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Autore: ___Page    14/02/2021    2 recensioni
Le giornate si dilatavano all'infinito, senza un senso. Forse innamorarsi poteva dargliene uno. In fondo, avevano tutto il tempo del mondo.
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Raccolta di one shot sull'amore durante una pandemia globale. Coppie crack, tanto fluff.
*Il secondo capitolo partecipa al Crack&Sfiga Day, indetto dal forum FairyPiece*
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#1: Sanji e Usopp - Vicini di balcone
#2: Ace e Perona - L'amichevole rider di quartiere
#3: Shachi e Baby - Condivisione WiFi
#4: Izou e Pen - Il webinar
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altro Personaggio, Perona, Portuguese D. Ace, Sanji, Usop
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SAMOSA E RABIYAN



 
"Eravamo insieme, tutto il resto l'ho scordato" [Walt Whitman]


 

Era iniziata così. 
Quando Usopp diceva che era iniziata "così", parlando con Kaya e con Chopper, davvero non sapeva come essere più preciso né come dettagliare il "così". 
Le prime settimane di lockdown restavano confuse nella sua testa, la corsa alle mascherine, all'alcool, al gel per le mani, la riorganizzazione al lavoro, Chopper che se n'era andato da Kaya appunto, per evitare di contagiarlo. 
Usopp non andava d'accordo con la solitudine, con il panico generalizzato, con il fatto di non avere orari e con i fornelli. 
A un certo punto, una sera, era uscito sul balcone mentre il vicino di casa era sul proprio a fumare una sigaretta, sconsolato ma stoico, e avevano iniziato a parlare ed era iniziata così. 
Come Sanji fosse venuto a conoscenza della sua pessima routine alimentare, Usopp non lo ricordava. Usopp però era piuttosto certo che era stato in quel contesto che aveva scoperto che Sanji lavorava nella ristorazione, una delle categorie più colpite dagli avvenimenti in corso. 
Era stato allora, per provare a distrarlo, che Usopp si era sciolto e aveva iniziato a raccontargli sciocchi anedotti di lavoro e vita in generale, fino a trascorrere insieme l'intera serata. 
E il giorno dopo Sanji si era presentato con una scatola piena di cibo per Usopp e una per sé. Usopp aveva provato debolmente a declinare ma era bastata poca insistenza perché accettasse e gli proponesse, per sdebitarsi, di mangiare insieme sui rispettivi balconi e tenersi compagnia. Usopp lo aveva archiviato come un piacevole diversivo nella monotonia imposta dal piombo ambrato, ma era stato smentito quando Sanji aveva riproposto la cena in balcone, allungandogli un'altra scatola, avanzi che sembravano il cibo degli dei. Ed era successo di nuovo, il giorno dopo ancora. E quello dopo ancora. 
Per Usopp, che senza orari era uno stakanovista e mangiava spazzatura che lo avrebbe probabilmente portato a una prematura morte, Sanji era diventato una salvezza. Non solo perché, di fatto, lo nutriva, ma perché Usopp era tornato consapevole del tempo che scorreva, perché lo aspettava puntualmente alle ventuno e trentaquattro e, se aveva ancora del lavoro da sbrigare, lo metteva da parte e proseguiva l'indomani.
Aveva ricominciato a stare all'aria aperta, aveva ripreso a fare una pausa pranzo degna di tale nome, tutto per cucinarsi dei pasti decenti pur di non rovinarsi l'appetito in vista delle prelibatezze che Sanji condivideva con lui giornalmente.
E anche se un grazie a Sanji bastava, anche se, a suo dire, era Usopp che gli faceva un favore perché Sanji odiava sprecare il cibo, Usopp lo voleva ripagare. E lo ripagava nel solo modo possibile, con la sua sciolta parlantina e quelle mezze verità raccontate con così tanta maestria da cancellare le preoccupazioni dalla testa del cuoco, almeno finché non si salutavano per la buonanotte, in genere intorno all'una. 
Prima che se ne rendessero conto, era diventata un'abitudine. Era diventata quotidianità. 
Sembrava strano chiamare quotidianità una cena sul balcone, con addosso la giacca, con due balaustre e mezzo metro a dividerli. 
Ma ognuno aveva il proprio modo per sopravvivere alla pandemia. Per Sanji e Usopp erano anedotti abbelliti e scatole di "avanzi". 
«Samosa?» Usopp sollevò un sopracciglio, osservando il contenuto della scatola di quella sera. Di quante scatole fossero passate per le sue mani, aveva perso il conto. 
«Mh?» Sanji distolse lo sguardo dallo skyline cittadino, immerso nella penombra primaverile e picchiettò via la cenere dalla sigaretta, la sola che ormai fumava a volte senza neanche arrivare alla cicca, contro le quattro che era abituato a trangugiare, nell'arco della serata, quando lui e Usopp si erano conosciuti. «Credevo avessi problemi solo con i funghi» 
«Che mi hai comunque propinato l'altra sera» non riuscì a trattenersi Usopp, incassando con ormai consumata classe l'occhiataccia di Sanji. «E comunque io non credevo faceste cucina etnica» 
«Sono con il pesce, è una mia variante» Sanji si rilassò sulla propria sedia a sdraio, che Usopp lo aveva convinto a comprare, approfittando di un vergognoso sconto dell'ottanta per cento che Usopp si era guadagnato a suon di acquisti online durante l'anno precedente, in scadenza e che non avrebbe utilizzato per niente. Sanji aveva ceduto solo sotto minaccia di non accettare più il cibo che lui gli portava gratis tutti i giorni. «Ne ho fatta qualcuna in più apposta» ammise con noncuranza, come se non fosse sottointeso che aveva pensato a lui mentre cucinava. 
Usopp ringraziò la penombra che, alleata alla sua carnagione scura, era sufficiente per nascondere l'ombra più scura sulla punta del suo naso, e si concentrò sui triangoli di pastella, afferrandone uno per assaggiarlo con sacra attenzione. 
Il guscio esterno, per niente unto, crepitò sotto i suoi denti prima di sciogliersi tra le sue papille, liberando il ripiedo morbido, lievemente piccante e con una punta di fondo appena dolciastra. 
«Porca miseria, Sanji!» Usopp si portò una mano alla bocca, incapace di aspettare di aver mandato giù il boccone per esprimere il proprio estasiato giudizio. «Ma c'è del cocco?» chiese, curioso ed entusiasta di tutto, come era Usopp. Usopp che era un chimico, o forse un unabomber, mancato e che si esaltava per tutto ciò che prevedeva sperimentazione e intrugli. Usopp per cui la cucina era un'arte, e Sanji un artista, ma che minimizzava l'effettiva bellezza del ritratto a carboncino che aveva fatto a Sanji la settimana prima. 
"È merito del soggetto" così aveva risposto agli elogi di Sanji, affogando più che poteva nella propria kefia. Chopper avrebbe disapprovato ed era tutto dire. Ma Usopp era così, bravo a lodarsi finché era tutta una posa, pessimo a credere in se stesso e nelle proprie capacità, che erano tutt'altro che poche. 
Sanji ne era affascinato, in un modo che non sapeva spiegare e non gli interessava spiegare. Gli bastava dividere e condividere con lui la cena e la serata, gli bastavano il suo parere, i suoi consigli, le sue storie. Gli bastava avere una propria dimensione che avesse un senso, in quell'insensata pandemia. 
«Latte di cocco» precisò il cuoco, con un sorriso che mai sarebbe riuscito a trattenere, non con davanti Usopp che trangugiava l'altra metà di samosa e poi si leccava le dita prima di attaccare la seconda. «Capesante, latte di cocco, zenzero e...» 
«Cardamomo» Usopp lo precedette, quasi un pensiero ad alta voce, un'illuminazione improvvisa.
«Esatto» confermò Sanji, con un cenno del capo. 
Usopp mandò giù, ignorando il fremito dalla safena al cervelletto. Doveva essere un caso, era stupido pensare che Sanji avesse messo il cardamomo in un proprio piatto solo perché due sere prima Usopp gli aveva raccontato di come sua madre mettesse quella spezia ovunque, quando suo padre gliene portava di ritorno da uno dei suoi viaggi di lavoro, incapace di centellinarla, nonostante non potessero permettersi di averne in casa sempre visto il costo dell'ingrediente. 
A ripensarci, era strano persino che Usopp gli avesse rivelato tanto. Era un argomento che neanche i suoi più cari amici avevano potuto conoscere così approfonditamente in una sola volta, tranne Rufy che frequentava casa Sharpshooter dall'infanzia ed era come un nipote per Banchina e Yasopp. 
Ma Sanji non era un suo caro amico. Sanji era qualcosa di indefinito che lo stava tenendo a galla in quelle interminabili giornate di lavoro e nulla, che nessuno sapeva quando avrebbero avuto fine. L'onestà gli era dovuta e Sanji la faceva apparire allettante quanto un suo piatto. 
E ciò nonostante, Usopp doveva tenere a mente che non poteva che essere un caso. 
«Sono contento che ti piacciano» la voce di Sanji lo trascinò fuori dai propri pensieri e di nuovo nella realtà. «Le ho chiamate nagai hana samosa» 
«Suona bene» ribattè di getto Usopp e Sanji sapeva che una risposta così rapida da parte sua, significava che era sincera. «Vuol dire qualcosa in particolare?» 
Sanji rimase in silenzio qualche secondo, soppesando la sigaretta tra le dita, prima di decidersi a spegnerla e schiacciarla nonostante fosse poco oltre la metà. «Ha solo un bel suono» replicò, afferrando il calice di vino bianco ed estendendo il braccio nel vuoto che li separava, il busto piegato in avanti. 
Usopp lo imitò, la propria, più economica birra in mano. 
«Alle nagai hana samosa?» domandò e Sanji tornò a sorridere. Chissà cos'avrebbero detto al lavoro se lo avessero visto sorridere così tanto. 
«Alle nagai hana samosa» 


 
***


«Io sono bi» 
Un momento di silenzio si dilatò mentre Sanji metabolizzava la frase semplice che Usopp aveva appena pronunciato. 
«Cosa...»
«Sono bisessuale. Tra il livello quattro e il livello cinque della scala Kinsey per essere precisi. Ho fatto il test perché me lo ha chiesto Kaya, tra l'altro l'ho dovuto rifare tipo cinque volt...» 
Sanji cercò di restare concentrato sul racconto a mitraglia di Usopp, che mascherava splendidamente un nervosismo di cui il cuoco non si sarebbe riuscito ad accorgere comunque, non in quel momento. Era troppo concentrato a cercare di dare un nome a quello che stava provando lui, a cercare di capire perché la nuova l'informazione lo avesse scombussolato così tanto. 
Non era niente che potesse cambiare la sua opinione di Usopp.
«S-Sanji?»
Purtroppo, Usopp smise di parlare che Sanji non era ancora riuscito a trovare una risposta all'annosa questione e cercò rapidamente qualcosa da dire, anche se non aveva sentito praticamente una parola. 
«Quindi...» Sanji scosse il capo e si impose di tornare al suo solito tono neutrale. «Quindi insomma, sei bisessuale ma preferisci le donne?» chiese e quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Non sapeva neanche lui che stava per domandarglielo finché non lo aveva domandato e come si incastrava con tutto il resto? 
A giudicare dall'espressione di Usopp, se lo stava domandando anche lui ma per fortuna recuperò prima che il tutto diventasse troppo imbarazzante. 
«N-no, no quello sarebbe il livello uno, io sono praticamente, cioè no, non è proprio vero ma mi avvicino m-molto a essere, ecco, a essere g-g-gay» la voce gli morì in gola, gli occhi a fissarsi le pantofole, il respiro bloccato, in attesa. 
In attesa che Sanji si alzasse, tornasse in casa per non uscire più, non quando c'era fuori anche lui, non portargli più nessun avanzo, non passare più la serata con lui. Non sarebbe stata la prima volta che gli capitava, ed era anche tentato di darsi dello stupido per averglielo rivelato così, quando in fin dei conti non era necessario. 
Ma Sanji gli aveva chiesto un consiglio su una certa Purchan che lavorava con lui e le parole si erano formate praticamente da sole sulla sua lingua e Usopp non si nascondeva, non più, non con Sanji. 
«Ma hai detto che lo hai fatto per Kaya» 
Usopp sollevò la testa di scatto e immediatamente riprese a darsi dell'idiota, ma stavolta per aver pensato che Sanji si sarebbe mai potuto rivelare così infimo. Sanji che invece si era girato completamente verso di lui e aveva negli occhi così tanta fame di sapere, così tanta fame di capire. 
E nella sua voce vibrava qualcosa di simile ad attesa... aspettativa... sper...
«Sì, per la sua tesi» ripeté Usopp, conscio che probabilmente Sanji non aveva sentito la prima volta. «Kaya vuole diventare sessuologa e... cioè io e Kaya non... non in quel senso!» rise Usopp, perché non aveva senso e perché era così sollevato. Non sapeva neanche lui per cosa. «Sì insomma io credevo di avere una cotta per Kaya ma a otto anni e solo perché ho visto dei fiori e ho pensato di regalarglieli perché mi avevano fatto pensare a lei e cioè, io non, io... io preferisco gli uomini!» riaffermò tutto d'un fiato, lo stomaco che sfarfallava come se lo avesse appena urlato al mondo intero anziché a Sanji. 
Sanji che respirava piano, come se stesse calibrando la sua stessa energia per sostenere il peso di qualcosa che lo faceva apparire incredibilmente... leggero. 
«Mi hai chiesto un consiglio riguardo a questa Purchan e v-volevo ecco... essere chiaro» Usopp esalò, sfregandosi la punta del naso.
Sanji sbatté le palpebre lentamente, rimettendosi più dritto dalla posizione proiettata in avanti, verso la balaustra, verso Usopp, senza però staccare gli occhi da lui. 
«A dire il vero era un consiglio per mio fratello Yonji. Avrei dovuto specificarlo ma è con lui che Purchan ha litigato e non so come aiutarlo perché l'impulso è quello di prenderlo a calci per averci discusso e dubito che sarebbe di aiuto e tu sei così pieno di risorse e ho pens...»
«Sanji! Sanji, respira!» Usopp si sporse verso di lui ma Sanji neanche si era accorto si fosse alzato e avvicinato alla balaustra e quando lo vide estendere il busto nel vuoto, non riuscì a trattenersi, scattò verso di lui e allungò le mani per prenderlo, afferrarlo, fare qualcosa. 
La mano di Usopp si chiuse sul suo avambraccio, una stretta sicura ma non tale da non poter far scorrere le dita giù, lungo il suo polso e fino al suo palmo, incastrando le loro mani con un sorriso. 
«Posso provare ad aiutarti, anche se non ho esattamente esperienze di prima mano» 
Sanji si fece violenza per staccare gli occhi dalle loro mani, per ignorare la sensazione che gli crepitava nelle vene, metterla da parte fino a fine serata, per rifletterci con calma, quando davvero non avesse avuto di meglio da fare. 
Alzò gli occhi su Usopp e annuì piano, il braccio ancora teso, le dita ancora contratte in una presa che non voleva allentare.
Non sapeva cosa stavano facendo. E, per il momento, non gli serviva saperlo. 

 

***


Poi le cose erano cambiate. 
Le cose erano cambiate e Usopp sarebbe dovuto essere felice. 
Quel cambiamento significava che, forse, dopotutto, si poteva trovare un modo per convinvere con la pandemia. 
Quel cambiamento era non solo inevitabile ma auspicabile. 
Quel cambiamento avrebbe impedito al ristorante di Sanji di fallire e Usopp sarebbe dovuto essere felice. 
E Usopp era felice. Per Sanji. 
Per se stesso provava un'egoistica prostrazione. 
Erano stati tre giorni infiniti. Tre lunghe, interminabili mattine, seguite da tre lunghi, interminabili pomeriggi, durante i quali Usopp aveva fatto ciò che sempre faceva - lavorare, videochiamare i suoi, videochiamare Rufy o Perona, aggiornarsi con Kaya e Chopper su come girava in ospedale - ma senza aspettare le ventuno e trentaquattro. 
Si era sforzato di continuare a cucinarsi dei pasti per lo meno accettabili, ovviamente aveva controllato l'orologio, appurando che il tempo scorreva con lentezza esasperante, ma senza aspettare le ventuno e trentaquattro. 
Non più. 
Finalmente i ristoranti avevano potuto ricominciare a lavorare, non solo con l'asporto, e Usopp era felice per Sanji. 
Sperava che anche Sanji lo fosse, immaginava che lo fosse, era probabile che lo fosse. 
Ma non poteva averne conferma, perché erano tre giorni che non vedeva Sanji. Preso come era stato ad aiutare al ristorante per attrezzarsi e organizzarsi secondo le nuove norme di sicurezza, Usopp non era neanche certo che fosse rientrato a dormire e, comunque, non erano affari suoi. 
Anche se aveva passato un'ora sul balcone ogni sera, tra mezzanotte e l'una, e mai una luce si era accesa nell'appartamento vicino, non erano affari suoi. 
Anche se gli mancava e non gli sembrava più di avere tanto uno scopo nella vita al di fuori del lavoro, che rischiava di ricominciare a fagocitarlo, non erano affari suoi. 
Era un suo problema ma non affari suoi. 
Aveva il legittimo dubbio che qualsiasi cosa fosse che lo legava a Sanji non fosse molto sana, ma aveva anche il legittimo dubbio che non se ne sarebbe dovuto preoccupare poi più di tanto, ora che Sanji aveva ripreso la propria routine. E non che acussasse Sanji di essersi disinteressato a lui, non avrebbe mai potuto, non lo pensava nemmeno e capiva. 
Usopp capiva ed era felice per Sanji. Se solo non gli fosse mancato così tanto. 
Si sentiva ridicolo e patetico. E per sentirsi un po' meno ridicolo e patetico quella sera, la terza, si era imposto di non uscire sul balcone, né di continuare a lavorare. Per sentirsi meno ridicolo e patetico aveva rispolverato la sua vecchia consolle, e stava giocando a un videogame il cui villain di turno lo stava riducendo in poltiglia.  Imprecando a voce bassa, cercò di recuperare ma neanche ricordava i comandi e, sconfitto, osservò lo schermo diventare il nero sfondo per la sfavillante scritta Game Over. 
La voglia di scaraventare il joystick contro la tivù, e la tivù con la consolle ancora attaccata giù dalla finestra, lo attanagliò per un lungo attimo. Scosse energicamente la testa. 
Era patetico. Ridicolo e patetico. Neanche Sanji fosse partito per la guerra! Abitavano uno accanto all'altro, poi! Prima o dopo si sarebbero rivisti no?!
In uno slancio di rabbia agitò il joystick nell'aria, rischiando di staccarlo dalla consolle, e si fermò per il suo del campanello. Accigliato, Usopp lanciò un'occhiata alla porta, che intravedeva dalla sua posizione sul pavimento, e poi all'orologio. 
Le ventitré e diciotto. 
Con un sospiro si sollevò e avviò all'ingresso, si accorse di non avere la mascherina, tornò indietro a recuperarne una poi di nuovo all'ingresso. Vista l'ora doveva essere la vecchia Nyon, che aveva inconsapevolmente cambiato l'input d'ingresso e ora non capiva perché la sua televisione fosse diventata tutta nera. 
Di nuovo. 
«Nyon, buonasera! Mi lasci indovinare, la televisione è diventata tutta... nera...» l'espressione scettica di Usopp virò all'incredulo e poi al preoccupato. 
Non perché fosse strano che Sanji fosse lì, sul pianerottolo dei loro appartamenti. Neanche perché Sanji avesse suonato alla sua porta, era stato Usopp per primo a sperare di rivederlo. 
Ma, al di là della dissonanza cognitiva di trovarlo alla porta, senza niente a dividerli, dopo settimane di comunicazione solo attraverso i balconi, Sanji aveva l'aria di un uomo che aveva appena seminato il diavolo alle sue calcagna. 
Il fiatone, la fronte imperlata di sudore, il tremito che lo scuoteva che sarebbe potuto passare inosservato se non per la scatola che ballava la conga tra le sue mani.
«San?» 
«È una torta» mormorò nella mascherina con il respiro grosso, gli occhi puntati sul busto di Usopp. «Purchan l'ha chiamata torta rabiyan, base biscotto, ganache di cioccolato bianco e fragole ed è tutta decorata, ricorda un tappeto orientale» 
«Sanji, che ti prende? Guardami!» Usopp avanzò di mezzo passo e Sanji indietreggiò di uno. 
Un brivido scosse Usopp. Okay, okay non stava andando in panico, assolutamente no. Non lui, il grande Usopp Sharpshooter. 
«Ha detto che era la torta più adatta per... per questo...» la voce morì nella gola di Sanji, il cuoco sospirò mandando Usopp ancora più in confusione. 
«Questo?» domandò con cautela. 
«Sono stati tre giorni infernali, Usopp. Tu... io... è un casino là fuori, sai? Ed è stato un inferno, con le distanze, la sanificazione, l'ansia di sbagliare qualcosa, la mascherina e in tutto questo il mio unico, ridodante pensiero è stato che non sarei tornato la sera da te» Sanji si lasciò scappare una risata, che non era poi molto divertita quanto più sardonica, al pensiero che alla fine i commenti i colleghi li avevano fatti perché di colpo aveva smesso di sorridere. 
Di nuovo. 
Neanche si era accorto di aver iniziato a sorridere sempre, anche quando Usopp non era in giro. 
Prese un profondo respiro, e alzò gli occhi a incrociare quelli del moro, che aveva tutta l'aria di essere in apnea. 
«Sono bisessuale Usopp. Sul livello uno della scala Kinsey da quello che dice il test che ho fatto online, che non penso sia attendibile come quello che hai fatto tu, e poi all'inizio credevo che si scrivesse come il tipo di Harry Potter, sai, Kingsley, e non è che mi servisse davvero farlo, cioè lo avevo già capito in cuor mio che la mia sporadica omosessualità è così sporadica perché è limitata a te» Sanji si fermò per mandare giù un po' di saliva e il brevissimo attimo di silenzio si riprodusse nella testa di Usopp come un boato dietro l'altro, nel realizzare che quella di Sanji era una confessione per lui. 
Per. Lui
«Io lo so che non ci possiamo fare niente e... cazzo, non so neanche se la cosa è reciproca io...» Sanji si passò le mani sul viso, neanche conscio che Usopp gli aveva tolto la scatola con la torta e l'aveva appoggiata sul primo ripiano disponibile. «I nostri orari non coincidono e io sto a contatto con il pubblico e tu no e non posso chiederti di aspettare fino alla fine di questa maledetta pandemia, non so cosa fare Usopp, io n...» 
Lo strattone lo colse impreparato, così come la porta che si richiudeva violenta alle sue spalle, ma mai quanto le dita che gli abbassavano la mascherina e le labbra che si posavano sulle sue. 
Scariche elettriche schioccarono nella sua testa e nella testa di Usopp, ancora e ancora e ancora, ad ogni tocco, morso, respiro. 
Poi un formicolio sulle labbra umide e di nuovo a contatto con l'aria e non era abbastanza, quel bacio non era neanche lontanamente abbastanza dopo settimane di inconsapevole attesa e desiderio. Ma Sanji desistette dal ributtarsi su di lui quando Usopp trovò un po' di voce rauca per dirgli «Si può fare che torni da me alla sera e ci svegliamo insieme alla mattina, se vuoi» 
E Sanji voleva, oh se voleva, e voleva quel sorriso e voleva un altro bacio e...
«O-okay» mandò giù senza fiato e Usopp annuì. 
«Okay» rispose anche lui, con un sorriso che aveva qualcosa di strano. Come nervoso, congelato. 
Terrorizzato? 
«Ora tu a-accomodati pure» Usopp si staccò da lui, barcollando appena mentre si passava una mano sulla fronte. «Io vado ad avvisare Chopper che ho b-baciato il mio neo-fidanzato che sta a contatto con la gente e che probabilmente d-domani morirò di piombo ambrato» 
«Cos... Usopp! Usopp dai! Non farla così tragica! Usopp!» 




 
 
 

Angolo dell'autrice:
Ho avuto l'idea per questa raccolta due giorni fa, leggendo un articolo, e sono rimasta folgorata, o forse fulminata, e quindi eccomi qui. È una raccolta senza grandi pretese, per dare spero un po' di leggerezza a chi vorrà leggerla. 
Ringrazio di cuore Zomi per il suo sempiterno sostegno, la pazienza e i consigli. 
"Nagai hana" vuole dire "naso lungo" in giapponese. Perché mai Sanji dovrebbe usare il giapponese per dare il nome a un proprio piatto non lo so, ma suonava bene e non mi pento di niente. Rabiyan invece è il tappeto volante di Pudding, non so se sia un nome sensato per una torta ma mi piaceva troppo e non ho resistito. 
Il titolo della raccolta è impunemente preso dal film omonimo (ma che parla di tutt'altro) del 2012, che consiglio nella sua romantica malinconia. 
Un bacio grande a tutti e buon San Valentino! 
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