quanto siano reali finchè quelle che fino al giorno prima ti sembravano piccole banalità quotidiane non ti sono precluse per sempre. Non posso sapere se hai distolto lo sguardo dalla mia spalla, schifato, quando mi hai tolto il vestito.”
Draco la strinse forte.
“Come puoi anche solo pensarlo?”
“Non ho mai visto le mie cicatrici. Nessuno avrà mai le palle di dirmi quanto effettivamente sono orrende. E io non posso leggere la verità nei loro occhi… Non ti rendi conto di quanto sia facile mentirmi.”

Un nodo alla gola.
A quanto pareva era destino che quella sera Draco si rendesse conto del significato letterale di alcune frasi fatte di uso comune. Celando la propria amarezza con l’abilità consumata di un attore mondano, abbassò le labbra sulla spalla destra di Ginny.
“Puoi leggere la verità sulle mie labbra…” sussurrò, baciando dolcemente le cicatrici.

ASSIOMA DI PLATONE
L’amore è una grave malattia mentale.

Tre giorni dopo, il martedì mattina dell’udienza preliminare.

Draco ascoltava a malapena lo sproloquiare della Granger che esponeva, logorroica come suo solito, gli accordi per il divorzio al giudice. Stravaccato sulla panca dell’aula di tribunale, osservava Pansy con la coda dell’occhio e pensava che il sorrisetto soddisfatto della moglie non prometteva niente di buono.
Fin da quando si era alzato, si era reso conto che in quella giornata qualcosa sarebbe andato storto. E no, non c’entrava il fatto che scendendo dal letto non aveva trovato la ciabatta sinistra, e che gli elfi domestici sembravano essersi improvvisamente dimenticati come fare un caffè che somigliasse ad un caffè. Se si fosse chiamato Harry Potter, avrebbe di certo cominciato a pensare che il barboncino nero che Madama Narcissa aveva comprato e liberato nel giardino di casa fosse in realtà il Gramo sotto mentite spoglie… Ma lui non era Harry Potter, pensò Draco, cercando di tranquillizzarsi. La sua concezione di qualcosa di storto comprendeva, ad esempio, anche il fatto che tornato a casa avrebbe scoperto che gli elfi domestici avevano sbagliato a lavare la sua camicia preferita, cosa di certo tragica, ma plausibilmente rimediabile (uccidendo un paio di elfi e commissionandone una nuova al sarto). Draco prese a giocherellare con la piuma d’aquila della Granger, cercando di darsi un tono.
Finito lo sproloquio della Granger, il delegato del Wizengamot chiese alla controparte se gli accordi finanziari erano soddisfacenti.
Thed adesso risponde di sì e questa pagliacciata può avere fine, pensò Draco.
Thed però si alzò in piedi e chiese al giudice il permesso di mostrare dei documenti rilevanti ai fini dell’udienza. Draco guardò la Granger con aria interrogativa, ma la Granger non potè fare altro che aggrottare le sopracciglia e drizzare le antenne (figurativamente).
Thed consegnò al giudice un pacchetto di fotografie e disse, con voce chiara e tranquilla, che i documenti comprovavano il tradimento del Signor Malfoy nei confronti della moglie e che, di conseguenza, gli accordi finanziari proposti dall’avvocato Granger non erano consoni.
“A beneficio della mia cliente, chiedo che gli accordi vengano riveduti contemplando il risarcimento dei danni morali perpetuati alla Signora Malfoy. Il risarcimento che proponiamo alla corte consiste nella possibilità per la signora Malfoy di crescere la figlia Melanie Malfoy in un luogo salutare. Considerata la cagionevole costituzione della bambina, e la sua necessità di aria aperta, chiedo che alla Signora Malfoy vengano attribuite le tenute di campagna che la famiglia Malfoy possiede in Bretagna. Se questo non dovesse essere possibile, mi vedo costretto a chiedere a beneficio della mia cliente, Malfoy Manor stessa.”
Draco si battè una mano sulla fronte, sconvolto. Tutto sommato forse quel esemplare di dubbia forma canina era davvero il Gramo.
La Granger, che era un po’ più reattiva di lui, saltò in piedi e chiese al giudice di aggiornare l’udienza per poter conferire con il proprio assistito. Il giudice accordò una settimana di tempo. Poi la Granger si girò verso Draco e si piantò le mani sui fianchi.
“Scommetto che adesso ti serve un buon avvocato, vero?”

MURPHY’S LOVE LAW
When a man wants his wife to hear, she doesn't listen.
When that same man doesn't want his wife to hear, of course she's all ears.

*******

Un attimo di cordoglio per ricordare i leggendari vitelloni romagnoli, razza ritenuta purtroppo (o per fortuna?) in via di estinzione.

Grazie a chandelora, yellowrose, Saty (quella che Pansy fa vedere a Thed non era una lettera ma una fotografia, ti sei persa un pezzo. Credo che questo capitolo sia quello che aspettavi con ansia, ma ho deciso di buttarla sul comico, altrimenti avrei fatto un doppione di DF e non mi pareva cosa… un bacio tesoro, sei spettacolare come sempre!), Brix_89 (ci avevi ppreso, ma non era difficile, dai. Un bacio e grazie!), Vulcania (tutta la parte della descrizione del vestito era più uno sfizio personale che qualcosa di effettivamente utile alla storia: mi è sempre sembrata un’abitudine da fanfiction così deliziosamente trash quella di descrivere i vestiti delle protagoniste! Narcissa partirà alla carica il prossimo capitolo, e non preoccuparti, farà faville. Un bacio!), Danyyy, Curiosity, DarkStar (ti ringrazio per gli apprezzamenti su Ginny! Ho voluto fare un Draco un po’ più coglione questa volta, per rendere la storia più comica: è qualcosa che mi ballava in testa da tempo, in fondo il Draco originale è un po’ un deficiente, ricco e viziato. A presto!), Summer_Black (il tuo commento sul velo di malinconia ci ha preso in pieno, e in questo capitolo credo sia ancora più evidente. Grazie per la bella recensione!), Fanny (Ti aveva sfiorato l’idea di iniziare DF? Per carità, è troppo caldo! Scherzo! Grazie per la bella recensione, Narcissa è anche il mio personaggio preferito qui e spero di darle ancora più spazio. Grazie ancora e un bacione!), seven (sono sempre contenta di vedere cosa vi piace e non vi piace delle storie, quindi le tue recensioni dettagliate sono sempre graditissime. Buone vacanze! Io invece resto a casa quindi andrò avanti con la storia… ti aspetterà al tuo ritorno).

   
 
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