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Autore: Marco1989    24/05/2020    2 recensioni
Da un momento all'altro, la tua vita cambia all'improvviso: un istante, uno schianto, e ti trovi in un mondo che hai soltanto sognato. Ti trovi di nuovo ragazzo, e coinvolto in una avventura che mai avresti sognato di vivere. Matteo Simoncini si troverà improvvisamente catapultato ad Hogwarts, e dovrà decidere cosa fare in quel nuovo mondo, mentre una oscura minaccia si avvicina, e lui potrebbe essere il solo ad avere il potere per fermarla.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A strange, new world'
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Salve a tutti!

Come vedete, nonostante il mostruoso ritardo, non sono scomparso. Sfortunatamente, il mio computer ha deciso di tirare le cuoia proprio in questi giorni, e non ho avuto modo di pubblicare più nulla. In ogni caso, non ho smesso di scrivere, e spero da ora di riuscire a recuperare un po' di costanza, se la tecnologia smetterà di essermi ostile.

Vorrei ringraziare chi mi ha fino ad ora commentato, chiedendo se possibile anche agli altri di dedicare un paio di minuti a farmi sapere la vostra opinione su ciò che ho scritto.

Detto questo, vi auguro una buona lettura del sesto capitolo!

AVVISO: in questo capitolo ci sarà un po' di turpiloquio; se questo vi da fastidio, non continuate a leggere.

  

CAPITOLO SEI

 

Inevitabilmente, nessuno di noi dormì un minuto in quella nottata: tutti restammo in Sala Comune, mentre il castello veniva perquisito. Un'azione inutile, visto che alle prime luci dell'alba la McGrannitt tornò da noi a dirci che Black era nuovamente riuscito a scappare. Intanto, le ipotesi sul modo nel quale fosse entrato nel castello si erano sprecate, mentre Ron era improvvisamente diventato una celebrità, con tutta la Casa impegnata a chiedergli cosa fosse accaduto durante la notte. Nel trambusto, molti si scordarono, almeno inizialmente, di me, anche se Mary e Ginny vennero a chiedermi come stavo, ed entrambe mi dissero che ero stato molto coraggioso ad affrontare Black. Avevo qualche dubbio sulla quantità di coraggio richiesta per affrontare un uomo armato di coltello avendo una bacchetta magica, continuava a risuonarmi in testa la vecchia frase del film "Per un pugno di dollari" su pistole e fucili, però mi tenni il complimento con un sorriso.

"Chissà perché è scappato..." chiese ad un certo punto Dean attirando la mia attenzione e quella della dozzina di persone che ci circondavano.

"Voglio dire... - continuò - Dopo che Ron ha urlato, perché se l'è data a gambe? Avrebbe potuto metterlo a tacere e continuare a cercare Harry, se è davvero lui che vuole...".

Ormai non era più un segreto che il nostro compagno di stanza era in cima alla lista nera del killer. Il diretto interessato scosse la testa: "Forse sapeva che sarebbe stato difficile uscire dal castello una volta che l'allarme era stato dato. Avrebbe dovuto uccidere tutta la Casa per riuscire a raggiungere il buco nel ritratto, per poi trovarsi davanti gli insegnanti. Oltretutto, Josh era sveglio, ed aveva la bacchetta in mano, mentre lui aveva solo un coltello. A quel punto, fuggire era la sola opzione, avrebbe rischiato di farsi catturare".

Erano discorsi che avevano senso, in realtà, ma non quanto sembrava al primo ascolto. Mentre la discussione continuava, io rimasi seduto su una poltrona vicino al fuoco, sorseggiando una Burrobirra avanzata dalla festa del giorno prima. Era un po' svampita, ma me ne accorsi a stento, avevo la mente impegnata da una tale quantità di pensieri che avrei potuto bere del sapone senza rendermene conto.

La risposta di Harry non era stupida, tutt'altro. Il problema, secondo me, era nella domanda. Era quella sbagliata. Il problema non era perché Black era scappato, ma perché si era messo nella condizione di dover scappare. Perché si era messo a studiare con attenzione i vari letti? Black era un assassino plurimo, e in quella stanza c'erano sei ragazzini disarmati ed addormentati. Perché si era messo a cercare Harry con tanta attenzione? Dodici anni prima non si era preoccupato del concetto di 'danni collaterali' quando aveva fatto saltare in aria un'intera strada per eliminare Peter Minus. Avrebbe potuto tagliare la gola a tutto il dormitorio, avendo così la certezza di aver ucciso anche Harry. Perché si era fatto tanti problemi? E poi: in quella stanza c'erano sei bacchette magiche, probabilmente tutte lasciate senza troppa attenzione sopra i comodini. Perché non ne aveva semplicemente presa una e fatto saltare in aria l'intero dormitorio? Avrebbe risolto tutto in pochi secondi, creando anche un ottimo diversivo per la fuga. Non aveva molto senso, anzi, non ne aveva quasi per niente.

Per me che avevo visto in diretta l'atteggiamento di Black, però, c'era qualcosa di ancora meno sensato. Presumibilmente, il suo bersaglio era Harry, e nessuno con una vista appena superiore a quella di una talpa avrebbe mai potuto scambiare un Weasley per un Potter. Appena data un'occhiata al letto di Ron, perciò, anche se per qualche misteriosa ragione Black avesse deciso di lasciarlo in vita, sarebbe dovuto passare oltre e controllare gli altri letti. Invece, quando mi ero svegliato, era intento ad analizzarlo con estrema attenzione, e ci era rimasto per quasi un minuto prima che lui si svegliasse. Più che qualcuno, mi aveva dato la sensazione di stare cercando qualcosa. Ma cosa Merlino poteva volere uno come Black da Ron?

Questa volta, più che una semplice scossa, quello che attraversò la mia testa fu una vera e propria folgorazione, impossibile da ignorare o mettere da parte: il topo! Era quello che stava cercando!

Era un'assurdità, lo sapevo fin troppo bene: perché un assassino evaso dal carcere avrebbe dovuto intrufolarsi ad Hogwarts per cercare un vecchio animale da compagnia spelacchiato? Eppure ne ero assurdamente sicuro, o per meglio dire, lo era il mio "Senso di Ragno": Black non voleva Harry, stava cercando Crosta. Era la sola spiegazione per tutto quel tempo perso ad analizzare il mio compagno di stanza: stava cercando di capire se stesse dormendo nel suo letto. Non dissi nulla a nessuno, naturalmente, mi avrebbero preso per pazzo, perché come al solito il mio strano potere mi permetteva di vedere il 'cosa', ma non il 'perché'; mi dava un elemento, non l'intero schema. Eppure questa volta non avevo il minimo dubbio che fosse la verità: Black voleva il topo di Ron.

 

 

Nei giorni successivi la sorveglianza venne incrementata a livelli mai visti prima ad Hogwarts, in particolare perché nessuno era riuscito a comprendere in che modo Black fosse riuscito ad entrare nella scuola, ma nessuno riuscì a venire a capo della questione. Il povero Neville, intanto, era letteralmente caduto in disgrazia: la McGrannitt gli aveva proibito qualsiasi futura gita ad Hogsmeade, ed aveva proibito a tutti di rivelargli la parola d'ordine per entrare nella Sala Comune, al punto che doveva aspettare che qualcuno lo facesse passare. Mi faceva una gran pena, al punto che in quei giorni cercai, per quanto possibile, di stargli vicino, non lasciandolo ad aspettare davanti all'appena restaurata Signora Grassa.

Il giorno dopo l'incursione di Black, Silente mi convocò nel suo ufficio per chiedermi la mia versione dell'accaduto. Come molte altre cose, l'ufficio del Preside, situato in cima ad una lunga scala a chiocciola, si rivelò molto simile a come me lo ero sempre immaginato: una grande stanza di pietra, con le pareti occupate da librerie e da scaffali stracarichi di oggetti, molti dei quali sembravano di cristallo, con un immenso camino su uno dei lati. Sopra ai mobili, svettavano decine di ritratti di maghi e streghe: i vecchi presidi della scuola. Silente mi attendeva seduto dietro la sua scrivania, osservandomi con i penetranti occhi azzurri da sopra gli occhiali a mezzaluna. Non riuscii a reprimere un piccolo brivido: per quanto apparisse incredibilmente anziano, non avevo mai avvertito una simile forza provenire da una persona. Accanto alla scrivania, appollaiata sul suo trespolo, la splendida fenice Fanny mi osservava, vagamente incuriosita.

"Benvenuto, Joshua - mi disse il Preside con un sorriso, indicandomi una poltrona di chintz dall'aria comoda di fronte a lui - Prego, accomodati. Vuoi una caramella? - mi chiese, aprendo un barattolo pieno di fritzlemon.

"Grazie, Signore, molto volentieri" risposi, sedendomi e prendendo un dolcetto. Dovetti faticare per reprimere un ghigno: la fissazione di Silente per i dolcetti, e in particolare per quel tipo di caramelle al limone, era sempre stata una delle cose che mi avevano divertito di più nei libri. Personalmente, non avevo mai assaggiato le fritzlemon, ma le trovai molto gustose.

La mia faccia doveva essere particolarmente eloquente, perché Silente si mise a ridere: "Sono felice che ti piacciano. In tanti anni di carriera sono state pochissime le persone che hanno accettato quando ho offerto loro queste caramelle, e non sono mai riuscito a spiegarmi la ragione!".

Non riuscii a trattenere una piccola risata: un indefinibile punto oscillante tra 'matto' e 'geniale' era la descrizione perfetta per Silente!

Improvvisamente la serietà tornò sul suo volto, con una velocità che mi colse di sorpresa: "Sarebbe bello se potessimo spendere un po' di tempo a parlare di dolciumi, ma, ahimè, temo che questioni più urgenti richiedano la mia attenzione, e in questo ho bisogno della tua assistenza, Joshua: ti chiedo, per favore, di raccontarmi tutto quello che è successo ieri notte, senza omettere alcun particolare".

Fu esattamente quello che feci: gli riferii ogni cosa, da quando avevo aperto gli occhi a quando la McGrannitt era piombata nel Dormitorio trovandosi puntate contro le bacchette di mezza Casa. L'ultimo fatto portò nuovamente un sorriso sul volto del Preside: "Per fortuna avete deciso di dare una seconda occhiata prima di lanciare incantesimi, altrimenti in questo momento starei vegliando la Professoressa in infermeria - poi aggiunse con maggiore serietà: "Invero, devo farti i miei complimenti, Joshua: hai alzato la tua bacchetta contro un mago adulto, per di più estremamente pericoloso, per difendere i tuoi amici - mi fissò con i suoi occhi penetranti - Non sono molti i tredicenni che avrebbero scelto di sfidare Sirius Black, anche se armato solo di un pugnale".

Non riuscii ad evitare di sentirmi a disagio: Silente era una delle persone più piacevoli che avessi mai conosciuto, ma il suo sguardo sembrava scavarmi nell'anima. Mi dava la sensazione di sapere più di quanto desse a vedere. Probabilmente in quel momento era solo paranoia: Silente non poteva aver capito in quale assurdo pasticcio mi trovavo, non poteva sapere che dietro il giovane Joshua Carter c’era ben più di quello che lui o chiunque altro potesse pensare. Certamente, però, si era mentalmente annotato il mio comportamento nel confronto con Black, certo non tipico di un tredicenne.

“C’è altro che vorresti dirmi, Joshua?” aggiunse il Preside, intrecciando le dita davanti al volto.

Ebbi un piccolo sussulto: era praticamente la stessa frase che aveva detto a Harry nel secondo libro… merda, al secondo anno! Era assurdo che continuassi a pensare in termini di libri quando stavo vivendo di persona quella folle avventura! Per un istante fui veramente tentato di rivelargli quello che pensavo davvero, che Sirius Black stesse dando la caccia al topo Crosta, ma mi bloccai all’ultimo istante: dire che non avevo prove era riduttivo, non avevo nemmeno uno straccio di indizio per sostenere la mia teoria. Per dire al Preside del topo avrei dovuto parlare del mio ‘Senso di Ragno’, e per rivelare quello avrei dovuto raccontare le mie folli origini. ‘Davvero molto interessante la tua teoria, Joshua. Come sei giunto a questa conclusione?’. ‘Beh, vede, Preside, la verità è che io arrivo da un altro mondo dove lei, Harry Potter e tutti gli altri non siete altro che personaggi di una saga letteraria che io ho letto una mezza dozzina di volte, ma poiché nel viaggio ho perso quasi completamente la memoria, mi devo accontentare di piccoli flash del futuro, che ho battezzato Senso di Ragno prendendo il nome da un fumetto!’. Un’ottima premessa per essere preso sul serio! No, non potevo dire tutto. Ma potevo provare a mettere Silente sulla strada giusta.

“Non esattamente qualcosa da dire, Preside, però… ho notato qualcosa di strano nel comportamento di Black. Voglio dire… quando è stato arrestato ha dimostrato di non farsi nessun problema ad uccidere persone che non c’entravano nulla. Per quello che ne sapeva lui, aveva davanti sei studenti addormentati e disarmati.Nel dormitorio ormai sappiamo tutti che sta dando la caccia a Harry, ma avrebbe potuto facilmente tagliare la gola a tutti, e sarebbe stato certo di avere ucciso anche lui. Perché invece ha perso tanto tempo per cercarlo? Perché si è fatto tanti scrupoli ad ammazzarci?”.

“Già, perché?” chiese Silente, apparentemente più a se stesso che a me, continuando a fissare davanti a se. Sembrava completamente perso nei suoi pensieri, mi sembrava improbabile addirittura che in quel momento mi stesse vedendo.

“Non è tutto, Signore – continuai – Ho notato qualcosa mentre cercavo di afferrare la mia bacchetta. Black stava controllando Ron Weasley, ma nessuno potrebbe mai scambiarlo per Harry. Eppure, tra il mio risveglio e l’urlo di Ron, è passato almeno un minuto. Non è possibile che gli sia servito tanto tempo per capire che non era il suo bersaglio. Io… è solo una sensazione ma… credo che più che qualcuno stesse cercando qualcosa”.

Silente non rispose subito: rimase in silenzio, osservando il vuoto davanti a se, poi mi disse: “Ragioni in modo analitico, Joshua, e in maniera sorprendentemente matura per la tua età. Ti prometto che dedicherò tutta la mia attenzione a ciò che mi hai appena detto. Non voglio però rubarti tutta la domenica. Buona giornata, Joshua”.

Compresi che il colloquio era finito e mi alzai: “Buona giornata, Professore”.

 

 

Il pensiero di Crosta non volle saperne di uscire dalla mia testa nei giorni successivi all’attacco di Black. Ci pensavo a lezione, ci pensavo nei corridoi, ci riflettevo ai pasti e perfino in bagno. Il topo era l’ultima immagine che vedevo prima di andare a letto e la prima cosa che mi saltava in mente non appena mi svegliavo. Era un’idea che non aveva alcun senso logico, lo sapevo bene: che diavolo poteva volere uno come Black da un vecchio animale domestico? Cosa aveva di particolare Crosta? E poi: era veramente morto? Era sparito sul serio trai succhi gastrici di Grattastinchi?

‘Quand’è che un topo non è un topo?’ continuavo a chiedermi ad ogni ora. Sapevo che mi stava sfuggendo qualcosa di fondamentale. Mi sarei spremuto il cervello, se fosse stato possibile, ma per quanto pensassi non c’era verso di farmi tornare in mente qualcosa in più su quella situazione. Era molto deprimente: sapevo che l’informazione che stavo cercando con tanta disperazione era lì, dietro la barriera costruita nella mia mente, ma non c’era modo di raggiungerla.

Ero talmente pensieroso che finii per allontanarmi dagli altri: passavo gran parte del tempo isolato, mangiavo da solo e sedevo in Sala Comune nella poltrona più lontana dal centro, sempre riflettendo a vuoto sul problema. Dean si era convinto che soffrissi di una sorta di stress post traumatico, mentre Ginny era arrivata a minacciarmi di affatturarmi se non avessi ricominciato a comportarmi come prima. Mary, dal canto suo, sembrava molto dispiaciuta del fatto che mi stessi chiudendo sempre più in me stesso. Trovavo veramente brutto ferirla, avevo iniziato a volere molto bene alla dolce ragazzina, ma non riuscivo a fare altrimenti.

Perfino mentre camminavo procedevo praticamente in automatico, e per questo motivo, la domenica successiva, mentre percorrevo un corridoio del secondo piano, non mi resi conto di chi avevo davanti finché non sentii una voce sgradevole apostrofarmi: “Ma guarda! Sei ancora in questa scuola, Yankee?”.

Oh, fantastico! Ci mancava solo lui! Era come avere un prurito impossibile da grattare!

Mi voltai: appoggiato al muro, Nott mi fissava con un ghigno da iena ridens. Insieme a lui c’erano due ragazzi di Serpeverde che conoscevo a stento e che mi sembrava si chiamassero Vaisey e Harper, due bulletti con il cervello di una bustina di the, che sembravano pronti a dargli manforte.

Dopo il nostro scontro di novembre, Nott non aveva perso nessuna occasione per insultarmi e deridermi, cercando di suscitare una mia reazione. Da parte mia, per essere un italiano bloccato nel corpo di un americano, mi ero dimostrato un ottimo esempio di stoicismo inglese: a parte qualche risposta tagliente, ero riuscito a trattenermi dall’utilizzare la violenza, nella speranza che si stufasse e decidesse di lasciarmi in pace. Fino a quel momento, però, non aveva funzionato molto bene.

“Ragazzi, ammirate il grande eroe di Hogwarts, il mitico guerriero che ha messo in fuga il terribile Sirius Black! – continuò Nott con voce magniloquente – Ci faresti un autografo, Carter?”.

“Perché ti sia utile un autografo dovresti essere almeno capace di leggere, Nott – risposi con una per niente mascherata nota di disprezzo – Ora, se non ti dispiace, ho molto di meglio da fare che stare ad ascoltarti”.

“Ma prego, non sia mai che ti faccia perdere troppo del tuo prezioso tempo– disse Nott con voce perfida mentre mi voltavo per andarmene – Prima, però, c'è una cosa che volevo chiederti da un po': esattamente, quanto è orrenda tua madre?”

Mi bloccai, sentendomi come se mi fosse appena stato tirato uno schiaffo: "Come?".

Nello sguardo di Nott apparve un lampo di trionfo, facendomi capire che avevo abboccato all'amo che lui mi aveva lanciato: "Sai, un uccellino mi ha raccontato che i tuoi genitori hanno divorziato perché tuo padre saltava da un letto all'altro come uno Snaso impazzito. Non posso fare a meno di pensare che tua madre sia un vero e proprio mostro, per spingerlo a scoparsi ogni donna che incrociava la sua strada!".

Rimasi come pietrificato, sentendo la rabbia montare come un'onda di marea. Una vocina in fondo alla mia mente provò inutilmente a ricordarmi che quella che Nott aveva offeso non era veramente mia madre, ma la scacciai come un insetto fastidioso. Anche se non l'avevo mai vista, per Joshua Carter quella donna era il centro del mondo, un porto sicuro nella tempesta, me lo dicevano chiaramente i suoi ricordi. Non era però tutto: il problema era che anche gli ‘altri’ ricordi concordavano con la giusta reazione ad una simile offesa. 'Madre è l'altro nome di Dio sulle labbra e sui cuori di tutti i nostri figli', diceva il protagonista di un film che avevo amato dall'altra parte, ed avevo sempre ritenuto quella frase vera come se fosse stata scolpita nella pietra. Da ragazzino avevo rotto il naso ad un compagno che aveva insultato mia madre in maniera meno grave di quanto avesse appena fatto Nott. Non potevo semplicemente lasciargliela passare liscia. Un sogghigno incurvò la mia bocca mentre Josh lasciava, senza che me ne rendessi realmente conto, il posto a Matteo: avevo tutte le armi per rispondere a tono, e poi andasse come doveva andare. Nott aveva messo di mezzo mio padre, ma visto chi era il suo, non era stata una mossa particolarmente intelligente. Il fatto che Joshua Carter non avesse modo di sapere nulla del passato di Nott Senior passò completamente inosservato al mio io razionale.

"Sai, in fondo hai ragione - dissi, quasi sorprendendomi nel sentire la nota di gelo che aveva invaso la mia voce - Mio padre è un infedele patologico - li vidi pronti a farsi una risata, ma li freddai immediatamente - Però c'è una cosa importante che vorrei farti presente: preferisco mille volte essere figlio di un puttaniere impenitente piuttosto che di un assassino con le mani lorde di sangue!".

La temperatura nel corridoio sembrò improvvisamente essere calata di una ventina di gradi.

"Che cosa hai detto?" mi chiese Nott con un sibilo degno di un cobra.

Avrei dovuto capire che la situazione stava precipitando (o forse era già precipitata?), ma nella vita non ero mai riuscito a individuare il momento giusto per zittirmi, e ormai ero lanciato a bomba verso il precipizio: "Credevo di essere stato chiaro, ma se ne hai proprio bisogno mi ripeterò: preferisco avere come padre un uomo-troia che cambia amante come cambia le mutande piuttosto che uno sporco Mangiamorte che ha evitato la galera a forza di menzogne!".

Mi voltai per andarmene, ma la mia mente aveva già registrato lo sguardo omicida di Nott. Non lo vidi realmente estrarre la bacchetta e puntarmela alla schiena, fu più che altro un'intuizione. La mia reazione fu quasi automatica: infilai la mano sotto la veste e, come una pistola in una vecchia pellicola western, la tirai fuori mentre mi gettavo a terra. 

" Furnunculus!".

Sentii l'incantesimo passarmi ad un millimetro dal braccio sinistro. Toccai pesantemente sul pavimento di marmo e rotolai sul fianco. Nott aveva ancora la bacchetta puntata, la furia dipinta sul volto. Vaisey e Harper sembravano immobilizzati, quasi sorpresi dalla svolta improvvisa che gli eventi avevano preso, Quasi senza accorgemene, presi la mira contro Nott prima che potesse lanciare un secondo incantesimo e risposi al fuoco: "Depulso!.

Vidi la scena quasi come al rallentatore: il raggio dorato lasciò la mia bacchetta e centrò in pieno petto il mio avversario. Sembrò che un bufalo lo avesse incornato: il mio Incantesimo di Esilio scagliò Nott indietro di almeno tre metri, mandandolo a sbattere violentemente contro il muro. Il giovane Serpeverde scivolò a terra con un gemito, lasciando cadere la bacchetta e arpionandosi la parte destra del petto con la mano sinistra. 

Seguirono alcuni secondi di silenzio quasi irreale: sia io che gli altri due Serpeverde rimanemmo a fissare Nott con stupore, increduli per l'effetto avuto dal mio incantesimo. Nonostante stesse evidentemente soffrendo, con gli occhi semichiusi per il dolore, lui cercò di allungare la mano verso la bacchetta, nel tentativo di controbattere. Fu abbastanza per risvegliarmi dal torpore nel quale sembravo caduto: mi tirai in ginocchio e presi nuovamente la mira.

"Expelliarmus!".

Il raggio rosso lo colpì al polso quando aveva appena afferrato la bacchetta: il bastoncino di legno saltò via con violenza, andando a rotolare a un paio di metri di distanza. Stavolta Nott lasciò partire un urlo, afferrandosi il polso con l'altra mano.

Fu abbastanza per risvegliare anche gli altri due, che estrassero a loro volta le bacchette mentre io mi rimettevo in piedi: "Questa volta l'hai fatta grossa, Carter - grugnì Harper, che però non sembrava essere più del tutto convinto di quello che stava facendo - Quando avremo finito con te...".

"BASTA COSI'!".

Mi voltai tanto velocemente da farmi male al collo: la McGrannitt stava arrivando a passo veloce dall'altro lato del corridoio. Credetti di vedere dei fulmini partire dai suoi occhi, tanto appariva furiosa.

“In corridoio… - stava quasi balbettando per la rabbia – Mai nella mia vita… mai visto… - si piazzò tra me e i due Serpeverde ancora in piedi, mentre Nott, pur sembrando estremamente dolorante e reggendosi il polso danneggiato, mi guardava in cagnesco – Spiegatevi!” ringhiò.

“Carter ci ha aggredito, Professoressa!” urlò immediatamente Harper con voce velenosa – Eravamo qui tranquilli, e lui ha iniziato ad insultarci, poi ha estratto la bacchetta e ha colpito Nott!”.

Spudorato bugiardo! La cosa peggiore era che sapevo che l’avrebbero avuta vinta senza uno stramaledetto testimone. Il peggio era che non avevo neanche l’energia per controbattere. Il mio sguardo continuava a correre verso Nott: lo detestavo con tutto me stesso, ma non avevo avuto l’intenzione di colpirlo con tanta violenza. La potenza dell’Incantesimo d’Esilio che gli avevo sparato contro mi aveva sorpreso non poco: in classe mi ero dimostrato uno studente nella media, non avevo mai dimostrato di essere in grado di emettere una simile potenza.

La McGrannitt si voltò verso di me: “Lei cosa ha da dire, signor Carter?”.

Scossi la testa: “Qualsiasi cosa io dica non cambierà le cose, Professoressa. A che servirebbe se dicessi che prima mi hanno insultato e poi aggredito alle spalle, e che io mi sono limitato a difendermi? E’ la mia parola contro la loro, e io sono da solo. Non ci sono testimoni, quindi mi punisca pure”.

Lo sguardo della McGrannitt era duro, ma in fondo ai suoi occhi vidi una scintilla di qualcosa di simile ad un sorriso: “Non esattamente ‘nessun testimone’, signor Carter – si avvicinò ad un quadro appeso al muro – Hai visto tutto, Jocelyn?” chiese la professoressa.

“Assolutamente sì, Minerva” rispose un’anziana strega seduta su una poltrona all’interno della tela.

La mascella di Harper crollò di qualche centimetro.

“Jocelyn Williamson –disse la McGrannitt – era l’insegnante di Trasfigurazione prima del Professor Silente. Era già in pensione quando sono arrivata ad Hogwarts, ma ha tenuto comunque alcune lezioni. Era una grande insegnante, ed una donna di una correttezza assoluta. Mi fido ciecamente di lei – si rivolse nuovamente al dipinto – Come sono andate le cose?”.

“Il ragazzo Serpeverde ha insultato pesantemente il Grifondoro e la sua famiglia – disse la donna –Lui ha risposto, e l’altro lo ha aggredito mentre era girato di spalle. Il Grifondoro si è solo difeso, sia pure con notevole veemenza”.

“Grazie mille, Jocelyn – disse la McGrannitt, per poi voltarsi verso i Serpeverde, che apparivano stupefatti e orripilati allo stesso tempo – Una versione decisamente differente dalla vostra. Dunque… venti punti in meno a lei, Harper, per la sua menzogna; dieci a lei, Vaisey, per non averlo contraddetto; e quaranta al signor Nott per aver scatenato una rissa in corridoio! – si avvicinò al mio avversario, che si stava faticosamente tirando in piedi con l’aiuto di Harper e lo controllò brevemente–Vada in infermeria, potrebbe avere un paio di costole incrinate e forse un polso slogato. Quando starà meglio venga nel mio ufficio, parleremo della sua punizione”.

Nott sembrava furibondo, ma si trattenne dall’aprire bocca. Aiutato da Harper e da Vaisey, stava già avviandosi lungo il corridoio quando venne bloccato dalla voce della professoressa: “Ancora un momento, per favore”.

Lo sguardo della McGrannitt saettò rapidamente da me alla mia nemesi: “So perfettamente che questo non è il vostro primo diverbio, i professori Vitious e Piton mi hanno detto che vi siete già scontrati in diverse occasioni, sia pure presentandomi versioni molto diverse. Posso assicurarvi però che questo sarà l’ultimo dei vostri conflitti, perché se dovesse di nuovo venirvi l’idea di battervi nei corridoi vi assicuro che una punizione sarà l’ultimo dei vostri problemi”. Le ultime parole della McGrannitt mi ricordarono un po’ Piton, ma su Nott ebbero un effetto limitato, almeno a giudicare dallo sguardo di fuoco che mi lanciò mentre si dirigeva verso l’infermeria. Mi accinsi ad andarmene anch’io.

“Aspetti un istante, signor Carter”.

Mi bloccai prima di aver mosso un solo passo.

“Sebbene comprenda che lei si è difeso, è vero che ha comunque preso parte alla rissa – disse la professoressa – Devo forzatamente infliggere anche a lei dieci punti di penalità”. Mi fissò per alcuni secondi, poi il suo sguardo rigido si addolcì: “Posso comunque comprendere il suo stato d’animo, e pur non potendo approvare ciò che ha fatto, devo ammettere che lei ha coraggio: ha affrontato da solo tre avversari. Avventato, ma degno di un vero Grifondoro” e si allontanò, lasciandomi sul posto.

Impiegai qualche minuto prima di riuscire a raccogliere l’energia necessaria a muovermi. Un turbine di pensieri mi attraversava la testa. Non era stato lo scontro a sorprendermi, anche dall’altra parte mi era capitato di prendere parte a qualche rissa. No, a colpirmi era stato il mio primo incantesimo.

Mi guardai le mani, come se avessi potuto trovarvi delle risposte. Non avevo mai lanciato un Incantesimo di Esilio fino a quel momento, Vitious in classe ne aveva parlato soltanto in teoria. In realtà, lo conoscevo grazie ad un videogioco che dall’altra parte avevo letteralmente consumato. Lì veniva utilizzato come incantesimo da duello, quindi quando mi ero ritrovato in una situazione d’emergenza era stato il primo a venirmi in mente, e lo avevo lanciato senza riflettere troppo. Non era però quello il problema, a colpirmi era stata la potenza con la quale era uscito: avevo fatto volare Nott per diversi metri, e si era fermato solo perché aveva sbattuto contro il muro! Come era possibile? Joshua Carter era solo un mago di tredici anni! Non poteva avere il potenziale magico necessario a lanciare un incantesimo con una simile violenza! Mi appoggiai al muro, pensando alle implicazioni di quello che era successo: di che altro potevo essere capace? E che cosa sarebbe successo se avessi scelto un incantesimo potenzialmente più pericoloso?

Che cazzo mi stava succedendo?

  
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