§ Ricordi in lacrime
piovane. §
Avvolto in
una sporca coperta di feltro e nella sua corta pelliccia, il cucciolo contempla
senza emozione il suo riflesso nel vetro, puntellato da una miriade di gocce
piovane. Il loro scorrere si alterna lento e veloce, mentre colano lungo la
superficie trasparente, attirando lo sguardo sempre più incuriosito
dell’animale.
Non sono
così lontane dall’apparire lacrime, quelle gocce, somigliano vagamente a quelle
che vorrebbe versare lui, se ne avesse la possibilità.
Le catinelle
che si abbattono lì sopra con violenza non smettono di scendere, deturpano il
riflesso di chi vi si sta rispecchiando, sfumano i suoi contorni fino a farlo
divenire tutt’uno con la stessa materia di cui è fatto quello strano specchio
di ricordi.
Gli sembra
non essere altro: una macchia indefinita sciolta in un quadro di ricordi.
Un’opera malriuscita, disfatta come un acquerello sottoposto a continue
pennellate d’acqua, finché queste non rubano l’intento iniziale e lo rovinano
per sempre. Li rivede, il cucciolo, nelle tracce aguzze e tortuose che si
lascia dietro la pioggia, intrise di amarezze e sofferenze, con le quali aveva
fatto a braccetto per tutto quel tempo; con le quali aveva condiviso la
solitudine, immancabile compagna che si era aggiunta alla diade.
In quella
catapecchia dimenticata le memorie, s’imprimevano sul vetro, facendo pressione
sopra di esso come dita di ghiaccio lunghe e affusolate, bramose solo di
sfondare ciò che le separava dalla preda all’interno di quella che una volta
doveva essere la capanna di un falegname.
Eppure lui
il suo tocco lo avverte lo stesso, sente che lo trafigge come un affondo di
spada, quasi a volergli ricordare che al passato non si sfugge, che le emozioni
e le immagini sono indelebili, scolpite nella coscienza.
Tutto a un
tratto si sente sporco. Cos’è in fondo lui? Solo un corpo intriso di feroci e
luridi frammenti di memorie, conficcati in ogni sua parte, strappato
precocemente dal caldo ventre peloso della madre, un relitto destinato a
scomparire con un semplice gesto della mano.
Una mano.
Un sacco di plastica.
I suoi fratelli.
Il
cucciolo uggiola. L’ennesima scheggia penetra nella sua testa, tuttavia, invece
di acciambellarsi ancor di più, volge il musino bagnato verso la finestra e
riprende a osservare il quadro bagnato di lacrime piovane.
Stranamente,
gli danno conforto. Il lungo contemplare di quelle perle grigie, che al loro
passaggio si disfano come fili di mille gomitoli, gli fanno pensare che ciò che
le gocce si lasciano indietro, non tornerà mai
più a ricongiungersi con chi aveva condiviso la caduta dal cielo.
Lasciarsi
alle spalle tutto, rialzarsi sulle proprie zampe e ricominciare.
Gli
intensi occhi marroni gli s’illuminano e per un attimo crede di intravedere
qualcosa di diverso dal dolore che un destino crudele gli aveva riservato.
Forse, anche per uno come lui c’è un barlume che porta il nome della speranza.
In
effetti, una luce arriva, ma non è una luce soffusa e calda nella fitta trama
dell’oscurità. È un lampo, al quale subito dopo si accompagna un assordante
tuono, il quale impossibilita il cucciolo a non
vedere altro se non un’esplosione di ricordi, impressi più visibili che mai
sopra quel maledetto vetro, dispersi come coriandoli incolori sopra un
carnevale mai avvenuto. Quella spaventosa immagine si avventa su di lui, lo sventra e lo priva dell’attaccamento
alla vita che era riuscito a trovare, rigettandolo sulla coperta.
Il
cucciolo si abbandona sopra di essa e chiude i piccoli occhi, pregando in una
prima e ultima notte tranquilla, una sola notte nel mondo dei sogni.
***
Quando lo
trovo, a malapena respira. Gli stenti se lo stanno portando via di minuto in
minuto e se non fossi venuto a curiosare qui in giro non avrei mai sentito i
suoi deboli uggiolii tormentati nel sonno. È accucciato sopra un vecchio
straccio e non deve avere più di qualche mese.
Come ha
fatto a sopravvivere, non lo so, ma in questo momento poco importa saperlo. Mi
avvicino, allungo una mano sopra la sua testolina per accarezzarlo e
rassicurarlo, ma come lo sfioro, il cucciolo si sveglia e comincia a ritrarsi,
spaventato a morte dal mio gesto forse troppo avventato.
La fame e
la debolezza non gli permettono di fare più di qualche piccolo passo, prima di
ricadere goffamente a terra e lì rimanere, con gli occhi fissi sulla mia mano.
Frugo
nella tasca, trovo la mia merenda e gli porgo docilmente la fetta di pane,
cercando di guadagnarmi la sua fiducia e di farlo avvicinare.
Passano
molti istanti, prima che la fame si conquisti la vittoria e ceda sotto la vista
del cibo. L’animale vi si avventa sopra con voracità, abbandonando il timore
che poco prima lo tratteneva.
Subito divora
il tutto, poi riprende ad osservarmi, con una punta di intensa curiosità.
Nei suoi
occhi leggo qualcosa che mi è sconosciuto, e basta solo riflettermi nelle sue
profonde iridi marroni per intravedere un lungo sentiero segnato da infinite
sofferenze, pesanti. Una creatura così piccola è stata in grado di sostenerle
sino a questo momento?
- è tutto
finito. Mai più si ripeterà quel che ti è accaduto. Mai più. Dimentica ogni
cosa e vieni con me. – La mia voce esce calda e sicura, convinta ed è come se
fosse stato qualcun altro a parlare per me. Mi sento stupido. Dopotutto è un
cane, no? Eppure, sento di non potergli dire altre parole, se non quelle che ho
pronunciato.
Qualcosa sembra
destarsi in lui e me ne stupisco. Mi aveva capito? No, impossibile. Però ha
cominciato a correre verso di me, e fatico a percepire che è già tra le mie
braccia, con la lingua umida che slitta ripetutamente sulle braccia.
Mentre
assecondo le sue feste, il mio sguardo si posa su una finestra, solcata da
numerosi rivoli d’acqua, cadaveri del temporale notturno e imbalsamati lì, sul
vetro insozzato dallo sporco del tempo. Chissà per quanto ancora sarebbero
rimasti lì...
Il cucciolo
smette tutto d’un tratto e si volta, volgendosi esattamente dove sto guardando
io.
- Non è un
bello spettacolo, non è vero? – Domando, dando per scontato che mi stia davvero
capendo.
In tutta
risposta, si dimena e comincia ad abbaiare, vuole scendere. Ma non sembra avere
paura, perché la coda sembra sul punto di staccarsi, da quanto si agita.
Sorrido.
- Che
dici, gli diamo una bella ripulita? –
***
Il ragazzo
ricorderà per sempre quell’incontro. Ogni volta che ci ripensa, si domanda come
gli sia venuto in mente di lavare e pulire la finestra di una casa abbandonata.
Alla fine fa ogni volta spallucce e si convince che ha fatto qualcosa di
giusto. E lo ha fatto davvero.
Per il
cucciolo…o meglio, per Sparx, ora davvero c’è qualcosa di nuovo. La speranza si
è concretizzata, mentre il passato resta solo un incubo assorbito e
imprigionato all’interno della stessa parola che lo rappresenta.
Ora sa
finalmente di essere qualcosa per qualcuno, e questo gli basta per dare
significato ad un’esistenza che inizialmente lo aveva condannato un destino
diverso.
Ora sa che
non sarà più prigioniero dei suoi ricordi.