Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: ChiarainWonderland    25/11/2020    1 recensioni
Rose Weasley potrebbe passare come una semplice adolescente con i tipici problemi di un adolescente nella media. La scoperta di particolari oggetti di antiquariato, però, potrebbe stravolgere le carte in tavola e rivelare antichi segreti celati per lungo tempo. Se ci aggiungiamo una leale migliore amica, una famiglia non proprio tra le righe, un nemico che non è poi un vero e proprio nemico, un cugino impiccione e una famosa scuola di magia e stregoneria, le cose non possono fare altro che peggiorare.
* * *
"Rose sapeva di non potersi ritenere la figlia migliore del mondo. Per quanto somigliasse a sua madre, alcune cose erano proprietà esclusiva del suo carattere, procrastinamento cronico incluso."
"Ad un certo punto una bancarella di un venditore ambulante attirò l'attenzione di Rose, che si avvicinò per osservare le cianfrusaglie esposte. C'erano vecchi orologi incantati, vari oggetti di antiquariato, fotografie magiche di persone vissute secoli prima e molto altro ancora."
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO VENTUNESIMO

LA LINCE RIVELATRICE


Quando si era coricata, la sera prima, Rose aveva trascorso un intero quarto d’ora a pregare Merlino. Aveva indossato la camicia da notte, si era infilata sotto alle coperte e aveva tirato le tende cremisi del baldacchino. Di solito non le chiudeva mai, ma per quella volta dovette fare un’eccezione: non voleva che le altre – soprattutto Alice – la vedessero con le mani giunte, gli occhi serrati dalla concentrazione e la fronte aggrottata. Rose pregò di non trovare una tempesta di neve al suo risveglio, all’alba del giorno della partita. Mai il Quidditch l’aveva spaventata a tal punto da portarla a chiedere un piccolo aiuto dall’alto.

«Il sole! C’è il sole!»

Come previsto, la mattina dopo fu la voce di Alice a svegliarla. Rose si stropicciò gli occhi e aprì le tende. Le sembrava di essersi addormentata solo due minuti prima, e invece erano passate delle ore. Quando guardò fuori dalla finestra, una luce accecante la costrinse a distogliere gli occhi.

«È un buon segno» concesse Samantha. Nonostante odiasse il Quidditch per principio, nei giorni delle partite s’impegnava nel sostenere le amiche come poteva. Rose tirò un sospiro di sollievo. Non solo il tempo era ideale, ma il pomeriggio precedente gli allenamenti si erano svolti a gonfie vele nonostante la bufera di neve. Era addirittura riuscita a calibrare il tiro nell’anello sinistro, guadagnandosi i complimenti di James.

Samantha e Isabel scesero per prime in Sala Grande. Rose e Alice decisero di prendersela comoda, visto che alla scorsa partita non avevano potuto godere di questo lusso. Indossarono con calma la divisa mentre ripetevano gli schemi di gioco, in modo da non dover patire il freddo negli spogliatoi, e cercarono di distrarsi parlando del più e del meno. Rose prestò attenzione a non accennare mai al medaglione. Si era ripromessa di non pensarci, almeno per quel giorno, e soprattutto per il bene di Alice: nonostante la neve, l’ansia crescente stava intaccando anche il suo umore. Quando sbirciarono dal portone a battenti, le due ragazze constatarono che la Sala Grande era già piena, e che molti dei membri delle squadre si trovavano ai propri tavoli circondati e inneggiati dai compagni. I Serpeverde, in particolare, ridevano e scherzavano come se non avessero un pensiero al mondo. Appena superata la soglia Rose avvertì parecchi sguardi venirle puntati addosso, ma cercò di non badarci. Raggiunse il tavolo dei Grifondoro e filò dritta dalla sua squadra, seguita da Alice.

«Ragazze!» esclamò Debbie. Si alzò in piedi e assestò alle compagne di squadra due poderose pacche sulle spalle, sorprendentemente forti per una persona così esile. «Come state? Venite, ci vuole una bella colazione».

James, Evan e David le salutarono con un cenno del capo. Ben, pallido e tremante, si limitò a rivolgere loro un’occhiata prima di tornare a giocherellare con il porridge. «È la sua prima partita contro Serpeverde e la cosa lo preoccupa non poco» si prese la briga di spiegare Debbie.

«Coraggio Ben, la scorsa volta sei andato benissimo! Cos’è che ti rende così nervoso?» intervenne Alice, che come al solito aveva iniziato a riempirsi il piatto con qualsiasi pietanza le capitasse a tiro.

Per tutta risposta Ben puntò lo sguardo spiritato verso la parte opposta della sala, e tutti lo seguirono. I giocatori di Serpeverde si erano alzati in piedi e stavano brindando con i calici colmi fino all’orlo. James rise amaramente, le iridi nocciola fisse sul fratello. «Con Pucey ancora fuori gioco io non riderei se fossi in loro».

«È il Battitore che è stato colpito da un Bolide in piena faccia?» chiese Rose, ricordandosi ciò che le aveva detto Albus in un corridoio del quinto piano qualche settimana prima, durante uno dei loro frequenti diverbi.

«Proprio lui. L’hanno sostituito con un ragazzino smilzo del terzo anno, quello alla destra di Malfoy. Niente che David e Alice non riescano a gestire. L’ho osservato durante gli ultimi allenamenti, e vi posso assicurare che…»

Ma James s’interruppe a metà frase, perché un’ombra si stava allungando sul tavolo. Una mano titubante picchiettò sulla spalla di Alice, che si girò talmente in fretta da rischiare di rovesciare la sua tazza di latte.

«Ehm… scusate… disturbo?»

Rose spalancò gli occhi. Era uno dei gemelli Finch-Fletchley, lo stesso che a Mielandia aveva salutato timidamente Alice. Basso e magrolino, se ne stava in piedi come se fosse appeso a un gancio e si torturava in continuazione le mani. Guardava speranzoso Alice con i grandi occhi azzurri.

«Oh…ciao?» se ne uscì lei in evidente difficoltà. Squadrava il nuovo arrivato come se stesse cercando di decifrare un codice antico quando in realtà, immaginò Rose, si stava impegnando nel ricordare il suo nome.

«Dew» le venne in aiuto lui, «mi chiamo Dew. Ehm… senti, volevo solo augurarti buona fortuna per la partita. Ah e, ovviamente, tifo per il Grifondoro» aggiunse, e a dimostrazione di ciò tirò fuori dalla tasca una malconcia bandierina a strisce oro e rosse.

Alice ingoiò lentamente il boccone di cereali che stava masticando e cercò di sembrare colpita. «Oh… grazie… anche se non so quanto ti convenga tifare per noi» dichiarò pratica. «Se vinciamo questa partita, e poi anche quella contro voi Tassorosso, vi sarà molto difficile rimontare per ottenere una posizione decente in classifica».

David sghignazzò. Evan sputacchiò metà del succo di zucca addosso a James, che protestò sonoramente: «Ma che cavolo, Mitchell! Dovevi farlo proprio oggi!?»

Evan roteò gli occhi, ma tirò fuori la bacchetta e con un fluido gesto della mano fece scomparire la macchia dalla divisa di James. Rose scosse la testa, divertita, rivolgendo lo sguardo verso i Serpeverde per studiare il Battitore del terzo anno. Quando si accorse che Malfoy gli era ancora seduto accanto e che, per di più, la stava osservando, decise che per quella volta poteva anche rinunciare al suo intento. Così abbassò gli occhi, chiedendosi perché mai Malfoy dovesse squadrarla in quel modo a colazione. Stava per caso valutando il suo umore, in modo da sfruttarlo durante la partita? Era dunque lei stessa un elemento di studio per gli avversari? Rose non ne aveva idea, ma quando si azzardò a rialzare lo sguardo Malfoy era ancora lì, completamente indifferente alle parole che il nuovo Battitore gli stava rivolgendo.

Mezz’ora dopo la squadra al completo si trovava negli spogliatoi. Tutti erano pronti, con le scope sottobraccio, le espressioni concentrate e il battito del cuore accelerato dall’adrenalina. E dalla paura. «…quindi, quel che intendo è che… sono fiero di voi» concluse il suo discorso James. Accanto a lui c’era Ben, che si trovava in quell’esatta posizione anche il giorno prima, e Rose provò un forte senso di déjà-vu. Tutto pareva uguale: il freddo, le divise scarlatte, il fiato che formava tante nuvolette di vapore. Da un momento all’altro le risate spensierate della squadra avrebbero potuto riempire il vuoto opprimente, ma non arrivarono mai. L’aria solenne di Ben era infatti svanita, lasciando il posto a un broncio corrucciato. Alice non gli fece l’imitazione e nessuno osò interrompere il Capitano.

Uscirono dagli spogliatoi uno alla volta, con Rose, Alice e Debbie a chiudere la fila. Stavano percorrendo il corridoio che li separava dal campo, quando un bisbiglio seguito da una risatina portò Rose a girarsi. Appiattite contro il muro e nascoste nell’ombra c’erano Millie e Molly, e avevano l’aria di divertirsi un mondo.

«Pssst, Rose! Per Salazar, la divisa da Quidditch comprende anche i tappi per le orecchie?» fu il sussurro di Millie, a cui seguì l’ennesima risatina.

Rose sospirò. Poi agguantò Alice per una manica e la trascinò indietro, stando ben attenta a non attirare l’attenzione di Debbie. Quando si fu avvicinata abbastanza notò che Millie indossava la sciarpa azzurra a ghirigori bianchi che le aveva regalato Molly.

«Cosa ci fate qui? Non solo è contro le regole, ma la partita sta addirittura per cominciare!» sibilò Alice contrariata.

«È questo il modo di trattare due amiche venute ad augurarti buona fortuna, Paciock?» replicò Millie con aria innocente. «Non fraintendetemi, tifo sempre e comunque la mia Casa. Spero solo che il margine di vittoria non sia troppo eccessivo!»

«Sei acida perché Vaisey ha sostituito Pucey con un ragazzino invece che con te?» ribatté Alice.

«Bene, noi dobbiamo andare… coraggio, so che darete il massimo» pigolò Molly, prima che Millie avesse la possibilità di rispondere.

«Rose! Alice! Che diavolo state facendo!?» gridò James dal semicerchio di luce in fondo al corridoio. Millie e Molly si rintanarono nell’ombra, appiattendosi contro il muro. Rose concesse loro un ultimo sorriso – Alice solo a Molly – e decise saggiamente di tornare dai compagni.

«Niente, mi sembrava di aver visto qualcosa» rispose, arrancando e spintonando finché non raggiunse James. Non si dimenticò di concedere una pacca d’incoraggiamento a Ben, quando gli passò accanto.

«Sei pronta?» sussurrò James, «ricorda… la felicità la si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo uno si ricorda di accendere la luce».

«La devi smettere con questa frase» scherzò Rose, ma in fondo era grata che il cugino gliel’avesse ripetuta.

«Forza, andiamo».

Entrarono nel campo acclamati da urla festanti. La voce di Fred non si fece attendere e rimbombò per tutte le tribune, annunciando uno ad uno i giocatori. Rose seguì James, una mano serrata sul manico di scopa, finché non si trovò davanti Madama Bumb e ai Serpeverde al completo. Malfoy era girato a parlare con il suo Capitano, mentre Albus le rivolse un sorrisino che non augurava niente di buono. Rose decise di ignorarlo e di concentrarsi su un punto fisso davanti a sé.

«Bene, conoscete le regole e siete consapevoli che non apprezzo le scorrettezze» esordì Madama Bumb. Prese in mano la Pluffa e si posizionò al centro del cerchio formato dalle due squadre. Rose sorrise incoraggiante a Ben e scambiò un ultimo sguardo d’intesa con Alice. Al suono del fischio d’argento quattordici giocatori s’innalzarono in volo e Madama Bumb lanciò la Pluffa.

«Weasley s’impossessa subito della Pluffa e sfreccia verso gli anelli avversari, immediatamente seguita da Potter e Vaisey!»

Rose non avvertì nemmeno la voce amplificata di Fred. Era troppo concentrata a reggersi con una mano al manico e a tenere la Pluffa con l’altra, mentre Albus cercava di sbilanciarla. Tentò di depistarlo volando basso, fino a sfiorare il fitto strato di neve che ricopriva il suolo e a provocare l’innalzarsi di una candida nube pungente. Ma Albus era ancora dietro di lei. Proprio quando anche Vaisey riuscì a fiancheggiarla sul lato destro, Rose si accorse che l’anello sinistro avversario si stava avvicinando sempre di più. Decise di puntare a quello, nonostante rappresentasse il suo punto debole.

«Weasley si prepara a tirare, punta l’anello centrale… ed era una finta! Bella giocata, ma Bolton para con facilità» esclamò Fred con una punta di delusione.

La Pluffa venne conquistata da Albus, che saettò via. Rose rimase lì impalata, gli occhi ancora puntati sugli anelli. Aveva provato così tante volte quella mossa. Il giorno prima le era riuscita perfettamente in allenamento, eppure nel momento che contava davvero non era stata in grado di soddisfare le aspettative. “Come al solito…” si disse.

«Rose… Rose! Muoviti!» la riscosse una voce. Era Debbie, i lunghi capelli scuri frustati dal vento. Accennò alla loro parte di campo, dove un Albus esultante aveva appena segnato. Rose inorridì: se James si fosse accorto del suo errore… ma era troppo occupato a scandagliare il campo alla ricerca del Boccino, così come Malfoy.

«Andiamo Rose, Ben ha bisogno di aiuto!»

Non facendoselo ripetere due volte, Rose sfrecciò verso il povero Ben che, paralizzato dalla paura, era stato accerchiato dai Cacciatori avversari. Ma un Bolide provvidenziale arrivò con la potenza di un tornado e li sbaragliò tutti quanti. Rose cercò con lo sguardo Alice e David, che si stavano battendo il cinque. Poi ripartì all’inseguimento della Pluffa.

«Debbie Linton vola verso gli anelli avversari fiancheggiata da Weasley e McLaggen… ma ecco che Fernsby cerca di rompere la formazione! Troppo tardi, Linton tira e segna! Dieci pari!»

L’ultimo goal risollevò gli animi della squadra scarlatta, ma l’ottimismo ebbe vita breve. Evan iniziava ad accusare i primi segni di stanchezza dovuti ai continui attacchi, e i Serpeverde si portarono in vantaggio di altri quaranta punti. E fu solo allora che James si accorse di ciò che stava succedendo. Lasciò perdere la caccia al Boccino, chiese un time-out e si catapultò dai suoi Cacciatori.

«Ma che diavolo fate!?»

«Sono fortissimi, James» tentò di spiegare Debbie, «a quanto pare si sono allenati parecchio e hanno perfezionato nuove tattiche…»

«Fortissimi!? Siete voi che state facendo schifo! Cos’era quella mossa di prima, eh? E Ben, ti vuoi dare una svegliata? Sei terrorizzato dai Serpeverde tanto quanto dalle ragazze che ti gironzolano intorno negli ultimi tempi!»

«James!» esplose Rose incredula. Ben si limitò a distogliere lo sguardo, le guance paonazze dalla vergogna.

«Che c’è, è vero! Ora cercate di ricordare ciò in cui vi siete esercitati durante gli allenamenti e attaccate il più possibile».

La partita ricominciò tra i mormorii perplessi della folla, che osservava i tre Cacciatori Grifondoro tornare in campo con particolare interesse. Di solito la richiesta di un time-out non lasciava presagire nulla di buono. E infatti, l’umore dei Serpeverde era alle stelle.

«Ed ecco che il gioco riprende dopo il time-out dei Grifondoro! Hanno forse discusso di qualche tattica segreta che stanno per mettere in atto?» ipotizzò Fred, ma dal suo tono di voce trapelava una vena disperata che non avrebbe convinto nemmeno il più stolto degli stolti. Il professor Paciock, seduto lì accanto, non era da meno e riservava occhiate apprensive ad Alice. A quanto pare, la squadra non era stata la sola a sottovalutare gli avversari.

«McLaggen frega la Pluffa a Vaisey da sotto il naso! Forse Ben si è risvegliato dallo stato catatonico in cui si trovava a inizio partita? Passaggio diretto a Linton, poi Weasley, di nuovo McLaggen… e segna, McLaggen segna! I Grifondoro salgono a venti punti!»

Il tempo di battere un cinque e i Cacciatori dovettero scansarsi a causa di un Bolide che arrivava a tutta velocità. Dietro di loro apparve David, che spedì la micidiale sfera di ferro dall’altra parte del campo con un colpo ben assestato.

«Attenta, Alice! Stavi per colpire tre dei nostri!» urlò prima di sfrecciare via.

La Pluffa finì di nuovo nelle mani di Albus, ma quella volta Rose non se la lasciò scappare. Si avvicinò al cugino tanto quanto bastava a fiancheggiarlo: se l’avesse urtato per sbaglio, sarebbero finiti entrambi a terra. Poi cercò di deviarne la traiettoria con subdoli sbandamenti, proprio come aveva fatto lui a inizio partita. Volavano così bassi da sfiorare la neve con i lembi delle divise.

«Ah, usi il mio gioco Rosie? Cosa pensi di ottenere?» se ne uscì Albus divertito. Rose venne allontanata da una spinta particolarmente forte e rimase investita dalla scia di schegge ghiacciate creata dalla scopa. Ma non si arrese e, lottando contro il dolore del gelo che le sferzava le guance, spuntò dal nulla e colpì il cugino con tutta la potenza che aveva in corpo.

«Sta’... zitto!» urlò, e fu con immensa gioia che accolse la Pluffa tra le sue braccia.

Proprio quando era ormai a un soffio dal segnare, un boato generale proveniente dalla folla la spaventò a tal punto da distrarla, mancando l’anello. Quando si girò si accorse in una frazione di secondo che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Riuscì a malapena a vedere un Bolide sfrecciare sicuro verso Evan, troppo impegnato a osservare il gioco in campo per scansarsi in tempo. La sfera metallica era più rapida di lui. E l’impatto fu terribile. Evan venne colpito in pieno alla spalla, batté la schiena contro il palo dell’anello centrale e cadde al suolo come una bambola di pezza. La neve attutì la botta, e sul manto bianco il colore scarlatto della divisa pareva sangue che sgorgava da una ferita. A una decina di metri di distanza, con la mazza ancora in posizione di lancio, si stagliava la giovane nuova recluta dei Serpeverde. Rose lo squadrò incredula.

«Evan!» gridò Debbie. Scattò in avanti come se stesse per precipitarsi da lui, ma Rose era poco distante e riuscì a trattenerla in tempo.

«Non puoi» le strillò di rimando, «dobbiamo continuare a giocare!»

Anche lei avrebbe desiderato mandare al diavolo la partita e correre ad accertarsi delle condizioni di Evan, ma le regole erano regole: il gioco poteva essere fermato solo in caso di incidente grave. E Rose era quasi sicura che ciò che era capitato allo sfortunato compagno di squadra non era classificabile come tale.

«M-ma… lui…» insisté Debbie. A Rose si spezzò il cuore nel vederla così sconvolta. Un lampo di memoria la immerse in un’immagine lontana di settimane, colma di adrenalina, risate e Whiskey Incendiario. La festa per la vittoria contro i Corvonero era un ricordo vivido, così com’era vivido lo sguardo di Evan che adocchiava in continuazione la Cacciatrice dai capelli scuri vicino al tavolo delle bevande. Sul momento Rose non ci aveva dato troppo peso – d’altronde, era assorta nella terribile decisione che riguardava il bere o non bere un liquore – ma ora, a mente fredda, cominciava a collegare i pezzi del rompicapo.

«Mi dispiace Debs» si limitò a mormorare, «prima finiamo, prima andiamo da Evan».

In campo gli avversari erano impegnati a scandagliare ogni angolo alla ricerca della Pluffa. Rose sbuffò e volò verso terra: la palla le era caduta, finendo dritta nella neve.

«Weasley recupera la Pluffa e viene subito accerchiata… Linton accorre in suo aiuto ma non riesce a sciogliere la formazione dei Serpeverde» commentò Fred, il cui tono tradiva una nota di agitazione, «Fernsby conquista la Pluffa, vola fino agli anelli e segna! Sessanta a venti per Serpeverde!»

Senza portiere e con Debbie totalmente nel pallone, Rose ci mise poco a capire che Grifondoro avrebbe perso. Nonostante gli sforzi di tutti i suoi compagni nel compensare l’assenza di Evan buttandosi davanti agli anelli, i Cacciatori avversari segnarono, e segnarono, e segnarono finché il loro vantaggio divenne incalcolabile. Quando James fregò il Boccino a Malfoy, Rose non dovette aspettare che Fred annunciasse il risultato. Era perfettamente consapevole che Serpeverde aveva vinto.

*    *    *

Il giorno dopo la partita era sempre calmo. Mentre i vincitori festeggiavano, coloro che avevano perso non osavano mettere il naso fuori dalla loro Sala Comune, dove rimanevano barricati a leccarsi le ferite. Rose decise di approfittarne per mettere in atto l’idea che le era venuta in mente durante Storia della Magia. Nemmeno l’umore nero di Alice la trattenne dal trascinarla in Biblioteca.

«Come ha fatto quella piccola inutile Serpe a mettere fuori gioco Evan, possibile futuro Portiere dei Puddlemore United e giocatore esperto? Proprio lui, così debole e mingherlino? Quattrocentoventi a centosessanta… non riuscirò più a camminare nei corridoi dalla vergogna. Dicono che i Serpeverde stiano ancora festeggiando, giù nei sotterranei… e tuo cugino, mi sa che non potrò più guardarlo in faccia».

«Parlando di questioni importanti» scattò Rose, «Evan è ancora in Infermeria?»

Alice parve per un istante infastidita di essere stata interrotta nel bel mezzo del suo monologo che andava avanti da due ore, ma rispose lo stesso: «Sì, David me l’ha detto oggi a colazione. Sta bene, ha solo preso una bella botta alla spalla. Debbie è lì da questa mattina e nessuno è riuscito a convincerla ad uscire, nemmeno Madama Chips».

Un sorriso spontaneo increspò le labbra di Rose. «Ha trovato pane per i suoi denti» commentò, citando un vecchio detto babbano.

Alice si guardò in giro con fare sospetto. «Dicono che James sia furioso» sussurrò. Rose alzò gli occhi al cielo.

«James deve imparare a perdere».

«Ci è rimasto male perché questa era la sua ultima occasione di battere i Serpeverde prima del diploma» continuò Alice, e le sue parole rappresentavano un eufemismo. Dopo la partita James non aveva spiccicato una sola parola. Si era cambiato negli spogliatoi in un ostinato silenzio e aveva lasciato la sua squadra lì impalata. Nessuno aveva osato fermarlo.

«Questa non è una scusa per comportarsi come un Troll. Ieri durante il time-out ha detto qualcosa di davvero poco carino a Ben».

Nel mentre erano giunte davanti alla Biblioteca deserta. I corridoi erano vuoti, tant’è che non avevano incontrato nessuno senza contare un paio di fantasmi che vagavano come anime solitarie. «Madama Wells troverà strano che ci rinchiudiamo qui di domenica pomeriggio a cercare chissà cosa, visti i nostri trascorsi».

«Non preoccuparti» liquidò la faccenda Rose, «ho pensato anche a questo».

Come predetto da Alice, Madama Wells si palesò di fronte a loro appena misero piede nell’enorme sala. Portava la lunga veste di velluto rosso con grazia, come una regina che accoglieva dei forestieri nel suo regno. Le squadrò dall’alto in basso.

«Ragazze, posso aiutarvi in qualche modo?» esordì incerta, probabilmente ancora traumatizzata dal ricordo di Rose che rimetteva i libri a casaccio sugli scaffali. Rose s’impegnò allora nel replicare la sua migliore espressione abbattuta. Tirò un’impercettibile gomitata ad Alice, che si sbrigò a imitarla.

«Temo, Madama, che le nostre angosce vadano oltre il suo aiuto» ammise. Alice la guardò come se fosse impazzita e ricevette in cambio l’ennesima gomitata. «Purtroppo la funesta perdita contro Serpeverde ci ha debilitate sia nel corpo che nello spirito».

«Oh sì, immagino» concesse Madama Wells, «ancora adesso ricordo l’orribile sensazione legata alle mie prime sconfitte in campo».

Rose dovette trattenersi dall’esultare: aveva centrato l’obiettivo. L’unico modo per rabbonire Madama Wells era puntare sul suo debole per il Quidditch. Ricordava ancora quando lei e Alice avevano sorpreso la bibliotecaria con una bandierina blu e bronzo in una mano, il giorno della partita contro Corvonero.

«Speravamo di poterci rifugiare qui, tra i nostri amati libri, in modo da evitare la tremenda desolazione che regna nella nostra Sala Comune».

Madama Wells tergiversò, indecisa se fidarsi o meno. Poi riportò gli occhi sulle due ragazze, e Rose si premurò di rendere la sua espressione ancora più afflitta. «Oh, e va bene, ma quando ve ne andrete voglio trovare i libri esattamente dove li ho lasciati. Io sarò nel mio ufficio, se avrete bisogno di me» decretò infine, e se ne andò con un sordo fruscio della lunga veste.

Rose mantenne l’aria abbattuta finché Madama Wells ebbe svoltato l’angolo, e solo allora si permise di sorridere soddisfatta. Si avviò verso uno specifico scaffale, e Alice non ebbe altra scelta che seguirla.

«Cosa hai intenzione di fare, di preciso?»

«Lo vedrai» rispose enigmatica Rose. Si fermò di botto e iniziò a percorrere con l’indice i titoli dei tomi, fino a quando non arrivò a uno in particolare che attirò la sua attenzione. Lo tirò fuori, e dovette afferrarlo con due mani da quanto era pesante.

«“Dinastie magiche dal Medioevo a oggi”?» lesse Alice.

«L’ho usato così tanto in questi anni che so a memoria dove è riposto».

«Weasley, ti sarei grata se ora mi mettessi al corrente della tua idea».

Rose si abbandonò a un respiro profondo. «Ti ricordi che venerdì Rüf aveva parlato di Stump e Fawley, i due Ministri della Magia?»

Alice si passò una mano sul collo, palesemente in imbarazzo. «Ecco, me lo ricorderei se non fossi stata occupata a fare un sonnellino, prima che tu facessi cadere la boccetta d’inchiostro…»

«Lascia perdere. Come stavo dicendo, al Ministero c’è un bassorilievo in loro onore con i simboli delle loro famiglie. Un falco e una tigre».

«Non vedo come questo centri con…» iniziò Alice, ma venne interrotta da un’occhiata incredula di Rose. Un’occhiata che pareva urlarle di ampliare le proprie prospettive e guardare oltre al proprio naso. Alice colse quello che l’amica le aveva lasciato intendere, una consapevolezza segreta che galleggiava tra di loro come una frase non detta, ma che se pronunciata avrebbe perso metà della sua potenza.

«Non crederai che…?»

«Perché no? Fino ad ora abbiamo cercato basandoci sull’unica certezza che avevamo, ovvero che la lince rappresentasse un codice o un messaggio segreto. E se tutto quello che pensavamo si rivelasse sbagliato? Se la soluzione fosse in realtà più facile del previsto?»

«Non tutte le famiglie hanno un animale come emblema. Alcune non ce l’hanno proprio».

«Ma le più antiche sì. Le più importanti ce l’hanno. I Lestrange avevano un corvo, i Silente una fenice… Merlino, anche la mia famiglia ha come simbolo una donnola».

«Davvero?» se ne uscì Alice, ma Rose aveva già aperto il mastodontico volume e sfogliava le pagine spesse come pergamene. Dopo circa mezz’ora si fermò, indicando ad Alice un paragrafo in particolare.

«Guarda qua».

«“Famiglia Rowle”…» lesse Alice scettica, «“emblema: lince”».

«Il segreto sul medaglione potrebbe centrare con questa casata. Se il medaglione di Georgiana ha inciso il suo simbolo, allora lei doveva farne parte».

«Georgiana Rowle» disse Alice, come se stesse assaporando lentamente il gusto di quelle parole. Poi i suoi occhi castani s’illuminarono. «Aspetta, non c’era un Mangiamorte che si chiamava Rowle?»

«È vero… ma d’altronde stiamo parlando di vere e proprie dinastie magiche. Ci saranno decine di persone in Inghilterra che portano questo cognome».

Alice sembrò pensarci su. «Per caso dà qualche altra informazione?»

«“L’antica e nobile casata dei Rowle”» recitò Rose, «“è una delle cosiddette ‘Sacre Ventotto’, invero considerate nell’opinione comune le ultime ventotto famiglie non contaminate da sangue non magico esistenti attualmente. Primi accenni riguardanti il cognome dei Rowle risalgono al tredicesimo secolo, anche se la famiglia acquistò potere e prestigio solamente nel quindicesimo secolo con Finward l’Astuto”».

Alice alzò di scatto la testa. «Nient’altro? Sono poche informazioni per un libro così grande».

«Qui dentro ci sono scritte tutte le dinastie magiche dal Medioevo ai giorni nostri. È ovvio che non si soffermi per pagine intere su ognuna di esse».

«Bè» continuò a obiettare Alice, «di sicuro avrebbero potuto aggiungere più dettagli, se non ci fosse stato quell’enorme disegno del loro vessillo».

In tutta risposta Rose passò le dita sulla superficie ruvida della carta, dove oro e grigio si univano a creare una lince rampante con un paio d’occhi che sembravano due gocce d’ambra da quanto erano vividi. Un silenzio pregno di incertezza appestò l’aria.

«Ma queste sono tutte supposizioni, no? Non saremo mai in grado di sapere se la nostra teoria è corretta, se davvero Gerogiana Harris fosse in realtà una Rowle».

«Veramente» ribatté Rose, «un modo c’è».

Rimise accuratamente il volume nello scaffale e si avviò verso un altro reparto della Biblioteca. Al contrario della precedente ricerca ci mise parecchi minuti per trovare ciò di cui aveva bisogno. E ciò di cui aveva bisogno corrispondeva a un libro ancora più grande e pesante del primo.

«“Alberi genealogici del mondo magico”... non l’avevamo mai preso in considerazione prima d’ora».

«Senza una pista non avremmo mai potuto pensare di controllarlo tutto… Ah, qui dice che le informazioni vengono costantemente aggiornate» mormorò Rose più a se stessa che all’amica, mentre osservava la prima pagina. Sapendo già cosa cercare, consultò l’indice a inizio volume: l’albero genealogico dei Rowle occupava due delle pagine centrali. Rose le trovò, girò il libro in verticale e aprì dei lembi che ne raddoppiarono l’ampiezza. Davanti ai suoi occhi crebbe sulla carta bianca un’enorme quercia nodosa che si articolò in decine e decine di ramificazioni, da cui spuntavano foglie e fiori. Fu un momento incredibile. Ma il momento ancora più incredibile, quello che fece emozionare Rose e sorprendere Alice, accadde quando il nome di Georgiana Rowle apparve su uno degli ultimi rami, circondato da delicati boccioli gialli.







 

Angolo autrice
Ehilà, eccoci qui con un nuovo capitolo! Nonostante la chiusura delle scuole, sono stata comunque impegnata con verifiche e interrogazioni, addirittura più del solito. Perciò non sono riuscita a pubblicare nei tempi che avevo previsto, ma l’importante è che alla fine ci sia riuscita. Beh, da dove iniziare… la partita è finita come è finita, con la vittoria dei Serpeverde. Mi è dispiaciuto dover mettere fuori gioco Evan, ma era necessario ai fini della trama. Debbie sembrava essere molto preoccupata per lui. Non so chi si ricorda della festa per la vittoria contro Corvonero, ma se andrete a controllare potrete constatare da voi che Rose si era davvero accorta di certi sguardi che il nostro portiere lanciava alla formidabile cacciatrice. Tornando a noi, c’è stata una scoperta fondamentale riguardo a Georgiana. È quindi una Rowle? Gli alberi genealogici non mentono. E il Mangiamorte grande e biondo che abbiamo conosciuto nei Doni della Morte potrebbe essere coinvolto più di quanto immaginiamo. Voi vi aspettavate che la lince rappresentasse in realtà l’emblema di una famiglia tanto importante? A proposito, una precisazione: non è mai stato specificato se il simbolo dei Weasley sia davvero una donnola, anche se inconsciamente io ho sempre creduto così. D’altronde “weasel” in inglese vuol dire proprio “donnola”. Se così in realtà non fosse, vi prego di perdonarmi questa piccola licenza poetica.
Alla prossima!
ChiarainWonderland

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: ChiarainWonderland