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Autore: Cress Morlet    29/11/2019    14 recensioni
[Kylo Ren/Rey]
Non osava toccarla, non osava avvicinarsi, non osava nulla. Era come masticare sale e zucchero, inghiottire spine e petali. Una disperazione infinita che non gli concedeva tregua e che squassava ogni suo giorno e ogni secondo della sua vita. Era un tormento di pensieri illogici e disordinati.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ben Solo/Kylo Ren, Rey
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Preludio


Distrutto, spezzato e tormentato. Il suo animo non trovava quiete neppure durante la notte - soprattutto durante la notte. 
Il suo mondo grigio e vuoto era un atomo stilettato da lame affilate, forgiate in un passato ancora più oscuro. Esse creavano cicatrici profonde, incidevano la carne e lì rimanevano: tra i muscoli e i tendini, tra un osso e l’altro. Il suo cielo era cosparso di stelle e pianeti troppo lontani da stringere tra le dita e troppo distanti da schiacciare sotto le suola delle scarpe. Nelle sue giornate non esisteva alcuna forma di calore, vigeva soltanto un’amara indifferenza ricoperta da una bambagia di ironia e di arroganza. Fredda era l’immensità eterna dell’universo che non decideva mai di abbassarsi a preoccuparsi delle povere anime che ciondolavano e che si affannavano senza meta. Ghiaccio crudo e sottile era l’isolamento in cui si era relegato, aggrappandosi ad una patetica forza di volontà nata dal risentimento, cresciuta dall’odio e rafforzata dalla consapevolezza di essere stato tradito da chiunque - persino dal suo Maestro - e di essere stato abbandonato da ogni membro della propria famiglia. Così tanto solo, così tanto potere sprecato. La solitudine aveva assunto la consistenza di una panacea in grado di inglobare l’anima della sua persona, di masticarla e di rigettarla nella galassia nelle sembianze di un involucro vuoto e spaesato. Una trasformazione lenta e dolorosa. Una muta di pelle, ossa e sangue di cui chiunque avrebbe riconosciuto i sintomi soltanto nell’esatto istante in cui il cambiamento sarebbe oramai diventato irreversibile. Come i pianeti disgregati dalle lame rosse dei tiranni. Come i residui scricchiolanti di alcuni stralci di polvere scura, generati dalla collisione di neuroni impazziti, piegati dall’uso di un affrettato schiocco di dita. L’universo gridava e nessuno riusciva a percepirlo nell’ingrossarsi delle vene: lamenti capaci di strappare le orecchie a mani nude, urla che nulla avevano di umano e che tutto avevano delle bestie primordiali. La sofferenza sradicava, divorava e conquistava. Non esisteva pietà, non esisteva compassione.
Non esisteva misericordia.
Rimaneva soltanto la certezza di una verità ineluttabile: o sei un granello di sabbia o sei un colosso di ferro. Ma che significato avrebbe mai potuto assumere questa verità ai suoi occhi e alla sua mente? Lui non era neppure riuscito a diventare l’ombra di un uomo. Bambino era stato definito. 
Un bambino spaventato che avvolgeva il suo volto in una maschera nera - un giocattolo che non rappresentava null’altro se non il suo patetico tentativo di eludere ogni timore, ogni confronto e ogni dubbio. 
Una maschera che era il suo nome, era la sua storia, era il suo sangue. Avrebbe dovuto generare nel suo animo un senso di confortante appartenenza a un qualcosa - alla sua famiglia, al suo destino, a ciò che doveva essere e a ciò che sarebbe potuto diventare - e invece gli aveva procurato soltanto vergogna. Gli aveva ricordato i suoi fallimenti e la sua inferiorità, chi non riusciva ad eguagliare e chi non sarebbe mai riuscito ad inorgoglire. La certezza della sua condizione e la staticità di certe scomode realtà erano un groviglio di spine e lenzuola conficcato con forza nella sua gola. Nodi di schegge che gli trapassavano la fronte e che gli occludevano ogni possibilità di fuggire da se stesso. Perché non si può mai sapere in quali posti sia più opportuno rifugiarsi quando delle notti incolori e indesiderate riescono a rapire la tua attenzione, a possedere i tuoi pensieri e a trasformarli in qualcosa di cui pentirsi. Possono afferrare i tuoi piedi e legarli a delle punte aguzze di alcune stelle crudeli che inghiottiscono il loro stesso corpo e si trasformano in buchi neri di vacua speranza di salvezza. Possono illuminare ogni desiderio represso negli angoli più imperscrutabili della tua mente e ricordarti il tuo patetico passato e il tuo ancora più patetico presente. Loro erano la causa per cui non gli era più possibile negare la verità che gli stringeva il ventre e gli fracassava le costole: ogni notte la sua presenza confortava il suo petto e dilaniava la sua anima - dissacrante realtà di un pugno di nervi immerso nel suo costato dolorosamente aperto.

Era vulnerabile, sconvolto, coinvolto. Trascorreva ogni sera crogiolandosi in una lenta e tortuosa agonia. Perché c’era sempre Rey al suo fianco. Lui era sempre più sfiancato dal grave peso del suo quotidiano comandare e dall’onere di dirigere le operazioni contro la Resistenza. Nulla pareva confortarlo. Nulla aveva le sembianze di una casa.
Quando Kylo decideva di sdraiarsi e di riposare, non appena spostava le lenzuola e il suo peso sformava il materasso, compariva la ragazza al suo fianco. Lei era lì. Lei era sempre lì, silenziosa come una maledizione sibilata dall’anima e non dalla bocca. Immobile, in posizione supina, ostinata nella sua decisione di considerarlo alla stregua di un oggetto inanimato e rotto. Osservava il soffitto e non faceva niente altro. Non gli parlava, non lo guardava, non rispondeva mai alle sue domande e neanche alle sue più dure parole. Non c'era alcuna soddisfazione nella guerra fredda che si consumava tra i loro corpi e le loro menti: erano troppo giovani e troppo inesperti con le pedine della loro esistenza. A Kylo non importava il modo in cui erano erroneamente giunti ai confini di una sfida che nessuno dei due avrebbe più avuto la forza di vincere. Lui aveva preferito rifugiarsi - scavando con le unghie rotte e zeppe di sangue - nel bozzolo del suo orgoglio ferito e fremente di impaziente vendetta, un dolore antico che bruciava le sue vene viola e le sue ossa oscure. Mentre Rey sembrava aver deciso di non voler più sprecare la sua voce e il suo tempo con una tale causa persa. Ogni notte si rifiutava di voltarsi o di guardarlo negli occhi o anche solo di sfiorargli le spalle. Avrebbe voluto urlare e strappare il Legame. Calpestare il loro Legame ridotto in brandelli e chiedere perché - perché, maledizione, perché, perché - era costretto a vivere una tale tortura. Averla vicino e non averla mai. Sentire ogni notte il suo respiro, ma mai le sue parole. Osservare soltanto la sua nuca, ma mai il suo viso. Non osava toccarla, non osava avvicinarsi, non osava nulla. Era come masticare sale e zucchero, inghiottire spine e petali. Una disperazione infinita che non gli concedeva tregua e che squassava ogni suo giorno e ogni secondo della sua vita. Era un tormento di pensieri illogici e disordinati.
Ti ho salvato. Ho combattuto per te. Ti avevo soltanto chiesto di restare al mio fianco. Sai che cosa è significato per me pregarti? Ti ho chiesto di restare al mio fianco e ti ho pregata, tu tentennavi e io ti ho pregata. Ti prego, ti ho detto. Ti prego.
Tu hai tentennato e il ragazzino debole e sciocco è tornato. Ben Solo era morto, io stesso gli avevo strappato voce e volontà. Era un ragazzo solo, spaventato e tradito: doveva necessariamente morire. Credevo che di lui fosse rimasto soltanto un ricordo e un rimpianto. Eppure non è andata così, non è vero? Ti prego, ti ho detto. Stupido incosciente. Disposto ad umiliarmi pur di averti con me. Per te non è stato abbastanza. Per te nulla di ciò che faccio è mai abbastanza. Ti prego, ti ho detto, e tu mi hai abbandonato lo stesso. Ciò che abbiamo condiviso non ha significato niente. Ciò che potevamo essere non ti ha mai interessato e non ti ha mai tormentato, neppure una notte. Io invece sono qui.
Perso ad osservare la mia stanza buia e a pregare che questo istante non finisca mai. Tu, al mio fianco. La Forza ci costringe ad incontrarci ogni sera. E ogni sera tu non parli, ogni sera tu non mi guardi. Ho provato ad allontanarmi da te.
Ma cercare di allontanarti è come ferire una persona brandendo il pugnale dalla parte della lama: il risultato è una mano scavata da un taglio profondo, grondante sangue. A cosa ci porterà tutto questo? Quanto lontani potremo mai essere? Per quanto tempo ancora? Tu non mi parli, tu sei furiosa. Vorresti uccidermi. Colma di ira e di rancore, io sento che vorresti farmi del male. Lo sento ogni notte, lo sento da mesi. E sento ancora il tocco della tua mano sulla mia pelle. È un marchio che non smetterà mai di bruciare i miei nervi e il mio sangue. Mi ricorda che sono ancora vivo.







Angolo autrice.

Ciao a tutti! Spero questo primo capitolo possa avervi incuriosito. Io amo Ben e Rey in maniera viscerale, spero di aver reso loro giustizia. Ditemi cosa ne pensate, ne ho un estremo bisogno. Spero anche di poter aggiornare al più presto :) Tra pochissimo avremo Episodio IX, evviva!

   
 
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