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Autore: Iander    23/04/2021    1 recensioni
Tony Stark. Un genio, miliardario, playboy, filantropo. E molto di più.
Pepper Potts. Assistente scrupolosa e impeccabile, poi amministratore delegato delle Stark Industries. E non solo.
La storia di un uomo che è diventato un eroe, di una donna dalla forza incrollabile, di un amore che ha affrontato ogni cosa e ne è uscito vincitore, nonostante tutto.
Dal capitolo 2: Armatura e computer, pezzi di ricambio e calcoli. Tutto perfettamente nella norma, non fosse per la persona che in quel momento occupava il divanetto dall’altra parte della stanza: Pepper sedeva placida con le gambe rannicchiate, un libro tra le mani e l’espressione assorta. Il fatto che stessero condividendo lo stesso spazio senza al contempo litigare, ridefinire accordi lavorativi o mettere i bastoni tra le ruote al cattivo di turno, ma solo per il piacere di trascorrere del tempo insieme, rendeva perfettamente l’idea di quanto la sua vita di recente fosse cambiata radicalmente.
[Raccolta; Pepperony; Tony&Peter]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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From Dusk Till Dawn
 




A Shilyss,
per avermi dato la spinta di cui avevo bisogno


 
Capitolo 4
Afterglow


Contesto: Iron Man 3
 

“Stop the clocks, it's amazing
You should see the way the light dances off your head
A million colours of hazel, golden and red
Saturday morning is fading
The sun's reflected by the coffee in your hand
My eyes are caught in your gaze all over again”


Il cielo era azzurro e terso quel mattino di mezza estate, così limpido da sembrare irreale. Di tanto in tanto era solcato da un gabbiano, le lunghe e bianche ali che si stagliavano nette contro lo sfondo ceruleo. In sottofondo si udiva solo il lento scrosciare delle onde contro la riva, un ritmico sciabordio in grado di rasserenare anche l’animo più inquieto.

Tony sospirò di piacere, assaporando l’insolita tranquillità. Il sole gli accarezzava dolcemente la pelle del viso mentre ammirava lo splendido panorama offerto dalla laguna. Nonostante vi avesse soggiornato in numerose occasioni, Venezia riusciva sempre ad affascinarlo come se fosse la prima volta: era impossibile non lasciarsi ammaliare dagli scorci suggestivi e dall’atmosfera di eterna bellezza che permeava la città.

Si portò con calma il drink alle labbra, sorseggiandolo senza fretta. Sentì provenire dal bagno il ronzio del phon, chiaro segno che Pepper era uscita dalla doccia e si stava asciugando con cura i lunghi capelli ramati. Complice una notte particolarmente intensa, quella mattina se l’erano presa comoda e si erano alzati molto più tardi del solito: erano quasi le undici quando si erano decisi a fare colazione. Non che avessero particolari urgenze, dopotutto erano in vacanza; tuttavia, erano entrambi tipi mattinieri e non amavano indugiare troppo tra le lenzuola – se non per piacevoli motivi, si intende.

Mentre aspettava che Pepper finisse di prepararsi, Tony aveva deciso di godersi il clima mite di quella giornata spaparanzato su una comoda poltroncina da giardino della loro terrazza privata, curata in ogni minimo particolare: dai vasi di fiori colorati al parapetto in legno che non ostruiva la vista sul mare, dalle sedie a sdraio in vimini alla piscina privata rivestita a mosaico, ogni dettaglio era studiato per garantire uno stile raffinato e signorile, tutt’altro che stucchevole. Nonostante il passare degli anni, il Cipriani manteneva intatta la sua classe e l’eleganza, dimostrandosi la scelta perfetta per una vacanza rilassante e del tutto confortevole [1].

Cominciando a sentirsi accaldato, Tony prese a slacciare con lentezza i bottoni della leggera camicia che indossava, scostandone i lembi ed esponendo il petto. Erano passati quasi cinque mesi dall’intervento durante il quale tutte le schegge impiantate nel suo torace erano state rimosse: la cicatrice si stagliava netta sullo sterno, un perfetto cerchio rosso in corrispondenza del foro in cui fino a poco tempo prima alloggiava il reattore. Nelle ultime settimane aveva iniziato a non sentire più dolore, segno che il suo corpo si stava ormai riprendendo definitivamente; e tuttavia, quando era sovrappensiero gli veniva ancora naturale portare una mano a tamburellare sul reattore, salvo poi ricordarsi che non c’era più.

Ci aveva messo un po’ a riabituarsi all’idea di essere un uomo normale; non un uomo comune – il suo intelletto aveva dato prova di una netta superiorità in più occasioni – ma normale, in grado di vivere senza dover dipendere costantemente da un oggetto di metallo collocato nel petto. Ne era ovviamente felice considerando le numerose grane che quell’aggeggio gli aveva procurato, tra cui una morte per avvelenamento scampata per un soffio, eppure un paio di volte gli era capitato di sentirsi quasi… nostalgico, nei suoi confronti. Tony arricciò il naso con sdegno, ripensandoci: non avrebbe mai creduto di potersi definire tale – e se ne guardava bene dall’ammetterlo, persino con se stesso. Ciononostante, quel minuscolo reattore aveva costituito una parte fondamentale di lui per cinque lunghi anni, dando inizio ad una nuova e strabiliante vita che, altrimenti, avrebbe difficilmente visto la luce: aveva avuto bisogno di farsi impiantare un cuore di metallo per capire che poteva essere una persona migliore, dedita a scopi più nobili; e gli era servito farselo togliere e gettarlo nell’oceano per comprendere che, nonostante tutto, lui era Iron Man e lo sarebbe stato per sempre.

L’intervento era stato lungo e rischioso, ma perfettamente riuscito e ora poteva definirsi un uomo nuovo di zecca; lo stesso discorso, seppur in circostanze diverse, valeva per la sua dolce metà. Prima di sottoporsi all’operazione si era dedicato interamente a Pepper, cercando di trovare un modo per bilanciare il siero presente all’interno del suo corpo e renderlo del tutto inoffensivo. Per riuscirci aveva impiegato qualche settimana e si era avvalso dell’aiuto di JARVIS: non che dubitasse delle proprie capacità – dopotutto, era un genio – ma voleva essere sicuro al 100% di aver fatto tutto correttamente e di ottenere un risultato ottimale; aveva già messo in pericolo Pepper in troppe occasioni, questa volta voleva garantirle solo certezze.

Lei si era mostrata decisamente coraggiosa: nonostante l’agitazione di fondo e il timore di perdere il controllo finendo per esplodere, aveva cercato di mantenere la calma fin da subito e di non cedere al panico. Aveva totalmente riposto la fiducia nei suoi confronti: sapeva che l’avrebbe riparata, glielo aveva promesso, e sapeva che lui stava dando il massimo per riuscirci nel più breve tempo possibile.

Qui risiedeva una delle tante, straordinarie peculiarità di Pepper che non finivano mai di stupirlo: credeva fermamente in lui, al punto da mettere la sua stessa vita nelle sue mani. Non si trattava di venerazione o di banale ingenuità, al contrario; lei sapeva sondare a fondo il suo animo e riconoscere ogni suo pregio, più di quanto sarebbe mai riuscito a fare lui stesso. Si fidava senza indugio del suo modo di agire, nonostante in passato le avesse offerto innumerevoli occasioni per ricredersi. Negli ultimi tempi era stato decisamente avventato e l’aveva messa in pericolo in continuazione: prima aveva rischiato che la Mark 42 la colpisse mentre cercava di svegliarlo da un incubo insistente, poi aveva deliberatamente comunicato il suo indirizzo ad un terrorista senza scrupoli, decretando di fatto la distruzione della sua casa. Se in quell’occasione Pepper ne era uscita sana e salva era solo perché lui aveva avuto la prontezza di farle indossare la sua armatura, ma le conseguenze avrebbero potuto essere devastanti; lui stesso l’aveva scampata per un pelo, e solo grazie al pronto intervento di JARVIS. Per di più, non era stato in grado di tenerla al sicuro come si era prefissato e aveva lasciato che quel folle di Killian la catturasse, iniettandole Extremis: per un insperato e provvidenziale colpo di fortuna, il corpo di Pepper aveva tollerato il siero e non era esploso, ma questo non lo esonerava di certo dalle sue responsabilità. Infine, non era riuscito ad afferrarla mentre precipitava da quella gru sospesa nel vuoto, assistendo impotente alla sua caduta tra le fiamme; solo quel maledetto siero le aveva permesso di salvarsi e di sopravvivere, non certo la sua prontezza di riflessi.

Un brivido gli percorse la schiena, rivivendo con la mente quegli attimi; il cuore si fece pesante e un ansito gli sfuggì dalle labbra socchiuse. Poggiò il bicchiere sul tavolino accanto a sé e si passò la testa tra le mani, improvvisamente inquieto. Trascorse qualche istante prima che si decidesse a sollevare il viso, inspirando profondamente. Doveva calmarsi e riprendere il controllo: erano passati mesi ormai, era tutto finito e Pepper era al sicuro. Ma soprattutto, aveva capito la gravità dei suoi errori e non aveva alcuna intenzione di ripeterli. Era un uomo nuovo ora, diverso.

Non intendeva soffermarsi ulteriormente su quei dolorosi ricordi; oltre ad essere ormai avvezzo a quel tipo di pensieri, se vi avesse indugiato oltre avrebbe finito per diventare un musone per il resto della giornata e Pepper avrebbe capito – come sempre – che qualcosa non andava. Non aveva intenzione di farla preoccupare – di nuovo – né di rovinare anche solo un momento di quell’agognata vacanza: complici il rientro a lavoro di Pepper dopo settimane di assenza e la sua lunga riabilitazione post-operatoria, non avevano avuto modo di ritagliarsi un momento interamente per loro e ora che finalmente si trovavano a Venezia, doveva filare tutto liscio. Inoltre, aveva programmato una serata perfetta e non poteva permettersi errori.

Raddrizzò il busto, sgranchendosi appena, e si riappoggiò allo schienale della poltrona. Il suo volto contratto prese a distendersi, mentre gli occhi tornavano al presente e si riempivano dell’intenso azzurro della laguna. Osservò una barca avanzare pigramente in lontananza, lasciando una scia di spuma bianca dietro di sé. La sua mente gradualmente si svuotò e una lieve sensazione di calma iniziò a diffondersi nel corpo. In sottofondo, il ronzio del phon era cessato; Pepper doveva essere passata al viso, al quale si dedicava velocemente ogni mattina. Non ci avrebbe messo molto a raggiungerlo all’aperto.

Solo qualche mese prima, ripensare a certi eventi traumatici gli avrebbe quasi sicuramente scatenato un attacco di panico: l’aria avrebbe iniziato a mancargli e lui si sarebbe ritrovato ad annaspare, impotente. Ora, invece, riusciva quasi sempre a mantenere il controllo e a provare niente di più di un leggero turbamento temporaneo. Certo, talvolta gli capitavano crisi più profonde, ma ultimamente si erano fatte sempre più sporadiche; le rare volte in cui si manifestavano, le mani di Pepper erano lì, sulle sue, e i suoi occhi sereni e confortanti lo aiutavano a riprendere il contatto con la realtà. 

Da quando aveva preso coscienza di soffrire di disturbo da stress post-traumatico, si era ritrovato ad accettare l’evidenza che persino il famigerato e sprezzante Tony Stark aveva bisogno di uno strizzacervelli. All’inizio non era stato per niente facile ammetterlo: era convinto che, con un po’ di pazienza e tranquillità, le cose avrebbero ripreso il proprio corso e gli attacchi di panico sarebbero gradualmente scomparsi. Inutile dire che non era andata così: far finta che il problema non esistesse si era rivelato del tutto inefficace, oltre che controproducente. Fallito il tentativo di sfruttare Banner come psicoanalista, Tony si era dovuto alla fine arrendere e si era rivolto ad un professionista. Pepper aveva caldamente approvato, sostenendo che non ci fosse nulla di male nell’accettare un po’ di aiuto e che ne avrebbe tratto senza alcun dubbio molti benefici. Le prime sedute erano state caratterizzate da una certa diffidenza, ma in seguito aveva dovuto riconoscere che tutto sommato non era così male aprirsi con qualcuno e lasciarsi andare: complice la sua mania di protagonismo, gli era risultato via via sempre più facile e naturale esprimere i suoi pensieri più profondi, prendendo lui stesso conoscenza di alcuni aspetti di sé di cui, fino a quel momento, non era pienamente consapevole. Aveva colto l’opportunità di guardarsi dentro a fondo, esplorando gli angoli più reconditi del suo io interiore; dopo mesi trascorsi a brancolare nell’ansia e nell’inquietudine, era stato un decisivo toccasana riprendere il controllo della propria mente e riguadagnare piena fiducia nelle proprie abilità. Ora non poteva dire di essere del tutto guarito, ma sicuramente aveva fatto notevoli progressi.

Prima di iniziare a soffrire di attacchi di panico, non si era reso conto di poter avere bisogno di aiuto. Sapeva di non stare proprio bene – restare sveglio per 72 ore di fila non era affatto normale – ma pensava che col tempo si sarebbe sistemato tutto da sé. La Battaglia di New York aveva avuto sicuramente un forte impatto sul suo animo: del resto non capitava tutti i giorni di combattere contro un’invasione di alieni, di tenere tra le mani un missile pronto ad esplodere e di attraversare un portale con il rischio di rimanere bloccato nello spazio, ma a parte una considerevole scarica di adrenalina e numerose ammaccature, non pensava di aver subito altre conseguenze. Nei giorni successivi si era sentito un po’scosso a riguardo, convenendo che l’avventura appena affrontata fosse un po’ fuori dalla sua portata, ma credeva di essere ancora in preda all’eccitazione del momento e di dover semplicemente attendere che le acque si calmassero. Quando ne aveva parlato con Pepper, alla Stark Tower, aveva deciso di minimizzare e di non rivelarle il suo reale turbamento per non affliggerla più di quanto già non fosse: si sentiva così in pena per quanto accaduto, che non se l’era sentita di darle ulteriori motivi di preoccupazione; per una volta aveva scelto di prendersi lui tutto il peso sulle sue spalle, invece di scaricarlo su quelle degli altri. Ma onestamente, nemmeno lui era consapevole di quanto fosse profondo il suo turbamento e di come stesse iniziando a mettere radici nel suo animo.

Nei mesi successivi, aveva ripreso la sua vita di sempre ed era tornato ad armeggiare nel suo laboratorio con nuove idee e upgrade da apportare alle sue armature. Ben presto si era accorto di non riuscire a dormire più di cinque ore consecutive e svegliarsi nel cuore della notte senza alcun motivo era diventata la consuetudine. A tutto ciò si erano aggiunti gli incubi, prima solo accennati e poi sempre più vividi e reali; non andare a dormire era diventata la naturale conseguenza, mentre dentro di sé si faceva sempre più insistente il pensiero che ciò che stesse facendo non fosse abbastanza, che i miglioramenti che aveva ideato non fossero sufficienti e che doveva fare di più, di più, di più. Non solo per sé, ma anche e soprattutto per salvaguardare Pepper: quando ci si ritrova a sfiorare la morte con un dito, è inevitabile rendersi conto di quanto precaria sia la vita e fare tutto ciò che è possibile per proteggere gli affetti più cari. Pepper era l’unica cosa che contava davvero e lui doveva fare l’impossibile per garantire la sua sicurezza. E così aveva iniziato a produrre compulsivamente un’armatura dietro l’altra, un progetto dietro l’altro, modifiche brillanti che si rivelavano ben presto insufficienti; il suo lavoro si era tramutato in una ricerca senza sosta della perfezione, così vicina eppure così lontana.

Col senno di poi, non si stupiva di aver iniziato ad essere preda di attacchi di panico: erano forse la conseguenza più naturale, quando si era in balìa dell’ossessione e di incubi ricorrenti. Per imparare a contrastarli, aveva dovuto guardare a fondo dentro di sé e rendersi conto a pieno delle sue capacità: era un meccanico, un inventore e uno scienziato, aveva tutti i mezzi necessari per contrastare potenziali minacce. Non aveva reale motivo di sentirsi vulnerabile: l’armatura e il reattore Arc erano solo un’appendice, che lo potenziavano e lo fortificavano, certo, ma che non lo definivano; lui era Iron Man nell’animo, non solo nel costume. Era giunto a questa conclusione durante una delle ultime sedute dallo psicoterapeuta e nella sua mente aveva iniziato ad affacciarsi l’intenzione di sottoporsi all’operazione che così a lungo aveva rimandato: togliere tutte le schegge impiantate nel suo petto. Fino a quel momento si era concesso di tergiversare, sia perché l’intervento era lungo e molto rischioso, ma anche perché in un angolo remoto della sua mente vigeva l’infondato pensiero che, senza il reattore Arc piazzato nello sterno, non avrebbe più potuto ritenersi fino in fondo Iron Man. Era un’idea assurda, ora se ne rendeva conto, tuttavia aveva cullato inconsapevolmente quella considerazione per anni senza mai riuscire a vincerla. Nel momento in cui aveva realizzato che Iron Man risiedeva nella sua stessa essenza, era diventato più facile scalfire quel pensiero e accettare di poter vivere privo del suo cuore di metallo, senza per questo vanificare il suo proposito di vigilare sul mondo.

Un leggero rumore di passi riecheggiò alle sue spalle, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Tony si raddrizzò e si sistemò con un tocco dell’indice gli occhiali da sole mentre Pepper attraversava l’ampia portafinestra che dava sul terrazzo e si avvicinava, chinandosi per lasciargli un veloce bacio sulla guancia.

«Che mattinata splendida!» esordì, prendendo posto sulla poltrona accanto a lui e sospirando soddisfatta. Teneva tra le mani una tazza di caffè da cui si sollevavano piccole volute di vapore, diffondendone l’aroma attorno a loro. 

«Finalmente!» esclamò Tony, fintamente risentito. «Cominciavo a pensare che fossi scappata con il concierge».

Lei alzò gli occhi al cielo, ridacchiando. «Bugiardo» replicò. Il suo sguardo venne immediatamente catturato dall’eccezionale panorama che si snodava davanti a loro. «Questo posto è semplicemente magnifico. Quando hai proposto Venezia non pensavo che l’avrei trovata rilassante, ma ammetto di dovermi ricredere» proferì, deliziata.

Tony fece roteare leggermente il liquido nel bicchiere, osservandolo assorto. «Venezia è così, fa sempre questo effetto» sentenziò, enigmatico.

Pepper spostò lo sguardo su di lui corrugando appena le sopracciglia, senza che la sua aria felice ne fosse intaccata. «Tutto ok? Mi sembri un po’ troppo pensieroso, considerando le prodezze di questa notte» lo punzecchiò con un accenno di malizia.

Tony si riscosse, i suoi propositi di nuovo bene a mente, e le rivolse un’espressione allegra. «Ma certo! Sai, quando un uomo attende così tanto, finisce inevitabilmente per cimentarsi con la filosofia» osservò, vagamente canzonatorio.

«Addirittura. Chissà se è successa la stessa cosa a tutti quelli che hai fatto aspettare tu» ironizzò lei, lanciandogli un’occhiata eloquente.

«Ne dubito. Accade solo alle persone intelligenti».

Pepper sbuffò una risatina e posò la tazza ormai vuota sul tavolino. Si rilassò contro la poltrona e chiuse gli occhi, godendosi il tepore. Tony si perse ad osservare il modo in cui la luce del sole danzava su suoi capelli, in un gioco di sfumature ramate. Sentì nel petto un moto di orgoglio misto a gratitudine, per il fatto che lei facesse parte della sua vita.  

«Ho preparato qualcosa di speciale per stasera» annunciò, gioviale.

Lei lo sbirciò di sottecchi. «Ma davvero? Spero per te che non sia un altro coniglio gigante» lo redarguì, eloquente.

Tony aggrottò le sopracciglia, guardandola storto. «No. Sarebbe problematico farlo entrare nel jet, al ritorno» considerò spiccio. «No, è qualcos’altro. Per la precisione, sarà proprio la serata ad essere speciale» aggiunse.

Pepper inclinò la testa e lo scrutò con attenzione, curiosa. «E cioè?».

«Ѐ una sorpresa, non posso dire nulla. Ho le labbra cucite» rispose, mimando la chiusura di una zip.

Pepper alzò le mani, un sorrisino divertito ad incresparle le labbra. «D’accordo, non insisto. Tanto lo so che finirai per farti scappare qualcosa» lo stuzzicò.

Tony fece spallucce, rivolgendole un ghigno furbo. «Io non ci scommetterei». Finì in un unico sorso il suo drink, per poi sgranchirsi energicamente le braccia. «Beh, cosa ti va di fare oggi? Giriamo Venezia in gondola come una coppietta sdolcinata? Restiamo qui e ci godiamo la Jacuzzi? O preferisci riprendere il discorso di stanotte?» ammiccò, lanciandole un’occhiata maliziosa.

Pepper rise e scosse la testa. «Non sono venuta a Venezia per passare le giornate in camera» proferì, spostando lo sguardo su di lui. Gli occhi le brillavano come ogni volta in cui aveva una delle sue pensate. «In realtà, qualcosa di molto interessante che potremmo fare oggi ci sarebbe» annunciò.

Tony inclinò la testa, guardandola con sospetto: quel tono innocente non gli piaceva per niente. «Vale a dire?» indagò.

Pepper si arrotolò tra le dita con disinvoltura una ciocca dei lunghi capelli e gli rivolse un sorrisino che non faceva presumere niente di buono. «Voglio visitare il Museo Pegghy Guggenheim [2]» dichiarò, compiaciuta.

Tony roteò gli occhi, insofferente: era decisamente peggio di quanto pensasse. «No, ti prego. A parte il fatto che quel nome mi fa fare agghiaccianti associazioni e io sono in vacanza, ci sono così tante altre cose da fare, perché non–».

Lei assottigliò lo sguardo, bloccando sul nascere ogni sua proposta. «Io voglio visitare quel museo» sottolineò, decisa. «Devo forse ricordarti che tu hai osato regalare la nostra collezione di arte moderna ai boyscout?» [3].

«Tecnicamente, era la mia collezione…».

«La nostra collezione. O forse è meglio dire la mia, dal momento che l’ho curata da sola per anni. Accompagnarmi a visitare quel museo è il minimo che tu possa fare per rimediare al danno» sentenziò, incrociando le braccia sul petto.

Tony si lasciò sfuggire un sospiro seccato, abbandonando la testa contro lo schienale della sedia. «E va bene…» le concesse, riottoso. Poi la rialzò di scatto, la mente attraversata da un’idea geniale. «Tesoro, potrei accompagnarti lì e aspettarti fuori. Tu puoi fare con calma e prenderti tutto il tempo che ti serve, io me ne starò buono sulla gondola e mi godrò il panorama in–» la sua voce si spense sull’ultima sillaba e si ritrovò a deglutire, osservando l’occhiata minacciosa che la sua dolce metà gli stava scoccando.

«Tu. Entrerai. Con. Me.» scandì Pepper. «Fine del discorso» decretò, alzandosi per prepararsi ad uscire.

Tony abbassò la testa, definitivamente sconfitto. Lei se ne accorse e, passandogli accanto, gli lasciò una lieve carezza incoraggiante sui capelli. «Forza,» lo esortò «vedrai che non sarà così male».

«Come no» borbottò lui, una volta certo che lei fosse rientrata. Rivolse uno sguardo corrucciato al cielo. Per il suo quieto vivere, forse era meglio fare due chiacchiere con quei boyscout.

***
 
“We were love drunk, waiting on a miracle
Trying to find ourselves in the winter snow
So alone in love like the world had disappeared
Oh, I won't be silent and I won't let go
I will hold on tighter 'til the afterglow
And we'll burn so bright 'til the darkness softly clears
 
Oh, I will hold on to the afterglow”
 

Tony si lisciò distrattamente una piega della camicia candida, poi sollevò le mani e sistemò appena il colletto. La lieve brezza serale gli solleticò il viso, mentre lui avanzava di qualche passo sul terrazzino. Si girò per l’ennesima volta a controllare se Pepper fosse pronta. «Tesoro? Faremo tardi» le ricordò.

«Ci sono quasi! Solo un attimo!» la voce di lei giunse dal bagno, trafelata. Tony sospirò, controllando nuovamente l’orologio; non erano proprio in ritardo, ma se avessero continuato così lo sarebbero stati di certo. E la sua sorpresa non avrebbe avuto lo stesso studiato effetto.

Quel pomeriggio avevano fatto decisamente tardi: dopo aver visitato il museo – stranamente Tony non l’aveva trovato così deleterio, né era stato ossessionato da ricorrenti pensieri sul Capitan Ghiacciolo – avevano deciso di visitare Venezia come due turisti qualsiasi, infilandosi nelle calli affollate di visitatori. Si erano armati di occhiali da sole e cappelli di paglia per non farsi riconoscere e avevano iniziato a girovagare senza meta, godendosi gli scorci improvvisi in cui si imbattevano. Entrambi erano già stati a Venezia in diverse occasioni e potevano affermare di conoscerla ormai bene, ma questa volta avevano avuto modo di scoprire un altro lato di quell’incantevole città: l’avevano esplorata lasciandosi condurre dall’istinto e dall’entusiasmo, come ragazzini ridacchianti in preda all’euforia.

Rientrati in hotel, avevano avuto giusto il tempo di una doccia veloce prima di prepararsi per la cena. Nonostante avesse detto di non voler insistere, Pepper aveva provato ripetutamente ad ottenere dettagli sulla loro serata: Tony trattenne un sorriso, ripensando ai trucchetti che si era inventata per trarlo in inganno ed estorcergli informazioni, ma lui aveva stoicamente resistito. Se voleva, era perfettamente capace di chiudere la bocca. Si passò una mano tra i capelli e inspirò a fondo l’aria salmastra, sogghignando fiero.

Proprio in quel momento Pepper si precipitò fuori, un lungo e aderente vestito rosso che le lasciava scoperta la schiena e una pochette color oro tra le mani. Tony la guardò, ammirato. «Sei uno schianto» fischiò. Poi le rivolse un’occhiata più attenta, un sorrisino furbo che gli increspava le labbra «Credo di aver appena avuto un déjà-vu. Questo vestito me ne ricorda un altro di un certo ricevimento, ma con qualcosa… di me» concluse [4].

Pepper ridacchiò, lo sguardo che brillava. «Ebbene sì, è una versione rivisitata di quel vestito. Mi piaceva l’idea di intonarmi a te, per una volta» replicò, sistemando appena la stoffa satinata della gonna. Lo prese poi sottobraccio, lasciandosi condurre. «Allora? Mi vuoi dire finalmente dove mi porti?» lo incalzò, senza più riuscire a tenere a freno la curiosità.

«Un attimo di pazienza e lo scoprirai» rispose lui. Rientrarono nella suite e si diressero alla porta, percorrendo poi il lungo corridoio che portava all’esterno del complesso. Una volta fuori, Pepper si diresse automaticamente al piccolo molo da cui partiva la barca che li avrebbe portati al di là del Canale della Giudecca, ma Tony tirò i loro gomiti intrecciati e la fece fermare. Lei si voltò, interdetta, e lui indicò il locale alla loro destra: era uno dei ristoranti del Cipriani, l’unico con la vista sul Bacino di San Marco.

Pepper corrugò appena le sopracciglia. «Per la nostra serata speciale hai scelto… il ristorante dell’hotel?» chiese, perplessa.

Tony trattenne uno sbuffo e le rivolse un’occhiata sarcastica. «Non iniziare a fare la scettica. Concedimi almeno il beneficio del dubbio».

La prese per mano ed entrò nel ristorante. Il cameriere che li accolse lo riconobbe subito e si affrettò a condurli al loro tavolo. Salirono un’elegante scala di marmo e attraversarono una sala poco affollata, poi l’inserviente imboccò un piccolo corridoio e infine svoltò a destra, cedendo loro il passo. Tony spinse avanti Pepper, che oltrepassò la porta e si bloccò, senza fiato.

Era una saletta più piccola di quella che avevano varcato, riservata esclusivamente a loro; un tavolo rotondo e apparecchiato con cura stanziava al centro, accompagnato da due eleganti poltrone color crema. Ma non era quella la caratteristica più stupefacente: oltre il tavolo, ampie finestre si aprivano sul Canale della Giudecca, rivelando un panorama mozzafiato. Il Campanile di San Marco svettava, fiero, accanto al Palazzo Ducale dall’iconica superficie rosata; a sinistra, le cupole e le torrette campanarie della Basilica della Salute si stagliavano contro il cielo chiaro, in perfetta armonia con l’ambiente circostante. Il sole stava tramontando e la sua luce avrebbe senz’altro illuminato gli edifici e il mare sottostante di un caldo bagliore, ma le nuvole avevano prepotentemente occupato il cielo, diminuendone l’intensità. Poco male: l’atmosfera si era fatta più tenue, colorando la volta celeste di un blu soffuso che contrastava con il chiarore rosato nascosto dalle nubi; il riverbero del tramonto brillava dolcemente sul mare.

Pepper si lasciò sfuggire un ansito di meraviglia e Tony le si affiancò. «Che ti dicevo? Dovresti avere più fiducia in me, ogni tanto» le sussurrò all’orecchio, un sorrisetto canzonatorio ad incurvargli le labbra.

Lei si riscosse e lo guardò, gonfiando comicamente le guance. «Oh, ma piantala! Per una volta che hai un’idea brillante…» lo rimbeccò, ma sorrideva entusiasta.

Tony le scostò galantemente la sedia e lei si accomodò, appoggiando il mento su una mano e puntando lo sguardo sulla vista incantevole che si apriva oltre le finestre. «È meraviglioso» sospirò. «Come lo hai scoperto?» gli chiese poi, osservandolo attenta.

Lui fece un gesto vago con la mano: «Ah, devo aver sentito cantare un loquace uccellino» minimizzò. Per la verità, aveva scandagliato Venezia per giorni alla ricerca di un posto adatto, senza trovare nulla di abbastanza soddisfacente. Dopo aver scartato l’ennesimo locale, aveva deciso di andare a prendere un drink consolatorio al lussuoso bar dell’hotel, dove era stato servito da un giovane barman a cui non mancava di certo la parlantina: aveva iniziato a bombardarlo di domande sul suo soggiorno in Italia, sul suo rapporto attuale con gli Avengers, sull’improbabile necessità di sconfiggere qualche strano nemico a Venezia, a cui Tony aveva risposto sbrigativo, deciso a liquidarlo in fretta. Aveva iniziato a guardarsi intorno, alla ricerca di una via di fuga, e il suo sguardo si era imbattuto in uno dei dépliant disposti con cura affianco al bancone: al centro del volantino campeggiava una vista incantevole sul Bacino di San Marco. Aveva quindi chiesto informazioni al suo molesto interlocutore, il quale gli aveva spiegato che si trattava di uno dei ristoranti dell’hotel; con un occhiolino decisamente esagerato, gli aveva consigliato di andarci al calar del sole per un effetto garantito.

Tony sorrise tra sé, ricordando quell’assurda conversazione. Si passò una mano sul mento, ricomponendosi, poi prese la bottiglia di vino dal cestello di ghiaccio posato alla sua sinistra e riempì i due calici. «Per poco non abbiamo perso il tramonto» borbottò, rivolgendole un’occhiata ammonitrice. «Mi sono impegnato così tanto e tu rischiavi di mandare all’aria tutto».

«Oh ma dai, sei tu che hai perso tempo perché non riuscivi a scegliere tra la Jacuzzi e la doccia!» ribatté lei con vivacità, poi gli rivolse un sorriso dolce e intrecciò le dita con le sue.

Tony annegò nel suo sguardo intenso, mentre il mondo attorno a loro si zittiva e svaniva di colpo. Negli ultimi tempi, si era sempre più reso conto di quanto Pepper fosse divenuta fondamentale per lui: il loro rapporto si era fatto solido e profondo; erano diventati l’una il pilastro dell’altro, l’uno la forza dell’altro. Rischiare di perderla gli aveva fatto capire pienamente quanto la sua vita dipendesse da lei, come non riuscisse più a privarsi della sua presenza costante, del suo sostegno, dei suoi gesti pieni di affetto. Perdersi nei suoi sorrisi era ormai diventata una dolce abitudine di cui non poteva più fare a meno. E, si disse, avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggere il loro amore e garantirne la felicità.

Sorrise, facendo tintinnare i loro calici. Era l’inizio di una nuova era.
 

 
“The weather outside's changing
The leaves are buried under six inches of white
The radio is playing, Iron & Wine
This is a new dimension
This is a level where we're losing track of time
I'm holding nothing against it, except you and I”
 
Afterglow – Ed Sheeran




Note:
[1] Il Belmond Hotel Cipriani è un hotel di lusso di Venezia, collocato sull’isola della Giudecca. Viene menzionato in Iron Man 2, subito i dopo i fatti di Monaco: Tony propone a Pepper di prendersi delle ferie e di andare insieme al Cipriani. Dal modo in cui ne parla si percepisce, inoltre, che abbiano ha già frequentato in più occasioni quell’hotel.

[2] Il Museo Peggy Guggenheim è uno dei principali musei di Venezia: raccoglie alcune delle migliori opere d’arte del XX secolo, spaziando tra le maggiori correnti del Novecento. Comprende capolavori di grandi artisti come Picasso, Mondrian, Pollock e molti altri. Peggy è inoltre il nomignolo di Margaret Carter, il primo amore di Captain America.

[3] Riferimento ad Iron Man 2: nel film, Pepper si lamenta con Tony per aver ceduto la collezione ai boyscout, poco prima che lui la nomini Amministratore Delegato.

[4] Doppio riferimento: la frase “ma con qualcosa di me” è una citazione ripresa da The Avengers e pronunciata da Tony quando la Stark Tower viene illuminata, mentre il vestito è uguale a quello che Pepper indossava al ricevimento in Iron Man, questa volta in versione scarlatta.




Ciao a tutti! Sono leggermente in ritardo rispetto al solito, ma sono riuscita a pubblicare il quarto capitolo entro i tempi! Come avrete capito, si svolge mesi dopo gli eventi di Iron Man 3 ed è uno dei capitoli a cui sono più affezionata: credo che questo dipenda molto, oltre che dalla cornice suggestiva e affascinante di Venezia, dal fatto che, contrariamente ai più, io ho amato questo film. Uno dei motivi è sicuramente quello di aver messo in luce la vulnerabilità di Tony, aspetto assolutamente non scontato.

In questo capitolo, Tony riflette sulla sua vita in seguito agli eventi che l’hanno caratterizzata fino a questo momento e su se stesso, sulla maturazione che ha raggiunto: dalla decisione di affrontare l’intervento, a quella di rivolgersi ad un psicoterapeuta per superare il disturbo, al ruolo sempre più importante di Pepper nella sua vita. Mi è piaciuto analizzare tutto questo da un punto di vista più riflessivo, meno folle rispetto al solito. Ho cercato di restituire un’atmosfera tranquilla e rilassata e non posso fare a meno di considerare questo capitolo come la quiete prima della tempesta: sapendo che cosa ci aspetta con i film successivi, la calma che qui si percepisce è decisamente effimera. Lo stesso finale, nel quale Tony raggiunge una consapevolezza da “uomo nuovo e diverso”, verrà sostanzialmente ribaltato. D’altronde, lui è pur sempre una contraddizione vivente e di strada da fare ne ha ancora parecchia.

Per l’ambientazione al Cipriani, ho scelto la Suite Palladio come suite di Tony e Pepper, che potete vedere qui. Per la cena, invece, mi sono basata su questa foto: è una delle prime immagini in cui mi sono imbattuta cercando l’hotel su Google e mi ha colpita subito. A onor del vero, non si tratta del ristorante dell’hotel ma della Suite Dogaressa: non l’ho scelta come suite per i nostri ciccini perché non dispone del giardino, mi sono dunque presa la libertà di considerarla una saletta del ristorante (che tra l’altro esiste davvero e si trova esattamente accanto a questa suite).

Una piccola precisazione sulla canzone che accompagna il capitolo e che ne fornisce il titolo: “afterglow” in inglese indica letteralmente la luce dopo il tramonto, al calar del sole. Oltre a costituire l’ambientazione della cena, l’ho scelta anche per un motivo più astratto: il calar del sole è il momento che precede l’oscurità e le tenebre notturne ed è, metaforicamente parlando, la fase della storia in cui ci troviamo ora.

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander
 


 
  
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