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Autore: heliodor    16/04/2020    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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È colpa mia

 
Joyce sussultò, i dardi pronti a scoccare. Forse qualcuno l’aveva trovata, ma chiunque fosse era pronta a combattere.
Si ritrovò a fissare due occhi di un blu profondo come il mare e un sorriso sincero anche se appena velato dalla tristezza.
“Non avevo idea che ti avrei trovata proprio qui” disse Marq con voce gentile.
“Marq” disse con la voce spezzata dall’emozione. “Sono morte.”
“Lo so. L’ho visto.”
Lacrime le rigarono le guance. “È colpa mia” disse con voce tremante. “È tutta colpa mia.”
Marq l’attirò a sé e la strinse. Lei affondò il viso nella sua spalla.
“Sono stata io” piagnucolò.
Lui le accarezzò la nuca. “Non è colpa di nessuno.”
“Invece sì” disse Joyce singhiozzando. “È colpa mia. Sono stata io a portarli qui.”
Una seconda figura emerse dall’ombra. Era quella di Belia, la guerriera che faceva parte del gruppo comandato da Marq.
“Che succede?”
Joyce sollevò gli occhi verso di lei.
“Che io sia dannata. È la maledetta ragazzina che ci ha messi nei guai” disse la guerriera.
“Vieni” disse Marq facendola alzare in piedi.
Joyce faticò a mantenere l’equilibrio e dovette aggrapparsi al suo braccio. Si sentiva debole e senza forze, come se l’avessero svuotata.
“Ce la fai?” le chiese.
Joyce annuì anche se non era certa di potersi reggere in piedi.
Belia trasse un profondo sospiro. “Tra poco la ronda passerà di nuovo. Dobbiamo fare in fretta o ci scopriranno.”
“Tu vai avanti. Resto io con lei.”
“Sei un dannato pazzo” disse Belia. “Ma non ti lascio certo da solo, per chi mi hai presa?”
Marq l’aiutò a raggiungere l’esterno, un balcone che girava attorno all’edificio. Una scala di tronchi e assi annerite portava in strada, sul retro.
Marq l’aiutò nella discesa e quando furono a terra la guidò verso una capanna ancora intatta. Dopo esservi entrati Belia chiuse la porta e la sbarrò con un’asse di legno.
“Da qui sono già passati” disse. “Non dovrebbero tornare.”
Joyce sentì le gambe cedere e dovette sedersi per non crollare.
Marq la guardò con espressione preoccupata. “Riposati. Qui sei al sicuro.”
Joyce riuscì solo ad annuire.
Belia guardò in strada attraverso le imposte dell’unica finestra. “I soldati stanno cercando nella zona orientale.”
“Quando scenderà il buio usciremo e lasceremo il villaggio” disse Marq. Guardò Joyce sorridente. “Sei ancora viva. Avevo quasi perso le speranze di rivederti.”
Joyce rimase in silenzio, lo sguardo fisso davanti a sé.
“Come sei arrivata fin qui? E perché?” le chiese Belia con tono brusco.
Marq le rivolse un’occhiataccia alla quale la donna rispose con un’alzata di spalle.
“Un portale” disse Joyce.
“È stato il tuo amico erudito?” le chiese Marq.
Joyce annuì.
“E lui dov’è?”
“Morto” disse. “Sono morti tutti.” Scosse la testa affranta.
Li ho uccisi io, pensò.
“A Malinor?”
“Nazdur.”
“Che cosa ci facevi lì? So che è stata attaccata dai colossi.”
“La città è stata distrutta. Per colpa mia.”
“Sibyl” disse Marq sedendole accanto. “Ora sei con noi. Al sicuro.”
“A parte mezza alleanza che ci sta cercando” disse Belia.
“L’alleanza” disse Joyce. “Stanno per attaccare.”
“Hanno già attaccato” disse la donna. “Guarda che hanno fatto.”
“È stato Falgan” disse Joyce deglutendo a fatica. “Aveva promesso di risparmiare Roxarr e invece… invece…” scosse la testa. “È stata colpa mia. Solo colpa mia. Sarei dovuta morire io, non Lura e le altre.”
“Non puoi darti la colpa di tutto quello che accade.”
“Kaerla amava Ascal” disse. “Lui le aveva scritto una lettera d’amore.”
Marq guardò Belia.
La donna si strinse nelle spalle. “È impazzita. La guerra può fare questo effetto sulle persone.”
“Ti porterò da un guaritore” disse Marq. “Lui saprà cosa fare.”
“No” disse Joyce cercando di alzarsi. “Devo andare via.”
Marq la trattenne per le spalle costringendola a sedersi di nuovo. “Lì fuori ti ucciderebbero. I soldati danno la caccia a tutti i rinnegati, che lo siano o meno.”
Joyce lottò per liberarsi, ma senza riuscirci. Vinta dalla fatica si lasciò andare distesa sul pavimento, il corpo scosso dai singhiozzi. “Li ho uccisi io” disse. “Tutti.”
“È stato Falgan” disse Belia. “Quel macellaio ha attaccato a sorpresa, senza che ve ne fosse alcun bisogno. Il villaggio era senza protezione e si sarebbero arresi senza combattere.”
Joyce chiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo. Quando si vegliò, era distesa su un giaciglio, avvolta in una coperta. Sentiva gli occhi gonfi e i muscoli intorpiditi, ma stava bene.
Spostò le coperte e si mise a sedere. Era al centro di una piccola tenda fatta per ospitare al massimo due persone. Dall’esterno filtrava la luce del sole colorata di arancio cupo.
Si trascinò all’ingresso e si raddrizzò prima di uscire. Marq, Belia e un’altra mezza dozzina di persone sedeva attorno a un fuoco acceso in mezzo a un cerchio di pietre.
Le fiamme che guizzavano rendevano cupi e tristi i loro volti, ma quando Marq sollevò il proprio, lo vide illuminarsi.
“Vedo che ti senti meglio” disse con tono allegro. “Vieni qui, c’è della carne secca per cena.”
Joyce avanzò verso il gruppo. Riconobbe Belia e Lem, il gigante che sedeva al suo fianco. A sinistra di Marq c’era il viso tormentato e sfregiato di Brun e quello dalle guance scavate di Falcandro. Gli altri visi le erano ignoti.
Brun le rivolse un sorriso incerto. “Ben ritrovata, strega rossa.”
“Brun” esclamò sedendosi tra lui e Marq. “Che bello vederti. E anche tu Lem. Sono felice che stiate bene.”
Lem la salutò con un grugnito. Stava divorando un pezzo di carne secca che strappava con morsi decisi.
Guardò Falcandro. “E tu che cosa ci fai qui? Ti credevo nei sotterranei di Orfar a creare qualche filtro per Skeli.”
“La regina è morta” disse l’erudito. “Adesso è re suo figlio Kymenos.”
Joyce lo guardò sbalordito. “È vero?” chiese a Marq.
Lui annuì deciso. “Noi eravamo lì” disse. “Brun e io. Skeli è morta e Bryce di Valonde ha incoronato Kymenos nuovo re.”
Joyce sgranò gli occhi. “Bryce? È viva? Sta bene?”
“L’ultima volta che l’ho vista era al comando di un’armata che si stava dirigendo a nord per congiungersi con l’alleanza di re Andew.”
Bryce sta bene, pensò. Nimlothien le aveva raccontato una menzogna? Quando era stata ospite di Galyon non aveva osato chiedere in giro per non attirare sospetti, né aveva domandato di Bardhian, sperando che fosse al sicuro con l’armata lasciata indietro, quella che era rimasta fedele a suo padre.
“Avevo sentito dire che aveva disertato” disse usando parole prudenti.
“È vero” disse Marq. “È andata via per tornare a Malinor.”
“Perché lo ha fatto?” gli domandò.
Lui sorrise. “Tu perché lo facesti?”
Joyce chiuse gli occhi tormentata da mille pensieri che le affollarono la testa, ma la risposta era solo una e la conosceva bene.
“Vyncent” disse. “È corsa a salvarlo.”
Marq annuì. “Non siete molto diverse, voi due. Vi somigliate, in un certo senso.”
Tu non immagini quanto, si disse.
Lo fissò per un istante.
O sì? Si chiese.
“Se avete finito” disse Belia. “È ora di decidere che cosa vogliamo fare.”
Anche Joyce aveva delle domande da fare a Marq. “Ti credevo al nord. Perché sei andato a Orfar?”
Lem ridacchiò.
“Per lo stesso motivo di Bryce, in un certo senso” disse Belia. “Spiegaglielo tu, Marq.”
Lui guardò altrove, imbarazzato. “In verità ero diretto a Malinor.”
“Perché?” chiese Joyce. “Sapevi che se fossi tornato ti avrebbero ucciso.”
Lui annuì.
“Non ti importava?”
“Mi importava di più di una certa persona. Una ragazza folle che voleva vincere una guerra da sola.”
 “E l’hai trovata, quella persona?”
“Adesso sì.”
“Mi dispiace” disse Joyce non trovando altre parole.
“A me no” rispose Marq.
“Quando hai finito con la tua dichiarazione d’amore” disse Belia. “Potremmo tornare a discutere di cose importanti?”
Marq annuì. “Continua pure.”
“Bene” disse la donna. “Dobbiamo decidere che cosa fare. Possiamo andare verso il campo principale di Malag e unirci alla battaglia, oppure dirigerci verso gli altri villaggi, ma non so quanto siano sicuri ora che Falgan ha saccheggiato Roxarr.”
“Io voglio combattere” disse Lem.
“Anche io” fece Brun.
“Tu che cosa vuoi fare?” le domandò Marq.
“Combattere” rispose Joyce senza pensarci troppo. In quel momento le sembrava la cosa giusta da fare.
Anche gli altri presenti erano d’accordo. Tra di essi c’erano quattro soldati e uno stregone dalla pelle scura oltre a due donne che erano sopravvissute all’attacco di Roxarr.
“Molti sono riusciti a scappare” raccontarono di fronte al fuoco. “Ma quelli rimasti sono morti quasi tutti. L’armata di Falgan si è presentata davanti alle mura e ha preteso che aprissimo i cancelli. Noi lo abbiamo fatto e sono entrati nel villaggio e appena dentro hanno preso a saccheggiare e uccidere tutti quelli che incontravano. Allora i pochi che potevano combattere hanno reagito e i mantelli dell’alleanza hanno lanciato le sfere infuocate sulle mura e poi sulle baracche.” Trattenne a stento le lacrime. “La maggior parte è morta nell’incendio.”
Joyce non voleva sentire altro. “Scusate” disse alzandosi per dirigersi alla tenda. Appena dentro si distese sul giaciglio e si avvolse nelle coperte.
Qualche ora dopo, spento il fuoco, Marq si presentò all’entrata. “Sei sveglia?” chiese.
“Sì” rispose Joyce con voce tremante.
“Posso entrare?”
“Sì.”
Marq le sedette accanto. “Vuoi parlare di quello che è successo?”
Joyce tirò su col naso. “È un interrogatorio?”
“Due chiacchiere tra vecchi amici” rispose. “Che ci facevi a Roxarr? Hai deciso di unirti all’alleanza di Malag?”
“Ero lì per ucciderlo.”
“Malag?”
“Chi altri?”
“E ci sei riuscita?”
“No. Non ho avuto il coraggio. Se lo avessi fatto, sarei morta anche io.”
Marq annuì grave. “E la sartoria di Naevis? Come mai sei tornata proprio in quel posto?”
“Preferisco non parlarne, se possibile.”
“D’accordo” fece lui. “Anche se parlarne ti farebbe solo bene.”
“Davvero sei tornato indietro per me?”
Marq sorrise. “Tu avresti fatto lo stesso.”
“Non mi conosci.”
“Mi hai liberato da quella gabbia.”
“Quindi la tua è riconoscenza?” chiese Joyce.
Marq sospirò. “Anche la prima volta che tornai indietro cercavo te, ma trovai la Tigre Bianca sulla mia strada.”
“L’ho incontrata. A Barakzah.”
“Lo so. Me l’ha detto Nara la sorridente.”
Joyce si accigliò. “È una della banda della Tigre, vero? Una donna dalla pelle scura e i denti appuntiti.”
“Hai una buona memoria.”
“Quando vedo un viso non lo dimentico mai.” Fece una pausa. “Galyon sta andando a uccidere Malag. Lo inseguirà per tutto il nord se necessario.”
“Ti credo, ma lord Malag è forte. Riuscirà a batterlo, in qualche modo. Scommetto che ha un piano.”
“Lo credi o ne sei certo?”
“Credo di esserne certo. C’è una fortezza a un centinaio di miglia da qui. È un rifugio sicuro e Malag starà andando di sicuro lì.”
“Anche l’armata dell’alleanza.”
“E noi, visto che abbiamo deciso di combattere. Sarà un viaggio lungo e difficile e dovrai essere forte se vuoi venire con noi. Ma se vorrai andare via non te lo impedirò. Puoi prendere un cavallo e allontanarti. Io ti coprirò la fuga.”
“Marq” disse cercando le parole giuste. “Non voglio scappare. Ho detto che combatterò con voi e lo farò.”
“Ma?” fece lui.
“Ma non ucciderò nessun soldato o stregone dell’alleanza.”
“Sarà difficile nel pieno della battaglia.”
“Voglio uccidere solo una persona. Una sola.”
“Chi?” domandò lui turbato.
“Falgan.”
 
***
 
Belia sedeva sul tronco spezzato, il viso illuminato dagli ultimi guizzi del fuoco che si stava estinguendo. Alzò la testa per rivolgergli un’occhiata preoccupata.
“Quella ragazzina ci porterà solo guai.”
“Belia” iniziò a dire.
“No, Marq. Ora mi starai a sentire, dannazione. Sei quasi morto due volte per salvarla. Sei corso da lei come un ragazzino disperato. Quasi non ti riconosco. Non sei più quello di una volta.”
Marq le sedette accanto. “È vero” disse fissando le fiamme che lambivano nel braciere. “Non sono più quello di una volta. Ma che cos’ero prima di oggi, Belia?”
“Uno dei migliori stregoni che abbia mai conosciuto” disse la donna. “Forte e coraggioso e leale verso gli amici.” Abbozzò un leggero sorriso. “Non è una dichiarazione d’amore la mia, mi conosci. Penso che dopo Aerya non potrò amare più nessuno.”
Aerya era stata l’amante di Belia, Marq lo aveva appreso da Lem un paio di Lune dopo averli conosciuti. Era una ragazza dai tratti orientali che viveva nello stesso villaggio di Belia e lì si erano conosciute e la loro amicizia era diventata più profonda, finché Aerya non era andata in moglie a un mercante di una città vicina.
“Perché così volevano i suoi genitori” aveva spiegato Lem. “Si usa così da quelle parti. Il loro amore sarebbe stato comunque impossibile.”
Belia era partita poco prima delle nozze e non era mai tornata al villaggio. Era morta per tutti quelli che aveva conosciuto e amato.
Marq si ritrovò ad annuire. “Ti ringrazio per le belle parole, ma sono immeritate. In realtà sono un assassino e fuggiasco. Un rinnegato. E ora che mi sono unito alla causa di Malag, il mio onore è compromesso per sempre.”
“Pensi quindi di essere migliore cercando di aiutare una ragazzina che sta cercando di uccidersi? Perché a sentire i suoi discorsi è quello che vuole fare.”
Ucciderò Falgan, aveva detto Sibyl.
“E tu morirai con lei andandole dietro. Perciò te lo chiedo di nuovo: stai solo cercando di farti perdonare gli errori che hai commesso? O ci tieni davvero così tanto a quella lì da commetterne altri anche peggiori?”
“Tu che cosa ne pensi?”
“Ho visto tanti uomini idioti fare la cosa giusta quando erano innamorati, ma ho visto anche tanti uomini giusti fare cose idiote per lo stesso motivo. Ti considero un uomo giusto e mi preoccupo per te, amico mio.”
“Secondo te dovrei legarla e abbandonarla da qualche parte, dimenticandomi della sua esistenza?”
“Sarebbe molto meglio per te, Marq. Ti ha causato solo guai, ricordalo.”
“I guai fanno parte della vita. Non voglio restare solo per sempre.”
“Tu non sei solo, idiota” disse lei con tono di rimprovero. “Hai me e Lem e anche lo stregone con la faccia devastata. Sembra una brava persona.” Fece una breve pausa. “Invece l’erudito mi spaventa. Parla poco e osserva tutto quello che facciamo.”
“Falcandro è molto intelligente. Non lo sottovaluterei se fossi in te.”
“Non lo sto sottovalutando. Sto solo dicendo che è strano e bizzarro. Ieri l’ho sorpreso a raccogliere delle erbe qui attorno. Diceva di poter fare un infuso che avrebbe guarito una ferita in metà tempo.”
“Se lo ha detto, forse ne è capace.”
“O forse vuole creare un veleno per ammazzarci tutti. L’hai detto tu stesso che ha creato il veleno che ha reso una pianta quello stregone di Orfar.”
“Igar” disse Marq.
Aveva cercato di uccidere Bryce e come premio aveva ricevuto da Skeli quel trattamento, per finire ammazzato dalla regina stessa in un impeto di rabbia.
Davvero una brutta fine, si disse. Anche per un infame.
“Ma è comunque niente al confronto della strega rossa. Dove passa si lascia dietro morte, distruzione e sofferenza.”
“C’è qualcosa in lei” disse Marq senza riuscire a trovare le parole giuste.
“Qualunque cosa sia non è niente di buono.”
“È un mistero anche per me, Belia.”
Lei sospirò. “Devi prendere una decisione, amico mio. Guarda nel tuo cuore o una sciocchezza simile e scopri che cosa vuoi davvero.”
Belia si alzò e si diresse agli alberi, dove si sistemò in un fagotto avvolgendosi attorno due strati di coperte.
La bella stagione stava finendo e di notte cominciavano a sentire freddo. Marq rimase a fissare il fuoco che si stava spegnendo fino a che l’ultima fiamma non si estinse, poi si alzò di scatto e andò alla tenda dove aveva lasciato Sibyl.
Lei stava ancora riposando, immersa in un sonno profondo o leggero, non avrebbe saputo dirlo. Poteva anche darsi che stesse fingendo.
Non so niente di lei, si disse.
Dal giorno in cui l’aveva incontrata fuori dalle mura di Theroda aveva capito che c’era qualcosa in lei che gli sfuggiva.
Si era chiesto cosa ci facesse lì, tra le macerie di quel villaggio abbandonato, senza trovare alcuna risposta plausibile.
Era stata la curiosità a convincerlo a prendersi cura di lei e a fidarsi di quella ragazza appena incontrata e lei non lo aveva tradito.
Anche quando aveva consegnato la città a Falgan lo aveva aiutato a sfuggire alla cattura. Se fosse stata una spia e una traditrice perché avrebbe dovuto farlo?
Sibyl combatteva la sua guerra, contro chi o cosa non lo sapeva, ma combatteva senza sosta e senza darsi tregua. E quando sbagliava non sapeva perdonarsi, come allora.
Deve aver commesso un errore terribile, si disse. O almeno pensa di averlo fatto e non sa darsi pace. Cerca la redenzione senza riuscire a trovarla.
Anche lui poteva ancora vedere i visi di Alyane e sua figlia liquefarsi mentre venivano consumati dalle fiamme.
Nella realtà non lo aveva visto accadere, ma lo aveva immaginato e alla fine era diventato un ricordo fittizio di quegli eventi.
E quel fuoco era stato lui ad appiccarlo. Lo aveva fatto perché pensava che fosse la cosa giusta. Voleva compiacere i suoi comandanti e dimostrare loro che era il migliore, che poteva farcela da solo.
E da allora quel ricordo lo perseguitava.
Uscì dalla tenda e respirò l’aria tersa della sera. Diede un’occhiata in giro assicurandosi che quelli che montavano la guardia fossero svegli e poi si concesse qualche ora di sonno avvolgendosi tra le coperte di lana che si era portato dietro.
La mattina dopo erano pronti per lasciare la zona. Il fumo si alzava dai cento incendi di Roxarr e lo avrebbe fatto per giorni ancora. La speranza era che i villaggi vicini scorgessero quel fumo e si preparassero alla battaglia, ma qualcosa gli diceva che l’armata dell’alleanza li avrebbe evitati per concentrarsi sul grosso delle forze di Malag che si stavano radunando a nord.
“È lì che andremo” annunciò Marq prima che si rimettessero in marcia.
Sibyl si era svegliata dopo gli altri e sembrava ancora assonnata.
“Come stai?” le chiese.
“Meglio” rispose con voce spenta. “Dove andiamo?”
“A nord” rispose. “Verso il campo dell’armata di Malag.”
“Falgan non è diretto lì” disse.
Marq si accigliò. “Sai qualcosa che non sappiamo anche noi?”
“Galyon e Mardik parlavano di un rifugio che Malag crede sicuro. È lì che vogliono attaccarlo.”
“La fortezza di cui parlavo?”
Sibyl annuì.
Marq si voltò verso Belia e gli altri. “Che ne dite?”
“Ora comanda lei?” chiese Belia. “Uniamoci all’armata e combattiamo. Malag sarà al sicuro nella fortezza.”
“Ma se Galyon putasse davvero verso quella” disse Marq. “Potremmo essere gli unici a saperlo.”
Belia scrollò le spalle. “E allora? Cosa potremmo fare noi da soli contro un’intera armata?”
“Non un’intera armata” disse Sibyl. “Cento o duecento fedelissimi, mantelli e soldati bene addestrati. Si muoverebbero veloci mentre il grosso delle forze tiene impegnata l’orda in un combattimento a valle.”
“Mi sembra una grossa sciocchezza” disse Belia. “E a te, Lem? Che ne pensi?”
Il guerriero si strinse nelle spalle. “Per me va bene tutto quello che dice Marq.”
“Brun?”
“Deve decidere Marq” disse lo stregone di Malinor.
Belia lo guardò. “Seguiremo te. Come sempre.”
“Andiamo verso l’armata” disse senza guardare Sibyl.
“È un errore” disse lei.
“È la cosa migliore da fare” rispose. Era quello che si stava ripetendo, ma non la pensava così.
Il piano di Galyon era valido e se ben realizzato, poteva spianargli la strada verso Malag. Sibyl voleva andare alla fortezza per sfidare Falgan a duello e farsi uccidere.
Da una parte la sua fedeltà a Malag e al suo sogno. Dall’altra la volontà di salvare Sibyl e non farle correre quel rischio inutile.
Che cosa devo fare? Si chiese.
“Ho deciso” disse con tono sicuro. “Dirigiamoci verso l’armata.”
Si incamminarono lungo il sentiero che affondava nel folto della foresta, circondati solo dai rumori del sottobosco. Era come se la guerra non fosse arrivata fin lì e l’impressione era di trovarsi in un posto del tutto diverso, lontano mille miglia dagli scontri.
Orvaurg era circondata da boschi simili, anche se meno rigogliosi. Da giovane, quando non aveva ancora ricevuto il mantello, amava girare per i sentieri e allenarsi lanciando dardi agli alberi.
Immaginava di essere circondato da stregoni e soldati che cercavano di catturarlo, ma lui era l’eroe che riusciva sempre a sottrarsi alla cattura e alla fine trionfava sui nemici.
Quel ricordo gli strappò un mezzo sorriso.
“Marq” disse Sibyl con tono grave. “Stai facendo un errore.”
“Può darsi” rispose.
“Non ti importa più di salvare Malag?”
“E a te perché importa così tanto salvarlo?”
Sibyl guardò altrove.
“È perché Falgan sta andando lì, non è vero? È per questo che vuoi andarci anche tu.”
“E se anche fosse? È la cosa giusta da fare.”
“Spesso la cosa giusta da fare non è la cosa che bisogna fare.”
Sibyl gli rivolse un’occhiata interdetta. “Quindi dobbiamo sbagliare per fare la cosa giusta?”
“A volte il nemico non si aspetta un tuo errore e potrebbe esserne sorpreso.” Era una scusa patetica per non dirle la verità, ma non gli venne in mente altro.
Proseguirono per una manciata di miglia finché Belia non disse loro di fermarsi.
“Ho visto dei segni strani” disse andando in avanscoperta. Quando tornò la sua espressione era serena. E non era sola.
Con lei c’erano una ventina di mantelli e soldati. E Nimlothien.
La strega bianca aveva una ferita alla guancia e l’espressione di chi era pronta a uccidere chiunque avesse trovato sulla sua strada.
“Io ti saluto” disse Marq.
Nimlothien rispose con un cenno della testa. Guardò il loro gruppo a uno a uno, soffermandosi su Sibyl.
“Ci sei anche tu. La spia dell’inquisitrice” disse con tono accusatorio.
Marq si irrigidì. “Sibyl è con noi.”
“Lo sai che ha trovato la spada che Adler dice fosse di Bellir?”
“Sappiamo tutti che è una sciocchezza” rispose Marq. “Non dirmi che credi a una cosa del genere.”
Nimlothien emise un grugnito. “Venite. Abbiamo allestito un campo qui vicino.”
La seguirono fino allo spiazzo pieno di tende. E di feriti. Ce n’era almeno uno ogni tre soldati o mantelli.
Alcuni avevano ustioni o tagli più o meno profondi, altri avevano perso un arto o avevano bende che li ricoprivano quasi del tutto.
“Posso aiutare” disse Falcandro.
Nimlothien guardò Marq.
“Puoi fidarti di lui” disse.
“Da quella parte” disse la strega bianca. “Chiedi a Merlara di farti vedere dove tengono le pozioni.”
Falcandro partì deciso.
Nimlothien lo prese da parte mentre gli altri si rifornivano di cibo e acqua.
“Che cosa è accaduto?” chiese Marq. “Sono arrivato dopo che la battaglia è finita e ho trovato Roxarr distrutta.”
“Sapevano dove attaccare” disse Nimlothien. “Erano certi che Malag fosse a Roxarr o nelle vicinanze.”
“Come fai a dirlo?”
“Comandavo la sua scorta.”
Marq inspirò una boccata d’aria. “Lui dov’è?”
“È andato a Torfaren. La fortezza è sicura, per il momento. Tra lei e l’armata di Galyon c’è la nostra armata.”
“È lì che stavamo andando.”
“Bene. Ci servirà l’aiuto di tutti per la battaglia che ci attende.”
“Su quanti possiamo contare?”
“Centomila soldati e diecimila mantelli” disse la strega bianca. “Più tutti quelli che vorranno unirsi a noi dai villaggi.”
“E l’armata di Galyon? In quanti sono?”
“Almeno il doppio. Ma noi conosciamo la foresta meglio di loro.”
Sarà un massacro, pensò. Sono il doppio di noi. Soldati veterani e mantelli addestrati nei migliori circoli del mondo conosciuto, contro un’armata di contadini e rinnegati.
“Sibyl pensa che Galyon potrebbe puntare direttamente alla fortezza per sorprendere Malag.”
“Glielo impediremo. Prima dovrà superare la nostra armata.”
“Ma con tutte le forze impegnate nella difesa, sarebbe facile per un piccolo gruppo di cento o duecento persone attraversare la foresta e aggirare l’ostacolo.”
Nimlothien lo fissò pensosa. “E sorprendere il maestro alle spalle?”
Marq annuì.
“Che cosa suggerisci di fare?”
Qualsiasi cosa pur di tenere Sibyl lontana dalla battaglia e da quella dannata fortezza. “Qualcuno dovrebbe restare nella foresta e intercettare quel gruppo di persone.”
“Saresti tu quel qualcuno, Occhi Blu?”
“Non sono uno stregone da battaglia” disse ricordando le parole di Jamar. “Non vi sarei molto utile. Ma in uno scontro individuale posso dare il meglio.”
Nimlothien annuì grave. “Se restate qui, sarete da soli.”
E lontani dal pericolo immediato, si disse. “Ci siamo abituati.”
“Bene. Ti lascerò metà dei miei. Quelli che si reggono ancora in piedi, s’intende.”
“Me ne serviranno solo la metà” disse con tono ottimista.
“Sarete troppo pochi.”
“Li dobbiamo solo rallentare, non arrestare.”
Era un buon piano. Non ottimo, ma buono e li avrebbe tenuti lontani dalla battaglia principale. Lì nella foresta potevano nascondersi e tendere agguati a quelli che cercavano di attraversarla.
“Scegli quelli che ti servono e partite subito. Ci rivedremo alla fortezza se la battaglia sarà vinta.”
 
***
 
Desmodes tornò con sguardo cupo. “La strada è libera fino a dove ci siamo potuti spingere” annunciò smontando da sella.
Ronnet, seduto a gambe distese su di una pietra, si stiracchiò. “Quindi possiamo andare?”
Desmodes grugnì qualcosa.
“Era un sì?”
Vyncent, in piedi vicino a uno dei cavalli, stava sistemando il sacco legato alla sella. Desmodes gli si avvicinò con passo lento.
“Principe senza corona” disse con tono sgarbato.
Vyncent era abituato a quel nomignolo. Col passare delle Lune lo aveva quasi accettato come una parte di sé e sapeva di non poter fare molto altro.
Si voltò per guardarlo.
“Procediamo col piano come stabilito.”
Il piano, pensò Vyncent. Ne avevano parlato a lungo durante l’ultima Luna, quando erano ormai a nord e si stavano avvicinando ai villaggi dei rinnegati.
Ce n’erano molti in quella regione, almeno dieci se volevano credere alle voci raccolte in giro. Roxarr, Lusalor, Uriberos, Sylceran e tanti altri nomi che non gli dicevano niente.
Era lì che i fedeli all’orda si erano rifugiati. Posti remoti che sorgevano a ridosso della foresta, in vallate isolate o aggrappati a colline dai fianchi scoscesi.
Marq Occhi Blu, il rinnegato, aveva parlato di Roxarr ed era lì che si stavano dirigendo, quando avevano incontrato la colonna di profughi.
Si trattava di anziani, donne e ragazzi che stavano fuggendo da un massacro. L’armata dell’alleanza aveva attaccato il villaggio, radendolo al suolo.
Vyncent aveva contato almeno trecento persone, ma potevano essercene molte altre che in quel momento si aggiravano nella foresta alla ricerca di una via di fuga.
E insieme a loro c’erano soldati sbandati, mantelli rinnegati e parte dell’esercito dell’alleanza lanciato al loro inseguimento.
Il che rendeva la foresta un luogo affollato e pericoloso. A Desmodes quello non piaceva. Studiandolo, Vyncent aveva capito che lo stregone di Orfar era una persona prudente e metodica, che prima di fare due passi avanti ne faceva uno indietro.
Ronnet invece insisteva per procedere nonostante i pericoli.
“Se ci fermiamo adesso perderemo lo slancio” diceva ogni giorno che passavano lì ad aspettare il ritorno delle pattuglie mandate in avanscoperta. “Se non ci muoviamo Malag troverà il modo di battere l’alleanza e allora diventerà impossibile avvicinarlo.”
Il loro piano era di presentarsi a Malag con la proposta di un’alleanza da parte di Persym. Un’alleanza contro l’esercito di re Andew, colpevole di aver invaso il continente vecchio con la scusa di dover stanare l’arcistregone.
Era quello che Persym aveva raccontato alle forze che gli avevano giurato fedeltà. E sembravano tutti felici di credere a quella bugia. Molte di quelle persone erano ancora fedeli a Malag e vedevano di buon occhio un’alleanza con lui.
Persym però aveva piani diversi.
Se da una parte diceva di volersi alleare con Malag, dall’altra stava pensando a come distruggerlo e prendersene la gloria.
Per questo aveva inviato lui e Ronnet in quella missione suicida e aveva coinvolto anche gli orfariani di Skeli al comando di Desmodes.
Sarebbe toccato a loro farsi accogliere dall’arcistregone e assassinarlo a sangue freddo, come nei romanzi d’avventura.
Solo che lì erano i cattivi a ricorrere all’omicidio dei propri avversari, non il contrario.
Perché noi siamo i buoni, si disse Vyncent. O no?
Aveva il dubbio di aver commesso un grosso errore ad accettare. A tutta prima gli era sembrata una buona idea fare qualcosa di concreto per fermare Malag prima ancora della battaglia finale.
Ucciderlo ora avrebbe significato risparmiare molte vite per la battaglia contro Persym. Perché era inevitabile che l’alleanza prima o poi si scontrasse con la sua orda.
Avevano distrutto Malinor e chissà quante città a sentire ciò che si diceva in giro. Thera e Nazdur erano cadute, rase al suolo dai colossi di Persym e chi non si sottometteva veniva spazzato via.
Quello era peggio della rivolta di Malag e del suo esercito di rinnegati. Se quel gesto disperato poteva servire a eliminare una minaccia per l’alleanza, lui era disposto a sacrificare la vita perché accadesse.
Così avrebbe aiutato anche Bryce, che di quella battaglia sarebbe stata la protagonista.
A mano a mano che si avvicinavano all’orda di Malag aveva sentito aumentare l’inquietudine e il timore di essere arrivati troppo tardi.
E quando avevano scoperto che l’attacco era iniziato, il timore si era concretizzato ed era diventato paura.
Bryce stava marciando alla testa di quell’esercito per affrontare Malag? Era sicuro che la risposta fosse sì, anche se qualche dubbio l’aveva.
Alcuni dei rinnegati che avevano incontrato parlavano di un esercito di Galyon e non di re Andew.
Vyncent era sicuro che né il re di Valonde né Bryce avrebbero mai rinunciato a guidare d persona l’attacco finale contro Malag.
Se non erano al comando, voleva dire che qualcosa aveva impedito loro di essere alla testa dell’armata.
Solo la morte avrebbe potuto impedire a Bryce di marciare, si disse.
Fu Desmodes a decidere per tutti. “Andiamo avanti” disse. “La mia regina me l’ha ordinato.”
Skeli voleva a tutti i costi rafforzare l’alleanza con Persym anche se alleanza era una parola forse esagerata.
Skeli si era difatti sottomessa all’arcistregone nel tentativo di salvare la sua città.
“Finalmente qualcuno che prende una decisione sensata” disse Ronnet soddisfatto. “Il viaggio continua, principe senza corona” disse rivolto a Vyncent. “Non ti senti già più felice a essere qui?”
“Vorresti essere altrove?”
“Perché? Qui c’è la tua principessa dai capelli dorati ad aspettarti. E se lei fosse troppo impegnata a combattere contro Malag, potresti andare alla ricerca della tomba della tua principessa senza poteri.”
Vyncent si sentì fremere di rabbia.
“Forse è seppellita da queste parti, chi può dirlo?”
“Anche io lo trovo insopportabile” disse Desmodes. “Ma ricorda cosa dobbiamo fare.” Si rivolse ai soldati e ai mantelli che li accompagnavano. “Da questo punto in poi ci muoveremo a piedi.”
“Non mi sembra una buona idea” disse Ronnet.
“Il sentiero è accidentato e rischieremmo di spezzare le zampe di quelle bestie” ribatté Desmodes.
“Agli inferi quelle bestie” sbottò il principe di Malinor. “Che si spezzino tutte le ossa. Saremo lenti e indifesi senza cavalli.”
“Non ci serviranno a niente nella boscaglia” disse Vyncent.
Ronnet fece una smorfia di disgusto e gettò a terra la sacca che portava a tracolla. “Se devo camminare, allora qualcuno dovrà portare questa per me.”
Uno dei sodati fece per raccoglierla ma Desmodes lo bloccò. “Devi portarla lui.”
Ronnet gli rivolse un’occhiata ostile.
“Qui dentro ci sono la tua coperta e il cibo. Se le lasci qui dormirai sulla nuda terra e dovrai mangiare bacche e radici” disse l’orfariano.
“Sono io che comando qui” disse Ronnet. “Raccogliete la borsa” ordinò ai soldati.
Nessuno di loro si mosse. Gli sfilarono davanti uno alla volta senza guardarlo.
Vyncent raccolse la borsa e la diede a Ronnet. “Non credo che Desmodes scherzasse. Se non vuoi morire di freddo e fame, ti conviene portarla con te.”
Ronnet mise la borsa a tracolla. “Sei svelto a sottometterti a qualsiasi autorità, principe senza corona.”
“E tu sei lento a capire che qui i titoli non contano.”
Desmodes ordinò a tre soldati di fare la guardia ai cavalli.
“Cercheremo di tornare il prima possibile, ma passati dieci giorni tornate a Orfar e riferite che abbiamo fallito” disse l’orfariano. “Se incontrate soldati dell’orda di Persym non vi fermate. Potrebbero non credervi se direte loro che siete alleati.”
Il silenzio della foresta li avvolse appena si addentrarono lungo il sentiero, una via che passava tra alberi di alto fusto che Vyncent non aveva mai visto. La vegetazione rada di Londolin non gli aveva mai permesso di appezzare i boschi.
A Valonde e mentre era in giro per il continente a combattere contro l’orda di Malag aveva visto foreste e boschi, ma nessuno era paragonabile a quel posto.
Il nord del continente vecchio era davvero selvaggio come tutti dicevano. Tuttavia, aveva sentito dire che oltre le montagne innevate di cui coglieva la sagoma in lontananza, c’era il regno di Nergathel, un luogo ancora più remoto e inaccessibile, coperto di neve per questi tutto l’anno tranne la bella stagione.
Camminarono per mezza giornata prima di trovare un luogo adatto per riposarsi, una radura accogliente dove Desmodes diede ordine di accamparsi e prepararsi per la notte.
I soldati accesero un fuoco per scaldarsi e cuocere la carne che avevano nelle sacche. Vyncent sedette un po’ in disparte, perso nei suoi pensieri, finché Desmodes non sedette accanto a lui.
“È inutile che ti ripeta che cosa devi fare, Vyncent di Londolin” disse con espressione seria. “Servirà tutto il coraggio che hai e forse anche di più.”
“Dubito che questo piano funzionerà.”
“Nessun piano è perfetto” disse Desmodes stringendosi nelle spalle.
“Se non lo sarà, moriremo tutti.”
“Io ho già accettato la possibilità di morire. E tu?”
“Io vorrei vivere ancora per qualche anno.”
Desmodes annuì. “Sei ancora giovane. So che ti dovevi sposare, prima della guerra.”
Stavolta fu Vyncent ad annuire grave.
“Lei era giovane quanto te?”
“Di più” disse ricordando il sorriso sincero di Joyce e il suo atteggiamento a volte serio e a volte petulante, da bambina che faceva i capricci. Era così bisognosa di protezione allora. Protezione che lui non aveva saputo darle. Come avrebbe potuto essere un buon marito? Che cosa gli era venuto in mente di fare? Avrebbe dovuto dirle subito che era una cattiva idea.
“Girano molte storie” disse l’orfariano. “Ma a me sinceramente non interessano. Se riuscirai a mettere fine a questa guerra sarà un bene per tutti.”
“Finita una guerra ne inizia un’altra” disse Vyncent.
Desmodes ridacchiò. “Vero. Ma non è un buon motivo per non cercare di mettervi fine.”
“E se vincessero Malag o l’alleanza? Se Orfar venisse distrutta? Saresti felice lo stesso?”
“Credo che lo sarei di meno. So che Londolin è stata attaccata e distrutta dall’orda, ma tu non hai smesso di cercare un modo di far finire la guerra. È per questo che hai accettato la proposta di Persym, giusto?”
La proposta, pensò Vyncent.
Quel piano gli era sembrato tanto semplice quanto efficace la prima volta che l’arcistregone gliene aveva parlato, poco prima di partire per Orfar.
“È molto semplice” aveva detto Persym ricevendolo nella sua tenda. “Si basa tutto sulla fiducia e la lealtà. Malag non è diverso da ciascuno di noi. È scaltro e abile nel conquistare la fiducia dei rinnegati che lo seguono, ma è altrettanto incline a fidarsi troppo delle persone che lo adorano. Prendi Aschan, che tu hai conosciuto di persona. Voleva creare il suo regno personale sull’altopiano, nonostante Malag le avesse ordinato di condurre la sua orda a nord per dargli una mano.” Aveva sospirato. “Fiducia e lealtà. Sono merce rara di questi tempi, specie in una guerra. Sai come ho conquistato la fiducia e la lealtà della mia orda? Uccidendo tutti i comandanti che non volevano sottomettersi. Solo Gauwalt e un certo Sanzir, un monaco, sono riusciti a sfuggirmi. Devo ringraziare quest’ultimo per i colossi. Fu lui ad avere l’idea di cercare tra le rovine di Krikor l’accesso al luogo in cui erano nascosti. E grazie al principe Roge e al suo dono, li abbiamo trovati e riportati in vita.”
Roge, aveva pensato Vyncent. Quel dannato traditore si è schierato con Persym e Privel? Deve essere proprio impazzito. Bryce ne soffrirà moltissimo venendolo a sapere.
“Fiducia e lealtà” ripeté Persym per la terza volta. “Tu sei uno stregone leale e rispettato, Vyncent di Londolin. Tutti lo sanno, persino Malag. Sei leale alla causa dell’alleanza fin da quando la guerra è iniziata e Malag lo sa. Conosce tutti i suoi nemici, te lo posso garantire. Abbiamo interrogato alcuni comandanti dell’orda prima di giustiziarli e ci hanno raccontato cose interessanti sull’arcistregone. Non rifiuta mai un incontro, nemmeno col suo peggior nemico e di solito ci va da solo o con una scorta ridotta al minimo. Se questo è il suo punto debole, noi lo sfrutteremo a nostro vantaggio.”
Vyncent aveva taciuto in attesa che proseguisse.
“Ti daremo un veleno. Una sostanza abbastanza potente da uccidere centinaia di persone con poche gocce diluite nell’acqua o nel vino. Purtroppo non l’abbiamo qui con noi ma sappiamo chi può procurarcela e come. Saranno ben disposti a fornircela, se noi la chiederemo nel modo giusto.”
“Dovrei avvelenare Malag? È questo il vostro piano? L’arcistregone non si fiderà mai a bere da un bicchiere in cui io ho versato del vino.”
“Non mi ascolti, Vyncent? Malag sarà più che lieto di incontrarti di persona, se tu glielo chiederai. Il resto toccherà a te. Versagli da bere o costringilo con l’inganno a prendere il veleno, non importa. Ti sto offrendo la possibilità di eliminarlo.”
“Non credo di poterci riuscire” aveva ammesso.
“Ma lo farai, vero? Perché anche tu vuoi che la guerra finisca, in qualsiasi modo.”
“Eliminare Malag non distruggerà la sua orda.”
“Ma ne minerà la solidità. Un esercito senza comandante è privo di guida, niente più di un’accozzaglia di rinnegati che combattono per il loro tornaconto. Malag è la loro guida, il dio al quale hanno giurato eterna devozione. I soldati e i mantelli che adesso comando erano al suo servizio e mi hanno raccontato delle storie interessanti sull’arcistregone. Stenteresti a credere quello che ho appreso.”
Il terzo giorno di marcia Desmodes diede l’ordine di accamparsi e chiamò a sé Ronnet. “Non mi fido ad addentrarmi di più in questo territorio. Non con così tanti uomini.”
“Da questo punto in poi lascia fare a me” disse Ronnet. “Persym mi ha rivelato il nome di un possibile alleato nell’orda di Malag. Mi ha detto dove posso trovarlo e le parole giuste da usare per farmi riconoscere. Sarà lui a combinare un incontro con Malag. Gli diremo che il principe senza corona vuole rivelargli qualche segreto importante sull’alleanza e chiede di parlare da solo con l’arcistregone. Dovrebbe essere un’esca abbastanza grossa per lui.”
“Corri un bel rischio” disse Desmodes. “Un solo errore e sarai morto.”
“Sapevo di poter morire quando sono partito” rispose l’altro tronfio. Prese la sacca e se la mise a tracolla. “Se non sarò di ritorno entro due giorni tornate a Orfar.”
Vyncent lo guardò allontanarsi. “Facciamo bene a fidarci di lui?”
“No, ma abbiamo alternative?” rispose Desmodes.
l’intera giornata trascorse senza che il principe di Malinor tornasse e anche il giorno dopo. A sera, davanti al fuoco, Desmodes fissava con espressione accigliata le fiamme. “Se entro domani non torna ce ne andremo” annunciò.
“Sono d’accordo” disse Vyncent. Si rigirò tra le mani la boccetta colma di veleno.
Uccidere qualcuno in quel modo era da vigliacchi, ma Malag aveva attaccato Londolin e distrutto il suo circolo, per poi attaccare anche Valonde. Il giorno del suo matrimonio. E aveva rapito e forse ucciso Joyce, senza contare tutte le sofferenze che aveva fatto patire a tutti con la sua ribellione.
Merita di morire come un infame, si disse. Anche se ciò renderà anche me un infame. Mi ricorderanno come Vyncent l’avvelenatore. O Vyncent il codardo.
Quando il fuoco si spense, andò a raggomitolarsi nella coperta di lana, sicuro che non avrebbe trovato pace nemmeno nel sonno.
Fu la punta di uno stivale contro lo stinco a farlo svegliare di soprassalto. Balzò in piedi per ritrovarsi puntati addossi i dardi magici di uno stregone dall’aria divertita. “In piedi tu.”
Diede una rapida occhiata alla radura, ora invasa da un centinaio di soldati e mantelli che stavano svegliando e costringendo ad alzarsi la scorta di Desmodes.
Il comandante di Orfar si guardava attorno preoccupato. “Sapevano dove trovarci e come sorprenderci. In fondo conoscono questa foresta meglio di noi.”
Ronnet emerse dalla boscaglia in compagnia di un uomo dalla lunga barba grigia e gli occhi cerchiati.
“È lui” disse indicandolo con un sorriso compiaciuto.
L’uomo con la barba fece un cenno a due sodati che marciarono verso Vyncent.
“Ce l’ha nella sacca a tracolla” disse Ronnet.
Vyncent raccolse la borsa e la diede a uno dei soldati e questi la consegnò all’uomo barbuto, che la frugò fino a tirare fuori la boccetta di veleno.
“È questa?” chiese reggendola con l’incide e il pollice.
Ronnet annuì. “Voleva avvelenare Malag, il vostro comandante.”
L’uomo barbuto fissò Vyncent con severità. “È vero? Sei venuto fin qui per questo?”
Vyncent non rispose e si limitò a fissare Ronnet, che rispose con un mezzo sorriso.
L’uomo barbuto sospirò. “Verrete tutti con noi.” Indicò Vyncent. “Tu in catene.”
 
***
 
Roge sobbalzò udendo i passi avvicinarsi. Si trascinò sul pavimento fino a raggiungere la pesante porta di ferro della cella e sbirciò fuori, nell’oscurità. I soldati e i mantelli di guardia erano spariti e al loro posto c’erano solo due figure.
“Guardia del corpo” sussurrò. “Sei proprio tu?”
Il viso di Oren gli apparve come quello di un fantasma. Accanto a lui vi era quello dagli occhi sottili di Shani. Entrami sembravano preoccupati.
“Come stai?” gli domandò avvicinandosi alle sbarre.
Roge si ritrasse un po’. “Bene, ma dove sono le guardie? Ero sicuro che fossero qui quando mi sono addormentato.”
“Sono uscite. Bryce li ha convinti, con l’aiuto di Elvana.”
Roge si accigliò. “Come?”
“A te e Shani serviva stare soli per un po’” disse sorridendo.
Roge guardò la ragazza. “Hanno creduto a una simile sciocchezza?”
Shani annuì. “Anche e me sembrava impossibile che ci credessero. In effetti mi sento un po’ offesa che abbiano potuto pensare che tu e io…”
“Tutto questo per vedermi?” chiese Roge stupito. “Ci saremmo comunque incontrati domani al processo.”
Erix glielo aveva annunciato quella mattina assieme ai nomi dei giudici. Oltre a lei, vi erano anche Gladia e suo padre. Già quello bastava a condannarlo. Nessuno sano di mente si sarebbe messo contro il suo volere. Forse l’inquisitrice aveva l’autorità e il carattere per contrastarlo, ma Erix e gli altri avrebbero votato come il loro re.
“Non siamo qui per una visita di cortesia” disse Oren esaminando la serratura della cella. “Ma per farti uscire. Shani? Puoi usare il tuo Kah per aprirla?”
Shani si avvicinò al pesante lucchetto di ferro e cominciò a esaminarlo. “Ci metterò qualche minuto. E mi serve concentrazione.”
“Aspetta” disse Roge. “Volete davvero farmi uscire di qui? Capiranno che siete stati voi ad aiutarmi.”
“Diremo che la serratura ha ceduto all’improvviso e che ci hai colti di sorpresa” disse Oren. “Poco fuori dal campo, un paio di miglia verso oriente, ci sono dei cavalli freschi e provviste per dieci giorni. Puoi raggiungere un villaggio e da lì proseguire verso Odasunde. Con un po’ di fortuna potresti imbarcarti su di una nave e andare dove ti pare. Magari anche Valonde. Quando la guerra sarà finita Re Andew potrebbe persino perdonarti.”
Roge ghignò. “Il tuo è un bel sogno, guardia del corpo, ma non succederà nessuna di queste cose.”
“Non andrai a Odasunde? A sud c’è l’orda di Persym che avanza e…”
“Sto dicendo che non andrò da nessuna parte. E Shani non deve toccare quella serratura o sarete voi a essere processati dopo che io sarò morto o in viaggio verso Krikor. Di nuovo.”
Oren lo fissò stupito. “Se resti lì dentro domani ti condanneranno. Bryce dice che non hai una sola possibilità di cavartela.”
“Lo so” disse Roge. “Non posso essere salvato. Non più. Ma non è una buona ragione per coinvolgere anche voi in tutto questo. È solo colpa mia se subirò una punizione. Voi non c’entrate niente.”
Oren assunse un’aria dispiaciuta. “Abbiamo combattuto insieme” disse. “E anche se ci hai rapiti e usati come esche, lo hai fatto per far finire la guerra. Non dimentico ciò che hai fatto a me e a Joyce, ma sei stato leale quando abbiamo affrontato quel negromante. E lo sei stato anche quando mi hai aiutato con Shani che stava male.”
Roge abbozzò un timido sorriso. “Anche tu sei una brava persona. Mia sorella era in buone mani, dopotutto. Ma non voglio che rischi oltre per me. Non lo merito. Se devo essere punito, allora meglio che nessun altro soffra.”
“Volete stare zitti per qualche secondo? Non riesco a trovare il punto di rottura di questa serratura.”
“Lascia perdere” disse Oren.
Shani lo guardò stupita. “Dopo tutta la fatica fatta?”
Oren annuì. “Andiamo via.” Guardò Roge. “Se ci chiameranno a testimoniare, diremo che a Nergathel ti sei comportato con onore.”
Roge ghignò. “Ho cercato di fuggire. Due volte.”
Oren gli sorrise di rimando. “Tre volte, in verità. Non ci hai seguiti nell’ultimo portale.”
“L’ho fatto” disse Roge. “Ma ero stanco o distratto e sono finito proprio vicino a una pattuglia dell’alleanza. Forse me la merito proprio una punizione.”
Oren e Shani andarono via e poco dopo le guardie tornarono. La prima andò vicino alle sbarre ed esaminò la serratura, per poi tornarsene al suo posto.
Roge riprese a dormire e il giorno dopo, appena sorto il sole, vennero a prelevarlo per condurlo al luogo del processo.
Non era una tenda ma uno spiazzo dove era stata costruita una pedana in legno sulla quale erano saliti i cinque giudici. Suo padre aveva preso posizione in mezzo, con Erix alla sua destra e Gladia alla sua sinistra. Ai due estremi c’erano due stregoni dall’aria severa che conosceva bene. Uno era Gos Bryel, che era stato allievo di Khone in persona e aveva fama di essere un abile evocatore. L’altro era Alas Ravalet, la sua vecchia guida ai tempi della consacrazione.
Roge li salutò uno alla volta con un cenno della testa senza ricevere alcuna risposta se non sguardi severi. Dalla posizione in cui si trovava doveva alzare la testa per guardarli bene mentre loro dovevano abbassare gli occhi come si faceva con un cane.
O un verme, pensò. Perché è così che mi considerano. Uno schifoso verme che è strisciato fuori dalla sua tana e ha osato sporcare il loro giardino.
Attorno alla pedana, a una distanza di venti o trenta passi, c’era un folto pubblico che era venuto per osservare il processo.
Roge non riusciva a biasimarli. Non era consueto vedere un principe venire accusato e giudicato per un crimine così grave.
Tra il pubblico notò Oren, Shani, Bryce, Elvana e persino la sua allieva, l’inquietante nipote di Gladia di cui ignorava il nome anche se sua sorella gliel’aveva ripetuto due o tre volte.
Erix e suo padre si scambiarono due frasi sottovoce prima che il re annunciasse: “Il processo ha inizio ora.”
Erix fece un passo verso il bordo della pedana. “Roge di Valonde, sei accusato di tradimento, diserzione e stregoneria proibita. Ognuna di queste accuse, da sola, potrebbe comportare il tuo esilio a Krikor o la morte se si dimostrasse vera. Hai tradito il tuo regno, il re e il circolo procurando al nostro nemico i Colossi. Hai ignorato gli ordini e hai disertato andando a Vanoria, dove, in combutta con altri traditori, hai ordito piani contro il tuo circolo, il tuo regno e il tuo re. Hai attentato alla vita di un membro della famiglia reale rapendo la principessa Joyce, il tuo stesso sangue, per usarla come esca. Infine hai usato più volte l’incantesimo per richiamare un portale, macchiandoti di stregoneria proibita. Se…”
Roge si schiarì la voce. “Non è del tutto esatto.”
Erix si bloccò a metà della frase. “Parlerai dopo, quando ti verrà chiesto.”
“Volevo solo dire che l’accusa è incompleta.”
“Ci sono altre infamie che hai commesso e vuoi confessare?”
“Una” disse Roge cercando di assumere un’aria spavalda.
“Parla” gli intimò Erix.
“Non ho rapito solo mia sorella Joyce, ma anche Oren di Pelyon.” Si voltò verso la guardia del corpo. “Ho detto bene il nome, stavolta?”
Oren nascose il viso tra le mani.
Erix gli rivolse un’occhiata severa. “Sappiamo bene che cosa hai fatto a Valonde quel giorno” disse. “Ma davanti alla gravità dei crimini che hai commesso, il rapimento di Oren non…”
“Non è altrettanto grave?” chiese Roge. “La vita di Oren di Pelyon vale meno di quella di Joyce o di qualsiasi altro stregone o soldato qui presente?”
Erix esitò. “Non volevo dire questo. La vita di ogni suddito di Valonde e dei suoi alleati ha valore. Ma la principessa…”
“Vale molto di più” disse Roge.
Erix lo guardò interdetta.
Re Andew le sussurrò qualcosa all’orecchio e lei annuì.
“Sei accusato anche del rapimento di Oren di Pelyon, che in quel momento era la fidata guardia del corpo della principessa Joyce, il sangue del tuo sangue.”
Roge annuì soddisfatto.
“Neghi che queste accuse siano vere, Roge di Valonde?” chiese la strega.
“È tutto esatto” rispose.
Erix annuì e fece un passo indietro.
Gladia prese il suo posto. “Come inquisitrice, spetterebbe a me giudicarti, ma siamo in tempo di guerra e il comandante dell’alleanza ha preteso l’ingrato compito di essere giudice in questo processo che vede imputato suo figlio. Spero che tu ti renda conto della gravità delle accuse, Roge di Valonde. Come detto da Erix, ognuna di esse, se dimostrata vera, basterebbe a condannarti a…”
“Sono vere” disse Roge. “Ognuna di esse.”
Gladia non mutò espressione. “Intendi confessare, dunque?”
“Credo di sì” disse Roge. “Perché dovrei negare quello che è vero? Ho rapito mia sorella per usarla come esca e attirare in trappola Malag, ma ho fallito miseramente. L’arcistregone mi ha inviato a Krikor, promettendomi la libertà se avessi fatto per lui un certo lavoro. Mi chiese di trovare una persona che era stata inviata lì proprio da mia sorella Bryce, un monaco cieco di nome Sanzir. Ma questi aveva già formato un’alleanza con Persym e Privel, anche loro ospiti di Krikor grazie a mio padre e a te, inquisitrice. Con uno stregone di nome Malbeth trovai i colossi oltre un portale e lui li risvegliò, ma riuscimmo a fuggire, ritrovandoci ad Azgamoor, dove il priore del culto dell’Unico ci chiese di indagare su quei mostri. Così andai a Nergathel, dove sono stato inseguito dai rianimati e per poco non sono diventato come loro, ma per fortuna Oren e la sua amica delle isole orientali mi salvarono e con loro sono tornato a sud, non certo per unirmi all’alleanza, lo ammetto, perché sapevo che non sarei mai stato perdonato da mio padre. E tutto questo” fece una pausa per raccogliere i pensieri. “Tutto questo è iniziato perché volevo fare la mia parte in questa guerra. Volevo essere utile invece di un peso, uno scarto da lasciare indietro a Valonde.”
“Sappiamo già quello che hai fatto, Roge di Valonde” disse Gladia impassibile. “Ma il motivo per cui hai tradito e disertato non giustifica la tua condotta. Se così fosse, qualsiasi azione, anche la più infame, con la scusa di venire compiuta per un bene superiore, sarebbe lecita. Ci siamo dati delle leggi proprio per non essere costretti a vivere in un mondo dove qualsiasi arbitrio è lecito se si ha una motivazione giusta e forte.”
Roge fece per dire qualcosa, ma si fermò quando vide sua sorella uscire dal gruppo degli spettatori e avanzare verso di lui.
Bryce si fermò al suo fianco. “Chiedo di essere ascoltata.”
Gladia guardò re Andew che le fece un cenno con la testa.
“Vuoi parlare come testimone o come accusatrice?” le chiese l’inquisitrice.
“Come imputata” rispose Bryce.
Dalla folla si levò un brusio sommesso.
“Non sei tu sotto processo” disse Erix.
Roge ebbe l’impressione che stesse per aggiungere “anche se dovresti.”
“Forse l’avrei meritato anche io” disse Bryce. “Così mi sarei potuta difendere dalle accuse che mi sono state rivolte.”
“Nessuno ti sta accusando” disse Gladia.
“Chiedo lo stesso di essere giudicata per i miei crimini.”
Roge si voltò verso la sorella. “Basta. Non spingerti oltre.”
Bryce gli fece un cenno con la mano.
Gladia sospirò. “I tuoi crimini, Bryce di Valonde?”
“Tradimento e diserzione” disse lei.
Il brusio della folla crebbe.
Re Andew fissò la figlia con sguardo severo. “Lasciala parlare, Gladia. Che confessi, se ha qualcosa da dire.”
“Puoi parlare” disse l’inquisitrice, ma Roge era certo che sua sorella l’avrebbe fatto lo stesso, con o senza il permesso di Gladia.
“Sono colpevole di tradimento” disse Bryce. “Per aver combattuto sotto una bandiera diversa dalla mia. Ho guidato le armate di Orfar e dei suoi alleati contro Aschan, una comandante dell’orda di Malag. E ho guidato l’armata di re Alion e dei suoi alleati fin qui, presentandomi alle porte di questo campo alla testa di un esercito straniero. Questo fa di me una traditrice e una rinnegata secondo tutte le leggi.” Fece una pausa. “Sono colpevole di diserzione. Per tre volte ho abbandonato il circolo e l’armata per cui combattevo, per inseguire il mio desiderio di vendetta e di gloria. La prima volta a Valonde, il giorno del matrimonio di mia sorella e Vyncent, quando volevo partire per il continente vecchio e uccidere Malag, da sola. La seconda volta poco dopo l’attacco che avevamo subito. E la terza quando ho abbandonato tutti voi per tornare a Malinor e cercare di salvare” Si interruppe. “Per il mio interesse personale. Ricordo ancora il giuramento che feci ormai lune fa. Proteggere i miei confratelli. Rispettare le regole del circolo. Non usare i poteri per i miei scopi o l’arricchimento personale. Credo di aver violato ogni singolo giuramento che feci quel giorno e per questo motivo merito di essere processata e giudicata da voi giudici.”
Gladia la fissò per qualche istante, poi disse: “E noi ti accontenteremo, se è questo che desideri, Bryce di Valonde. Verrai giudicata da questa corte.” Guardò re Andew che fece un cenno di assenso. “Avete altro da aggiungere alle vostre confessioni?”
Roge rimase in silenzio e così sua sorella.
“Direi che possiamo anche riunirci per deliberare” disse Gladia. “A meno che i giudici non vogliano fare delle domande agli imputati.”
“Io voglio fare una domanda” disse re Andew. Fece un passo avanti e senza distogliere lo sguardo dalla figlia disse: “Hai idea del danno che hai causato a tutti noi? All’alleanza? Neanche Malag era riuscito a spezzarci e dividerci come hai fatto tu.”
“Posso solo implorare il perdono per ciò che ho fatto” disse Bryce.
“Non devi chiedere perdono a me” gridò re Andew. “Ma a quei soldati e quei mantelli che sono venuti fin qui credendo che tu li avresti guidati. Tu, la strega suprema, la più forte della sua generazione.” Scosse la testa. “La più grande delusione.”
“Non ho chiesto io di guidarli in battaglia” disse Bryce. “E non voglio che mi seguano. Hanno già dei comandanti validi come te, Erix e gli altri. Non hanno bisogno anche di me.”
“Quindi cosa vorresti fare? Fuggire via coma fai sempre e andare a nasconderti? È questo quello che speri di ottenere accusandoti?” fece suo padre con voce rotta dall’emozione. “Speri in un comodo esilio a Krikor o una morte veloce, in modo da sottrarti ai tuoi doveri?”
“Io non ho chiesto…”
“Nemmeno io desideravo essere re” gridò re Andew. “E Gladia non voleva essere una inquisitrice. Erix, la tua guida, voleva essere un’artista. Gos avrebbe potuto essere un erudito di prim’ordine e Ravalet un capitano di vascelli. E se chiedi a quel soldato o a quella strega tra il pubblico, ti diranno che avrebbero voluto essere altrove, magari a coltivare i loro campi o a crescere i loro figli, piuttosto che essere qui. Eppure nessuno di loro è fuggito via al primo dubbio. Nessuno ha abbandonato i suoi compagni per inseguire il suo amore di una vita, lasciandosi tutto dietro, compreso l’onore e il rispetto.”
Bryce fissò in silenzio il padre che le puntava contro l’indice. Quando il re fece un passo indietro, Roge si sporse verso la sorella. “È solo una mia impressione o è più arrabbiato di prima?”
“Almeno adesso è arrabbiato più con me che con te” rispose lei.
Roge non riuscì a trattenere un mezzo sorriso. “Tu sei sempre stata la sua preferita. Non negarlo.”
“La sua preferita era Joyce” disse Bryce.
“Sappiamo abbastanza per pronunciare una sentenza” annunciò Erix.
I giudici scesero dal palco e si diressero verso la tenda del re. Roge venne scortato alla sua cella dai soldati. Sedette nell’angolo più lontano, la schiena appoggiata al muro.
Nessuno venne a trovarlo per quel giorno né ricevette notizie sulla sentenza. La notte trascorse senza che nulla accadesse e il giorno dopo gli venne portato il pasto alla solita ora.
“Hanno deciso qualcosa?” domandò al soldato che aveva appoggiato la scodella piena di verdura e zuppa.
Il soldato scosse la testa. “Non posso parlare con te. Ordini della comandante Erix.”
Roge consumò il pasto controvoglia e tornò a sedere nel suo angolo, aspettando.
Dovette trascorrere un’altra notte prima che accadesse qualcosa.
Quattro mantelli e otto soldati lo prelevarono dalla cella portandolo fuori. Il sole era appena sorto dipingendo di arancione il cielo a occidente.
Era pronto a ricevere la condanna che meritava, ma sentiva lo stesso una sensazione di disagio al ventre mentre lo scortavano in silenzio.
Arrivati a un recinto capì che non erano diretti alla tenda del re o allo spiazzo con la pedana. Lo fecero montare in sella e partirono al galoppo lasciandosi dietro il campo.
Viaggiarono per tutto il giorno, fermandosi solo per far riposare i cavalli un paio di volte. All’alba del giorno successivo il comandante della scorta, una strega dai capelli biondo cenere tagliati corti, diede l’ordine di fermarsi.
“Il tuo viaggio termina qui” gli disse.
Roge smontò dalla sella e fece qualche passo lontano dalla sua cavalcatura. Erano nel mezzo di una vallata che divideva due colline. Un fiume scorreva verso sud, circondato da una rada boscaglia.
Almeno morirò in un bel poto, si disse.
Non aveva alcun dubbio che quello sarebbe stato il luogo in cui lo avrebbero giustiziato. Gli dispiaceva solo per il modo. Senza una sentenza, né un ultimo discorso da parte di suo padre cui avrebbe potuto replicare con parole veementi che lo avrebbero reso almeno orgoglioso.
Invece mi uccideranno come un infame, si disse. Un verme che striscia nel fango.
La comandante prese una sacca e gliela mostrò. “Qui dentro ci sono provviste per sei giorni di viaggio.” Prese un otre pieno d’acqua. “E qui hai da bere per altrettanti giorni.”
Mise le mani nella sacca e ne trasse tre pezzi di pane e due di carne secca. “Questi non ti serviranno.” Quindi versò a terra metà dell’otre. “E dell’acqua puoi fare a meno. Fiumi e torrenti abbondano in questa regione.”
Lanciò la sacca e l’otre ai suoi piedi.
“Se tornerai al campo verrai ucciso a vista” disse la comandante. “Hai capito, rinnegato?”
Roge prese la sacca e l’otre. “Come ti chiami?”
“I nomi non hanno importanza per te, rinnegato. E ora sparisci.”
“Mia sorella? Anche lei verrà esiliata?”
La comandante fece un cenno ai soldati e questi tirarono le redini ai cavalli e cavalcarono via portandosi dietro anche la cavalcatura di Roge.
Poco male, si disse. Avevo voglia di fare due passi a piedi.
Rimase a fissare i cavalieri che si allontanavano, poi si avviò nella direzione opposta.

Note
Capitolo veramente lungo, ma necessario per fare un po' il recap della situazione e introdurre ciò che accadrà tra poco.
Prossimo Capitolo Domenica 19 Aprile
  
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