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Autore: LionConway    27/11/2019    2 recensioni
Forse c'è stato davvero un tempo in cui l'America era grande. Ma ormai gli eroi se ne sono andati tutti e noi poveri ratti di città non sappiamo più a cosa aggrapparci. Cosa ci resta più che macerie, più che detriti? Il cielo è grigio sopra New York.
Raccolta di one shot ispirate alla mia long Bridge Over Troubled Water. Credo si possa leggere anche senza conoscere la storia principale, anche se è tuttavia consigliato farlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Where there is ruin, there is hope for a treasure'
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Storia partecipante alla Word War indetta dal Giardino di EFP
Fluff, pre-slash, ambientata cinque anni prima degli eventi di Bridge Over Troubled Water. 
Dedicata a Ellie_x3, che mi ha sfidata. Spero tanto che ti piaccia, dear <3 


 
#2. A Cosy Shade of Winter 

 
27 Novembre 1973 
 

Già più o meno a metà Novembre, New York si trasformava e iniziava a prepararsi per l'imminente arrivo del Natale. Fili di luminarie venivano montate per attraversare le Avenue da un lato all'altro della strada, i passanti perdevano minuti interi a rimirare le vetrine decorate dei negozi, dalle caffetterie proveniva un dolce tepore e un profumo di cioccolata calda al quale resistere era pressoché impossibile.

Michael amava sentirsi avvolto dal caldo abbraccio del periodo natalizio, in contrasto con il vento gelido che soffiava impertinente sulla città nei mesi invernali e ingannava gli abitanti facendo credere loro di essere in balia di un clima più rigido di quanto fosse in realtà. New York era, invece, estremamente umida: era solo progettata in maniera che le forti correnti d'aria provenienti da Nord soffiassero imperterrite per il rettilineo di strade dritte.

Tutto questo in attesa della Macy's Thanksgiving Parade, che salutava il Ringraziamento e dava ufficialmente inizio alle festività natalizie.

Il giorno prima della parata, Michael aveva previsto di unirsi a un gruppo di compagni di corso per l'annuale costruzione di un pallone aerostatico al Museo di Storia Naturale. Tuttavia, si era accorto di essere ancora in alto mare nella revisione della tesi di laurea che avrebbe dovuto presentare a dicembre e fu quindi costretto a trascorrere il pomeriggio seduto a un lungo tavolo di mogano della Public Library, con il naso immerso tra libri e appunti che a malapena ricordava di aver preso. Era lì dalle dieci di quella mattina, giusto a pranzo aveva divorato un panino chiuso nel gabinetto della biblioteca e non era nemmeno al massimo delle sue forze: brividi di freddo erano corsi per tutto il giorno lungo la sua spina dorsale e, con il fastidio alla gola, Michael avvertiva il principio di un raffreddore, se non addirittura d'influenza. Dopo tutte quelle ore di studio ininterrotto, le lettere cominciavano a incrociarsi tra di loro. Fu quando lesse "Siringa" al posto di "Arringa" che decise di aver bisogno di una pausa. Il suo stomaco gorgogliava al solo pensiero di una fetta di torta alle mele, possibilmente accompagnata da una tazza di caffè così grande da poterci nuotare dentro. Suo nonno sputava a sentir nominare il caffè americano: lo chiamava risolutamente "Acqua sporca" e si era premurato di iniziare il nipote alla nobile arte della caffettiera italiana e dell'espresso al bar sotto casa, e Michael si era ben guardato per anni dal trasgredire a quell'importante filosofia di vita tramandata dal Bel Paese. Poi aveva iniziato l'università e da quel momento aveva capito che più una bevanda contenesse caffeina, meglio era, ancora di più se durava per almeno la metà di una sessione di studio nei pomeriggi tra autunno e inverno.

Raccolse in fretta le sue cose sparpagliate sul tavolo e le infilò in borsa. Poi si alzò e attraversò la lunga navata della sala di lettura, le braccia strette al petto tremolante. Con i tacchi dei suoi stivaletti che riecheggiavano sul il pavimento di granito, Michael si rese conto di quante poche persone fossero rimaste da quando era entrato. Controllò l'orologio che portava al polso, giusto per assicurarsi che fossero ancora le sei di sera anziché mezzanotte. Fuori, comunque, era già calato il buio, permettendo alle luminarie di fare il loro magnifico figurone.

Si sorprese nel trovare Johnny nel piazzale di fronte alla scalinata d'ingresso.

Avvolto in un cappotto color crema, troppo leggero per fronteggiare il vento freddo, e armato di chitarra acustica, suonava Winter Wonderland e ammiccava ai passanti -soprattutto se femmine, soprattutto se di bell'aspetto.

Nella custodia aperta ai suoi piedi, Michael vide un cospicuo gruppetto di monetine e pure una banconota stropicciata da un dollaro.

Sorridendo al di sotto della sciarpa che gli copriva la bocca, si avvicinò all'amico e incrociò i loro sguardi. Johnny allargò il sorriso sulle proprie labbra, secche per via di tutto quel cantare al freddo, e si sporse in avanti col busto, pizzicando le corde della chitarra e saltellando da un piede all'altro.

"He sings a love song, as we go along, walking in a winter wonderland! Signor Visentin, è per caso intenzionato a fare una richiesta?"

"Che ci fai qui?" domandò Michael.

"Ho visto tua madre e mi ha detto che eri venuto qui a studiare."

Johnny si sfilò la chitarra e, dopo essersi chinato a raccogliere i soldi e buttarli in tasca, ripose cautamente lo strumento nella custodia. "Cioccolata calda?" propose, raddrizzando la schiena.

Michael rimase qualche secondo a studiarlo: nelle ultime settimane, lui e Johnny non avevano avuto molte occasioni di uscire insieme, impegnato com'era con lo studio, ma nei minuti trascorsi a chiacchierare sulle scale del loro condominio non aveva notato quanto il suo amico fosse dimagrito in quel periodo. Le sue guance erano smunte e scavate, le spalle spigolose sotto il cappotto, gli occhi segnati da pesanti borse.

Michael deglutì, un po' nervosamente. Aveva la sensazione che Johnny non stesse affatto bene. Che gli mancasse qualcosa: il sonno, l'appetito, oppure entrambi. "Ho ancora un paio d'ore di lavoro" disse, "ma ero uscito apposta per prendermi una pausa. Andiamo, offro io."

"Sempre a studiare tu" bofonchiò Johnny. Mentre si muovevano in direzione della Fifth Avenue, Michael lasciò che gli circondasse affettuosamente le spalle con un braccio. "Non hai più tempo per gli amici."

"Scusa se voglio prendere quel Master!"

Michael ridacchiò, prima di lanciare un paio di starnuti. Sperò non avessero a che fare con i brividi e con il caldo che avvertiva sulla fronte e sulle guance. Imprecò quando, tastandosi nelle tasche del cappotto, si rese conto di non avere con sé il fazzoletto.

"Ecco, vedi? Sei sempre in giro e ti becchi pure il raffreddore!" 

Johnny, estrasse un lembo di stoffa bianca da una tasca interna della giacca. "Tieni, usa il mio. L'ho tirato fuori ieri dalla lavatrice, al momento è più vergine di te."

Questo Michael lo dubitava, ma accettò comunque il fazzoletto che l'amico gli porgeva.

Si spostarono sulla strada principale.

Johnny gli offrì il braccio da vero cavaliere e Michael non si fece problemi ad afferrarlo. Forse si stava appoggiando un po' troppo, ma sapeva che Johnny era abbastanza forte da sopportare quel minimo di pressione esercitato dal suo corpo. Normalmente, Michael non si sarebbe accollato così tanto, ma ogni passo gli costava un'immensa fatica, come se le proprie gambe fossero fatte di piombo. Si era senz'altro beccato l'influenza, ma si costrinse a resistere e, soprattutto, non lamentarsi: era Johnny quello che si lagnava sempre e supplicava di ricevere l'Estrema Unzione alla benché minima linea di febbre. Lui sarebbe sopravvissuto. Il suo umore era già comunque migliorato per la sola presenza del suo migliore amico. Gli era mancato passare con lui più di qualche minuto: ogni secondo trascorso senza Johnny, gli sembrava tempo sprecato, soprattutto dopo essere stati separati per cinque anni a causa della guerra.

Johnny lo costrinse a fermarsi sul marciapiede e gli indicò entusiasta la vetrina di una caffetteria addobbata a festa. Forse Michael non se ne accorse nemmeno perché sorridere in presenza di Johnny era la cosa che più gli veniva naturale al mondo, ma le sue labbra non poterono fare a meno di inarcarsi all'insù nel vedere gli occhi scuri del suo amico illuminarsi a quel modo, come se appartenessero a un bambino. Il suo naso a patata premeva contro il vetro del negozio, impegnato com'era a fissare gli scaffali coperti di finta neve e stelle di Natale, con scatole di biscotti e cioccolatini in bella mostra tra una statuetta di Santa Claus e quella di un pupazzo di neve.

Michael lanciò un altro, potente starnuto.

Johnny distolse gli occhi dalla vetrina e ghignò: "Vogliamo entrare, prima che ti prenda la polmonite? Sembra costoso, ma hai detto che offri tu."

"E certo!" esclamò Michael, soffiandosi il naso. "Intanto è risaputo che sono miliardario!"

Lui no, ma suo zio più o meno, e Johnny sapeva perfettamente che lo manteneva, così come gli finanziava gli studi in un'università dell'Ivy League.

Quando entrarono, Michael si beò del profumo di cioccolata e canditi che aleggiava nell'elegante locale. Gli altoparlanti di una radio suonavano Rudolph la renna dal naso rosso, mentre l'hostess all'ingresso -con cui Johnny non perse occasione di fare il piacione- li scortava a un tavolino, reggendo due grosse liste.

Michael sprofondò nella panca imbottita di ecopelle, stringendo le braccia al petto nel tentativo di scaldarsi. Il tepore all'interno del locale contrastava con il freddo becco che imperversava fuori in strada, ma i brividi che gli scorrevano lungo tutto il corpo sembravano decisi a non fargli notare la differenza.

Johnny lo fissava con un sopracciglio inarcato, mentre posava il proprio cappotto nello spazio libero alla sua destra.

"Ehi, se stai male possiamo andare a casa."

Michael scosse la testa, risoluto. "No" ribatté, "te l'ho detto, mi aspettano almeno altre due ore di studio."

"Che testaccia dura! Camera tua non va bene per studiare?"

Michael lo liquidò con un'alzata di spalle, prima di nascondere il viso dietro uno dei grossi menu. Fanculo la febbre. Si sarebbe preso il dolce e la bevanda più costosi lì dentro, in quel bar strapieno di sciccheria. 

Il loro cameriere era un ragazzo dalle spalle larghe su cui ricadevano riccioli scuri, abbigliato con una divisa verde e bianca. A Michael parve quasi di palpare la delusione di Johnny nel non rivedere la hostess avvicinarsi a loro.

Ordinò una tazza di cioccolata calda alla francese, aromatizzata con lo zenzero, e una bavarese alle fragole. Johnny si limitò a chiedere un tè alla menta piperita.

"Ehi, guarda che se è per i prezzi non c'è problema" commentò Michael, sedendosi più composto e sfilandosi la sciarpa. "Prendi pure quello che vuoi."

Per tutta risposta, Johnny si strinse nelle spalle. "Sto bene così, davvero."

"Non direi. Sei magro come un giunco. Stai mangiando?"

Johnny emise un lungo respiro e si mise a tamburellare con le dita sull'orlo del tavolo. "Sì, beh..." balbettò, "minestre e zuppe, più che altro, ma appena metto in bocca qualcos'altro, vomito anche l'anima."

"Johnny, così non va bene!"

Michael fece appena in tempo a posare una mano sulla spalla dell'amico, prima di venire interrotto dall'ennesimo starnuto. "Dovresti farti vedere." osservò, tirando su col naso.

Johnny poggiò un gomito sul ripiano del tavolo e lo scrutò intensamente, il mento appoggiato alla mano.

"Facciamo così" replicò, "io in questi giorni vado da un dottore se tu ti convinci a farti portare a casa, quando abbiamo finito qui. Scotti!" aggiunse, posandogli la mano libera sulla fronte.

Michael si scostò, gonfiò le guance e sbuffò come un bambino infastidito, suscitando le risatine di Johnny.

"Va bene" si arrese, puntando l'indice contro di lui, che fece finta di morderglielo, "quando però verrò bocciato, ti tormenterò per il resto della vita."

"Sei intelligente, non ti bocceranno."

Quando i loro ordini arrivarono, la conversazione era ancora volta sulla tesi di Michael.

"Questioni giuridiche relative al trattamento dei detenuti" spiegò, quando Johnny gli chiese di cosa si trattasse.

Udì l'amico fare qualche commento in proposito, ma lo sguardo di Michael rimase concentrato sul blocco di cioccolata che si scioglieva dentro al latte bollente. Il forte odore di zenzero invase piacevolmente le sue vie respiratorie, come a volerle disinfettare.

Il gomito di Johnny colpì il suo, riportandolo alla realtà.

"Oh! Mi senti?"

Michael batté le palpebre un paio di volte, confuso: la sagoma di Johnny gli appariva quasi sfocata.

"Scusa" bofonchiò, "che hai detto?"

"Ti stavo domandando quando devi esporla. Magari vengo a sentirti."

A suo zio la presenza di Johnny non sarebbe andata a genio.

Al contrario, lui sapeva che sarebbe stato l'unica maniera di sentirsi un po' più tranquillo di fronte agli esaminatori.

"Il dodici dicembre." rispose, prendendo un morso di bavarese, prima di offrirne un pezzo a Johnny. "Vuoi favorire? Magari questa non la vomiti."

"Che romantico" ridacchiò lui, affondando il cucchiaino per il tè nella mousse. 

 

*****

 

Una volta usciti, con il portafogli di Michael quasi del tutto privato di consistenza -bugia, non avevano speso neanche dieci dollari-, il giovane si arrese al farsi portare a casa in taxi. Mentre l'autovettura sfrecciava tra le luci notturne di Upper Manhattan in direzione di Mulberry Street, dove entrambi vivevano, Michael si divertì a stuzzicare Johnny sul sedile posteriore, incrociando le loro gambe per attirare la sua attenzione.

"Indovina a cosa sto pensando?"

"E come faccio a sapere cosa passa per quella tua testolina bacata?"

"Penso che dovremmo aprirci un ristorante tutto nostro."

Johnny non disse nulla, limitandosi a studiarlo con un'occhiata imperscrutabile. Poco male: quando faceva così, Michael sapeva che stava cercando di comprendere se facesse sul serio o meno. "Ma che dici? Secondo me hai la febbre e stai svalvolando."

Michael sollevò la gamba e la posò in grembo a Johnny.

"Dico davvero" rispose, estraendo per l'ennesima volta il fazzoletto. "Non me ne frega niente dello studio legale di mio zio. Se finirò a lavorarci, sarà solo per mettermi da parte un po' di soldi per aprirmi un posticino. Nemmeno tu stai lavorando, no?"

Johnny storse la bocca in una smorfia. "Non starei a suonare in strada per comprarmi le sigarette, se avessi un lavoro."

"Non ti attira come idea? Io è da un po' che ci penso."

Il suo amico voltò la testa di lato e sollevò le sopracciglia: "Ti do una mano solo se assumiamo quella sventola che ci ha portato al tavolo."

Michael fece finta di dargli un pugno.

"Sei sempre il solito" commentò, il petto scosso dalle risatine.

Johnny fu così gentile da pagare la corsa e lo aiutò addirittura a salire le scale fino al suo appartamento, un piano superiore rispetto a quello dove abitava lui. A Michael tutte quelle premure parevano alquanto esagerate, ma lo lasciò fare comunque. Sospettava che Johnny avesse voglia di trascorrere più tempo possibile insieme a lui, perciò lo invitò a stare un po' a casa sua. Ancora una volta, gli si scaldò il cuore nel vedere i suoi occhi illuminarsi a quella proposta. Sapeva che a Johnny piaceva stare da lui. Probabilmente, considerava la sua famiglia come la propria, almeno dal ramo della madre di Michael, e sempre si beava delle premure di nonna Enza a lui riservate, tra cibo, caffè e leccornie. E pure quella sera, nonostante le nausee che in quei giorni lo assalivano, Michael constatò che non si fece problemi a buttare giù qualche cucchiaiata di pasta e patate. A lui, in compenso, in seguito alla diagnosi di trentotto gradi di febbre, venne concessa solo una minestrina calda e l'esilio a letto.

Con gli appunti della tesi sulle ginocchia e una tazza di camomilla sul comodino, Michael tentava di concentrarsi e formulare qualche frase di senso compiuto. Alla fine, si arrese alla stanchezza e allo stordimento da influenza, e si allungò per sbirciare Johnny, disteso a pancia in giù ai piedi del letto con uno dei suoi fumetti aperti davanti agli occhi. "Che hai preso?"

"Boh, un Capitan America, penso" commentò lui, rigirandosi il giornaletto tra le mani. "Non so come fai a leggere 'sta roba: è noiosa fino allo sfinimento!"

Michael tirò su col naso. Stava cercando di limitare l'utilizzo del fazzoletto, che già in mezza giornata aveva preso a irritargli la pelle.

"Mi prendi quel librone blu sullo scaffale?"

Johnny si sollevò sulle ginocchia. Lui dovette guidarlo un po' perché trovasse esattamente il libro indicatogli, ma alla fine il suo amico riuscì nell'impresa.

Michael si sistemò con la schiena contro i cuscini, appoggiati alla testiera del letto. Sostituì gli appunti con il libro, aprendolo alla prima pagina, e colpì il materasso un paio di volte, facendo cenno a Johnny di sdraiarsi accanto a lui.

Johnny piantò i pugni sui fianchi. "Sì, certo" bofonchiò, "così me la prendo in culo pure io."

"Una volta ti piaceva ammalarti."

"Solo quando non volevo andare a scuola" ribatté lui ma, alla fine, si arrampicò comunque sul materasso, sdraiandosi sotto le coperte al calduccio.

Michael tirò il lenzuolo fin sotto al mento e si schiarì la gola, per quanto farlo gli desse fastidio.

"C'era una volta" cominciò a leggere, la voce più rauca e nasale di quanto fosse normalmente. "-Un re!, diranno subito i miei piccoli lettori."

Con la coda dell'occhio, vide le labbra di Johnny distendersi in un sorriso.

"-No, ragazzi, avete sbagliato."

Mentre Michael leggeva, Johnny gli andava dietro, recitando l'incipit a memoria. "-C'era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze..."

Era un loro piccolo segreto, uno di quelli che si sarebbero portati dietro fino alla tomba. Johnny, perlomeno: Michael non si faceva problemi a sfoggiare la passione che nutriva per le vecchie fiabe. Ma per Johnny ammettere che ancora amava ascoltarlo leggere Le Avventure di Pinocchio era un evidente attacco alla sua virilità. Poco male, comunque: se, da una parte, pensava che il suo amico non avesse alcun motivo per tenere nascosto al mondo il suo lato più docile, Michael adorava avere quella parte di Johnny tutta per sé. 

Ecco perché gli spezzava il cuore quando qualcuno -suo zio, soprattutto- faceva commenti poco carini su di lui: nessuno vedeva Johnny come lo vedeva Michael. Non perché non ne avessero l'occasione, ma perché non volevano nemmeno provarci. 

Quel pensiero gli fece venire in mente un'altra cosa. 

"Johnny" disse, interrompendo la lettura, "questo sarà il tuo primo Natale da quando sei tornato." 

Ecco perché era rimasto così estasiato dalle decorazioni che lo circondavano, quel pomeriggio. Avevano trascorso così tanti Natali insieme che Michael non aveva più pensato al fatto che il suo amico aveva trascorso quelli degli ultimi cinque anni... dove? A fare cosa? In licenza? A combattere? Sapeva ben poco di quello che aveva fatto Johnny in Vietnam: se capitava che gli raccontasse qualcosa, non scendeva mai nei particolari e lui cercava di evitare l'argomento il più possibile perché sapeva quanto ricordare gli facesse male. 

Johnny annuì, le labbra ancora sciolte in un caldo sorriso, gli occhi abbassati sul copriletto. "Già" rispose, "tra l'altro, non mi hai ancora dato nessuna idea su cosa vuoi ricevere quest'anno." 

"Non devi farmi nessun regalo." 

"Dicono tutti così, ma alla fine fa sempre piacere ricevere qualcosa che si desidera, no?" 

"Sono serio." 

Michael si tirò più su, voltando il busto per guardarlo meglio. "Non voglio niente. Mi importa solo che lo passiamo di nuovo insieme. Tu, piuttosto, che cosa ti piacerebbe? Ho questa sensazione che nei Marines non circolassero molti regali di Natale." 

"Ma perché stai sempre a pensare a me?" 

Johnny risollevò lo sguardo e i loro occhi s'incrociarono. "Me la cavo. E anche a me piacerebbe prendermi cura di te, ogni tanto." 

Era strano come Michael non avesse mai messo in conto quella possibilità. Gli era sempre venuto naturale essere premuroso nei confronti di Johnny, senza mai aspettarsi nulla in cambio. D'altronde, era normale che gli amici volessero prendersi cura l'uno dell'altro. Aprì la bocca per replicare in qualche modo, ma una serie di starnuti glielo impedì. Mentre si arrendeva a riutilizzare il fazzoletto che aveva precedentemente infilato sotto il cuscino, avvertì la mano di Johnny insinuarsi dolcemente tra i propri capelli ondulati, accarezzandogli con delicatezza la nuca. Il suo tocco era piacevolmente familiare, come se fino a quel momento a Michael fosse mancato un pezzo. 

"Dovresti dormire" mormorò Johnny, giocherellando con le sue ciocche scure. "Se vuoi, me ne vado." 

Michael si strofinò la punta del naso con il fazzoletto. "Oppure" replicò, "potresti fermarti qui." 

Improvvisamente, si sentiva come se rischiasse di perdere nuovamente il suo migliore amico da un momento all'altro. Come se vederlo uscire dalla porta di camera sua potesse rendere vera quella possibilità che aveva accarezzato così tante volte, negli ultimi cinque anni. 

"Ah, vuoi proprio che mi ammali, eh?" ridacchiò Johnny. 

Michael aveva come la sensazione che si fosse fatto più vicino. Sentì il libro di Pinocchio scivolargli via dalle gambe, liberandolo dal suo peso, e vide Johnny posarlo sulle proprie. 

Michael scivolò nuovamente sotto le coperte. Poggiò la testa sul cuscino, il fazzoletto premuto contro il naso, e con gli occhi chiusi rimase ad ascoltare la voce di Johnny che leggeva al posto suo. Non era proprio una cima, nella lettura: le parole gli uscivano poco scorrevoli e, a volte, ne sbagliava la pronuncia, eppure alle orecchie di Michael suonavano come una piacevole melodia che gli cullava il sonno. Finì senz'altro per addormentarsi all'improvviso perché, quando, ore dopo, si svegliò, Johnny aveva spento la luce e l'unica cosa che rischiarava la stanza era il lieve filtrare dei raggi della luna attraverso le tende. La gola di Michael era secca per via del respirare troppo con la bocca: aveva il naso tappato. 

Johnny si era sdraiato con la testa sul cuscino, ma era sveglio. 

"Non dormi?" bisbigliò Michael. 

Johnny alzò l'unica spalla che poteva sollevare. "Non ho molto sonno. Pensa a dormire tu. Io ti proteggo dai mostri nell'armadio." 

"Che stupido" borbottò Michael, ridacchiando. Chiuse gli occhi e questa volta si addormentò con la fronte contro il petto di Johnny. 
 

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ANGOLO AUTRICE 

SALVEEEEE!!!! Allora, questa è la mia nuova pazzia: una raccolta di one shot missing moments ispirata a Bridge Over Troubled Water. Tra l'altro, con l'avvicinarsi del Natale, sento una gran voglia di scrivere robine piene di fluff natalizio. Era un'idea che avevo già provato a sviluppare quando ho iniziato la raccolta su Johnny in Vietnam, ma visto che non sono più riuscita a portarla avanti ho deciso di accorpare le due cose. 

Questa storia è stata scritta per la Word War indetta dal Giardino di EFP in cui la mia carissima Ellie (alla quale è dedicata questa one shot) mi ha sfidato a scrivere una cosina fluff su Michael. A dirla tutta non sono sicura se sia fluff per Mike o per Johnny, fatto sta che mi sono seriamente sciolta a scriverla quindi GRAZIE per questa adorabile possibilità *-* Spero tanto che ti piaccia, non è una cosa particolarmente seria o scritta forbitamente, ho cercato di pubblicarla il prima possibile e, soprattutto, spero di aver eliminato tutti i refusi che sono riuscita a trovare. 

Se siete arrivati fino a qui, fatemi sapere cosa pensate di questa cosina, le recensioni sono sempre ben accette.

Ci vediamo al prossimo capitolo di Bridge Over Troubled Water, carissimi <3  

 

  
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