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Autore: ___Page    21/02/2021    1 recensioni
Le giornate si dilatavano all'infinito, senza un senso. Forse innamorarsi poteva dargliene uno. In fondo, avevano tutto il tempo del mondo.
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Raccolta di one shot sull'amore durante una pandemia globale. Coppie crack, tanto fluff.
*Il secondo capitolo partecipa al Crack&Sfiga Day, indetto dal forum FairyPiece*
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#1: Sanji e Usopp - Vicini di balcone
#2: Ace e Perona - L'amichevole rider di quartiere
#3: Shachi e Baby - Condivisione WiFi
#4: Izou e Pen - Il webinar
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Altro Personaggio, Perona, Portuguese D. Ace, Sanji, Usop
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MINUTO PIÙ, MINUTO MENO



 
"La felicità è un'abitudine. Coltivatela" [Elbert Hubbard]


 

Per Perona, le abitudini erano importanti. 
Le davano continuità, sicurezza, controllo. 
Erano capisaldi di cui non riusciva a fare a meno, come dormire rivolta alla finestra, svegliarsi almeno un quarto d'ora prima di alzarsi, non farsi mai la doccia al mattino e truccarsi, anche se non poteva uscire di casa, come nessun altro, dopotutto. 
A Perona, le continue modifiche alle normative per contenere il contagio del piombo ambrato, con cadenza bisettimanale, stavano rischiando di portarla sull'orlo della pazzia e se ancora riusciva a mantenersi sana, era merito della sua routine. 
A Perona, le abitudini servivano. 
Le pause attentamente scandite, lo skincare della mattina e della sera, il giro dopo pranzo nel giardino comune, la veloce telefonata a casa sul balcone nel tardo pomeriggio. 
Per Perona, le abitudini erano una salvezza ed erano intoccabili. 
Non era come se rispettasse pedissequamente un qualche schema appiccicato al frigo. Semplicemente le azioni si susseguivano naturalmente e le davano un senso di equilibrio, di cui Perona non poteva fare a meno, a maggior ragione in un momento tanto incerto. 
C'era da dire che Perona rientrava in quella percentuale di popolazione che non aveva poi patito molto l'inizio della pandemia e del lockdown. Non era stare a casa o da sola a crearle problemi, quello che Perona odiava erano le disposizioni in continuo cambiamento, che rendevano complicato organizzarsi pure per la spesa senza scombinare il suo schema giornaliero. 
Certo il trascorrere dei mesi si faceva sentire, essere fuori sede quello sì che le pesava vista la situazione, e le avrebbe fatto piacere riuscire a incrociare Monet un po' più spesso, cenare con lei e chiacchierare, ma Monet non si sapeva più neanche che turni facesse. Tornava quando tornava e neanche sempre, forse si era trasferita permanentemente da Yamato e Perona neanche lo sapeva. 
Ciò nonostante, Perona doveva ammettere di essere più fortunata della media. Una bella doccia e un po' di Netflix dopo lo studio in genere le bastava per scacciare l'inquietudine, se proprio non funzionava ripiegava su una videochiamata, che comunque non sostituiva quella del tardo pomeriggio ai suoi, che stava concludendo proprio in quel momento. 
«Buona serata allora, vi voglio bene» 
«Anche noi. Sei bellissima tesoro, tutta la mamma» 
«Boa non dovrei essere io a dirlo?» 
«Drag se aspettiamo te per un complimento esplic...» 

Perona chiuse la telefonata sul lieve diverbio che avrebbe probabilmente condotto i suoi genitori tra le lenzuola e si girò di spalle alla balaustra, scuotendo appena il capo. Si perse qualche istante a fissare il salotto attraverso la finestra, Kumachi messo a sedere di fianco alla coperta con il teschio messicano, suoi fedeli compagni di quelle serate. 
Si riscosse dopo qualche istante, dandosi una lieve spinta per rientrare e posando una mano sulla bat box appesa subito fuori dalla cucina. «Che tempi ci tocca vivere, Padron Moria» mormorò, la voce bassa per non disturbare il suo pipistello, non esattamente domestico e neanche esattamente selvatico. 
Scivolò in casa, sbirciando distrattamente l'orologio sopra il frigo, e si sorprese di vedere che erano quasi le sette. Era stata al telefono più del solito ed era mercoledì. Sarebbe arrivato a momenti. 
Il citofono trillò un secondo dopo. Perona richiuse la portafinestra e afferrò il piatto posato sul tavolo mentre raggiungeva l'ingresso con il suo passo quasi fluttuante. Pigiò il tasto che apriva il portone senza darsi pena di rispondere, afferrò la maniglia e, sentito l'ascensore rollare giù dalla propria tromba verso il pian terreno, prese a contare mentalmente prima di aprire la porta con impeccabile tempismo. 
L'uscio scricchiolò sui cardini mentre l'ascensore scampanellava il proprio arrivo, e un refolo di aria fredda risaliva dalle scale. Ottobre alle porte si faceva sentire. 
«Buonasera» 
Perona lo fissò scettica dalla porta, perché lo fissava sempre scettica ogni volta che lui usava quel tono cantilenante e vagamente suadente per salutare, e cioè sempre. Attese che l'ascensore si fosse almeno richiuso prima di offrire il piatto. 
«Ho fatto le focaccine» annunciò e seppe che Ace stava sorridendo quando i suoi occhi divamparono per un attimo prima di ridimensionarsi a un luminoso bagliore. 
Perona era affascinata da come l'uso della mascherina l'avesse resa così attenta e consapevole di cosa succedesse negli occhi delle persone. 
«Perona così mi vizi. Potrei abituarmici» 
«Se non le vuoi basta dirlo» ribatté subito, arcuando le sopracciglia. 
Per tutta risposta, Ace allungò una mano per farsi consegnare una focaccina, senza contaminare le altre presenti nel piatto, e si sfilò la mascherina da un'orecchio. Perona fece un passo indietro, compensando con più distanza il fatto di non indossare la mascherina, mentre rifletteva sulle parole di Ace. 
Potrei abituarmici.
Perona sapeva che tutta la situazione con Ace non rientrava nell'ordine della normalità, come niente da quando il piombo ambrato aveva iniziato a girare per il mondo. 
Il fatto era che, normale o no, lei ci si era già abituata eccome. Se l'era concesso una volta appurato che Ace faceva sempre lo stesso turno il mercoledì e che la consegna di fine giornata era sempre la sua, tanto che aveva iniziato a sospettare che vivesse lì vicino. 
La spesa online era comoda, per lei forse necessaria, e Perona inizialmente si sarebbe accontentata di farsela consegnare sempre lo stesso giorno e sempre verso sera. Non aveva osato sperare sempre dalla stessa persona e sempre alla stessa ora. 
E si sarebbe limitata a ringraziare il karma se Ace non fosse stato così... loquace. E carino. Troppo curioso, perfino invadente. Ma carino. 
Aveva un naso carino e un modo di fare carino. La sua voce non era qualcosa che Perona avrebbe definito carina ma non perché la trovasse poco piacevole e le lentiggini... quelle erano sfortunatamente davvero molto, troppo, eccessivamente carine. 
E sarebbe dovuto essere illegale per Ace girare con la mascherina sagomata che lasciava gli zigomi scoperti. D'altronde, se Ace non fosse stato così loquace, sarebbe rimasto per sempre "Il rider con le lentiggini". 
E se Ace non fosse stato così invadente - curioso, invadente, era un dibattito ancora aperto - Perona non gli avrebbe mai rivelato il proprio nome, non avrebbe iniziato a parlarci, non si sarebbe abituata
Come fossero passati dai cortesi "come stai" a raccontarsi eventuali anedotti degni di nota delle rispettive settimane a Perona non era chiaro. Era successo in modo naturale, come tutto accadeva con le sue abitudini. E ciò nonostante era importante chiarire che le focaccine le aveva cucinate per sé. 
Per sé. Non per Ace. 
Semplicemente, potendo scegliere tra oggi e domani, aveva scelto oggi perché era mercoledì. 
Fine della storia. 
«Sono buonissime, grazie» 
Perona si riscosse e rialzò gli occhi appena in tempo per cogliere uno scorcio di sorriso, mentre Ace risistemava correttamente la mascherina. 
«Allora, qualcosa da raccontarmi?» chiese, entrando in casa. Sganciò le cinghie dello zaino termico e lo depose a terra per aprirlo, mentre Perona socchiudeva la porta. 
«A Padron Moria piacciono le prugne» replicò, mentre convalidava la consegna dal proprio cellulare. 
Ace la guardò da sotto in su, ancora chinato per estrarre i sacchetti della sua spesa. «Settimana poco entusiasmante ah?» 
Perona fece spallucce. «Lockdown. E tu? Successo niente?» 
«Solo una tipa ieri che ha inserito l'indirizzo sbagliato e poi ha sclerato perché ho consegnato in ritardo. Ordinaria amministrazione» cercò di minimizzare con una scrollata di spalle e un sorriso ma a Perona non era sfuggita la scintilla di tensione nei suoi occhi. Se era vero che tutto il mondo era vessato dal lockdown, Ace era decisamente una delle categorie più stressate del momento, a contatto con gente sempre più nervosa, sempre meno gentile, con l'obbligo di essere sempre cortese, sorridente, paziente. 
«Ha fatto reclamo?» 
«Devo rispondere?» Ace sollevò un sopracciglio, mani sui fianchi. 
«Stronza» la parola le sfuggì attraverso i denti serrati, gli occhi dardeggianti che fissavano il vuoto. 
«Ehi!» Ace scoppiò a ridere dopo un momento di incredula interdizione. «Tranquilla! Mi sono preso una lavata di capo tutta telefonica e la cosa è morta lì» ammiccò verso di lei. «Non che non mi faccia piacere averti come guardia del corpo ma non voglio che ti preoccupi dove non serve. Hai già l'università che ti fagocita» 
Il tono era leggero ma i movimenti tradivano molta più stanchezza di quella che dava a vedere e Perona provò uno strano moto di qualcosa, che dopo due settimane cominciava a identificare come un non meglio definito impulso di invitarlo a cena. 
«Beh io ora levo le tende, scusa per l'intrusione. Ci vediamo mercoledì prossimo» 
«Aspetta!» Perona lo fermò sul pianerottolo prima di rientrare in cucina e aprire un cassetto alla ricerca di un sacchettino di carta alimentare, dove fece scivolare cinque focaccine, prima di sigillarlo e, tornata all'ingresso, tenderlo con cura a Ace. 
«Uh?» 
«Le puoi mangiare mentre ti prepari la cena» spiegò senza guardarlo, ma anche così si ritrovò quasi acceccata dalla luce che emanava da Ace. 
«Grazie Perona!» 
«Non è niente di che. A mercoledì» borbottò lei, richiudendo la porta. 



 
***

 

Era stato tra il dodicesimo e il quindicesimo mercoledì che era successo, e Perona sapeva che non andava affatto bene. 
Poco importava che poi Usopp l'avesse rassicurata, Usopp era ancora nel pieno della fase luna di miele con quel Sanji della porta accanto, Usopp non era attendibile. 
Ma lei neanche era tutta questa lucidità al riguardo. 
Stavano parlando, o meglio lei stava animatamente raccontando a Ace di un'assurda discussione avuta quella mattina durante una lezione su zoom, iniziata come un dibattito e finita a male parole. Ora delle sette, Perona era ancora talmente incredula per l'accaduto che, appena era arrivato, aveva raccontato tutto a Ace, come un fiume in piena. 
«Ma questa gente fa l'università?» domandò Ace incredulo. 
«Sì!» confermò Perona, esasperata. 
«Io pensavo che per fare l'università si dovesse essere intelligenti» 
«Esatto!» Perona lo indicò a braccio teso, grata che avesse colto, grata di avere qualcuno accanto che la capisse. «Santa merda secca, come sono nervosa» mormorò Perona, massaggiandosi le tempie. «E ho anche finito Bly Manor ieri sera» sospirò sconfortata. 
Ace si accigliò, perdendo per un attimo lo sguardo nel vuoto, a inseguire un pensiero. «Un mio amico, quello che fa il designer, non so se hai presente...» 
«A-ah» confermò Perona, massaggiandosi lo scalpo a occhi chiusi per rilassarsi. 
«Mi ha parlato di un film su Netflix, un horror con le gallerie d'arte. Velvet qualcosa. Magari puoi provare a vedere quello stasera» 
Perona socchiuse gli occhi, riflettendo sulle parole del rider. Non era una cosa usuale proporre un horror per una serata di relax e Perona si stupiva ancora di quanto Ace l'avesse inquadrata bene. 
«Grazie» la voce morbida e le labbra piegate in un sorriso dolce che svanì lentamente dal suo volto, quando Perona si rese conto della situazione. 
Perché, che cosa ci faceva Ace seduto al suo tavolo? Da quanto stavano effettivamente parlando e soprattutto...
Dominandosi per continuare ad apparire controllata, Perona si guardò casualmente intorno e no, non se l'era immaginato. 
Ace le aveva davvero dato una mano a mettere via la spesa mentre la ascoltava blaterare. Era l'unica spiegazione logica per cui, tutto quello che andava nei vani più alti dell'eccessivamente alta dispensa non si trovava sparpagliato sul tavolo o ancora nei sacchetti a terra. 
In realtà, ora che ci pensava attentamente, ricordava di avergli indicato lei dove mettere cosa. 
Non andava affatto bene. O forse sì? 
Ace appariva talmente a proprio agio seduto al tavolo della cucina di casa sua, che il dubbio era più che legittimo. Sembrava così... così... giusto. 
Perona si ritrovò a respirare pianissimo, le labbra schiuse e la familiare sensazione che montava dentro di lei. 
«Ace...» 
Ti va di restare per cena?
La suoneria del suo stesso cellulare la fece saltare in aria come un petardo e, tra lo spavento e la confusione per quello che stava per succedere, - anche se non stava per succedere niente, niente! Stava solo per fare una domanda, una semplice e cortese proposta senza nessun significato profondo! - Perona rispose, praticamente in automatico. 
Era Usopp. Che ovviamente, come prima domanda, di rito, le chiese se disturbava e il silenzio era tale che le parole arrivarono senza fatica alle orecchie di Ace. 
Perona lo vide con la coda dell'occhio alzarsi e avrebbe voluto dirgli di aspettare, di restare, urlarglielo quasi. La violenza della sua stessa reazione interiore la lasciò così interdetta che quando Ace le fece capire a gesti che andava, a malapena riuscì ad alzare la mano per salutarlo. 
Fu solo quando la porta si chiuse che Perona riuscì a sbloccarsi. 
«Merda» sibilò a denti stretti. 
«È un brutto momento?» 
«No» sospirò Perona. «È solo che, ecco... quanto tempo hai? Okay, allora, è che c'è questo rider che...» 
Usopp l'avrebbe rassicurata, dicendole che forse doveva provare a vederla da una prospettiva differente. 
Ma Usopp, doveva tenerlo a mente, non era attendibile. 



 
***
 

Comunque, poi, Perona ci aveva provato, a vederla da un'altra prospettiva. Il fatto che Usopp vivesse al settimo piano della mesosfera da circa cinque mesi, magari lo portava a minimizzare la questione ma non lo aveva reso improvvisamente stupido o meno saggio. E, in effetti, Usopp aveva la sua parte di ragione. 
Che il suo rapporto con Ace fosse strano, era innegabile. Era anche vero che buona parte delle riserve di Perona erano autogenerate. 
Si teneva a distanza - metaforicamente, quella fisica era spiegata in plichi e plichi di decreti e normative -, perché non lo conosceva abbastanza da capire quanta confidenza poteva concedersi con lui. E non lo conosceva abbastanza da capire quanta confidenza concendersi, perché si teneva a distanza. 
Ecco perché il mercoledì successivo l'avvenimento che aveva soprannominato "L'inspiegabile incidente", Perona aveva deciso di proporre a Ace un impegnativo ma non troppo scambio di contatti. 
Telefonici. 
Monet aveva sottolineato con dovizia di malizia e soddisfazione quanto suonasse ambiguo se non lo specificava. Doveva assolutamente ricordarsi di specificarlo. 
Si morse il labbro inferiore mentre ricontrollava l'ora sul cellulare stretto in una mano, le braccia incrociate, l'altra mano che picchiettava a fior di dita sulla coscia opposta e Kumachi stretto nell'intreccio. 
Erano quasi le sette e lei era mortalmente agitata. Il che era perfettamente normale. 
Era gelosa della propria comfort zone, faticava a lasciar entrare chiunque, ergo era normale che fosse agitata. 
Ed era di conseguenza normale che il suono del citofono fosse bastato a farla sobbalzare, facendo scivolare Kumachi sulle sue ginocchia. «Non guardarmi così» sibilò all'orsacchiotto zombie, prima di sistemarlo con cura sul divano, prendere un bel respiro e andare ad aprire, senza rispondere com'era ormai abituata. 
Aprì la porta e ripeté mentalmente, per l'ennesima volta, quello che aveva intenzione di dirgli.
Era un discorso facile, conciso e diretto e lasciava spazio a più di un semplice sì o no. Anche se avesse declinato, Ace avrebbe trovato il modo di risponderle senza deluderla, ne era certa. 
Ne era certa perché, insomma, era di Ace che si parlava. 
«Buonasera» 
Ma purtroppo non era Ace quello che stava uscendo dall'ascensore. 
Perona fissò l'uomo corpulento davanti a lei, spalle larghe, cofana di capelli castani e un casco da moto in mano. 
Non lo aveva mai visto. Sbatté le palpebre un paio di volte ma ne era sicura. Non lo aveva mai visto, non sul suo pianerottolo per lo meno, neanche nel condominio in generale in realtà, e Perona avrebbe voluto non capire cosa ci facesse lì, perché avesse uno zaino termico in mano e perché fosse rivolto verso di lei, in attesa. 
Se fosse stata un po' meno interdetta, avrebbe probabilmente controllato che Ace non fosse nell'ascensore intento a farle uno scherzo. 
«Tu non sei Ace» 
Il rider si passò pollice e indice lungo la mascella squadrata, giungendo le dita sul mento. «No in effetti. Sono Satch» le fece l'occhiolino. «È un piacere, lei è la signorina Mihawk, giusto?» 
Perona annuì, le labbra strette e il respiro non proprio regolarissimo. 
Dov'era Ace? Quella non era la sua... la loro routine! Chi era quel tizio? E dov'era Ace?
«Qualcosa non va?» 
«Che?! No, no va tutto bene!» Perona rispose più piccata di quel che avrebbe voluto, estrasse il cellulare, convalidò la consegna e allungò le braccia per farsi consegnare i due sacchetti. «È stata solo una lunga giornata. Un'altra» 
«La capisco. Questo lockdown...» 
«Già» ribatté asciutta Perona, ritirandosi in casa. «Allora buona serata e grazie per la consegna» 
«Si figuri, a lei!» la salutò Satch, con un altro occhiolino, che Perona stava già richiudendo.
Si appoggiò di spalle e chiuse gli occhi, il cuore che batteva all'impazzata. 
Calma. Doveva stare calma. Non era per forza successo qualcosa. 
«Merda secca!» 



 
***
 

Il mercoledì successivo, alle sette minuto più minuto meno, il citofono suonò puntuale come sempre. Perona rispose. 
Era di nuovo Satch. 
Perona ritirò la spesa sul pianerottolo. 



 
***
 

«Se si fosse licenziato mi avrebbe avvisata»
«M-mh» mormorò Monet, continuando ad amalgamare la ghiaccia per guarnire i biscotti. 
«Ho pensato che avrebbe potuto prendere il mio contatto dai file di consegna» ammise Perona, lanciando un'occhiata di striscio alla sua coinquilina, per poi sospirare, girando gli occhi al soffitto. «Telefonico, il contatto telefonico. E detto così non suonava ambiguo» 
«Punti di vista» ribatté Monet rubando qualche goccia di cioccolato, il sorriso famelico. «Ad ogni modo, credo non sarebbe legale ma sì, avrebbe potuto. la ghiaccia è pronta» 
Perona estrasse la seconda infornata, posò la leccarda sul piano cottura, sfilò il guanto da forno e si avvicinò al tavolo su cui i biscotti della prima infornata aspettavano di essere decorati. Afferrò con entrambi le mani il bordo del tavolo, le braccia tese e il capo chino mentre sospirava. 
«Che altra spiegazione potrebbe esserci?» si arrese a chiedere. 
«Magari lo hanno obbligato a smaltire le ferie» considerò Monet, prendendo un fantasmino alla zucca e ponderando se decorarlo o assaggiarlo. «Oppure...» 
«Oppure?!» Perona si raddrizzò, speranzosa. 
Monet continuò a riflettere, mentre addentava il biscotto. «In realtà non mi viene in mente altro, Perona, mi dispiace» 
Perona sospirò di nuovo. «Non dispiacerti. Probabilmente è come dici tu, sarà in ferie» 



 
***
 

Il terzo mercoledì a fila che Satch si presentò puntuale a casa sua, Perona decise di farlo accedere almeno all'ingresso e che Ace era stato cacciato. Era la spiegazione più logica. Perona ci aveva pensato e ripensato ed era la spiegazione più logica del perché Ace fosse sparito nel nulla e non avesse cercato un modo per contattarla. 
Lo avevano licenziato loro, in tronco, e Ace non aveva fatto neanche in tempo a procurarsi il suo numero. 
Perona ne era certa. Era sicuramente andata così. 



 
***
 

I social non l'avevano aiutata. Ace era un nome non comune ma diffuso, Perona non conosceva altre informazioni personali, solo che faceva il rider, non sapeva precisamente di che anno fosse né i nomi dei suoi amici. 
Sapeva che c'era un designer, un cuoco, che aveva un fratello ma di nomi neanche l'ombra. 
Neanche di foto ne aveva trovate.   
Perona era ufficialmente a corto di risorse e pronta a giocarsi la sua ultima carta. Era mercoledì, il quarto da quando Satch aveva iniziato a portarle la spesa, erano quasi le sette e lei era decisa come un'Erinni all'Inferno. 
Satch poteva sapere qualcosa, o poteva conoscere qualcuno che poteva sapere qualcosa. Non era un novellino in quel lavoro, quindi per un periodo non meglio quantificabile era stato collega di Ace. Magari si conoscevano, magari Satch aveva un mezzo per metterla in contatto con lui.
Il citofono trillò nell'ingresso, Perona si staccò dal muro del balcone. L'idea di chiedere a Satch informazioni su Ace, e il suo numero, l'idea di confessare a Satch, o a chiunque, che voleva ritrovare Ace la metteva terribilmente a disagio, ma doveva farcela. 
Era importante. Era davvero davvero importante. 
«Andiamo a fare quello che si deve fare, Padron Moria» sussurrò, posando la mano sulla bat box nel passarci davanti. Con passo più fermo della sua convinzione, raggiunse l'ingresso e aprì senza rispondere. 
L'ascensore arrancò fino al piano con lentezza esasperante e Perona raccolse il coraggio a quattro mani quando si aprì con il suo tipico scampanellio. 
«Ehi ciao!» 
Per cinque, infiniti, immobili secondi, Perona smise di respirare. Poi, senza nessun preavviso neanche per se stessa, si sparò in avanti e lanciò le braccia al collo di Ace. 
«Ehi!» esclamò lui, con un'incredula risata, mentre si piantonava con i piedi per restare in equilibrio, afferrandola istintivamente per i fianchi. «Che accoglienza!» 
Perona inspirò a fondo, concentrata sul proprio corpo che aderiva a quello di Ace, come un coenzima nel suo sito. Si stava così bene lì, se solo...
«Non ho la mascherina» Perona realizzò di colpo e cercò di districarsi da lui ma Ace aumentò la presa su di lei. 
Perona non aveva idea di cosa stesse facendo, sul pianerottolo, ad occhi chiusi, appesa al ragazzo che le consegnava la spesa da mesi. Sapeva solo che la tromba delle scale era gelida e Ace era caldo come una stufa. 
«Stai» mormorò, affondando con il naso nelle ciocche rosa. «Tanto l'ho appena fatto» 
Perona riaprì gli occhi di scatto, il fiato sospeso. 
«Come?» riuscì a distanziarsi il necessario per guardarlo in volto. «Hai f... hai avuto il piombo ambrato?» domandò con malcelata agitazione. 
Ace batté le palpebre, gli occhi pieni di confusione. «Non lo sapevi?»
«Credevo ti avessero licenziato...» 
Come aveva potuto non pensarci? Era la cosa più logica, era così ovvio, era così plausibile e Monet... Monet ci aveva sicuramente pensato, perché non le aveva detto niente? Oh ma chi voleva prendere in giro, sapeva benissimo il perché! Sadica di una coinquilina! 
«Ero in quarantena. Satch ti doveva avvisare e mi ha detto che non avevi chiesto niente di me» 
Il cuore di Perona le salì in gola mentre sgranava i suoi già enormi occhi. «Beh è v-vero... ma non sapevo che fossi in isolamento! Satch non mi ha detto nulla!» 
Ace aprì e richiuse la bocca dietro alla mascherina, per poi serrarla e squadrare la mascella. 
«Bastardo. Chissà come starà gongolando» 
«Ace?» 
«Mi dispiace, Perona, io...» Ace la rimise a terra e si passò due dita sugli occhi mentre con l'altra mano sganciava esperto lo zaino. «Satch è uno dei miei più cari amici. Con questa situazione al lavoro gli girava male e così ho proposto al capo di assumerlo a chiamata, per tamponare i colleghi che devono chiudersi in casa per la quarantena» 
«Sì ma perché non ci ha detto niente?» 
«Perchè me la mena da settimane che dovrei smetterla di girarci intorno e invitarti a uscire. Avrà scomesso sulla tua reazione e sperato che mi avrebbe sbloccato» 
A Perona non piaceva essere prevedibile. Per una con una routine tanto scandita e ripetitiva era tutto dire, ma a Perona non interessava essere coerente. A dirla tutta, in quel momento non le interessava neanche non essere prevedibile o che Satch l'avesse in qualche modo "manovrata". 
In quel momento a Perona interessava solo e soltanto una cosa. 
«Ha funzionato? La strategia di Satch dico, ha... ha funzionato?» 
Ace era una persona temeraria. Aveva poche paure e tutte molto ragionevoli, venire rifiutato da una ragazza non rientrava nella lista. 
Ma le sensazioni che gli provocava quella ragazza, ben lungi dall'essere solo una ragazza. 
Mandò giù grosso, lo sguardo fisso negli occhi di carbone che lo stavano risucchiando. Era una sensazione tutt'altro che spiacevole e sarebbe stato un cretino a continuare a girarci intorno. Forse lo era comunque per averlo fatto per tutto quel tempo. 
«Sì» 
Perona distolse per un momento gli occhi e prese un profondo respiro.
«Ti va di restare per cena?» 
Ace esitò meno di un secondo, poi lentamente si sfilò la mascherina, rivelando un sorriso dentro cui c'era tutto l'universo. «A me andrebbe anche di restare per sem...» 
«Ehi, non ti allargare» lo rimbeccò Perona, cercando di suonare tagliente ma era poco credibile se non riusciva a smettere di sorridere. Le labbra ancora piegate, si morse quello inferiore, mentre allungava una mano, senza estrarre il cellulare e convalidare la consegna, perché non era la spesa il suo obbiettivo. 
La stretta di Ace nella sua era delicata e sicura insieme, mentre Perona lo guidava in casa, richiudendo la porta senza voltarsi indietro, il cuore che batteva all'impazzata. 
Per sempre era decisamente prematuro, ma sospettava che Ace avrebbe fatto in modo di fermarsi oltre il coprifuoco. 
L'idea non la turbava poi più di tanto. 


 



 
 
Angolo dell'autrice:
Buon C&S Day, gente!  
Grazie a questa raccolta riesco a partecipare anche quest'anno e le peripezie amorose in lockdown comunque non finiscono qui! 
Sì, c'è la citazione di Mulan perché Ace è fondamentalmente da sposare, pure quella di Spiderman e Perona non indossa mai la mascherina nella storia, neppure per il ritiro spesa, per non rovinare il rossetto. E perché è una cucciola, lo so che non c'entra niente ma volevo dirlo. 
Grazie infinite a tutti coloro che sono passati di qui, che mi leggete, che mi seguite, che mi spronate. 
Pace, bene e, soprattutto, amore a tutti. 
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