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Autore: heliodor    07/02/2020    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Solo tre parole
 
La donna lo attendeva sul molo, le braccia incrociate sul petto e l’espressione fiera. Accanto a lei c’era una ragazzina dai capelli bianchi e lunghi e l’espressione sfrontata dipinta sul viso coperto di lentiggini.
Robern discese dalla nave misurando ogni passo, come se temesse di cadere in acqua e non riuscire a tenersi a galla.
Col peso che sentiva sulle spalle e dentro di sé era probabile che si sarebbe lasciato andare a fondo.
La donna gli andò incontro. “Sei in ritardo.”
“È la stagione delle tempeste” si difese.
“Non è una buona scusa per far attendere il maestro. Ti aspetta da dieci giorni. Sai bene che non può restare tanto tempo in un posto senza attirare l’attenzione.”
“Questa città è sicura.”
La donna ghignò. “Nessun posto lo è, Robern di Kalymos. Specie di questi tempi. Il Maestro ha rivelato troppo di sé nella crisi causata da Vulkath.”
“Eppure se non fosse stato per lui…” iniziò a dire.
“Nessuno di noi sarebbe qui per raccontarlo” disse la donna. “Vieni ora. Si è fatto davvero tardi.”
Si avviarono lungo il molo di pietra con passo deciso. Navi dallo scafo slanciato stavano attraccando o salpando proprio in quel momento. Le altre all’ancora scaricavano merci e persone dagli abiti dalla foggia che non aveva mai visto prima.
“In ogni caso, ti trovo bene Irtari di Zartab.”
La donna fece un debole sorriso. “L’apparenza inganna, Robern. Sai che sono molto malata, no?”
“Alludi al morbo nero?”
Irtari annuì. “Mi sta consumando a poco a poco.”
“I guaritori che cosa dicono?”
“Un sacco di sciocchezze, se vuoi saperlo. Uno è arrivato a dire che potrebbe curarmi sostituendo il mio sangue con quello di un donatore.”
“È una cura che funziona?”
“Dice di averla provata su di una scimmia.”
Robern non aveva mai visto di persona una scimmia, ma ne aveva sentito parlare. Vivevano nelle foreste nella parte orientale del continente antico e in quelle più remote del continente maggiore, lontano dalla civiltà e per questo erano molo rare. Aveva sentito dire che ne esistevano molte varietà e alcune erano simili agli uomini.
Uomini regrediti a uno stato di barbarie indicibile, secondo alcuni. Una punizione per i popoli che si erano allontanati dalla civiltà o che erano rimasti fedeli ai maghi antichi, per altri.
Quale che fosse la verità, quel guaritore doveva aver creduto che quell’affinità potesse curare il male che stava uccidendo Irtari.
Perché era chiaro che stava morendo.
Ora che poteva osservarla da vicino, notò le profonde occhiaie e la pelle pallida e macchiata di giallo in alcuni punti, segno che c’era qualcosa nel sangue che non andava.
“Tra poco perderò i capelli, poi toccherà ai denti e alle unghie. Infine, perderò il senno. Succede così a tutti quelli che si ammalano.”
Robern cercò di non mostrarsi atterrito. “Non ti conosco molto bene, ma non sembri quel tipo di persona che attende una morte così umiliante.”
Irtari sorrise incerta. “Fosse per me, lotterei fino all’ultimo respiro pur di restare in vita, aggrappata a ogni brandello di speranza come un naufrago all’ultimo pezzo di relitto della sua barca. Ti sembro patetica?”
“Mi sembri umana.”
“Spero sia un complimento.”
“Lo è.”
“Posso sopportare il dolore fisico, non mi spaventa. Ciò che temo davvero è che la malattia offuschi la mia capacità di giudizio. Per una persona nella mia posizione certe debolezze non sono tollerate.”
“Lui sa tutto, immagino.”
“Il maestro è tanto caro e gentile con i suoi compagni e non vorrebbe mai separarsene. Gli ho accennato la cosa ma sembra non voler ammettere che io possa abbandonarlo, prima o poi.”
“Lo conosci da molto?”
Irtari indicò la ragazzina che la seguiva in silenzio al suo fianco. “Avevo qualche anno più di lei quando lo conobbi.”
“A proposito” disse Robern. “Ancora non mi hai detto chi è la tua protetta.”
“Questa qui?” fece Irtari sorridendo. “Non è affatto la mia protetta. Maledico il giorno in cui il maestro me l’ha affidata.”
“È così terribile?”
“Più di quanto pensi.”
Il viso della ragazzina fu percorso da una leggera smorfia di disappunto.
“Che ha fatto di così grave?”
Il sorriso di Irtari si allargò. “Ha cercato di uccidere Malag. E c’è quasi riuscita.”
 
La prima cosa che avvertì, forte, fu l’odore di lavanda. Robern immaginò qualcuno che strofinava i fiori di quella pianta sulle pareti del corridoio, il pavimento e persino le colonne di pietra gialla che sostenevano il portico.
Questo correva lungo il fianco di una collina a strapiombo su di un promontorio. I suoi costruttori avevano tagliato via quel pezzo di montagna che era precipitato in mare formando la scogliera sottostante.
O forse era stato un terremoto.
L’aveva chiesto a Irtari mentre si recavano all’appuntamento.
“Questo luogo è antico” aveva risposto la donna. “Più di quanto si possa immaginare.”
“Immagino che tu lo sappia.”
“Le vecchie pietre non mi affascinano così tanto come pensi.”
“E la gente del posto? Cosa dice al riguardo?”
“Nessuno di loro era qui quando la fortezza è stata costruita, questo è certo. Deve avere almeno duemila anni. O tremila.”
“È molto antica. Il villaggio dove sono nato non aveva più di cinque o sei secoli.”
“Che importanza ha? Davanti al trascorrere degli anni, le nostre vite appaiono così insignificanti.”
“Eppure, la stregoneria esiste da prima che queste pietre venissero tagliate e portate in questo luogo.”
“Anche la stregoneria è giovane rispetto al resto del mondo. Non hai idea di quante epoche si siano avvicendate. Siamo arrivati” aveva concluso indicando la porta di legno.
Forse si era aspettato qualcosa di diverso. Di più imponente e maestoso. Aveva immaginato la studio di Malag, l’arcistregone che era morto e risorto, come un luogo sorvegliato da cento stregoni e chiuso da porte di ferro borchiato.
Quella semplice porta lo aveva deluso.
Rimase in attesa.
Irtari indicò di nuovo la porta. “Vai. Il maestro sa già del tuo arrivo.”
“Devo chiamarlo maestro? È una specie di titolo che si è dato da solo?”
“Chiamalo come ti pare. A lui non importa. E no, non è un titolo che si è dato lui.”
Robern si avvicinò alla porta e non cedette alla tentazione di bussare. Invece appoggiò la mano sulla maniglia e spinse fino in fondo.
Oltre la soglia vi era una stanza squadrata, poco più grande di una cella. Lungo le pareti erano allineati dei quadri in cui dominavano il bianco e il grigio e da strane forme che sembravano inseguirsi e confondersi tra di esse.
Fece un passo oltre e chiuse la porta alle sue spalle. Anche lì vi era odore di lavanda, ancora più forte se possibile.
Un’ampia finestra che dava su uno scorcio di mare azzurro limpido lasciava che la luce del giorno entrasse insieme a una brezza che portava l’odore del mare e agitava le tende color ocra.
Un tavolo per sei persone era al centro esatto della stanza. Le sedie erano al loro posto, fatta eccezione per una a capotavola. Dalla parte opposta vi era una libreria con tre scaffali colmi di libri.
In piedi accanto a essa c’era un uomo vestito con una tunica grigio chiara. I capelli erano radi e bianchi, il naso e il mento scarno dominavano su un viso poco aggraziato, ma non vecchio.
Solo vissuto, pensò. Chissà quante cose hanno visto quegli occhi chiari. Quest’uomo ha vissuto per decenni e decenni, se è vera la leggenda che lo circonda.
L’uomo voltò la testa verso di lui. “Felice di rivederti Robern.”
Per un attimo rimase sorpreso da quella frase. Non si era aspettato un tono così colloquiale da parte sua. Era come se lo conoscesse da anni, mentre si erano visti solo una volta, poco tempo prima.
Robern fece un cenno con la testa. “Io saluto te, arcistregone” disse con tono deferente. Aveva deciso di non usare il suo nome o il titolo di Maestro.
Malag sembrò incerto. “Puoi chiamarmi solo Malag, anche perché arcistregone non lo sono mai stato e penso che mai lo sarò.” Indicò il tavolo con una mano. “Siediti pure, immagino sarai stanco per il viaggio.”
“È stato piuttosto comodo. La Voce dei Mari è una buona nave e il capitano Donorin un’ottima compagnia.”
Malag annuì deciso. “Donorin è sempre molto cortese con i suoi ospiti, lo so per esperienza personale. Se non vuoi sederti non lo farò nemmeno io. Se sei qui, se hai risposto alla mia chiamata, se così possiamo dire, può essere solo per due motivi.”
Robern rimase in attesa.
“Il primo, è che condividi almeno in parte la mia visione delle cose.”
“Devo ancora decidere che cosa condivido o meno con te” disse prudente. “Ma devo ammettere che mi hai impressionato.”
Malag sorrise. Un sorriso perfetto, bianco come il latte. “Ne sono felice. È un buon inizio.”
“Il secondo motivo?”
“L’altro motivo, è che sei qui per spiarmi. O uccidermi. O neutralizzarmi.”
Robern deglutì a vuoto.
“Non sei sorpreso, né spaventato.”
“Devo aver paura? Sono venuto da solo, senza dire a nessuno dove ero diretto. Corro il rischio di essere considerato un rinnegato se non tornerò presto al mio circolo. E tutto questo per ascoltare quello che hai da dirmi.”
Malag annuì calmo. “Ora ricordo bene cosa mi ha colpito di te, Robern.”
“Sono sicuro che non si tratta della mia abilità da stregone. Sono piuttosto mediocre.”
“Hai un potere molto raro e questo ti rende prezioso.”
“È per questo che volevi vedermi? Perché ti servo?”
Malag accennò un leggero sorriso. “Comprendo la tua diffidenza.” Spostò la sedia e vi si lasciò cadere con un gesto lento e misurato. Mentre parlava i suoi occhi vagarono lungo gli scaffali colmi di libri.
Robern seguì il suo sguardo, incontrando le copertine, alcune polverose e macchiate dal tempo, altre nuove. Il Principe Stregone, L’alba dell’Impero, Elfi Crudeli e altri titoli scorsero sotto i suoi occhi.
“E so che non sei ancora pronto” stava dicendo Malag.
Tornò a guardarlo. “Pronto per cosa?”
“So che hai visto qualcosa, quando abbiamo combattuto contro Vulkath e la sua banda.”
“Vulkath era un pazzo.”
Malag annuì. “Ma anche lui aveva visto qualcosa, anche se aveva tratto le conclusioni sbagliate. E questo è quello che più temo, Robern. Che tu possa trarre le conclusioni sbagliate, se non vieni seguito e indirizzato nella direzione giusta.”
“E quale sarebbe? La tua?” domandò cercando di non sembrare troppo polemico.
“Quella di tutti.” Malag si alzò. “Per oggi può bastare. Devi riposarti dopo il viaggio e io ho degli impegni a cui attendere.”
“Tutto qui?”
“Cosa ti aspettavi? Una rivelazione?”
“Mi aspettavo risposte.”
“Allora porgimi le domande.”
“Chi sei davvero?”
“Sono la persona che vedi.”
“Sei Malag?”
Lui annuì. “Sono stato molte persone prima di questa, ma adesso sono Malag.”
“Intendo il vero Malag, quello che settant’anni fa è stato sconfitto e ucciso da Bellir.”
“Sono quella persona.”
“Stai mentendo” disse con veemenza. “Malag era già vecchio all’epoca ed è stato ucciso. Non puoi essere risorto e ringiovanito. Nessuno può.”
“Allora sto mentendo” disse l’arcistregone. “E tu non hai motivo alcuno per credere alle mie parole.”
“Infatti non ti credo.”
“Tutto qui?”
Robern si accigliò.
“Volevi chiedermi solo questo? Ora sono io quello deluso.”
Robern raccolse le idee. Non voleva darsi per vinto. Aveva affrontato quel viaggio per porgergli quella domanda e ora l’avrebbe fatto. A qualsiasi costo.
“C’è ancora una domanda che voglio farti” disse cercando di tenere ferma la voce.
“Sentiamo.”
“Perché?”
Malag non rispose.
“Perché tutto questo? Perché la ribellione, la guerra, le migliaia di morti che ci sono stati e che ci saranno? Perché?”
Malag sorrise. “Il motivo di tutto questo è racchiuso in tre parole.”
“Non capisco. A quali parole ti riferisci?”
“A quelle che tu hai pensato il giorno in cui abbiamo affrontato Vulkath. A quelle che molti gridano inascoltati, prima che qualcuno le soffochi con l’arroganza e la crudeltà. A quelle che io stesso ho pronunciato un giorno di molti anni fa, il più terribile della mia vita.”
Robern rimase in silenzio.
“Solo tre parole, Robern. Solo tre.”
 
“Sembri deluso” disse Irtari accogliendolo con un debole sorriso.
Robern scrollò le spalle. “Forse mi aspettavo qualcosa di diverso.”
Lei annuì. “È così per tutti, la prima volta che incontrano Malag. Pensano che sia una specie di divinità scesa in terra, ma poi si accorgono che è solo un vecchio con la schiena curva e la pelle cadente e l’incantesimo svanisce.”
Robern si guardò attorno. “Non ti importa che qualcuno posso sentirti?”
“Sentire cosa?”
“Che lo chiami vecchio.”
“Se è per questo, lo chiamo anche stupido e idiota, quando mi fa arrabbiare sul serio” disse lei con un mezzo sorriso. “Una volta gli ho anche tirato uno schiaffo.”
Robern si accigliò.
“Ma se lo meritava. Era andato via per tre intere Lune senza dare notizie ed ero davvero in pena. Mi feci promettere che non l’avrebbe fatto mai più, ma non ha mantenuto la promessa.”
“Vuoi dire che sparisce spesso?”
“Più o meno una volta ogni tre o quattro anni.”
“E dove va?”
Irtari fece spallucce. “Se lo sapessi sarei più tranquilla, ma non ne ho idea. Una volta ho provato a seguirlo, ma mi ha seminata dopo un centinaio di miglia. Quel dannato vecchiaccio conosce un mucchio di trucchi. Vieni, andiamo a mangiare qualcosa. Oggi c’è lo stufato di carne e verdure. Non sa né di carne né di verdure, ma ti riempirà lo stomaco almeno per un po’.”
Sedettero a un tavolo per sei persone, al centro di una sala dal soffitto a volta. C’erano una ventina di tavoli, metà dei quali erano vuoti.
Nessuno sedette accanto a loro e Robern sospettò che Irtari avesse dato l’ordine di lasciarli in pace.
Nessuno tranne la ragazzina dai capelli bianchi.
Mentre aspettavano lo stufato, Robern disse: “Parlami di lei.”
Irtari guardò la ragazzina. “Meno cose sai di questa qui, meglio è per te.”
La ragazza le rivolse un’occhiataccia.
“Voglio sapere come ha quasi ucciso Malag.”
Irtari sorrise. “Fingendo di essere ciò che è. Una inutile ragazzina con qualche potere. Non è vero, Nimlothien?”
La ragazzina grugnì in risposta.
“È quello il suo nome?” chiese Robern. “Nimlothien?”
“È quello che si è dato dopo che l’abbiamo catturata” spiegò Irtari.
“Racconta, sono curioso.”
“Arrivò qui mescolata con dei profughi e noi l’accogliemmo pensando che fosse una delle tante ragazzine orfane. Di questi tempi ce ne sono tante, specie dopo le guerre al di là della Testa del Drago. Tempo due giorni e questa piccola bugiarda aveva conquistato la fiducia di tutti e nel frattempo aveva imparato a memoria tutti i passaggi della fortezza. Fu così che cercò di uccidere Malag, nel bel mezzo di una riunione. Lei si era offerta volontaria per servire ai tavoli, ma non aveva agito durante i colloqui. No, questa qui ha atteso paziente e si è allontanata senza farsi notare, è entrata nello studio privato di Malag e ha aspettato che tornasse.”
“È stata furba.”
“Molto” ammise Irtari. “Un piano semplice ma efficace, tranne che per un particolare che non aveva previsto.”
“Quale?” Robern era ansioso di saperlo.
“Quren. È una specie di valletto personale di Malag. In verità è solo uno dei tanti leccapiedi che cerca di conquistare la sua approvazione. In ogni caso, lui entrò per primo nello studio per rassettare e mettere in ordine alcuni documenti. Non lo fa sempre ma quella sera voleva fare una buona impressione e… si beccò due dardi. Uno nella gamba e uno nella spalla.”
“Ed è morto?”
“Per fortuna di Nimlothien, è ancora vivo. Ma da quel giorno la evita sempre. E ha smesso di essere troppo servile nei confronti di Malag.”
“Una vera fortuna” ammise Robern. Si rivolse a Nimlothien. “Perché volevi uccidere Malag?”
Nimlothien lo fissò con aria sfrontata.
“È inutile che tu glielo chieda” disse Irtari. “Nemmeno lei lo sa.”
Robern si accigliò. “È una strega. Non ha un circolo di provenienza?”
“Penso che fino al giorno in cui si è imbarcata su quella nave diretta qui, non avesse nemmeno un passato” disse lei con tono triste. “È stata allevata al solo scopo di compiere questa missione. Dopo aver ferito Quren, ha cercato di uccidersi.”
“Perché?”
“Per non farsi catturare da noi.”
“L’avete interrogata?”
Irtari annuì. “Più volte, per molti giorni. Tutto quello che abbiamo scoperto è che è cresciuta in un luogo buio con persone che indossavano una maschera ogni volta che la incontravano. Non ha memoria della sua vita prima di tre o quattro anni fa.”
“Non esiste un potere capace di cancellare i ricordi.”
“Credo che sia il suo modo di difendersi dall’orrore che deve aver vissuto. C’è un limite oltre il quale la nostra mente non può andare e penso che lei l’abbia superato.”
“Chi può aver fatto una cosa simile? È solo una ragazzina.”
“Qualcuno che vuole morto Malag. A ogni costo.”
“Tu li conosci?”
Irtari annuì. “Hai mai sentito parlare del circolo supremo?”
Robern deglutì a vuoto. “Non è un argomento di cui si parla spesso o volentieri. E mai a voce troppo alta.”
“Proprio così. Sono stati loro. Questa mossa porta la loro firma. Usano i bambini per combattere questa guerra. Tu cosa ne pensi?”
Robern rimase in silenzio per qualche istante, poi disse: “Non è giusto.”
Irtari sorrise.
“Non è giusto” ripeté. “Non è giusto.”

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