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Autore: ChiarainWonderland    06/02/2020    1 recensioni
Rose Weasley potrebbe passare come una semplice adolescente con i tipici problemi di un adolescente nella media. La scoperta di particolari oggetti di antiquariato, però, potrebbe stravolgere le carte in tavola e rivelare antichi segreti celati per lungo tempo. Se ci aggiungiamo una leale migliore amica, una famiglia non proprio tra le righe, un nemico che non è poi un vero e proprio nemico, un cugino impiccione e una famosa scuola di magia e stregoneria, le cose non possono fare altro che peggiorare.
* * *
"Rose sapeva di non potersi ritenere la figlia migliore del mondo. Per quanto somigliasse a sua madre, alcune cose erano proprietà esclusiva del suo carattere, procrastinamento cronico incluso."
"Ad un certo punto una bancarella di un venditore ambulante attirò l'attenzione di Rose, che si avvicinò per osservare le cianfrusaglie esposte. C'erano vecchi orologi incantati, vari oggetti di antiquariato, fotografie magiche di persone vissute secoli prima e molto altro ancora."
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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CAPITOLO DODICESIMO

DOLCETTO O SCHERZETTO?


East Hampshire, 7 agosto 1964

La bara era nera. Georgiana la fissava con occhi vitrei, lo sguardo che si confondeva con la luce accecante del sole che quasi si beffeggiava del suo dolore. Il mausoleo della sua famiglia, collocato al centro dell’affollato cimitero di Petersfield, non le era mai apparso più desolante. Ci era stata solo altre due volte, la prima per un prozio sconosciuto e la seconda per suo nonno paterno. Non si ricordava granché, considerando che all’epoca aveva più o meno sette anni, ma era certa che la sofferenza che doveva aver provato non era neanche lontanamente paragonabile a quella che avvertiva scorrerle sotto la pelle in quel momento. Perché mai quella bambina dai riccioli d’oro che era stata avrebbe potuto prevedere di ritrovarsi in una circostanza simile, appena otto anni dopo. Mai avrebbe potuto anche solo concepire che al posto di un lontano parente o del suo indifferente e gelido nonno, sotto il coperchio della bara sigillato per l’eternità, riposava il corpo di sua madre.

«Sì, credo che… insomma… credo sia ora di metterla dentro» sussurrava concitato il prete, ritto davanti all’entrata del mausoleo, mentre si torturava un lembo della stola nera che gli avvolgeva le spalle e lanciava occhiate nervose ai presenti. Era un uomo giovane, appena arrivato nella parrocchia, ancora trattato con indifferenza e scetticismo. Georgiana faceva scorrere lo sguardo da lui ai becchini che stavano trasportando la bara all’interno del tetro edificio, per tumularla in uno dei numerosi loculi che l’avrebbe celata per sempre ai suoi occhi. Rimase a fissare il vuoto, inerme, fino a quando una mano non le strinse una spalla.

«Tra poco andiamo a casa per il rinfresco» le ricordò suo padre, il volto privo di qualsiasi accenno di emozioni. Georgiana annuì debolmente, girandosi a osservare il resto delle persone che si erano riunite per dare l’ultimo addio a una donna che neanche conoscevano. Erano quasi tutti maghi, vestiti alla babbana per non insospettire il prete e il personale del cimitero. L’unico dettaglio che accumunava molti di loro, tra cui suo padre, era un medaglione con una pietra turchese incastonata al centro. Georgiana alzò gli occhi al cielo: sua madre li detestava tutti. Eppure anche lei era stata trascinata in quella situazione senza via d’uscita, con l’unico risultato di attirare al suo funerale individui per i quali provava solo odio.

«Condoglianze, Claudius. Una tragedia, davvero una tragedia» commentò un uomo basso e sottile – un certo Selwyn, da quello che si ricordava Georgiana – facendosi avanti e stringendo la mano a suo padre. Subito fu seguito da altri uomini accompagnati dalle loro mogli, desiderosi di esternare tutta la loro più sincera e profonda commozione per quel terribile, straziante lutto.

«Brutta faccenda… brutta faccenda Claudius. Hai tutta la mia vicinanza».

«Sono rimasto scioccato non appena ho saputo… Vaiolo di drago… non riuscivo a credere alle mie orecchie».

«E la ragazzina? Come l’ha presa la ragazzina?»

A Georgiana sembrò di venire punta da uno spillo. Anche dal basso dei suoi modesti quindici anni, si riteneva più intelligente della maggior parte delle persone che la circondavano. Poiché solo uno stolto avrebbe esternato un tale quesito, così fuori luogo da risultare quasi imbarazzante. Come avrebbe mai potuto prenderla? Nelle ultime settimane si era in un certo senso preparata alla morte inevitabile di sua madre, ma si trattava pur sempre della donna più importante della sua vita, del suo punto di riferimento. E se n’era andata. Non c’era più. Scomparsa per sempre. Come avrebbe mai potuto prenderla?

«Stai bene, tesoro? Vuoi allontanarti un po’ per prendere aria?»

La voce che aveva pronunciato quelle parole con tono stomachevolmente mellifluo era la stessa che pochi secondi prima aveva osato avanzare la domanda inopportuna. La proprietaria era una donna sulla cinquantina, tonda e con il viso troppo truccato, il corpo tornito fasciato in uno stretto tubino nero che faceva risaltare i rotoli di grasso sui fianchi. Georgiana si allontanò di un passo senza dare nell’occhio. La sua mente era come un buco nero: assorbiva le emozioni, i pensieri, la volontà, la forza di reagire, lasciandosi dietro il nulla. Voleva andarsene da quel luogo. Voleva allontanarsi da tutto e da tutti anche solo per qualche istante.

«Tesoro, da brava, rispondi alla signora» intervenne prontamente suo padre, agguantandola di nuovo per una spalla.

Georgiana sospirò. «Grazie, ma sono a posto» sputò fuori nella maniera più cortese possibile. Si passò una mano sulla guancia, ma non c’era alcuna traccia di lacrime. Sospettava a malincuore di averle finite.

«Sicuramente te l’avranno già detto, ma le somigliavi molto» continuò la donna invadente, con gli occhi assottigliati. Georgiana rivolse lo sguardo al mausoleo per un fugace istante. «Lo so» replicò piattamente. Doveva trovare il modo di andarsene, e in fretta. Se già al cimitero faticava a mantenere una compostezza quantomeno decorosa, per l’ora del rinfresco sarebbe esplosa. Di una cosa era certa: l’avrebbero riempita di domande; nessuno le avrebbe concesso un po’ di pace.

«Vuoi salutare un’ultima volta la mamma prima che chiudano la tomba?» intervenne suo padre, accennando con la testa al mausoleo, dove i due becchini stavano ultimando il loro lavoro.

Georgiana lo fissò a lungo, diffidente. «L’ho già salutata prima».

«Allora possiamo andare?»

Georgiana era già sul punto di annuire, quando le venne in mente un’idea. «No anzi… credo… credo di aver bisogno di qualche minuto da sola con lei. Voi iniziate pure ad andare, io torno dopo a piedi. Tanto fino a casa sono solo venti minuti».

Suo padre la squadrò perplesso, ma non indagò oltre. «Ti aspetto per il rinfresco».

Georgiana annuì, stupita: in una normale occasione non l’avrebbe mai lasciata da sola. Si riscosse dalla sorpresa e si avvicinò al mausoleo, aspettò che i becchini uscissero ed entrò cauta. L’interno era angusto, ancora più grigio e inquietante rispetto alla facciata esterna. Sulle pareti decine di loculi esibivano nomi sconosciuti e date antiche che celavano le storie dei suoi antenati. Ma lei non era interessata alle tombe coperte da muffa e polvere. L’unica degna della sua attenzione era quella che era appena stata sigillata, dall’aspetto nuovo e pulito, posizionata al centro della parete di fondo. Vi ci appoggiò una mano e mosse le dita sulla superficie liscia del marmo, seguendo i contorni del nome inciso sopra.

«Ti aspetto per il rinfresco… tu non avresti voluto niente di tutto questo, non è vero mamma?» mormorò con un sorriso amaro.

 Dopo qualche istante si staccò a malincuore, come se separarsi da quell’anonima lastra significasse dirle veramente addio. Dovette aspettare parecchi minuti prima che anche l’ultimo ospite si defilasse dal cimitero per smaterializzarsi e che il prete e i becchini sparissero alla vista. Abbandonò cautamente il suo rifugio momentaneo, strizzando gli occhi alla luce accecante del sole, e s’incamminò tra le varie lapidi. Oltrepassò il cancello arrugginito e prese la direzione che si addentrava nel bosco, opposta al sentiero che conduceva a casa sua. I pensieri turbinavano nella sua testa come vortici d’aria. Non le importava nulla se suo padre si fosse infuriato per la sua imperdonabile assenza: avrebbe accettato di buon grado la punizione, piuttosto che vedersi costretta a dover trascorrere ore con persone insopportabili. E non si trattava solo di una questione di volontà; lei non poteva andare al rinfresco. Aveva sopportato fin troppo, in quella giornata. Iniziò a correre non appena si accorse che più si allontanava da casa sua, più si sentiva meglio. Si stupì di sé stessa nel constatare che stava compiendo l’atto più ribelle della sua vita, così da Grifondoro, quando in realtà era una Tassorosso fino al midollo. Continuò a correre per parecchio tempo, la mente occupata dall’immagine di sua madre, fino a quando non inciampò in un sasso e rotolò giù per un piccolo pendio erboso.

«Ahi… maledizione!»

Si distese sull’erba sbuffando. Il polso le doleva leggermente, ma per il resto non sembrava essersi rotta niente. Alzò lo sguardo verso la cima della collina da cui era appena caduta, dove finiva il bosco. Non era mai stata in quella zona, e vista l’intransigenza di suo padre non ne aveva mai avuto la possibilità. Davanti a lei si estendevano a perdita d’occhio campi incolti, interrotti solo da quella che aveva tutta l’aria di essere una cascina circondata da qualche albero. Georgiana si alzò e si incamminò in quella direzione, curiosa. Man mano che si avvicinava riusciva a scorgere nuovi dettagli, come le tegole sconnesse del tetto e le tende colorate che ornavano le finestre. La cascina era del tutto diversa dalla tenuta della sua famiglia, ma era proprio quella differenza che la attirava inesorabilmente. Non c’erano cancelli, staccionate o ringhiere che la separavano dall’ambiente circostante. Pareva quasi che fosse inglobata nel paesaggio stesso. Aveva ormai raggiunto i primi alberi che circondavano l’antico edificio, quando una voce maschile la colse di sorpresa.

«Ciao».

Georgiana s’immobilizzò, indecisa se girarsi verso chiunque l’avesse beccata o scappare nella direzione opposta. Magari il proprietario della voce l’avrebbe seguita, ma fino a un certo punto. Bastava raggiungere in fretta la collina…

«Ti sei persa? Se vuoi ti posso dare una mano» continuò quello che doveva essere un ragazzo, e Georgiana pensò di non aver mai udito una voce così gentile e rassicurante. Si girò d’istinto, trovandosi davanti un giovane dai capelli scuri. Aveva sì e no la sua età.

«Sì… no, io… cioè… non mi sono persa» balbettò, incespicando nei suoi stessi piedi. Il ragazzo trattenne una risata. Georgiana pensò di non aver mai visto un sorriso più bello.

«Allora cosa ci fai qui?»

«Io… stavo scappando».

«Scappando? In effetti, hai proprio l’aria di essere in fuga».

Georgiana arrossì al pensiero del suo aspetto in quel momento. Il sobrio vestito nero che aveva indossato per il funerale era cosparso di fili d’erba e i suoi capelli erano probabilmente in uno stato peggiore. Se si aggiungevano anche gli occhi gonfi dai pianti degli ultimi giorni, era quasi sicura che tutto l’insieme ricordasse in modo vago una cornacchia arruffata.

«Sono caduta dalla collina» spiegò, indicandola con il dito, «e mi fa un po’ male il polso».

«Davvero? Se vuoi posso chiedere a mia madre di dargli un’occhiata. Sai, noi viviamo qui».

Georgiana non riuscì a trattenere la fitta di dolore che le attraversò il cuore quando sentì il ragazzo nominare sua madre. «Sì, l’avevo capito» rispose, riscuotendosi e allungando la mano destra. «Comunque mi chiamo Georgiana».

Il ragazzo sorrise e allungò la mano a sua volta. «Steven. Mi chiamo Steven».

 

*    *    *

Hogwarts, 31 ottobre 2022

Lumacorno stava blaterando ininterrottamente da due ore sui fantomatici antidoti ai veleni. Rose represse uno sbadiglio, scribacchiando qualche appunto sul libro di testo e lanciando un’occhiata esasperata a Samantha. L’ora di Pozioni era l’ultima della giornata e Rose, reduce da Incantesimi e Difesa contro le Arti Oscure, faticava a rimanere seduta sulla sedia.

«Ma non gli si secca mai la lingua a parlare così tanto?» sussurrò Alice, lanciando un’occhiata sbieca a Lumacorno.

«Se fosse possibile, sarebbe già accaduto molto tempo fa» ribatté Isabel divertita. Rose riportò lo sguardo sul professore e si incantò sul movimento ritmico dei baffi da tricheco, modellato come le parole che scorrevano più veloci di un fiume in piena. La lezione teorica rimaneva pur sempre uno strazio, ma almeno le evitava il supplizio dei vapori delle pozioni che rendevano impraticabili i suoi capelli. Non che in quel momento fossero anche lontanamente accettabili.

«Parlando di cose serie, questa sera festeggiamo?»

«Intendi in Sala Grande?»

«Ma no, in Dormitorio! È pur sempre Halloween… ci raccontiamo storie dell’orrore, mangiamo caramelle... ne ho una scorta che farebbe impallidire tuo fratello, Rosie!» bisbigliò Samantha concitata.

«Comunque non possiamo fare tardi» intervenne Rose, che come al solito rappresentava la voce della ragione. «Domani abbiamo lezione».

«Oh, non fare la guastafeste. Già quest’anno ci è andata male che Halloween è giovedì».

«Infatti, bastava che fosse domani e avremmo potuto stare sveglie fino a tardi…»

«Se le signorine permettono», tuonò una voce dalla cattedra, «necessiterei di un po’ di silenzio per continuare la spiegazione».

Le ragazze fecero un balzo dalla sorpresa. Lumacorno sorrise, compiaciuto di aver ottenuto il risultato sperato, e riprese il suo discorso, non senza guadagnarsi un insulto da Alice. La lezione finì un interminabile quarto d’ora e una dozzina di sbuffi dopo.

«Per la barba di Merlino, finalmente!» esplose Samantha, cacciando alla bell’e meglio libro e piuma d’oca nella borsa. Rose pensò che la spontaneità della bionda le era mancata, contrariamente al solito. Si ricordò di come lei e Alice avessero cercato le due amiche per tutto il castello, qualche giorno prima, in modo da chiarire la situazione. Come avevano previsto, l’ira di Isabel si era placata e si trattava solo di una questione di orgoglio. Tutto era tornato come prima… o quasi. Era come se tra di loro ci fosse ancora un velo che, seppur sottile, non accennava a dissolversi. Una verità nascosta rimaneva pur sempre tale, e Isabel e Samantha avevano capito che ce n’era una, e anche ingombrante. Rose sapeva che l’unico modo per chiudere la questione era di rivelare il mistero del medaglione, ma era consapevole di non poterlo fare. Si riscosse dai suoi pensieri non appena notò che le tre compagne stavano uscendo dall’aula.

«Non capisco il motivo per cui James abbia dovuto programmare un’ora extra di allenamenti per questo pomeriggio» disse Alice.

«Magari perché manca solo un mese alla partita contro i Serpeverde».

«Allora le ultime settimane quanto ci farà allenare? Ogni giorno?»

«Sai com’è fatto. Tutti gli anni la stessa storia…»

«Signorina Weasley, mi scuserebbe un momento?» proruppe una voce dietro di loro. Lumacorno era sulla soglia dell’aula, le mani serrate sui lembi della giacca elegante che si ostinava a indossare e il tipico sorriso affabile che esibiva esclusivamente per una cosa. Una cosa che Rose cercava di evitare come la peste.

«Professore! Mi scusi tanto ma io e Paciock siamo già in ritardo per gli allenamenti, quindi dovremmo proprio…»

«Non si preoccupi signorina Weasley, volevo solo informarla che sto organizzando il primo incontro del Lumaclub. Si tratta di una cenetta intima, niente di troppo impegnativo… riceverà presto l’invito con la data e l’orario esatti».

«Sono onorata signore, ma probabilmente sarò già occupata con il Quidditch».

«Nessun problema, ragazza mia, nessun problema! È proprio per questo che la cena si terrà in un weekend! Non credo che abbia allenamenti il fine settimana, o sbaglio?»

Rose sollevò gli angoli della bocca quanto bastava per accennare un sorriso di cortesia. Lumacorno si lisciò la giacca soddisfatto, girandosi di nuovo e tornando nel suo covo di calderoni nero pece e bizzarri ingredienti.

«Sapevi che prima o poi questo momento sarebbe arrivato» commentò Samantha.

«Lo so» si limitò a rispondere Rose, l’espressione impassibile.

Gli allenamenti si svolsero mezz’ora dopo, sotto nuvoloni scuri separati da strisce di cielo. Rose non riusciva a concentrarsi: aveva troppi pensieri per la testa, e la Pluffa le passava accanto senza che la vedesse veramente. Veniva riportata alla realtà dalle urla di James, che attraversavano il campo da una parte all’altra. C’era una strana atmosfera nell’aria, quasi eterea. La leggera brezza che scuoteva le cime degli alberi s’infrangeva sui corpi dei sette giocatori e riempiva il silenzio che dominava il paesaggio. Dopo un’ora, James fu il primo a toccare terra.

«Per oggi può bastare!»

I Serpeverde erano già a bordo campo, le scope sottobraccio, in attesa di avere il via libera. Da quello che si ricordava, Rose era quasi certa che di solito non si allenassero il giovedì: si trattava quindi di un allenamento aggiuntivo, come il loro. Vaisey batteva ritmicamente il piede a terra, impaziente, e non si trattenne dal lanciare un’occhiata maliziosa alle tre ragazze Grifondoro quando gli passarono accanto. Rose lo ignorò e si avvicinò a James, lo sguardo che continuava a vagare verso l’alto e biondo Cercatore della squadra avversaria. Malfoy teneva ostinatamente gli occhi fissi sul prato.

«Tra poco il sole inizierà a tramontare» constatò Rose, rivolta al cugino. «A quanto pare Vaisey è stato meno clemente di te con gli orari».

«Si è dovuto accontentare. Per quest’ora mi ero già prenotato io, e questo pomeriggio Albus aveva Cura delle Creature Magiche».

Rose annuì, riflettendo se esternare o meno i suoi pensieri al cugino. «C’è da dire che si stanno allenando molto» si limitò infine a mormorare.

«C’è una differenza tra allenarsi molto e allenarsi bene».

James fece un leggero cenno con la testa a suo fratello e uscì dal campo. Il resto della squadra lo seguì e si rifugiò negli spogliatoi, pregustando le delizie che la cena avrebbe riservato loro in occasione della notte delle streghe. Rose, Alice e Debbie chiacchierarono del più e del meno mentre i ragazzi discutevano della vittoria schiacciante dei Montrose Magpies sugli Appleby Arrows.

«Avete visto che mossa ha fatto Mooley quando ha scartato Horton? Non so voi, ma per me la battezzeranno con il suo nome».

«No Ben, io ho preferito di gran lunga il gioco di McGie. Ne avrà parate sette o otto che sembravano dei missili».

«Senza offesa Evan, ma credo che il portiere degli Arrow sia nettamente superiore…»

«Mi spiace interrompervi, ragazzi» tuonò Alice seccata a un certo punto, «ma l’unico giocatore degno di nota è stato quel gran pezzo di battitore che è Philegan, punto. Ah, quell’uomo sa fare magie…»

«Alice!»

«Che c’è? È vero».

Rose scosse la testa, incapace di nascondere un sorriso divertito, mentre Debbie scoppiò in una risata sguaiata che la fece cadere sul pavimento. I ragazzi le guardavano come se avessero appena detto che Lumacorno era l’uomo più seducente dell’universo. Presto gli spogliatoi si svuotarono, lasciando Rose e Alice da sole. Debbie fu l’ultima a uscire: sparì dietro l’angolo dopo aver salutato le compagne con la mano. Rose attese finché anche l’ultimo rimbombo di passi nel corridoio non si disperse del tutto.

«Ieri sera il medaglione si è illuminato di nuovo» sussurrò, quasi avesse il timore che i Serpeverde in campo potessero sentirla.

«Sei seria?»

«Sì, l’ho visto quando ho aperto il baule per cercare un libro. Per fortuna Sam e Isabel dormivano».

Alice si bloccò a fissare il vuoto. «Che c’è?» domandò Rose perplessa.

«Stavo pensando che dovremmo stabilire un giorno in cui attuare il piano. Lo stiamo continuando a rimandare da settimana scorsa, e non vorrei che finissimo come l’ultima volta, quando ci siamo ridotte alla mattina prima della partita di Quidditch».

«Lo so, la mia tendenza a procrastinare di certo non aiuta. Però ho controllato gli orari delle lezioni della Nerivir, e forse ho trovato…».

Un urlo particolarmente forte s’insinuò negli spogliatoi e interruppe la conversazione. Rose riconobbe la voce come quella di Vaisey e riuscì a cogliere con un ghigno qualche parola, tra cui “Potter”, “imbranato” e “femminuccia”. Le due ragazze finirono frettolosamente di cambiarsi e si diressero d’istinto verso il campo, dove i Serpeverde seguivano gli ordini e sfrecciavano da un anello all’altro, macchie verdi illuminate dai colori caldi del tramonto. Per un istante a Rose parve di scorgere un luccichio dorato fendere l’aria.

«Quindi con Malfoy?» chiese all’improvviso Alice, lo sguardo ancora puntato verso il cielo.

«Mh?»

«È ancora indifferente?».

«Eccome. Da una settimana non mi prende in giro, non mi guarda, non mi infastidisce… mi ignora e basta».

«Be’» rispose Alice accondiscendente, «non avete mai passato così tanto tempo senza litigare. Dovrebbe renderti felice, giusto? Non avere Malfoy per la mente».

«Certo che mi rende felice!» scattò Rose sulla difensiva. «È solo che vorrei sapere il motivo».

«Strano che tu non l’abbia ancora capito. Sono quasi sicura che la causa sia stata la reazione che hai avuto quando è venuto a farti i complimenti per la partita, fuori dalla Sala Comune. Non ho idea del perché l’abbia fatto, ma se avesse avuto buone intenzioni…»

«Certo, voleva che diventassimo amici per la pelle».

«Guarda che sono seria».

«Anche io. Cosa avrei dovuto fare, sentiamo…avrei dovuto ringraziarlo, e magari invitarlo alla festa? Non dopo i nostri trascorsi, le prese in giro e gli schiantesimi che ci siamo lanciati addosso. Chissà lui cosa si aspettava, che gli offrissi il tè con i biscotti? No Alice, te lo dico io… è il solito egocentrico che vuole attirare l’attenzione» concluse Rose, trascinando l’amica perplessa fuori dallo stadio e su per la collina che portava al castello.

Quando entrò in Sala Grande per cena, quella sera, Rose parve dimenticare tutti i suoi problemi. Un cielo scuro punteggiato di stelle sovrastava i quattro tavoli imbanditi con pietanze di ogni genere, e zucche intagliate galleggiavano nell’aria rischiarando fiocamente la spettrale penombra in cui era avvolta la sala. Stormi di pipistrelli volteggiavano insieme, creando elaborate danze che scomparivano e riapparivano al chiarore della luna che filtrava dalle ampie finestre laterali. Qualche pipistrello si avvicinava molto ai tavoli, fin quasi a sfiorare le teste dei ragazzi, e lasciava un’espressione terrorizzata sulla faccia degli studenti più piccoli.

«Merlino» si lasciò sfuggire Alice.

«Lo so» concordò Rose, «è bellissimo».

Le due ragazze percorsero il corridoio centrale e raggiunsero Samantha e Isabel, già sedute e con i piatti straboccanti. Rose si guardò intorno, affamata, non sapendo da dove cominciare: c’erano tortini salati dai più variegati ripieni, interi vassoi di salsicce accompagnate dal purè di patate, arrosti conditi con varie salse, la tipica Shepherd’s Pie – ironicamente adorata da David – e contorni di verdure. Ma il vero spettacolo arrivò con la comparsa dei dolci. Interi cesti di caramelle, decine e decine di lecca-lecca incastrati a formare castelli di zucchero, torte al cioccolato e alla melassa affiancate dall’appiccicoso Sticky Toffee Pudding e le classiche mele caramellate. Rose ne prese una e l’addentò, lo sguardo che vagava per la sala. Alice era impegnata a riempire il piatto dell’ennesima porzione di torta alla melassa, incurante delle occhiate incredule dei compagni, mentre Samantha tentava di staccare un lecca-lecca senza far crollare tutti gli altri. Rose alzò gli occhi al cielo, rivolgendo involontariamente l’attenzione verso il tavolo dei Serpeverde. Individuare Malfoy non fu difficile: era seduto tra Albus e Zabini e teneva la forchetta sospesa in aria, come se fosse rimasto intrappolato in un pensiero. Poi lo sguardo tempestoso del ragazzo scattò verso l’alto fino ad incrociare il suo. Rose s’immobilizzò, il frastornante chiacchiericcio e il tintinnio delle posate che invadevano la sala improvvisamente spariti e il battito del cuore che rimbombava nei timpani. Malfoy fu il primo a interrompere quel contatto temuto e allo stesso tempo desiderato; abbassò di scatto la testa, come se si fosse scottato, e non la rialzò più. Rose rimase a fissare il nulla, sbalordita: lo strano comportamento di Malfoy avrebbe dovuto risultarle indifferente o addirittura piacevole, eppure avvertiva un senso di vuoto ogni volta che veniva ignorata. Aveva ormai capito di provare una sorta di interesse per il ragazzo, ma quella fastidiosa sensazione le era del tutto sconosciuta, e sotto sotto le faceva male. Molto male. Così male da farla infuriare. “Davvero sto soffrendo per quell’idiota?” si ritrovò a pensare. “Come se la mia vita ruotasse solo intorno a lui”. Se davvero Malfoy intendeva evitarla per sempre, allora lei si sarebbe concentrata sulle faccende importanti.

«Il piano lo attuiamo martedì. È l’unico pomeriggio in cui la Nerivir non ha lezione» bisbigliò ad Alice, attenta a non farsi sentire.

L’amica si bloccò con la bocca piena di torta alla melassa. «Sicura?» biascicò esitante.

«Eccome» rispose Rose, alzando il calice riempito per metà di succo di zucca. «Dolcetto o scherzetto, Alice?»












Angolo autrice
Ehilà!
Sono tornata con un nuovo capitolo finalmente!
La prima parte è incentrata su Georgiana, e devo dire che è stato difficile descrivere le sue emozioni in un momento del genere. Spero di esserci riuscita bene!
Rose ha i suoi soliti casini, quindi per questo capitolo nessuna novità, se si esclude l'invito di Lumacorno. Spero di aver portato un po' di gioia agli amanti di Halloween che aspettano con ansia il prossimo ottobre!
Alla prossima,
ChiarainWonderland
   
 
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