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Autore: DumbledoreFan    28/08/2009    7 recensioni
Meike vive a Londra e fa un lavoro molto particolare: è una traduttrice instantanea per le star disperse in premier, eventi o manifestazioni in giro per il mondo. Per questo si trova del tutto indifferente davanti a persone famose, a cui ormai è completamente abituata. Ma quando partirà per un viaggio fra Russia, Italia e Germania con Ben Barnes, la sua pacata professionalità verrà messa seriamente a dura prova. E tornati a Londra, niente sarà più come prima...
Questa è la primissima FF che scrivo seriamente con protagonisti degli attori, perchè volevo aspettare un'idea non banale! Leggete e recensite numerosi!!
Genere: Commedia, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ben Barnes, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Scesi alla fermata di Fulham Broadway insieme a molti altri tifosi. Mi avviai tranquillamente verso l’entrata dello Stamford Bridge, e quando svoltai il muro, le belle linee di quello stadio che ormai era un po’ casa mi si pararono davanti strappandomi un sorriso. Feci scorrere lo sguardo e vidi Michael che mi aspettava dove gli avevo detto. Lo salutai con la mano e mi avvicinai a lui.
“Ciao Mike!” feci dandogli un bacio sulla guancia.
“Ehi Meike! Tutto bene?” mi chiese lui.
“Benissimo…allora entriamo?” dissi facendo un cenno con il capo, indicando lo stadio.
“Certo…” rispose con un sorriso raggiante. Io infilai una mano nella tasca anteriore dei miei pantaloni blu sgargianti (comprati appositamente per le partite) e gli porsi il biglietto. Lui lo guardo qualche attimo, poi disse.
“Ti devo 60 pounds…”
“Non farmi ridere, non mi devi un bel niente!! Anzi! Mi hai fatto un favore a venire con me, sennò dovevo venire da sola…” replicai quasi indignata mentre ci avviavamo all’entrata.
“Vorrà dire che per sdebitarmi t’inviterò a cena…” fece ridacchiando. Io sorrisi.
“Ok, ci sto…”
Arrivati dentro ci mettemmo a sedere nei posti che ci avevano assegnato, poche file dal campo, e cominciammo a guardare con interesse e ammirazione il riscaldamento dei Blues. Quando finalmente la partita iniziò io e Michael smettemmo di parlare del più e del meno, e ci concentrammo solo sul gioco, cantando a squarciagola i cori del Chelsea (più io che lui in realtà, sapeva a mala pena i ritornelli, ma non era il caso di farglielo pesare visto che era stato così gentile da accompagnarmi).
Pochi minuti dopo che Frankie Lampard aveva segnato il 2 a 1, rimontato da uno 0 a 1, sentii che il cellulare in tasca cominciò a vibrare. Io, con voce un po’ incerta perché affaticata dal troppo urlare e cantare, risposi un po’ scocciata.
“Hello?!”
“Meike, sono io George…” disse il mio capo. Ecco, mi ci mancava solo lui, probabilmente era per darmi cattive notizie sulla storia della BBC.
“George, mi dispiace ma ora non sono proprio nel luogo né nel momento adatto per parlare…” risposi senza mezzi termini.
“Eh lo sento…mi dispiace però è una cosa urgentissima!Ascoltami…”
“Ci provo almeno…” feci con sarcasmo riferendomi all’incredibile confusione dello stadio.
“La tua partenza per Mosca è stata anticipata d’urgenza, ci hanno avvertito poco fa che è stata spostata la data della prima premier…”
“Uhm parto stasera allora?”
“No…fra due ore!”
“MI SCUSI?!?!” sbottai indignata.
“Ho detto che parti fra due ore!!”
“No no avevo sentito benissimo!! Dico io ma si rende conto? Io non sono nemmeno a casa!”
“Mi dispiace ma è urgentissimo, dovunque sei ti passiamo a prendere immediatamente e andiamo di volata all’aereoporto!”
“Non ho la valigia con me!!” protestai.
“Ti faccio portare due secondi a casa a prenderla veloce come un fulmine! Ora dimmi dove sei e fatti trovare pronta subito!”
Sbuffai contrariata, lanciando prima un’occhiata a Michael che mi guardava stranito, poi un’occhiata molto dispiaciuta ai Blues che stavano continuando la loro partita.
“Sono allo stadio Stamford Bridge, Fulham Broadway”
“Stiamo arrivando, aspettaci fuori…” concluse George riattaccando. Io spiegai velocemente tutto a Michael, mi scusai tantissimo promettendogli almeno due cene offerte da me, e corsi fuori con un sospiro. Aspettai dieci minuti appoggiata al muro che costeggiava il marciapiede davanti al Bridge, quando vidi accostarsi una macchina blu con i vetri oscurati. La portiera si aprì e il mio capo spuntò facendomi cenno di salire. Io montai velocemente e mi sedetti di fronte a lui, visto che i sedili erano messi di fronte, ed erano quasi tutti occupati.
“Fate che abbiano anticipato la premier per un imminente terremoto, perché se scopro che mi hanno portato via sul più bello di Chelsea – Arsenal solo perché qualcuno aveva un impegno con l’estetista è la volta buona che finisco in galera e non esco più!!” esclamai frustrata. Sentii ridere qualcuno di gusto, così mi voltai. Due posti accanto a George, con i capelli un po’ scompigliati, il sorriso mozzafiato ancora stampato sulle labbra carnose, e gli occhi divertiti, c’era Ben Barnes, in tutto il suo fascino, un fascino che non ricordai di aver visto in nessun altro. Io sbiancai, ma visto che ero pallida di mio nessuno se ne accorse.
“Signor Barnes, scusi il mio temperamento poco consono…” cercai di tirarmi subito fuori dalla figuraccia.
“Ma figurati, anzi ho subito apprezzato la tua ironia! Ah e per favore, chiamami solo Ben…” rispose continuando a sorridermi. Io gli porsi la mano.
“Beh allora piacere Ben, io sono Meike Hitzlschweinecher, la sua traduttrice” mi presentai mentre lui a sua volta mi stringeva la mano.
“Spero non ti offenderai se ti chiamerò semplicemente Meike…penso che le mie corde vocali non riuscirebbero mai a pronunciare un cognome come il tuo!” rispose ed io risi. In effetti era un pelino complicato.
“Se tu fossi riuscito a pronunciare il mio cognome, io non ti servirei…”
In quel momento il mio cellulare squillò di nuovo. Sul display lessi il nome della mia migliore amica.
“Hallo?” risposi facendo un cenno di scusa verso i presenti.
“Meine liebe!! Allora com’è la partita?!” mi chiese entusiasta. Io le spiegai cos’era successo con un tono particolarmente irato. Parlando più lingue diverse ero riuscita a rendermi conto di quanto, se parlato mentre si è particolarmente arrabbiati o irritati, il tedesco risulti minaccioso e intimidatorio. Lo si capiva anche dagli sguardi allibiti dei presenti che mi ascoltavano dire parole incomprensibili dal suo terrorizzante. Anche quando salutai Engel, quell’ “ich liebe dich” suonò più come una minaccia che come un ti voglio bene.
“Immagino che non avrò nemmeno il tempo di cambiarmi…” borbattai irritata.
“Certo che no Meike!! Non ti rendi bene conto di quanto siamo in ritardo!”
“E lei non si rende bene conto che io sono in tenuta da stadio!” ribattei mentre tutti per un attimo posarono lo sguardo sul mio abbigliamento. Aveva la maglia ufficiale del Chelsea blu, ovviamente di Ballack, messa dentro i pantaloni blu sgargianti, sotto lupetto blu perché faceva abbastanza freddo, sciarpa con lo stemma e capellino uguale. Anche le mie scarpe erano blu.
“Se posso permettermi…il blu ti dona” disse Ben con un filo di sarcasmo. In quel momento rischiai quasi di arrossire. L’avevo squadrato attentamente, e non ricordavo di aver avuto così vicino qualcuno che sprigionasse bellezza come lui, qualcosa di semplice e diretto, ma da toglierti il respiro.
La macchina si fermò davanti casa mia. Aprii al volo e insieme all’autista portai giù le valigie, poi rimontai di nuovo in macchina e viaaa a tutto spiano verso l’aeroporto. Questa volta però mi fecero sedere accanto a Ben. Cercavo di fare l’indifferente, ma mi resi conto che era quasi magnetico, e mi parlava con tono assolutamente irrisestibile, anche se non saprei spiegare che cosa aveva di speciale.
Arrivati all’aeroporto ci dirigemmo velocemente al check-in. Volando in prima classe, fortunatamente, non avevamo da fare fila. Passammo il controllo e ci mettemmo a sedere aspettando che c’imbarcassero. Io presi i vestiti che avevo infilato nel bagaglio a mano, quelli che avrei dovuto mettere per il viaggio e scusandomi, mi avviai verso il bagno. Mi cambiai, tolsi i pantaloni blu e ne misi un paio nero, una camicia del medesimo colore e un maglioncino incrociato verde scuro, in tinta con gli stivali di pelle a punta tonda. Andai a lavarmi le mani e mi guardai allo specchio. I miei capelli biondi erano un disastro totale. Provai ad aggiustarli ma non ne volevano sapere, così mi sfilai dal polso un leghino del Chelsea e mi feci una coda alta. Mi legai la cravatta bianca e la infilai fra la camicia e il maglioncino, poi uscii tenendo in mano gli altri vestiti e le scarpe, che infilai nuovamente nella borsa.
“Meike…” mi chiamò Ben, facendo cenno di avvicinarmi. Io mi sedetti accanto a lui.
“Mi chiedevo se ti andava di sederti con me in aereo…sai, le mie guardie del corpo non sono molto socievoli, il mio agente mi parla solo di lavoro, e la mia designer non fa altro che aggiustarmi…e io rischio di annoiarmi terribilmente. Non riesco nemmeno a dormire!” spiegò sorridendomi. Io annuii con il capo.
“Certamente Ben, ti farò volentieri compagnia…” risposi cercando di far vagare lo sguardo altrove, perché tenerlo su di lui non mi faceva respirare normalmente. Si passò una mano fra i capelli ed io dovetti girarmi completamente dall’altra parte per non saltargli in collo. Dannazione!! Questo complicava il mio lavoro!
“Tutto ok?” mi chiese interdetto. Io gli sorrisi.
“Sì certo…allora Ben, dimmi quale sarà il tuo prossimo film?” gli domandai cercando di sviare la mia attenzione.
“Comincerò le riprese de “Il Ritratto di Dorian Grey”, hai presente?”
“Se ho presente?! Dorian Grey è il mio libro preferito!! Io AMO Oscar Wilde! Non ci posso credere…hai una grande responsabilità sulle spalle, quel libro è uno dei più belli che sia mai stato scritto!” esclamai entusiasta.
“Oh lo so, spero di far bene, specie perché devo fare Dorian…” ribattè con un sorriso un po’ ansioso. Non c’era che dire…era assolutamente perfetto per quella parte. I miei occhi quasi cominciarono a luccicare.
“Wow…beh in bocca al lupo allora” dissi dandogli un affettuoso colpetto sulla spalla.
“Dimmi di te…di dove sei?” s’interessò avvicinandosi un po’.
“Io sono nata a Monaco di Baviera, ho vissuto lì fino all’età di 19 anni, poi mi sono trasferita a Londra per fare l’università…” raccontai. La mia vita non era stata delle più entusiasmanti, sicuramente lui avrebbe potuto raccontarmi cose molto più interessanti, ma io ne andavo fiera. Non mi erano mai mancati i sogni, ed ero riuscita a realizzarli, avevo raggiunto tutto quello che mi ero preposta.
“Come mai proprio Londra?” mi chiese incuriosito. Io lo fissai negli occhi, riuscendo a non collassare, e sorrisi.
“E’ semplice…perché la amo. La amo più di qualsiasi altra cosa. Io e Londra siamo fatti l’una per l’altra. L’ho sognata e desiderata per anni, anni in cui lei e solo lei mi dava la vera felicità…anni dove solo lei riusciva a farmi sentire a casa, in un posto dove potevo essere me stessa…” gli confessai quelle sensazioni che ancora la città, che ora era davvero casa mia, mi faceva provare. Sì io ero sempre stata una Londinese, mi avevano sono lasciato un po’ più in giù.
“Wow…che belle parole…allora sei riuscita a realizzare il tuo sogno!”
“Sì, e sono molto fiera di me per questo…e molto felice, ovviamente!”
Continuammo a parlare finchè non c’imbarcammo, e poi per tutto il viaggio. Scoprii che Ben non era solo un ragazzo dalla bellezza sorprendente, ma anche alla mano, simpatico e brillante.
“Perché proprio lingue?” mi domandò dopo un paio d’ore di volo.
“E’ una passione…so l’inglese da quando ero piccola, e questo mi ha aiutato ad apprezzare quanto fosse magnifico riuscire a capire e comunicare con persone di un altro stato, con altre culture e altre conoscenze. Riuscire a imparare da loro il più possibile, penso che renda delle persone migliori. Perciò ho deciso d’intraprendere questa carriera…”
“Beh una cosa è certa…comunicare è la tua specialità. Mi hai sempre dato risposte degne di nota! Hai mai pensato ad una carriera come curatrice delle pubbliche relazioni?” fece con un sorriso.
“No, mi piace il mio lavoro…e sono felice così…” risposi sorridendogli a mia volta. Dopo che mi ero appoggiata alla grande e comodissima poltrona mi venne un po’ di sonno e chiusi gli occhi. Senza nemmeno accorgermene mi addormentai e mi svegliai poco prima di atterrare. Quando riaprii gli occhi vidi che nel sonno mi ero appoggiata alla spalla di Ben. Saltai all’improvviso molto imbarazzata, lui alzò gli occhi dal giornale e mi guardò sorpreso.
“Che è successo?” mi chiese stranito. Io mi massaggiai le tempie.
“Scusami, scusami, mi dispiace, non volevo darti fastidio, non mi sono accorta che mi ero appoggiata…” gli porsi le mie scuse.
“Non mi davi alcun fastidio…” rispose facendo spallucce e tornando a guardare il giornale. Io approfittai per osservarlo qualche attimo in più e sospirare. Mi avrebbe reso le cose più difficili di quanto credevo.
Arrivati a Mosca, ci passarono a prendere con una lunga limousine nera con i vetri oscurati. Scambiai due parole con l’autista prima che partissimo. Attraversammo tutto il centro della città fino ad arrivare in un albergo molto esclusivo. Ormai era tardi e la stanchezza si faceva sentire, così le parole in russo che scambiai con il ragazzo della reception mi uscirono fuori con un pessimo accento di cui mi scusai. La hall era grandissima, con un lungo bancone di mogano intarsiato, divani ottocenteschi, tende elaborate, colonne, smerli…uno stile ricco e vistoso. Ci assegnarono le camere. Io, Ben e le guardie del corpo eravamo al 7° piano, mentre il suo menager e la sua curatrice d’immagine al 6°. Prendemmo l’ascensore e molto velocemente arrivammo a destinazione. La mia stanza era la 713, proprio di fronte a quella di Ben.
“Buona notte” lo saluti mentre aprivo la porta.
“Buona notte. Domani alle nove ci ritroviamo nella Hall” mi ricordò.
“Certo…a domani” risposi e mi chiusi la porta alle spalle. La mia camera era abbastanza grande, un bagno spazioso sempre nello stile dell’albergo, uno studio con tanto di cucina e la parte dove c’era il letto. Aprii le valige non troppo carinamente, m’infilai il pigiama al volo buttando i vestiti sulla sedia, misi la sveglia e crollai, addormentandomi subito.

   
 
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