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Autore: GaTTaRa PaZZa    22/09/2019    1 recensioni
Il mito delle origini. Cercare di capire come ci siamo arrivati, su questo triste mondo malato.
Ma le interpretazioni bibliche non erano la risposta che Kathleen cercava. Lei voleva comprendere, molto più semplicemente, come fosse arrivata in quel percorso già tracciato per lei. Voleva conoscere il suo personalissimo mito delle origini, per affrontare quel ramo marcio che sapeva esserci nella sua discendenza. Fino a che punto si era propagato quel putridume?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Riddle Sr., Tom Riddle/Voldermort
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Kathleen Riddle Shadow. E c’era una foto di una bambina con spessi capelli neri e grandi occhi verdi; ridacchiava, quei pochi denti da latte che erano spuntati la rendevano molto buffa.
-Puoi aggiornarla, se vuoi, con una tua immagine più recente- suggerì Kim, sottovoce.
Non le rispose. Non le interessava particolarmente. Seguì il tracciato e guardò dritto negli occhi i suoi genitori. Samantha e Jonathan. Mamma e papà.
La commozione si era espansa in ogni fibra del suo corpo. Improvvisamente, sentiva un bisogno urgente di scoppiare a piangere. Il naso cominciò a pizzicarle, gli occhi si erano già inumiditi. Cercò di reprimere quella stupida ondata di sentimentalismo che non avrebbe portato a niente, ma non ci riusciva benissimo. Era sospesa fra la costrizione di autocontrollo e l’eruzione di sentimenti repressi da troppo, troppo tempo.
Samantha aveva uno sguardo malinconico, distante, quasi distratto, come un antico fantasma che ancora non si era riuscito ad ambientare all’epoca odierna. Le labbra erano piegate in un leggerissimo sorriso, appena accennato, forse quasi immaginato. Le somigliava molto; la carnagione era pallidissima, quasi traslucida, e gli occhi verde pino come i suoi, ma di una profondità diversa, triste. Qualche ciuffo di capelli fuori posto interrompeva la generale compostezza della sua figura; nella foto, se li spostava fuori dagli occhi ma le ricadevano comunque davanti al viso.
Allontanò lo sguardo da lei per concentrarsi su Jonathan Riddle. Vedeva tutto offuscato; da un momento all’altro, avrebbe cominciato a piangere. Era un uomo molto bello, su questo non c’era dubbio, e lo sguardo castano emanava quel senso di dispettoso compiacimento di qualcuno che ha trovato qualcosa d’ironico ma non vuole spiegare a nessuno il perché. Anche i suoi capelli erano scuri, ben pettinati, e non portava barba. La mascella era rigida e squadrata, ma perché stava facendo del suo meglio per apparire serio nella foto mentre reprimeva una risata.
Cominciò a singhiozzare.
Kim le mise un braccio attorno alle spalle e la avvicinò delicatamente a sé. Kathleen non la stava guardando, ma anche i suoi occhi scuri erano pieni di lacrime. -Non… non li avevi mai visti prima…?-
 
-N-n-no- mormorò, ingoiando i suoi singhiozzi.
Kim la strinse più forte, e Kathleen la lasciò fare. Era confusa. Non sapeva come comportarsi con lei, ma non se la sentiva di abbandonarsi alle sue spalle e piangerle addosso. Anche se la sentiva chiaramente tirare su col naso.
Di fianco a sua madre c’era lei, Kimberly. Anche lei era più giovane; sembrava avere più o meno l’età di Kathleen, e stava guardando qualcuno fuori dall’inquadratura e dicendo qualcosa fra i denti. Guardò la data di nascita; aveva esattamente trent’anni adesso. Quindi... aveva perso la sorella molto presto… “Quindici anni. Aveva quindici anni quando mia mamma è morta”.  Il suo sguardo passò velocemente sul viso di Kim. Si era messa addosso gli occhiali da sole, evidentemente per non contagiare Kathleen con il suo pianto. Eppure vedeva il corso dalle lacrime, tracciato dal mascara  ormai secco sulle sue guance.
Distolse lo sguardo, guardò in alto verso il cielo e chiuse gli occhi per un istante. Poi, tornò a scrutare la pergamena.
“Oh. Aveva quindici anni quando anche sua madre è morta” pensò, avvilita. Acantha Horne, sua nonna, la guardava altera, il mento alto, fiera sotto il suo maestoso cappello. Assomigliava in modo sbalorditivo alla figlia. Di fianco a lei, suo nonno, Gwydion Shadow, ammiccava sicuro di sé all’obiettivo, girando lo sguardo verso fuori di tanto in tanto. Aveva qualcosa negli occhi che non le piaceva. Le ricordava, per qualche motivo, Lucius Malfoy, nonostante non ci fosse la benché minima somiglianza fisica.
S’interruppe lì; non aveva senso andare oltre. Sapeva dove dover guardare adesso.
Il suo nome nero spiccava su tutti, eppure l’inchiostro era sempre lo stesso. Un etereo nero che sembrava intessuto nella pergamena, più che un elemento aggiuntivo, estraneo, segnato da mano umana.
Tom Marvolo Riddle.
Nella foto, un ragazzo estremamente attraente faceva saettare lo sguardo muto, criptico, indecifrabile. La somiglianza con suo padre, Jonathan, era innegabile, eppure appariva ancora più affascinante, più seducente, nonostante la foto lo ritraesse quand’era ancora ragazzo.
Era impossibile capire che cosa sarebbe scaturito da quel bel giovane dall’aria modesta. Nessuno poteva intuire che cosa sarebbe diventato. Chi, sarebbe diventato. Un nome così potente da non poter essere enunciato ad alta voce. Un nome che raggelava il sangue e accapponava la pelle. Un nome che la storia non dimenticherà mai per gli abomini commessi.  Un nome a cui presto avrebbe dovuto occludere il ricordo dell’incontro di Kim. Un nome che l’aveva soggiogata al suo potere senza via di scampo. Un nome crudele che presto avrebbe avuto il totale controllo sul mondo magico.
Si sentì nuovamente a pezzi. Avere la conferma di quella scomoda parentela, nero su bianco, su un documento ufficiale, destabilizzò il fragile equilibro di Kathleen. -Mettila via, adesso, per favore- pregò, nauseata. Se le restava un secondo di più in mano avrebbe fatto del suo meglio per annientarla.
Kim prese la pergamena, e l’arrotolò con cura, senza però metterla nella borsa. -Come ti senti?- le domandò la donna, poggiando il gomito sulla sua coscia, il viso appoggiato alla mano.
Kathleen sospirò sonoramente, le mani le tremavano, le labbra pure. Sentiva di nuovo le lacrime sbucarle dagli angoli degli occhi. Eccole, uscivano. Erano così calde sui suoi zigomi freddi. -Non…bene- riuscì a dire, biascicando le parole.
Kimberly attese. Non voleva farle troppe domande, aspettava piuttosto qualche quesito da parte della nipote. Dopo lo shock iniziale, se lo sentiva, avrebbe iniziato a indagare a fondo sulle sue origini. Era la prima volta che le capitava una chance per farlo, non l’avrebbe sprecata.
La ragazza, suo malgrado, si lasciò sfuggire un altro paio di singhiozzi. Poi si fece forza, respirò profondamente per un paio di minuti, e fissò Kim dritto negli occhi. -Mi dispiace, non volevo perdere il controllo così- ammise.
-Ma che dici?! A me pare invece che tu ti sia controllata fin troppo- replicò subito Kim, sbalordita. Poi fece un sospiro leggero. -Povera bimba-.
Kathleen non disse nulla. Doveva ancora processare l’emozione che l’aveva devastata alla vista dei suoi genitori. E anche di… lui. Rimase in silenzio per un po’.
Voleva sapere tutto.
-Quindi… perché non mi hanno affidato a te anziché ai…ai Malfoy?- domandò, sputando fuori l’ultima parola con malcelato disgusto.
Kim tirò fuori un fazzolettino di stoffa lilla dalla borsetta e si pulì il viso. -Kathleen, tu non so se hai ben presente la situazione di quegli anni. Quando colui-che-non-deve-essere-nominato era al potere. Eravamo in guerra. Era una guerra, Kathleen-. Cominciò, il tono della voce molto più cupo di quanto si aspettasse da lei.
Lei deglutì. -Sì- rispose, molto piano. -Posso capire- aggiunse, ripensando a tutte le volte che era stata in sua diretta compagnia e del terrore e del potere che Lord Voldemort emanava.
-Quando tu sei rimasta orfana, sono rimasta orfana anch’io- disse, semplicemente, con una calma innaturale. Si tolse gli occhiali da sole dal naso e li spostò sulla testa. Vide che la ragazza non sembrava voler rispondere, e continuò:-La mia famiglia, e quindi, la tua, appartiene a una casata Purosangue da generazioni. Sai, quelle cose vecchio stampo da aristocrazia nobiliare, dove il tuo nome conta più di chi sei realmente-. Il suo sguardo era molto eloquente; lei detestava quell’ideologia bigotta e il solo pensiero la ripugnava. -Serpeverde. Tutti o quasi, con qualche eccezione. Io no, io ero Grifondoro. Ma questo non è importante; gli Shadow e gli Horne erano perfette famiglie purosangue serpeverde. Tu-sai-chi non avrebbe mai voluto inimicarseli; e a loro volta, la nostra famiglia aveva vissuto passivamente la sua salita al potere. Tanto la loro condizione sarebbe stata la stessa. Ma tua mamma, lei… si era innamorata di un babbano-. La sua voce suonava orgogliosa. -Io ero piccola; mia sorella e io ci passiamo undici anni di differenza. I miei genitori non avevano previsto il mio arrivo, eppure, mia madre mi ha avuta.  Beh, quando mia madre le urlava addosso di tutto io non capivo perché, ma con gli anni l’ho imparato. Mi dispiaceva non vederla più; da quando aveva annunciato il matrimonio, non era mai più tornata a casa. L’ho rivista dopo pochi anni, al funerale di nostro padre. Da quel giorno, i rapporti con tua nonna si sono riappacificati un po’. Non voleva morire senza averle rivolto più il saluto, non voleva finire come il marito…- raccontò Kimberly, in un flusso di parole costante e rapido.
Kathleen la fissava con un’attenzione mai dimostrata prima; non voleva perdersi nessun dettaglio, non doveva farsi sfuggire niente.
-E poi Sam è rimasta incinta. La mamma era contenta al punto di sopportare anche la presenza del babbano, Jonathan. Veniva pure a casa ormai. E all’epoca noi non…non avevamo idea… il suo cognome, noi non sapevamo… nessuno sapeva il suo vero nome. Neanche tua madre, ovviamente-.  
In effetti, era una situazione piuttosto complicata e piuttosto improbabile. Quante probabilità c’erano che s’innamorasse proprio del secondo figlio del padre babbano di Voldemort?
-Finché un giorno, ad Hogwarts, mi viene data la notizia dell’assassinio. Morti, tutti e tre. Mia madre, mia sorella, e mio cognato. Non ci potevo credere, eppure vedevo preoccupanti lettere nere cadere sui tavoli della sala grande di continuo. Quelli erano tempi di persecuzioni e odio, e di terrore, soprattutto. Capitava troppo spesso. Nati babbani, mezzosangue, traditori del sangue puro che si erano uniti alla resistenza… le sparizioni e gli omicidi erano all’ordine del giorno. Solo, non credevo potesse succedere proprio a me… Ma tu non eri stata uccisa. Tu-sai-chi ha deciso di lasciarti vivere- proseguì Kim, lo sguardo distante ritornato alla realtà soltanto durante l’ultima frase. Gli occhi da cerbiatta erano stupiti, curiosi; squadravano Kathleen come a cercare di risolvere un enigma. -E di lasciarmi vivere, evidentemente. Il mio sangue puro era troppo prezioso, e poi, ero solo una ragazzina, non c’entravo niente con quello che era accaduto. Comunque, al Ministero era stata data notizia che i tuoi tutori legali sarebbero stati i Malfoy. Questo mi aveva lasciato di stucco, non aveva senso, Sam non aveva relazioni con quella famiglia da anni. Perché non affidarti alla zia di mia madre, come avevano fatto con me? Non riuscivo a mettere insieme i pezzi-.
Un moto di rabbia scosse la Serpeverde. Se c’era quella opzione… se poteva vivere con loro… perché diavolo non era stato così?  -E dopo? Dove sei stata fino ad adesso?- chiese, un tono involontariamente accusatorio nella domanda.
-Appena uscita da Hogwarts sono andata a lavorare coi draghi. Cura delle Creature Magiche era la mia materia preferita, e io volevo lavorare in un parco di preservazione di creature in via di estinzione. Molte specie di draghi avevano bisogno di essere allevate sotto osservazione e cura dei maghi, per fare in modo che non sparissero, sai. E quindi sono partita per i Balcani. In questi ultimi anni si è unito al nostro team Charlie Weasley, non penso che tu lo conosca direttamente…-.
Kathleen scosse la testa. -Uno dei tanti fratelli Weasley, immagino. Non l’ho mai visto-.
Kim sorrise. -Sono certa che lo hai intravisto durante l’anno del Torneo Tremaghi. Dava una mano a gestire i draghi. Lui si ricorda; eri la ragazzina che Moody si portava sempre appresso. Beh, quello che si credeva essere Malocchio Moody. Charlie mi ha raccontato tutto; è stato il mio unico contatto con l’Inghilterra in questi ultimi anni-.
La donna s’interruppe; aveva ancora quello sguardo indagatorio, concentrato, come se stesse cercando di risolvere un quesito di Aritmanzia particolarmente difficile.
-Sì. Ero praticamente la sua assistente personale. Non capivo perché tutto quell’interesse, ma a posteriori… mi è parso lampante-. La ragazza fece del suo meglio per non ripensare alla sera della terza prova, in quel cimitero. Doveva bloccare subito quei ricordi. -Perché sei tornata?- domandò, sinceramente ignara. Non aveva capito che era più sicuro restare dov’era?
-Volevo conoscerti. Volevo capire che cos’avevano fatto di te, chi eri diventata. Era giunto il momento di affrontare la realtà, smettere di scappare. Ho fatto le mie ricerche, ho cercato di pianificare il momento giusto per parlarti. Adesso che lui è tornato non potevo non tornare. Dovevo essere sicura che tu non…- arrossì, e fece schioccare la lingua, in cerca delle parole giuste.
-Ti fermo subito. Non è prudente per te avvicinarmi- ammise Kathleen, afflitta. Era l’unica soluzione possibile, l’unica giusta. Non poteva mettere a repentaglio il futuro dell’unica parente che le era rimasta al mondo. Per quanto desiderasse disperatamente una figura come lei nella sua vita, non poteva permettersela.
-Lo so. Ma volevo farti capire che c’è un’alternativa. Non sei costretta a… a restare nella situazione in cui sei. Puoi venire via con me. Andiamo via dell’Europa; in Sudamerica c’è un progetto interessante che volevo seguire… ti aiuterò ad andartene via da tutto questo-.
A Kathleen si raggelò il sangue. -Lo so? Cosa vuol dire, lo so?-.
Kim rimase un attimo spiazzata. -Beh… ho immaginato che dal momento che tu-sai-chi è tornato, tu fossi, diciamo, piuttosto coinvolta-. La mano giocherellava con la carta giallastra dell’albero genealogico, la prova maledetta del suo coinvolgimento.  
-In quanti lo sanno? Chi lo sa?- sbottò la Serpeverde, nel panico. Nessuno doveva sapere, nessuno, dannazione!
-Piccola, non pensi che questa correlazione tutto sommato sia pericolosa anche per me?- replicò la giovane donna, seccata. -Non ne ho parlato ad anima viva-.  
Kathleen inspirò profondamente, sollevata. Poi prese la mano della zia, e la inchiodò con uno sguardo spaventosamente serio. -Non posso più andarmene. Sono immersa fino al collo. Non ho altra scelta- disse, scandendo bene ogni parola. Doveva farle capire che non stava scherzando, che non c’era più nulla che lei potesse fare per aiutarla.
Era troppo tardi.
Kim ricambiò l’intensità dello sguardo, ora spaventata. -Quanto immersa, Kathleen?- sussurrò, il nero delle pupille che si confondeva con la pece delle sue iridi.
Sorrise amaramente, quasi senza accorgersene. Gli occhi verdi erano, però, spenti. -Al punto di indossare il suo marchio addosso- confessò, osservando la sua interlocutrice rabbrividire, sconvolta. -Al punto di dover cancellare la memoria di quest’incontro, per il tuo bene. Non penso che le mie capacità di occlumante siano così sviluppate da riuscire a nasconderti al Signore Oscuro- continuò, per farle capire la gravità della situazione. -Cancellami la memoria e non parlare a nessuno di quanto ti ho detto- concluse, con determinazione.
“Dimenticherò anche il volto dei miei genitori…” pensò, immaginandoseli per l’ultima volta nella mente. La dolce distrazione di sua mamma, il calore vivace di suo padre.
Kim le porse la pergamena. -Tienila. Purtroppo ora come ora non possiedo altre fotografie, e un giorno, quando tutto sarà finito, spero di vedere le ramificazioni che partono dal tuo nome-. I suoi occhioni scuri emanavano una tristezza piena di dolore. -Ma non posso obliviarti, Kathleen. E non posso lasciarti sola a te stessa dopo averti finalmente ritrovata. Resterò in contatto. Stai attenta ai segnali. Farò di tutto per proteggerti-, promise, e l’abbracciò forte.
La Serpeverde rimase di stucco; non sapeva se sentirsi a disagio per via di quell’abbraccio, era tutto così assurdo! Non riusciva a credere a quel presente senza senso, dove sua zia appariva dal nulla promettendole aiuto e regalandole il cimelio di famiglia…
-Io… io devo andare adesso- biascicò, infilando la pergamena nella tasca del mantello. S’alzò in piedi, indecisa sul da farsi. Come doveva salutarla? L’avrebbe mai rivista? L’avrebbe messa in pericolo, indirettamente? E se questa fosse stata l’ultima volta? -Per favore, ehm, zia…- cominciò, corrugando le sopracciglia. Era decisamente un suono strano, uscito dalla sua bocca. -Vai in Sudamerica il prima possibile- la pregò con tono supplichevole. “Non ti voglio perdere” pensò, guardandola. Ma non riuscì a dirlo ad alta voce.
 
  
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