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Autore: ChiarainWonderland    18/10/2020    2 recensioni
Rose Weasley potrebbe passare come una semplice adolescente con i tipici problemi di un adolescente nella media. La scoperta di particolari oggetti di antiquariato, però, potrebbe stravolgere le carte in tavola e rivelare antichi segreti celati per lungo tempo. Se ci aggiungiamo una leale migliore amica, una famiglia non proprio tra le righe, un nemico che non è poi un vero e proprio nemico, un cugino impiccione e una famosa scuola di magia e stregoneria, le cose non possono fare altro che peggiorare.
* * *
"Rose sapeva di non potersi ritenere la figlia migliore del mondo. Per quanto somigliasse a sua madre, alcune cose erano proprietà esclusiva del suo carattere, procrastinamento cronico incluso."
"Ad un certo punto una bancarella di un venditore ambulante attirò l'attenzione di Rose, che si avvicinò per osservare le cianfrusaglie esposte. C'erano vecchi orologi incantati, vari oggetti di antiquariato, fotografie magiche di persone vissute secoli prima e molto altro ancora."
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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CAPITOLO VENTESIMO

CALMA APPARENTE


East Hampshire, 21 giugno 1955

«Più in alto! Più in alto, Finn!»

L’altalena oscillava a una velocità tale da rendere i contorni del mondo circostante un ammasso indefinito. O almeno era quello che vedeva Georgiana quando i riccioli biondi non le finivano davanti agli occhi. Le mani sudate erano aggrappate alle corde che reggevano l’altalena a uno dei giganteschi rami della quercia in giardino. Era l’albero più grande della zona.

«Dai, Finn… un po’ più su!» urlò un’altra volta, le gambe piegate in modo da ottenere la maggior spinta possibile. Già da sola era in grado di raggiungere l’altezza massima consentita dall’altalena, ma con l’aiuto del cugino ci doveva impiegare metà della fatica.

«Ti ho già detto che non mi piace quel soprannome!» urlò di rimando il cosiddetto Finn. Aveva il respiro pesante e irregolare. Le braccia tese e i palmi delle mani aperti erano pronti a spingere la schiena di Georgiana.

«Cos’è, preferisci il tuo nome?» fu la pronta e maliziosa risposta.

Finn si limitò a scrollare le spalle. Era abituato alle uscite schiette di quella bambina dai riccioli ribelli che si ritrovava in famiglia. Nonostante la giudicasse spesso irritante e inopportuna, tra la miriade di cugini Georgiana era la più vicina a lui d’età e, di conseguenza, la sua compagna di giochi più fedele. Dall’alto dei suoi sette anni e mezzo, si era inoltre incaricato di controllarla e proteggerla. Georgiana passava infatti dall’essere la creatura più tranquilla dell’universo al diventare un uragano in una manciata di secondi. Lui era l’opposto: pacato, serio, fin troppo maturo per un bambino.

«Sei sicura che non dobbiamo rientrare in casa?»

Georgiana scoppiò in una risata acuta. «Come sei noioso! Mamma mi ha detto di stare in giardino finché non ci vengono a chiamare».

«Chissà che cosa fanno lì dentro ogni volta» ribatté Finn, che quasi non si accorse di averlo detto ad alta voce. Le mani sudate mancarono la schiena di Georgiana e annasparono nel nulla.

«Ho provato a spiarli».

«Davvero?!»

«Sì, ma mi hanno sempre trovata».

«Chissà perché non sono sorpreso…»

«Ehi!» protestò Georgiana, e girò la testa quel tanto che bastava per guardare il cugino negli occhi. «Cosa vuoi dire?»

Le labbra di Finn si aprirono in un sorriso furbo. «Dico solo che sei una femmina, e le femmine non sono brave a nascondersi», spiegò, schivando una gamba di Georgiana che, quando l’altalena si era avvicinata, ne aveva approfittato per tirargli un calcio.

«Rimangiatelo!»

«No, perché è vero! Sono sicuro che non hai scoperto nulla di quello che succede lì dentro» continuò a infierire Finn, indicando con il dito l’imponente villa che si stagliava a un centinaio di metri di distanza.

«E invece ti sbagli di grosso! So che ci sono tante persone con i nostri genitori… un giorno mi ero nascosta dietro una tenda in corridoio, e le ho viste passare tutte!»

«Sì, prima che ti chiudessero la porta del salone in faccia» disse Finn. L’irritazione che provava in quel momento lo portava a spingere l’altalena sempre più forte. Le corde tiravano e stridevano contro la corteccia e il vento sferzava il viso di Georgiana, che raggiungeva ormai l’altezza del ramo.

«Smettila, non mi hanno chiuso la porta in faccia!»

«Invece sì, solo perché non lo vuoi ammettere…»

Ma Finn avvertì le ultime parole morirgli in gola. Perché Georgiana, che si era girata per controbattere e si reggeva con una sola mano, aveva perso la presa. Ed era stata catapultata in avanti. Successe tutto così in fretta che l’unica cosa che Finn riuscì a fare fu allungare le braccia in avanti, i palmi delle mani spalancati. Georgiana sembrò imitare la sua mossa un istante dopo, gli occhi puntati sul terreno che si avvicinava a rallentatore. Li chiuse d’istinto e si preparò al dolore dell’impatto. Solo che l’impatto non arrivò.

«Per Merlino!»

La voce di Finn era lontana anni luce, ma bastò a Georgiana per accorgersi che erano passati troppi secondi. Così riaprì un occhio, poi un altro, e infine spalancò la bocca dalla sorpresa. Stava fluttuando. L’aria pareva sostenerla e accompagnarla lentamente verso terra, una gigantesca rete invisibile sostenuta dal vento. Georgiana atterrò sul prato fresco di rugiada, prima le ginocchia e poi tutto il resto, e fu investita dalla tipica sensazione di chi tocca terra dopo un volo movimentato o mesi passati in mare. Strinse i fili d’erba tra le dita come se fossero ancore che la tenevano legata alla vita.

«Io… tu…» balbettò Finn. I due cugini si squadrarono rapiti in una tacita conversazione: ciò che era appena accaduto poteva significare una sola cosa. E infatti presero a correre verso casa senza curarsi di quello che era stato loro detto, intenzionati ad arrivare uno prima dell’altra. A metà strada cominciarono le spinte, gli sgambetti e i calci sugli stinchi. Tutto era ammesso nei loro giochi. Quasi come se li avessero sentiti, due slanciate signore uscirono dalla porta della villa che dava sul giardino.

«Mamma! Mamma, non ci crederai!» disse Finn non appena raggiunse la donna più alta. Era riuscito a superare Georgiana all’ultimo, ma il fiato corto gli impedì di continuare.

«Tesoro, cosa c’è? Siamo venute ad avvisarvi che potete rientrare in casa».

Finn si piegò in due. L’unica cosa che vedeva era il lungo vestito di raso di sua madre. «L’altalena… Georgiana… caduta…»

«Mia figlia è caduta dall’altalena?»

Era stata l’altra signora a parlare. Finn alzò lo sguardo e osservò ogni dettaglio di quella che avrebbe potuto benissimo essere scambiata per una Georgiana adulta: il viso segnato da qualche ruga contornato da riccioli biondi, l’abito dal taglio sartoriale, le dita ingioiellate. Non si poteva definire propriamente bella nel senso stretto del termine, ma Finn era certo di non aver mai visto donna più elegante.

«Cos’è successo? Tesoro, perché non rispondi?»

Finn si sforzò di regolarizzare il suo respiro. Prima che avesse anche solo la possibilità di aprire bocca, però, una quarta voce si fece largo a suon di strilli: «Non ascoltatelo! Non è come dice lui! Sono stata io a farlo!»

Georgiana percorse gli ultimi metri che la separavano dagli altri, saltando in maniera deliziosamente aggraziata la linea che divideva il prato dal selciato. Fu solo quando ebbe raggiunto Finn che sua madre si accorse dello stato deplorevole in cui versava.

«Per tutte le Mandragole di Tosca Tassorosso, Georgiana, le tue calze… le scarpe… e il vestito! Allora sei davvero caduta dall’altalena».

«Mamma, non è importante…» rispose Georgiana, ma lanciò comunque un’occhiata rapida al suo aspetto: le calze bianche esibivano due chiazze verdi all’altezza delle ginocchia, le costose scarpe con il fiocchetto erano imbrattate di terra e il vestito a balze aveva una spallina stracciata – che le era stata strappata da Finn una manciata di minuti prima quando, in un moto disperato, quest’ultimo aveva cercato di trattenerla mentre correvano giù per la collina –.

«Non voglio sentire storie. Sei in punizione, signorina! Te l’ho detto mille volte che devi stare attenta con quell’aggeggio babbano».

«Ma mamma, è successa una cosa incredibile…»

«Cosa? Cosa può essere successo di così incredibile?!»

«L’ho fatta volare!» esclamò inaspettatamente Finn. Le due donne lo guardarono come se gli fosse spuntato un terzo occhio sulla fronte.

«Prego?»

«Non dire frottole, Finn» intervenne Georgiana, «sono scivolata dall’altalena, ho allungato le braccia puntando le mani verso terra e ho iniziato a galleggiare in aria. Sono stata io a fare la magia».

«Anche io ho allungato le mani! Chi ti dice che non è merito mio?» tentò di protestare Finn, ma la madre di Georgiana si era già catapultata sulla figlia, dimentica della punizione, delle calze macchiate e del vestito spiegazzato.

«Oh, che emozione! Finalmente hai mostrato i primi segni di magia involontaria!»

«Ehi, mi avete sentito? Magari sono stato io!» ripeté Finn.

«Suvvia» lo consolò sua madre, inginocchiandoglisi accanto per poterlo guardare negli occhi, «non devi prendertela».

Finn aggrottò le sopracciglia. «Non me la sono presa» sussurrò, «dico solo che…»

«So cosa intendi. Ma spesso la magia involontaria si manifesta in una persona quando quest’ultima si trova in una situazione di imminente pericolo. Da quello che ho capito è stata Georgiana a cadere dall’altalena».

«Sì, però…» riprovò Finn speranzoso.

«Mi dispiace tanto, tesoro» lo interruppe di nuovo sua madre, «ma forse è meglio accettare la realtà. Vedrai che presto anche tu mostrerai di possedere il dono della magia, e sono sicura che diventerai un mago dalle capacità strabilianti».

Finn mantenne lo sguardo sulla ghiaia finché non poté più ignorare quegli occhi chiari che lo fissavano apprensivi. Sua madre non lo aveva mai deluso e non gli aveva mai mentito. Perché avrebbe dovuto farlo in quel momento? Così si buttò nelle sue braccia, tra le pieghe del vestito di raso e il profumo di vaniglia che emanava.

«Ti voglio bene, mamma».

«Anch’io, Thorfinn. Anch’io».


*    *    *


Hogwarts, 6 dicembre 2022

Quel venerdì mattina Rose si era svegliata nervosa. Un presentimento strano aveva preso a gironzolarle nella testa dal momento in cui aveva aperto gli occhi. No, non centrava il pensiero fisso che era diventato il sorriso di Malfoy, che continuava a tormentarla da giorni e giorni. E nemmeno il fatto di dover passare metà del tempo a ripetere a se stessa che no, quel ragazzo di certo non le poteva piacere. Forse la consapevolezza che nel pomeriggio si sarebbero tenuti gli ultimi allenamenti prima della partita contro Serpeverde…? Sì, forse era quello a renderla irrequieta.

«Buongiorno, Rosalie! Il sole è sorto, gli uccellini cinguettano… sai che giorno è oggi?» esordì Alice, spalancando le pesanti tende di velluto rosso della finestra. Era già pronta con divisa scolastica, capelli raccolti in una stretta coda alta e viso riposato. L’adrenalina del pre-partita l’aveva sempre resa vivace e pimpante, tranne in casi eccezionali – come quando era stata trascinata in Biblioteca per combinare un appuntamento tra il suo Capitano e una certa ragazza studiosa, si appuntò mentalmente Rose –, ma se ci si aggiungeva pure la neve, allora Alice diventava imperturbabile.

«Paciock, mi fai il favore di chiudere quelle maledette tende? Non credo che gli uccellini si mettano a cinguettare con questo tempo» brontolò Samantha dal suo letto, coprendosi la faccia con le lenzuola. In effetti, oltre le mura del castello si stava scatenando una vera e propria tempesta di neve.

Alice ignorò bellamente le lamentele e continuò a rivolgersi a Rose: «Sì Weasley, pensi bene, è il giorno prima della partita! Ti vuoi alzare o no?»

In un attimo Rose avvertì le coperte venirle strappate di dosso. Il freddo parve penetrarle fin dentro le ossa. «Ma sei matta?!» strillò, mentre tentava di divenire tutt’uno con il materasso. Stava per riprendere a inveire contro l’amica, quando lo sguardo le cadde sui fiocchi di neve che turbinavano contro la finestra.

«Miseriaccia, come riusciremo ad allenarci oggi solo Merlino lo sa…»

«Suvvia, è soltanto un po’ di neve. Non fare la tragica».

«Non per contraddirti Alice, ma a me sembra una bufera in piena regola» pigolò Isabel da sotto il cuscino.

Alice sbuffò, impegnata a scuotere Rose per un braccio. «Coraggio, siamo già in ritardo per le lezioni!»

«Be’, il fatto che l’orario di venerdì sia terrificante rende tutto più difficile. Due ore di Pozioni, una di Alchimia…»

«A me è andata bene con Babbanologia» borbottò Alice.

«…e come condanna finale, due ore di Storia della Magia prima di pranzo» concluse Samantha.

«Almeno potrò ripassare gli schemi di gioco prima di questo pomeriggio» ribatté Alice. Tutte le lanciarono un’occhiata rassegnata.

A colazione la Sala Grande era in subbuglio: i Grifondoro e i Serpeverde si squadravano malevoli dai propri tavoli. Sguardi colmi di sfida saettavano da un lato all’altro, rimbalzavano sui muri e serpeggiavano tra le pallide nuvole sul soffitto. Quando Albus e Malfoy entrarono dal portone a battenti, una serie di ovazioni si alzò dal tavolo verde-argento.

«Esibizionisti» soffiò Alice tra una cucchiaiata di porridge e l’altra.

«Io proprio non ci arrivo. Non è nemmeno il giorno della partita!»

«È il Quidditch, Sam» sentenziò Rose, «e tu non l’hai mai capito».

In effetti, il Quidditch era talmente preso sul serio che anche durante le lezioni di quella mattinata si poteva avvertire una certa tensione. Nelle due ore di Pozioni la classe si dovette confrontare con la Pozione Corroborante, un intruglio di livello Mago che causò non poche difficoltà. La pozione di Isabel si solidificò, diventando un tutt’uno con il calderone nonostante i tentativi di Samantha di salvare il salvabile. Ad Alice successe pure di peggio: un petalo di Ibisco di troppo portò il suo decotto a evaporare in un fumo nero. Rose se la cavò bene finché non arrivò Lumacorno a chiederle di rimanere in classe dopo la lezione, mandando la sua concentrazione a farsi benedire. E infatti, al termine delle due ore, l’enorme e anziano professore le comunicò con aria affabile che si sarebbe tenuta un’altra cena privata del Lumaclub prima della festa di Natale. Rose tornò dalle amiche, afflitta.

«Dai, pensa che adesso hai un’ora buca» tentò di consolarla Isabel.

Ma nemmeno il dolce far niente fu in grado di distrarla. Rose rimase sdraiata per un’ora sul divano cremisi della Sala Comune deserta, a fissare il soffitto. Rimuginò sui più disparati argomenti, che variavano dagli ormai frequenti e indesiderati sentimentalismi – Malfoy doveva averle fatto un qualche infido sortilegio – al Quidditch, al medaglione e infine a quel pallone gonfiato di Lumacorno e alle sue seccanti cenette. Quando raggiunse l’aula di Storia della Magia, Alice aveva occupato il solito banco; Isabel era quindi già filata ad Artimanzia.  La testa di Rüf sbucò dalla lavagna e si guardò in giro: non appena si accorse che mancavano ancora metà studenti, il professore si rintanò di nuovo nel suo ufficio.

«Weasley, sono qui!» esclamò Alice agitando una mano.

Rose alzò gli occhi al cielo, ma non poté fare a meno di sorridere. «Lo so dove sei, genio, occupiamo lo stesso banco da quando frequentiamo il corso» precisò, prendendo posto accanto all’amica. «Comunque, com’è andata Babbanologia?»

Ma prima che Alice riuscisse a rispondere, Samantha e Millie, reduci dalla lezione di Alchimia, si fiondarono a occupare il tavolo dietro il loro gettandoci sopra le borse. «Giuro che se la professoressa Berrycloth ci fa arrivare ancora in ritardo…» iniziò Samantha, «è già la seconda volta».

«Quand’è stata la prima?»

«Quando vi avevamo investite in pieno nel bel mezzo del corridoio, mentre correvamo a Difesa» spiegò Millie.

«Ah» si limitò a rispondere Alice, «sì, il mio ginocchio destro se lo ricorda bene».

«Volevo chiederti» s’intromise Rose, desiderosa di cambiare argomento visto che anche i suoi gomiti si ricordavano quella caduta, «i Serpeverde oggi si allenano dopo di noi. Li vai a vedere?»

«Ci andrei sicuramente, se non avessi un altro impegno».

«Davvero?!» se ne uscì Rose. Millie non si perdeva mai l’ultimo allenamento prima di una partita. Nemmeno con una bufera di neve. «E che avresti di così importante?»

«Ehm…» balbettò Millie, le guance paonazze. Ecco un’altra cosa che Millie non faceva mai: arrossire. Sembrava di avere davanti un’altra persona. «Tua cugina Molly mi ha chiesto di studiare insieme, questo pomeriggio. E io ho accettato l’invito».

Le tre Grifondoro si scambiarono uno sguardo di chi la sapeva lunga. «E cos’è che intendi esattamente per studiare?»

«Idiota!» sibilò Millie, colpendo Alice con la piuma d’oca, «Molly è disposta a darmi una mano in Astronomia. Ci vediamo come… amiche. Tutto qua».

Rose alzò le sopracciglia. «Ti piace» disse semplicemente.

Millie si astenne dal rispondere. «Ora giratevi, è arrivato Rüf» borbottò mentre frugava nella borsa, nel palese tentativo di nascondere le guance che si erano fatte, se possibile, ancora più rosse.

Rose e Alice l’accontentarono ridacchiando. «Voglio proprio vedere Millie alle prese con questa faccenda. Ti ricordi cosa avevo detto un po’ di tempo fa? Che l’ossimoro più grande che io abbia mai sentito ha come protagoniste le parole “Mildred” e “romanticismo”».

«E in tutto questo non sappiamo ancora il motivo del litigio tra Molly e Lorcan» ricordò Rose, mentre scribacchiava le parole del professore sulla pergamena.

«Sarà una cosa passeggera, vedrai» la tranquillizzò Alice con un vago gesto della mano.

Rose alzò le spalle e riprese a scrivere, tentando di stare al passo con Rüf. Il fantasma spiegava in fretta. Probabilmente il fatto di essere morto e di non avvertire il bisogno di respirare aiutava. Le parole si confondevano, si mescolavano e si creavano come oro che viene fuso per fabbricare monete.

«…di indole molto vivace ed estroversa, Grogan Stump venne eletto Ministro della Magia nel 1811 proprio per queste caratteristiche, che influenzarono il suo approccio politico. Solamente un altro mago gli somiglierà in questo aspetto: sto parlando di Hector Fawley, che salirà al potere più di un secolo dopo. I due sono così strettamente legati nell’immaginario pubblico da avere addirittura un monumento in comune… qualcuno sa quale?»

Silenzio di tomba. Rüf non si scompose.

«È al Ministero, sopra all’ingresso dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, in onore delle importanti riforme attuate dai due Ministri in questo settore. Si tratta di un bassorilievo in cui sono scolpiti un falco e una tigre, simboli delle due famiglie…»

Rose ci mise quattro secondi a collegare la tigre a un altro felino che la tormentava da settimane. Nella sua mente prese forma l’immagine del bassorilievo, solo che al posto dei due animali c’era una lince agile e fiera che la fissava dritta negli occhi. Provò a spostare lo sguardo, ma le iridi ambrate della lince la seguivano come se stessero fiutando una preda.

Un rumore in lontananza la ricosse e la costrinse a tornare alla realtà, dove tutti la stavano osservando allarmati. Rüf per primo aveva un’aria oltraggiata: qualcuno aveva osato interrompere la sua lezione. Rose non capiva. Cosa aveva combinato? Ma la risposta le arrivò non appena un rigolo di una sostanza nero pece fece capolino oltre il suo banco. Bastò sporgersi un poco per vedere la boccetta d’inchiostro, la sua boccetta d’inchiostro, in frantumi a terra. I pezzi di vetro erano ovunque. L’inchiostro s’infilava nelle crepe e si ramificava in centinaia di steli sottili. Rose rimase a fissarli, inorridita.

«Tu!» gracchiò il professore, puntandole contro un dito rugoso e trasparente. Non ricordava i nomi di nessuno studente. Nemmeno di Rose, l’unica che riusciva a strappargli qualche Eccezionale. «Che cosa hai fatto?»

«Io… mi dispiace… non ho…» balbettò Rose, mortificata.

Rüf non le diede il tempo di finire la frase: «Dopo la lezione ti fermerai qui a pulire il macello che hai combinato, senza magia! Così la prossima volta eviterai di interrompere la spiegazione in questo modo».

Scoraggiata, Rose si guardò attorno; ovviamente non le fu risparmiata la vista di Albus e Malfoy che ridacchiavano in ultima fila. A lezione terminata, Gazza il custode – il cui odio verso gli alunni sembrava aumentare con l’età – si palesò dal nulla, quasi avesse captato l’odore di punizione a decine di metri di distanza, con un secchio d’acqua e uno straccio lurido. Li consegnò a una Rose disgustata, che li prese con la punta delle dita. Lo straccio fu in grado di assorbire l’inchiostro, ma era talmente sporco che lasciò un alone scuro sulla pietra. Allora Rose si guardò in giro: Rüf era sparito attraverso la lavagna non appena era finita l’ora, mentre di Gazza nemmeno l’ombra. Così tirò fuori la bacchetta.

«Gratta e netta».

La lastra di pietra tornò come nuova, e Rose poté filare via. Alice era accanto alla porta, che l’aspettava. «Ma che diavolo è successo?»

«Eh?»

«A cosa stavi pensando quando hai fatto cadere la boccetta d’inchiostro?»

«Sai, potrebbe essere stato un incidente…»

«Non mi freghi, Rosalie. Ti stavo guardando. Eri palesemente nel tuo mondo».

Rose sospirò. Appurando che non ci fosse nessuno in giro, trascinò Alice in un angolo in penombra. «Credo di aver trovato una pista».

«Una pista?»

«Per il medaglione».

A quelle parole Alice strinse le labbra. «Pensavo che ormai ci fossimo rassegnate».

«Cosa? Assolutamente no! Anzi, dobbiamo andare subito in Biblioteca».

«Aspetta, aspetta, aspetta» disse Alice. Staccò il braccio dalla presa di Rose, che si stava già incamminando verso il terzo piano. «È ora di pranzo, e non ho intenzione di rinunciarci. E nemmeno tu».

«Allora questo pomeriggio…»

«Ci sono gli allenamenti! Non vorrai saltarli, vero?»

Ci fu una pausa di assoluto silenzio. Incredulità da parte di Alice, indecisione da parte di Rose. «Io…»

«Stai scherzando, Weasley?! James ha dovuto fare carte false per organizzarli!»

E Alice aveva ragione. Visto che il campo era stato prenotato dai Serpeverde per il tardo pomeriggio e che la sera faceva ormai troppo freddo per allenarsi, James non aveva trovato altra soluzione che non fosse quella di saltare le lezioni pomeridiane. Così era andato lui stesso dai professori a ottenere il permesso per ogni singolo componente della squadra. Rose non si era lamentata: avrebbe saltato Antiche Rune. Ogni scusa era buona per evitare la Nerivir, che da quella discussione nel suo ufficio sembrava tenerla fastidiosamente d’occhio.

«No, hai ragione» convenne. Era come se qualcosa fosse scattato nella sua testa. «Cosa dico, non possiamo saltarli. In Biblioteca ci andremo un altro giorno».

«Questo è lo spirito giusto! Domani c’è la partita contro le serpi, Rosie, la par-ti-ta. È il momento che sto aspettando dall’inizio dell’anno… quello che mi permetterà di dimostrare il mio valore, quello in cui avrò la possibilità di scaricare tutta la mia rabbia repressa verso tuo cugino a suon di Bolidi!»

«Lo so, lo so» ripeté Rose lungo il tragitto fino alla Sala Grande, mentre Alice non la finiva di parlare di quanto fosse fondamentale rimanere concentrati fin da subito e non lasciarsi andare in distrazioni. Al tavolo di Grifondoro raggiunsero Samantha e Isabel.

«Rüf è una testa di Troll» esordì Sam. «Scusami se non ti ho aspettata, Rosie, ma mi ero accordata con Isabel di vederci qui non appena la lezione fosse finita».

Rose fece un gesto vago della mano, impegnata com’era a fissare Alice che riempiva il suo piatto all’inverosimile: due bistecche, verdure miste, un’enorme porzione di purè di patate e sei polpette di carne.

«Ma come fai?»

Per tutta risposta Alice iniziò a riempire anche il piatto di Rose, con il tipico sorriso di un adulto che si rivolge a un bambino piccolo. «Dobbiamo essere in forze per questo pomeriggio. Non vorrai mica svenire in mezzo al campo».

«Non vorrei neanche vomitare in mezzo al campo» disse Rose. La montagna di cibo la fissava malevola, come se le stesse lanciando una sfida. “Non mi finirai mai”.

«No, non la finirò mai».

«Dai, almeno le polpette!»

Rose si sforzò di mandar giù qualche boccone, ma la verità era che non si poteva definire entusiasta di allenarsi: nevicava ancora, e parecchio. Il pensiero della partita così vicina, poi, non faceva altro che attorcigliarle le viscere. Fu solo grazie ad Alice che un’ora dopo arrivò in orario al campo, il che rappresentò un’impresa già di per sé. Il sentiero era infatti coperto da uno spesso strato di neve. I fiocchi turbinavano senza pietà, uniformando lo scenario in un bianco spento e senza luce. Le nuvole grigie che correvano in cielo non permettevano al più fievole dei raggi di sole di filtrare.

«Siete puntuali» constatò James quando le due ragazze entrarono negli spogliatoi. Rose lo ignorò preferendo salutare Debbie, con cui non si vedeva spesso fuori dagli allenamenti per via dei vari impegni. Ben stava in piedi con aria solenne accanto al suo Capitano. Alice gli fece l’imitazione e suscitò l’ilarità di tutti.

«Bene», iniziò James non appena le risate scemarono, «il discorso lo risparmierò per domani. So che le condizioni atmosferiche non sono ideali, ma voglio chiedervi di approfittare di queste due ore per correggere gli ultimi errori, abituarsi al freddo o semplicemente mettersi nell’ottica della partita» .

Le parole furono accolte con vari cenni di assenso. L’intera squadra uscì dagli spogliatoi e percorse in silenzio il corridoio fino al varco che si apriva sul campo. Rose rimase a osservare per qualche istante quel bianco totale che annullava qualunque altro colore: era come se stesse per entrare nel nulla. Strinse la scopa tra le dita congelate. Doveva concentrarsi. Spinse il medaglione, la partita, il Lumaclub e Malfoy in un cassetto, che chiuse a chiave.

Era pronta.

 






 

 

Angolo autrice
Ehilaaaaaaà!
Ok, è passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho pubblicato, ma il rientro a scuola è stato più traumatico del previsto. Non so per quanto tempo ci andrò ancora. Mi sono già rassegnata al fatto che, prima o poi, nonostante gli sforzi, la scuola chiuderà di nuovo.
Cooomunque, passando al capitolo. Sono accadute un bel po’ di cose. Prima di tutto, abbiamo fatto la conoscenza del cugino di Georgiana… e non sarà l’ultima volta che lo incontreremo. Finalmente si apre uno spiraglio sulla storia del medaglione. Che pista avrà trovato Rose? Lei e Alice si metteranno ancora nei guai? La risposta a quest’ultima domanda è abbastanza prevedibile direi. E poi, si avvicina la famigerata partita contro Serpeverde. E qui, gente, si aprono le scommesse! Io spero solo che Alice non si faccia prendere troppo dall’entusiasmo… E Millie e Molly? Ormai si è capito che c’è qualcosa tra loro. Cos’è successo tra Molly e Lorcan, invece, resta ancora un mistero.
 Un ringraziamento doveroso va a tutte le persone che hanno messo la storia tra le seguite, preferite e ricordate, e ovviamente eventuali pareri sulla storia sono sempre ben accetti. Noi ci vediamo alla prossima (e prometto che sarà prima del previsto).
A presto,
ChiarainWonderland

 

   
 
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