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Autore: hidhemdowack    01/08/2019    0 recensioni
Mi chiamo Kimberly Winchester. Sì, sono la sorella di Sam e Dean Winchester. Sembrerà un po' strano, ma vi renderete conto che io, in realtà, ci sono sempre stata.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima stagione
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Capitolo II - L'incontro
 
  Sam e Dean non volevano neanche sentire parlare del caso che avevo trovato io. Ma per me era troppo sospetto e dovevo andare a controllare.
  Arrivai alla casa con il mio badge e la mia seconda identità e bussai alla porta.
  Aprì un ragazzo giovane, della mia età forse. La prima cosa che notai furono gli occhi verde smeraldo, in cui mi persi per un momento.
  Sobbalzai, perché lo stavo fissando, ma subito mostrai il mio badge. «Salve, sono l'agente Turner dell'FBI. Posso farle qualche domanda sull'omicidio di sua madre?» Non so perché, ma mi sentii quasi in imbarazzo. Non mi capitava mai che andassi da sola ad indagare e di certo non mi aspettai di avere la sensazione di aver visto già quest’uomo, da qualche parte.
  «Certo. Ma l'FBI è già venuta questa mattina.» Come ogni volta.
  «Lo so, hanno riassegnato il caso.» Veloce e indolore, temendo che non mi avrebbe creduto.
  «Capisco». Aggrottò le sopracciglia, ma si spostò aprendo di più la porta. «Entri, io sono Jackson, piacere.» Sorrise, un po' sforzandosi, e mi fece cenno di entrare.
  Nell'ingresso c'era una cassettiera su cui erano esposte delle foto. In alcune, penso ci fosse Jackson, da bambino. Nessun fratello, nessuna sorella. Solo lui, mamma e papà. Mi concentrai sul mausoleo di foto che riempivano quasi tutto lo spazio ed una foto in particolare attirò la mia attenzione, dove Jackson avrebbe potuto avere sedici o diciassette anni, i capelli castano chiaro medio-lunghi e un sorriso da bambino spensierato.
  Quella foto attirò la mia attenzione e i miei dubbi furono risolti. Conoscevo quel bambino.
  Mi girai a fissarlo, per essere sicura che fosse lui. In effetti durante gli anni era cambiato molto, ma ero sicura che fosse lui.
  Eravamo amici, per così dire, al quarto anno delle superiori. Un ragazzino silenzioso e poco studioso. E non lo notai per caso. Semplicemente era l'unico che, in quei due mesi in cui rimasi in questa città, mi rivolse la parola. E non riuscì mai più a scordarmi quel viso da ragazzino, anche se i primi veri amori poi vennero, ma se ne andarono subito.
  Sapevo chi ero, quale sofferenza gli avrei procurato, proprio come Sam la procurò a Jessica. E fin da allora ebbi paura di questo, non mi attaccai a nessuno, a parte qualche incontro casuale, che durava intorno alle tre ore, massimo.
  Quindi non davo molto conto agli uomini che incontravo. Cercavo di non dare conto. Questa volta però fu diverso.
  Cercai di scacciare i pensieri e andai al sodo. «Sai dirmi con precisione cosa è successo quella notte?» Seduta sulla poltrona cercavo di decifrare il suo sguardo.
  «In realtà no, perché io non vivo più qui. Due sere fa un vicino di casa mi chiamò per dirmi che mia madre non rispondeva al telefono, nonostante la macchina fosse posteggiata sulla strada. Lei non usciva mai a piedi; non è un quartiere ben fornito, per fare qualsiasi cosa andava in macchina. L’unica cosa che potevo fare era quella di dare un’occhiata, ma non si trovava in casa. Il che mi pareva abbastanza strano. Fuori, sul giardino, c’è la vecchia capanna di mio padre, dove ci sono ancora tutti i suoi attrezzi. Andai a controllare e la trovai lì, a terra, coperta di sangue. Dio, chi ha potuto fare una cosa del genere. Non riesco a spiegarmelo».
  Continuai a fissarlo, sperando che potesse darmi qualche altra informazione.
  «Mi sento in colpa, perché mi aveva chiesto di andare a trovarla quella sera e, come al solito, decisi di non andare. Probabilmente se fossi stato qui tutto questo non sarebbe successo».
  In effetti era un tipo messo bene, muscoloso. Ma non dovevo rischiare di pensare ad altro e distrarre la mia attenzione dal caso.
  «Quindi non sai cosa, chi le ha fatto questo?» Per sbaglio, stavo svelando la mia triste intuizione.
  «Hai detto cosa? Che significa cosa? Cosa credi che sia stato?» Curiosamente agitato gli uscirono le parole di bocca a raffica.
  «No, non credo niente al momento. Dovrò parlare con il tuo vicino. Si tratta di un omicidio, ti hanno già informato?»
  «No, in realtà. Ma non era difficile da intuire». Quasi deluso dalle mie parole.
  «Va bene. È stato abbastanza da aiuto. Dovrò fare altre indagini, quin…»
  «Quando saprete qualcosa, contattatemi subito, per favore. Questo è il mio numero».
  Prese un pezzo di carta e una penna, su cui scrisse sopra il suo nome ed il suo numero di telefono. Lessi e alzai lo sguardo, come per ringraziarlo «Certo, appena saprò qualcosa le farò sapere».
  Mi avviai verso la porta, fino a che, sull'uscio mi fermò.
  «Credo di conoscerti. Solo che, non avrei mai pensato che avessi avuto futuro nell'FBI». Rise, mentre io attraversavo l'uscita, sperando che non nominasse il mio vero nome.
  «Davvero? E dove mi avresti visto?» Avrei voluto dire la verità, non perdere questa opportunità, ma non potevo farlo. Non dovevo, se volevo che vivesse ancora un po'.
  «Scusami, probabilmente mi sbaglierò, ma somigli tanto ad una ragazzina che ha frequentato la mia scuola per poco tempo. Poi se ne andò e d'allora non l'ho più vista». Si fece serio e cominciò a guardare altrove.
  «Probabilmente ti sbagli». Sorrisi e me ne andai.
 
  Quando tornai al motel e raccontai a Sam e Dean dell'omicidio, si convinsero che ciò che aveva ucciso la madre di Jackson fosse stato qualcosa di soprannaturale.
  «Sì, ma io non posso occuparmene, quindi andate voi». Presi il computer e cercai di distogliere l'attenzione da quello che avevo appena detto.
  «Come scusa?» disse Dean guardandomi stranito.
  «Hai trovato tu il caso, sei stata tu a voler andare lì e adesso vuoi che ci pensiamo noi?» Sam sbottò a ridere guardandomi incredulo.
  «Sì, be’, pensateci voi. Ho bisogno di staccare un po'». Non sapevo quale scusa potesse funzionare, ma ci provai, sperando che mi avrebbero lasciata decidere.
  «Per me va bene, ma questa cosa è strana. Cioè, non è da te». Sam cercò di capirne di più, ma il mio silenzio dopo la sua affermazione fece sì che decisero di andare l’indomani senza di me.
  Il senso di colpa inondava il mio cuore e la mia testa. Non volevo perdere l’occasione di vedere cosa sarebbe successo, lo svolgersi delle cose. E quel ragazzo, Jackson, avrei dovuto aiutarlo io.
  Passai un’intera notte in bianco, chiedendomi se stessi facendo la cosa giusta.
  Chiaramente Sam e Dean avevano già capito che c’era qualcosa di strano ed io stavo sbagliando a cedere al mio egoismo. In fondo il mio aiuto sarebbe stato utile.
  Di mattina decisi di andare anch’io. Nonostante la confusione percepibile dagli occhi dei miei fratelli, decisi di lasciar perdere l’indifferenza e di mandare avanti l’ennesimo caso.
  Andammo all’obitorio, dove si trovava il corpo della madre di Jackson.
  Gli squarci sul collo ci aiutarono a capire benissimo quale creatura potesse essere. Si trattava di un lupo mannaro.
  Non avvisammo Jackson, anche se nel profondo del mio cuore avrei voluto essere schietta con lui e dirgli cosa stava succedendo veramente.
  Proseguire il caso era molto più importante. Mai lasciarsi distrarre.
 
  In auto Dean cedette: «so perché avevi deciso di non venire più, questa mattina».
  «Sentiamo». Anche se non avrei mai voluto sentire che il colpo di fulmine avuto il pomeriggio precedente avrebbe scombussolato i miei pensieri.
  «Jackson Mathews». Disse sorridendo fra sé.
  «Come scusa?»
  «Jackson Mathews» ripeté. «Sono andato a trovarlo prima di andare all’obitorio e ho visto le foto alla Rogers High School. Mi ricordo di lui, quando frequentavi il quarto anno. E mi ricordo anche che siete diventati molto amici. Che fastidio», disse sorridendo.
  «Come fai a ricordarti? Io me n’ero totalmente dimenticata», fingendo che il discorso non mi interessasse affatto.
  «Te l’ho detto, ero infastidito. Perché lui era preso, si vedeva. E sai cosa penso dei maschi in piena età adolescenziale. Quelli sono in subbuglio. E sono pericolosi». Diventò improvvisamente serio, che mi fece ricordare quanto Dean fosse geloso. Una gelosia che non ho mai sopportato.
  «Mi ha sempre trattata bene; non mi ha mai mancato di rispetto nemmeno una volta. E poi eravamo solo amici». La mia difesa in suo favore uscì dalla mia bocca come un pensiero detto ad alta voce incoscientemente.
  «Non ti ricordi, quindi» disse, guardandomi dallo specchietto retrovisore.
  Mi limitai a guardare fuori dal finestrino con le braccia conserte ed il viso imbronciato e pensieroso.
  Mi resi conto di avere esagerato con le informazioni, anche se non era mia intenzione. Ma evidentemente quell’incontro aveva suscitato qualcosa dentro di me. Mi sentì di avere di nuovo diciassette anni. E non riuscì a pensare ad altro.
  Tornammo subito al motel, promettendoci di tornare da Jackson e dirgli che ad uccidere sua madre fu un serial killer spietato, col nome di Tyler Bronson che, dopo l’omicidio, si fece trovare con un colpo di pistola in bocca, accanto ad un fiume a quattro isolati dal suo quartiere.
  Le solite balle per cercare di insabbiare la nostra verità.
  L’indomani mattina mi svegliai con un mal di testa lancinante, colpa dei sogni a tema horror che hanno accompagnato il mio solito sonno di cinque ore.
  Mi avviai verso il bagno, presi lo spazzolino e comincia a lavare i denti. Mi guardai allo specchio e mi resi conto delle borse sotto gli occhi e, appena finito di lavarmi, cominciai a nascondere tutto con un po’ di trucco.
  Perché mi stavo truccando? Cosa m’importava delle borse sotto gli occhi? Non me n’era mai fregato nulla. Per me, riguardo al make-up, l’unica cosa che esistesse era il mascara, che fa sembrare più grandi i miei occhi. Invece quel giorno trovai l’importanza di usare un correttore.
  Mi sentii il petto pesante quando, appena pronta, Dean ci invitò a salire in macchina per andare a trovare Jackson.
  Quando arrivammo davanti casa sua rimasi per qualche momento ferma immobile in macchina, senza neanche aprire lo sportello, fissando la porta d’entrata.
  Nella mia mente passarono le immagini di quando avevo diciassette anni e mi ritrovavo sempre nell’Impala, sedile posteriore sinistro, a fissare Jackson che posteggiava la sua bicicletta nell’atrio all’entrata e sua madre che lo vedeva arrivare e gli apriva la porta, prima ancora che lui potesse bussare.
  Dal mio viso imbambolato si inarcò un mezzo sorriso, al ricordo di quell’immagine e all’incredulità di come non mi sia potuto venire in mente prima; quel porticato lo avevo ben stampato in mente.
  Toc, toc. Due colpi di nocche sbattono forte sul vetro davanti ai miei occhi. «Che c’è?» Rispondo alzando il mio sguardo incazzato verso Dean che ride da fuori il finestrino. «Mi sono cacata sotto, cretino».
  «Sì, l’ho notato». E continua a fissarmi con il suo solito sorriso da ebete. «Sei prevedibilmente distratta» e si girò a guardare casa Mathews.
  «Che dite? Entriamo?» disse Sam che spuntò dalla nostra sinistra facendo il giro della macchina per raggiungerci.
  Con coordinazione, tutti e tre, ci girammo a guardare la porta d’entrata e con passo deciso ci avvicinammo. Ci fu un’ultima occhiata di ricognizione per entrare nelle nostre parti e poi Sam bussò alla porta.
  Mi toccai il lato sinistro della giacca con un movimento involontario, per essere sicura che avessi il badge con me. Sperai solo che avessi con me quello che usai la prima volta con Jackson.
  Aprì la porta e non appena mi vide non facemmo neanche in tempo ad uscire i nostri badge che Jackson mi riconobbe e ci fece subito entrare. Ma ci fermammo all’entrata, perché lui, a braccia conserte, si girò verso di noi aspettando che qualcuno parlasse per chiarire i dubbi sulla morte di sua madre.
  Dean prese un bel respiro e guardò attentamente prima Jackson, poi me, poi di nuovo Jackson, capendo che non avevo intenzione di aprire bocca. Infatti fu così che cominciò a parlare «Be’, allora. Tua madre è stata uccisa da un serial killer che stavamo cercando da un po’ di tempo. Fortunatamente non ci ha fatto faticare troppo visto che lo abbiamo trovato vicino al fiume proprio ieri sera con una pallottola in gola» mettendosi a ridere. Io e Sam lo guardammo seri e si riprese tornando anche lui serio come avrebbe dovuto essere.
  «Comunque questo è tutto quello che è successo. Ci dispiace molto per la sua perdita».
  Dean fece per girarsi verso la porta, quando Jackson sbottò: «E voi credete che io me la beva?»
  Tutti e tre ci girammo con gli occhi sgranati a guardarlo meglio. Aveva sempre le braccia conserte, ma questa volta guardava in basso. Voltai il mio viso, prima a destra, verso Dean, e poi a sinistra, verso Sam, percependo nella loro espressione la stessa mia perplessità.
  Jackson alzò gli occhi dritti verso Dean pronunciando una frase che scatenò la mia ansia.
  «Voi siete i fratelli Winchester».
  Lo fissammo, senza riuscire ad aprire bocca. Il suo viso era inespressivo, si poteva scorgere solo molta serietà e sicurezza da quella frase.
  Io calai la testa in segno di arresa e la stessa cosa fecero Sam e Dean.
  «Sì, è vero. Ma tu come fai a sapere chi siamo?» domandò Sam con fare sicuro.
  «Chiedilo a tua sorella» e ciò che temevo più di tutto, ovviamente, si palesò. Sam e Dean si girarono a guardarmi, mentre Jackson si incamminò verso la cucina ed io fissavo lo specchio di fronte a me, in realtà con lo sguardo perso.
  «Come mai ci conosce?» disse Dean facendomi rendere conto che i loro sguardi erano rivolti su di me e che attendevano risposta.
  Piroettai verso di loro indietreggiando per averli entrambi sotto la mia vista e dissi «Immaginavo che potesse succedere, me lo aveva già fatto notare quando ci siamo visti la prima volta. Probabilmente adesso ha visto voi e, visto che, soprattutto tu Dean, - sei sempre sotto i riflettori ovunque tu vada - avrà fatto uno più uno e si è ricordato. Tutto qua». Mi girai, lasciandomi andare le braccia e avviandomi verso la cucina.
  Sam e Dean mi seguirono, soprattutto con gli occhi, nel momento in cui mi sedetti di fronte Jackson, sullo sgabello in cucina.
  Mentre Jackson fece per aprir bocca, Sam e Dean si spostarono dietro le mie spalle, a mo’ di bodyguard, così fastidiosamente che mi girai per lanciargli due occhiatacce infastidite.
  «E so anche cosa fate, quindi ditemi la verità, senza girarci attorno».
A questa frase sobbalzammo tutti e tre. Mi feci dritta sulla sedia e lo guardai di sottecchi. «Questa la potevi evitare».
  «E perché? Sei stata tu a volermelo dire, una volta». Immaginai le teste di Dean e Sam voltarsi stupefatti verso di me, anche alle mie spalle, ed evidentemente fu così, perché mi sentì tremendamente osservata.
  Sam girò per l’isola, in modo che io lo vedessi. «Glielo hai detto?»
  «Avevo diciassette anni, Sam» girai il mio sguardo verso Jackson e con tono infastidito dissi «e di te mi fidavo».
  Lui mi fissò, prendendo una sigaretta dal pacchetto che aveva in tasca e accendendosene una. «Sì, ma adesso per me non è solo una cazzata che hai detto a diciassette anni».
  Lo fissai. Quindi non ci aveva creduto.
  «Adesso sono sicuro che è vero, che quello che una volta mi hai raccontato è reale».
  Questa volta gli occhi non erano rivolti su di me. Erano tutti concentrati su Jackson. La sua faccia fece trapelare che il suo discorso non fosse finito e nessuno di noi provò a dire qualcosa. Aspettammo che continuasse.
  «Adesso, mi dite la verità sull’omicidio di mia madre» disse rigirandosi il pacco di sigarette tra le dita fissandolo.
  Sam intervenne «Se è questo che vuoi, non c’è…»
  «No. Mi dite tutto, dall’inizio alla fine. E qualsiasi cosa avete intenzione di fare, io verrò con voi.»
  «No, no. Senti, non è possibile. Non siamo soliti ad organizzare gite per aspiranti cacciatori, tu non puoi venire». La fermezza di Dean non sembrò sconvolgere Jackson, tanto che si alzò e prese il giubbotto.
  «Non mi interessa, ho deciso e mi dispiace essere così brusco. Ho intenzione di venire con voi. Quantomeno per provare a scacciare un po’ il senso di colpa che ho nei confronti di mia madre».
  A queste parole capì che tutti e tre eravamo in procinto di arrenderci. Infatti, mi alzai e mi avviai verso la porta, quando poi mi venne in mente di mettere le cose in chiaro dicendo «sì, ma guardi e basta Jackson, te lo dico».
  Lui mi guardo facendo un sorrisetto con la sigaretta fra le labbra.
 
  Uscimmo da quella casa ed entrammo in macchina.
  Dean non mise in moto, aspettando che entrasse Jackson, che chiuse la portiera per ultimo. «Voglio che sappiate che a tutto ciò non sono d’accordo».
  Girai gli occhi verso l’alto e mi voltai verso il finestrino.
  Mise in moto e cominciammo ad andare.
 
  In macchina, Jackson volle raccontato la verità. Ascoltò impassibile, senza fare alcun cenno. Ogni tanto mi giravo per guardarlo, per vedere se veramente si fosse convinto di venire con noi. Io, invece, ero preoccupata. Non avrei mai voluto che qualcuno si intromettessi nei nostri problemi, però questa volta mi convinsi di dargli un minimo di fiducia.
  Le persone che sanno di noi si contano su un palmo della mano, non siamo soliti sperperare queste informazioni. È vero che non siamo stati noi a dirlo, si è ricordato Jackson. Speriamo che non si ricordi anche del resto.
  Tutto ciò mi mise ansia addosso. Tanto che non aprì bocca per quasi tutto il tragitto, con il timore che lui potesse dire qualcosa.
  Ma non potevo non rivolgergli completamente la parola. Sicuramente, appena avremmo finito di occuparci di questo caso, avrei trovato il coraggio di parlare con lui in modo chiaro.
  Tenni questa storia dentro per anni e non avrei mai voluto che si scoprissero nel modo brusco in cui si rivolse prima Jackson.
  Sperai che almeno, per questo, avesse un po’ di rispetto.
 
  Quello di sua madre non fu l’unico omicidio. Una serie di uccisioni ci fecero capire dove e quando poter trovare il lupo mannaro, vicino la villa dei Mathews.
  Dopo aver spiegato a Jackson qualche aneddoto, a notte fonda, ci incamminammo per i boschi, provando ad avvicinarlo.
  Io e Jackson camminammo insieme e ci separammo da Dean e Sam, che andarono dalla parte opposta.
  «Ancora non riesco a capire come ti sia potuto venire in mente di venire con noi», dissi, continuando a camminare lentamente, in modo che potessi vedere ogni angolo che percorrevamo.
  «Te l’ho detto: voglio vendicarmi».
  Mi girai, portando verso il mio sguardo anche la torcia e puntandogliela in faccia, per essere sicura che fosse serio. «Lo sai che dopo questa sera te ne torni alla tua vecchia vita, vero?»
  Strinse gli occhi, la luce cominciava a dargli fastidio. «E se non volessi?»
  Sbottai «ecco, lo sapevo. Ma perché non continui la tua vita tranquilla nei Marines. Che motivo avresti di intraprendere questa vita? E poi, non abbiamo bisogno di aiuto, credimi».
  «Vita tranquilla nei marines, eh? Credi che in confronto a quello che fate voi, pettiniamo i capelli alle bambole? Dimmi perché dovrei essere indifferente dopo aver avuto la certezza che, tutto quello che una volta mi avevi raccontato, è vero. Ed io che non ti avevo creduto». Rise ed io mi girai nuovamente, questa volta insistendo con la luce negli occhi.
  «Perché è meglio». Alzai la voce, cercando di essere più convincente possibile.
  «Allora perché non lo fai? Perché non usi l’indifferenza e ti sbarazzi di questa vita?», mi guardò avvicinandosi con lentezza. Abbassò la pistola e la torcia contemporaneamente. Guardò per un momento verso il vuoto, cercando di trovare le parole giuste e poi continuò: «come farei a vivere in un mondo pieno zeppo di questi mostri e stare con il culo sulla sedia?»
Rimasi in silenzio, aspettando che continuasse.
 «Non sono uno stupido, ho visto il corpo di mia madre, un umano non avrebbe potuto fare una cosa del genere. Lo pensai da subito e cominciai ad avere i miei dubbi, solo che poi sei arrivata tu e tutte le mie supposizioni ebbero la risposta che non avrei mai voluto avere. Mi sono spaventato, questo lo ammetto. Ma ti ripeto, in parte è colpa mia. Avrei dovuto essere con lei, avevamo riallacciato i rapporti da qualche mese, - colpa della mia ex moglie - e mi aveva chiesto di andare a trovarla per il fine settimana, però io sono troppo stronzo ed ho lasciato perdere inventandole una scusa. E la sera stessa viene uccisa. Come credi che mi senta? Sicuramente avrei fatto la sua stessa fine, visto che non sapevo come si potesse uccidere un lupo mannaro, ma almeno non avrei vissuto con questo rimorso. Di non averla aiutata, di non averla vista per l’ultima volta».
  Ascoltai il suo sfogo con attenzione. Non mi permisi neanche di interromperlo con il mio respiro, lo ascoltai tutto d’un fiato e capii che avrei dovuto dargli una possibilità.
  Magari gli avrei potuto insegnare le nozioni base, ma pensai che fosse più giusto che lui sarebbe tornato alla sua vecchia vita: «Okay, Jackson, ti capisco. Però non credo che sia possibile per te restare. Tu non sai cosa è successo nei mesi passati; chiunque si avvicina a noi fa una brutta fine, è giusto che io sia chiara con te. Ti aiuto, solo affinché tu sappia come darci una mano a distanza, ma poi te ne andrai, Jackson. Me lo devi promettere».
  Lui continuò a fissarmi, non mi rispose.
  Anche perché si girò di scatto. Sentimmo dei passi provenire dalla nostra sinistra. Entrambi alzammo le armi per difenderci, ma le torce che avevamo direzionato di fronte a noi ci dettero la possibilità di mettere a fuoco Sam e Dean.
  «E allora? Non avete trovato niente?» disse Dean fissando Jackson che si girò cercando di evitare il suo sguardo.
  «Niente», risposi, facendo lo stesso.
  Ci guardammo attorno per esseri sicuri, mentre sentimmo il rumore dell’erba secca che veniva calpestata. Ci girammo d’istinto verso quei passi, mentre una donna, conciata molto male, si scagliò verso di me. Mi scaraventò a terra e cercai di non farmi mordere spingendole la testa, cercando di tenerla molto lontana.
  Sam la prese dalla camicia e la gettò dal lato opposto, allontanandola da me.
  Mi alzai, appoggiandomi sui gomiti e mi fermai a guardare la scena.
  Jackson teneva in mano il coltello d’argento che gli avevo dato una volta scesi dalla macchina, spiegandogli che era uno dei pochi modi in cui uccidere il lupo mannaro, visto che sono vulnerabili a questo tipo di metallo.
  Camminò lentamente verso la creatura, fermandosi solo nel momento in cui si ritrovò completamente davanti, fra me e lei, oscurandomi quasi completamente la vista.
  Vidi solo che si chinò, mentre Dean la teneva serrata alle sue braccia, aspettando che Jackson la colpisse. Disse solo «va’ all’inferno» e la trafisse più e più volte con la lama. Era così furioso che non si rese conto che Dean e Sam cercavano di allontanarlo, mentre il lupo mannaro era già fermo, immobile, innocuo e morto.
  Si lasciò andare sul verde della foresta e restò a fissarla. Da morta, non sembrava neanche che una donna così bella potesse essere pericolosa. Ed ero certa che anche lui in quel momento stesse pensando a questo.
 
  Quando ci disfacemmo del corpo e tornammo verso l’Impala, Jackson cedette «voglio venire con voi».
  Ci girammo tutti e tre all’istante e lo guardammo come se per noi fosse già una palla al piede. Non avevo il coraggio di spiegargli cosa fosse successo a tutte quelle persone che nell’arco degli anni avevano provato a darci una mano. Non volevo che lui diventasse uno dei tanti. Meritava di vivere una vita normale, come quella che io, Dean e Sam desideravamo da sempre. Però ogni destino è segnato, ed il nostro era questo. Quello di cacciare, quello di salvare gente innocente dalla ferocia delle creature mostruose che popolavano il nostro mondo.
  Né Dean, né Sam aprirono bocca. Mi guardavano di sottecchi, aspettando che fossi io a dare la prima risposta. Allora, la presi come un modo per scegliere da sola. Considerai ciò che mi aveva detto Jackson, considerai anche il fatto che una mano d’aiuto sarebbe servita. Ma soprattutto, promisi a me stessa che qualsiasi cosa fosse successa a quell’uomo, sarebbe stata solo ed esclusivamente una mia responsabilità ed avrei fatto di tutto per far sì che non gli accadesse niente.
  «Va bene, vieni con noi. Però, ad una condizione», adesso avevo tutti gli occhi puntati su di me: «i primi tempi te ne starai tranquillo chiuso in motel da solo ad occuparti della parte teorica. Intesi?»
  Sorrise e annuì. «Sissignora».
  «Quando riterrò che tu sia in grado di uscire da quella stanza, uscirai. Ma solo quando riterrò che tu sia pronto.»
  Stranamente Dean fu d’accordo con le mie parole. Lo capì dal fatto che non batté ciglio, mi lasciò parlare, mi lasciò decidere. Anzi, fece addirittura un risolino, alla fine del mio discorso.
  Mi voltai per entrare nell’Impala, e così fecero anche Sam, Dean e Jackson.
  Dean accese il motore e successivamente la radio, dove passarono Mama dei Godsmack. Niente di più giusto in quel momento.
  Premette l’acceleratore, verso quella strada incerta che era in procinto di accoglierci.
  
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