Salve a tutti, e
parafrasando quello che direbbe Albus
Silente: "Ai miei vecchi lettori, bentornati! A quelli nuovi,
benvenuti!". Siamo di nuovo qui con la storia di Joshua Carter, alias
Matteo Simoncini, alias "nonlosabeneneanchelui". So di aver detto,
quando ho terminato la prima storia (che, come forse avrete visto, ho
rititolato per abbinare il titolo a quella nuova), che avreste dovuto
attendere
un po' di tempo per vedere il seguito, volendolo pubblicare solo a
scrittura
completata, ma sinceramente mi sono reso conto di sentire la mancanza
dei
vostri feedback.
Ho quindi deciso di iniziare
la pubblicazione di questa
seconda parte della mia personale saga, anche se, poiché
odio essere in
ritardo, comunico da ora che la pubblicazione procederà a
ritmo lento, almeno
per il momento: un capitolo al mese, anche se mi
riservo la
possibilità di accelerare se mi renderò
conto di riuscire a produrre
nuovi capitoli più in fretta.
Voglio comunque lasciare
aperta, diciamo, una scappatoia:
prometto di anticipare la pubblicazione del capitolo successivo se il
precedente raggiungerà le sette recensioni, quindi dipende
tutto da voi!
Un'ultima cosa prima di
passare al primo capitolo: vorrei
avvisare gli eventuali nuovi lettori che per comprendere questa storia
è
necessario aver letto 'A strange, new world', quindi vi consiglio di
andare a
recuperarla. Detto questo, buona lettura!
1: IL SOGNO
Era il luogo più strano
che avessi mai visto, tanto bello da
essere innaturale: un grande prato verde, intervallato qua e
là da piccoli
alberi, che sembrava stendersi fino all’orizzonte in tutte le
direzioni, il
tutto sotto un cielo talmente azzurro da sembrare dipinto. La cosa
più simile
che avessi mai visto erano le campagne dell’Irlanda, che
avevo visitato durante
una gita con la scuola parecchi anni prima, ma sapevo che il paragone
non
poteva reggere: a parte il fatto che sapevo di non essermi recato in
Irlanda,
quel luogo trametteva una sensazione che nessun paese reale, ne ero
convinto,
poteva possedere. Avvertivo uno stato di assoluta pace, come mai ne
avevo
provata in vita mia. Mi guardai in giro, cercando di capire cosa dovevo
fare, e
allo stesso tempo come avessi fatto ad arrivare lì. Non
ricordavo di aver fatto
niente di strano, l’ultima cosa che ricordavo era di essermi
coricato dopo cena,
nella casa della mia ‘famiglia’ in Galles, dopo un
giorno delle vacanze estive
uguale a quelli delle sei settimane che lo avevano preceduto. Ricordavo
il
bacio sulla fronte di quella che ormai avevo iniziato a considerare mia
madre e
la sensazione ancora un po’ strana ma insolitamente piacevole
che mi aveva
trasmesso. Sei settimane nella vita familiare di Joshua Carter, di
finte
litigate con la ‘mia’ sorellina, di passeggiate tra
le viuzze della cittadina
natale del ragazzo del quale ormai da quasi nove mesi occupavo il
corpo, pur
senza riuscire a farmi dimenticare del tutto la vita di Matteo
Simoncini, mi
aveva tolto la maggior parte dei rimpianti che mi erano rimasti dopo
che il
misterioso incidente in auto del novembre precedente e
l’ancora più misterioso
‘viaggio’ che avevo compiuto mi aveva trasportato
nel mondo di Harry Potter,
che fino a quel momento avevo conosciuto soltanto nei libri. Avevo
ormai smesso
di chiedermi come fosse potuto accadere, soprattutto da quando, poco
prima
della fine del mio primo, vero anno alla scuola di Hogwarts, avevo
scoperto la ragione
per la quale la misteriosa entità che mi aveva parlato tante
volte nella mente,
prima attraverso sensazioni e piccole premonizioni, poi con vere
parole, aveva
deciso di portarmi in un luogo che sarebbe dovuto esistere solo nella
fantasia
di una scrittrice inglese. Allo stesso modo, avevo smesso di chiedermi
perché
fossi ancora lì dopo aver fallito la mia
‘missione’: una parte di me si era
aspettata per settimane di essere catapultata di nuovo nel mio mondo,
ammesso
che fosse rimasto qualcosa di me al quale tornare dopo il terribile
schianto
che aveva sancito l’inizio del mio viaggio, dopo che non ero
riuscito a
convincermi ad uccidere Peter Minus, il servo di Lord Voldemort,
consentendogli
sostanzialmente di scappare e, forse, di tornare dal suo padrone, ma
non era
accaduto. Dopo la mia avventura notturna nella foresta e sulla riva del
lago,
avevo vissuto la normale vita di un giovane mago di quasi quattordici
anni.
Fino a quel momento.
Per un istante mi
attraversò la mente la terribile
sensazione che, alla fine, avessi davvero compiuto il viaggio a
ritroso, e che
le mie peggiori paure si fossero concretizzate: quel luogo idilliaco
sembrava
realmente la rappresentazione del Paradiso. E se la Forza che mi aveva
portato
in quel mondo magico avesse infine deciso di rimandarmi indietro, senza
però
trovare un Matteo Simoncini vivente nel cui corpo la mia anima potesse
ritornare? Era possibile che quello fosse
l’Aldilà? Un brivido scosse il mio
corpo. Mi abbassai in ginocchio, tastando l’erba e cercando
di annusarne
l’odore. Sia il tatto che l’olfatto sembravano
essere appannati, quasi stessero
funzionando al minimo delle loro capacità. Avevo
già provato quella sensazione:
era il modo nel quale i sensi parevano funzionare nei sogni. Poteva
essere una
fantasia onirica quella che stavo vivendo? Possibile, ma
d’altro canto non
avevo idea di come potesse sentirsi un’anima in Paradiso,
quindi…
La figura apparve dal nulla, ad una
decina di metri da me,
per poi avviarsi lentamente nella mia direzione, in parte camminando,
in parte
quasi fluttuando. Il suo movimento ricordava in qualche modo quello dei
Dissennatori, ma in realtà non avevo mai visto nulla di
più differente dai neri
demoni di Azkaban: avevo davanti una donna bellissima, apparentemente
troppo
bella per appartenere alla specie umana, dai lunghi capelli biondi come
l’oro,
vestita di una splendente tunica bianca. Tutta la sua figura sembrava
emanare
una luce eterea e soprannaturale. Sul volto dell’essere
angelico era dipinto un
sorriso sereno, e nella mia mente si fece strada una sorta di musica
ultraterrena, dolcissima, che mi trasmise uno straordinario senso di
pace, che
fece scomparire in un istante il timore che l’apparizione
della misteriosa
donna ed il luogo sconosciuto aveva fatto calare sul mio animo.
L’apparizione si
fermò a non più di un paio di metri da me,
il suo sorriso sembrò allargarsi ulteriormente, poi
parlò, con una voce
argentina come il suono dell’acqua che sgorga da una fonte:
“Non aver paura, Matteo.
Nessuno ti farà del male”.
Rimasi per un istante sorpreso quando
udii il nome che mi
apparteneva dall’altra parte, poi nella mia mente si
formò un collegamento:
avevo già sentito quella voce, in un luogo molto
più oscuro di quello nel quale
ci trovavamo in quel momento. All’epoca, nonostante il suono
altrettanto dolce
e gentile, le sue parole erano state molto meno piacevoli, ed avevano
cercato
di spingermi a fare qualcosa di molto, molto brutto.
Cercai di parlare, ma le mie corde
vocali sembravano
faticare a connettersi con il cervello: “S…sei tu?
Cioè…esisti veramente? Non
sei solo nella mia testa, vero? Cioè…chi
sei?”.
La donna continuò a
sorridere: “Io sono colei che ha potuto
gettare uno sguardo nel futuro. Il mio nome non è importante
in questo momento,
ma sì, esisto veramente. Puoi continuare a definirmi
‘Signora Voce’, se vuoi –
il suo sorriso sembrò oscurarsi in parte, poi riprese a
parlare – Purtroppo hai
fallito, Matteo. Non sei riuscito a cambiare il destino, ed ora tutto
diventa
più difficile”.
Nella mia testa sembrava essersi
fatta strada una sorta di
nebbia. Faticavo anche solo a pensare: avevo davanti
l’entità che tante volte
mi aveva parlato durante i mesi precedenti, prima trasmettendomi
soltanto dei
suggerimenti, poi direttamente. Era colei che aveva cercato di
convincermi ad
uccidere Peter Minus!
Alla fine riuscii a spiccicare
qualche parola, cercando la
risposta ad una delle domande che maggiormente mi avevano attanagliato
da
quando mi ero svegliato ad Hogwarts: “Sei stata tu a portarmi
in questo mondo,
vero?”.
La figura mi fissò per
qualche istante, sorridendo con la
sua espressione eterea, poi disse: “Sì…
e allo stesso tempo no”.
La sua risposta era talmente evasiva
da lasciarmi a bocca
aperta. La donna se ne dovette accorgere, perché per un
istante il suo sorriso
si accentuò, poi divenne improvvisamente più
seria: “Come ti ho già detto, io
ho potuto gettare uno sguardo alle cose che devono ancora accadere, ed
ho visto
guerra, ho visto distruzione…ho visto morte, tanta morte. Ho
lanciato nel tempo
e nello spazio una richiesta di aiuto, una possibilità di
cambiare le cose, di
deviare il corso del Fato verso una nuova direzione… e
qualcosa ha risposto. Neanche
io so chi… o cosa… abbia scelto di prestare
orecchio alla mia supplica, se sia
stata una delle divinità dei Babbani, l’energia
che guida tutto e che i maghi
definiscono semplicemente ‘Forze
dell’Essere’ o qualcosa di ancora differente,
ma mi è stata data una possibilità. Neanche io
sapevo cosa sarebbe successo
quando ho messo a disposizione la mia energia per compiere quello che
speravo
sarebbe stato un miracolo. Il drenaggio di forza è stato
tale che quasi mi ha
ucciso, e solo dopo ho scoperto che il risultato eri
stato…tu – e mi indicò con
un dito – Joshua Carter, un giovane, anonimo studente di
Hogwarts, era divenuto
qualcosa di unico nella storia del nostro mondo”.
La mia testa sembrava sul punto di
scoppiare: non capita
tutti i giorni di scoprire che sei stato prescelto da una Forza dai
poteri
divini per una missione, e se si aggiungeva la consapevolezza di averla
fallita, ce n’era più che abbastanza per mandare
in frantumi quanto restava
della mia sanità mentale. Erano talmente tante le domande
che avrei voluto fare
alla donna, che non sapevo neanche da dove iniziare. Alla fine scelsi
di
partire da una di quelle che potevano considerarsi più
innocue: “Quindi… da
dove vengono gli strani poteri che ho? La percezione del
futuro… la magia più
potente rispetto ai miei compagni di scuola… sei stata
tu?”.
L’entità scosse
la testa: “Mio è solo il compito di
sorvegliarti e guidarti. Ogni altra cosa è venuta da chi
è molto più potente di
me. Lo stesso vale – aggiunse, anticipando un dubbio che mi
attanagliava fin
dallo scontro con Nott – per l’istinto da guerriero
che ogni tanto ti ha
pervaso. So bene che te ne sei accorto, sono stata con te ogni momento
durante
gli ultimi mesi. Neanche a me è stato spiegato tutto, ma
immagino che la
combinazione tra poteri, istinto e quello che tu definivi
‘Senso di Ragno’
dovesse permetterti di eseguire meglio la tua missione, di farti essere
nel
posto giusto al momento giusto, di farti inserire
nell’ingranaggio del destino un
ostacolo che potesse indirizzarlo su una via differente. Purtroppo, non
è
bastato: il tuo spirito è stato più forte del
condizionamento, il tuo modo di
essere ti ha impedito di compiere un gesto che consideravi ingiusto, e
purtroppo proprio quel gesto avrebbe impedito ad una intera catena di
eventi di
realizzarsi – scosse la testa, assumendo un’aria
sconsolata – Non mi è permesso
di dirti più di tanto, il futuro non può essere
rivelato, lo avrai capito
vedendo quanto fumose erano le tue percezioni, ma credo che tu abbia
capito a
cosa porterà la linea sulla quale il destino ora si
trova”.
Il ricordo della profezia della
Cooman mi provocò una violenta
stretta di rimorso allo stomaco: sì, avevo capito fin troppo
bene cosa sarebbe
accaduto, a cosa avrebbe condotto la mia decisione di non abbattere
Minus,
quindi tutto il sangue che sarebbe scorso sarebbe stato anche sulle mie
mani. Con
voce sconfitta, domandai: “Quindi, ora cosa mi aspetta? Se ho
fallito la
missione, se non sono riuscito a cambiare il corso del Fato,
perché sono ancora
qui?”. Poi, benché fossi tutt’altro che
certo che fosse quello che realmente
volevo, aggiunsi in un sussurro: “Tu… tu potresti
riportarmi indietro?”.
Assumendo un’aria vagamente
afflitta che poco si addiceva al
suo aspetto splendente, la donna rispose: “No, Matteo. Io non
ho il potere di
farti compiere il viaggio a ritroso. Come ti ho detto, io ho fornito
solo
l’energia necessaria per portarti qui, e questo mi ha quasi
ucciso. Non
fraintendermi, non esiterei a farlo di nuovo se potessi, ma non ne ho
la
facoltà: già la prima volta non avrei potuto fare
nulla, se una forza superiore
non me lo avesse concesso. Non so neppure – aggiunse,
guardandomi con
comprensione – se esiste ancora qualcosa dall’altra
parte alla quale potresti
tornare, non mi è permesso di vederlo”.
Un peso da una tonnellata
sembrò calarmi sul cuore: se
davvero era stata nella mia testa per tutto il tempo, doveva aver visto
quale
era la mia peggiore paura, e il fatto che neanche lei avesse una
risposta al
quesito che assillava le mie notti aveva inflitto un colpo devastante
alle mie
speranze.
Faticai enormemente a fare la domanda
successiva, perché
temevo terribilmente la risposta: “Ch…che cosa
devo fare? Sono destinato… a
sparire? A non esistere più né qui né
dall’altra parte?”.
Il sorriso della donna
tornò, almeno in parte: “No, non
credo che le cose stiano così. Non so che cosa ti aspetti,
ma il solo fatto che
tu esista ancora nel mondo nel quale sei giunto lo scorso novembre mi
fa
pensare che per te esista ancora un ruolo, che la tua presenza possa
rivelarsi
determinante in un modo diverso. Si sta avvicinando una tempesta, e tu
non
potrai evitare di affrontarla: il tuo tentativo di catturare Minus non
passerà
inosservato, occhi interessati già stanno pensando se
rivolgersi verso di te.
Ti aspettano giorni difficili, ed arriveranno presto, quindi dovrai
essere
pronto. Ricorda, però: anche nei momenti più
oscuri, la speranza rimane sempre,
anche se trovarla può essere difficile.”.
Improvvisamente mi resi conto che
qualcosa stava cambiando:
i contorni eterei della donna stavano diventando meno definiti, e anche
l’ambiente sembrava velarsi di una sorta di caligine bianca.
“Aspetta! Non andartene!
Non lasciarmi!” urlai, con una
punta di panico, mentre mi sentivo in qualche modo risucchiare lontano
dalla
donna.
“Non ti lascerò
mai – disse la voce sempre più distante, e
mentre qualcosa sembrava trascinarmi via da lei, vidi un ultimo,
dolcissimo
sorriso dipingersi sulle sue labbra: “Io ti
resterò vicina, qualsiasi cosa
accada. Buona fortuna, Matteo… o meglio, Joshua
Carter!”.