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Autore: Iander    30/04/2021    1 recensioni
Tony Stark. Un genio, miliardario, playboy, filantropo. E molto di più.
Pepper Potts. Assistente scrupolosa e impeccabile, poi amministratore delegato delle Stark Industries. E non solo.
La storia di un uomo che è diventato un eroe, di una donna dalla forza incrollabile, di un amore che ha affrontato ogni cosa e ne è uscito vincitore, nonostante tutto.
Dal capitolo 2: Armatura e computer, pezzi di ricambio e calcoli. Tutto perfettamente nella norma, non fosse per la persona che in quel momento occupava il divanetto dall’altra parte della stanza: Pepper sedeva placida con le gambe rannicchiate, un libro tra le mani e l’espressione assorta. Il fatto che stessero condividendo lo stesso spazio senza al contempo litigare, ridefinire accordi lavorativi o mettere i bastoni tra le ruote al cattivo di turno, ma solo per il piacere di trascorrere del tempo insieme, rendeva perfettamente l’idea di quanto la sua vita di recente fosse cambiata radicalmente.
[Raccolta; Pepperony; Tony&Peter]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Morgan Stark, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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From Dusk Till Dawn


 
A Bluemary,
che ha saputo fare dei contrasti un'arte
 

 
Capitolo 5
Demons

 
Contesto: Avengers – Age of Ultron

 
“When the days are cold and the cards all fold
And the saints we see are all made of gold
When your dreams all fail and the ones we hail
Are the worst of all and the blood's run stale
I want to hide the truth, I want to shelter you
But with the beast inside, there's nowhere we can hide”

 
«…E sono davvero felice di poter finalmente annunciare l’inizio della collaborazione tra le nostre aziende. I nostri progetti riceveranno senz’altro una calda accoglienza a livello mondiale, ne sono certa». Pepper concluse il suo intervento con un breve cenno del capo, mentre intorno a lei si diffondevano mormorii di assenso e approvazione. L’Amministratore Delegato della Ledger Entreprises [1] si affrettò a concordare, affermando di trovarsi di fronte a un’epocale svolta tecnologica. Chiunque l’avesse vista in quel momento non avrebbe potuto fare a meno di notare la professionalità con cui conduceva riunioni di importanza cruciale per il futuro delle Stark Industries, mostrandosi del tutto a suo agio. Dai suoi occhi non traspariva alcuna traccia del tormento interiore che da settimane, ormai, si agitava nel suo animo.

Pepper mantenne un sorriso affabile e disinvolto, lo sguardo fisso sullo schermo in cui figuravano i suoi interlocutori. Quando il display si oscurò e la video conference si concluse, rilasciò un lungo sospiro e rilassò il busto, appoggiandosi contro lo schienale della sedia. Dopo settimane di mosse e contromosse, era riuscita ad ottenere un risultato davvero ottimo per le Stark Industries: una collaborazione con una delle aziende più all’avanguardia nel settore elettronico su scala globale, nonché condizioni contrattuali decisamente vantaggiose per loro. Condizioni, peraltro, concesse senza dover calcare eccessivamente la mano. Del resto, il fatto che Iron Man fosse legato a stretto filo con le Stark Industries costituiva un’attrattiva irresistibile, anche per le compagnie più restie ad accettare compromessi.

Sbuffò con sarcasmo, realizzando che quello fosse uno dei pochi modi, se non addirittura l’unico, in cui al momento Tony contribuiva all’avvenire dell’azienda alla quale, fino a qualche anno prima, aveva dedicato tutto se stesso; poi erano subentrati Iron Man, gli Avengers e nemici sempre più ostili e il suo interesse per le Stark Industries nel tempo era progressivamente calato. Certo, negli ultimi anni aveva supervisionato diversi progetti e dopo l’attacco a Malibu Point si era impegnato in prima persona per trasferire stabilmente la sede principale a New York – d’altronde, la sua presenza era sempre più richiesta alla nuova Avengers Tower e traslocare era diventata la conseguenza più ovvia. Ma in seguito alla faccenda di Ultron, Tony si era chiuso in se stesso e aveva ripreso a trascorrere intere giornate nel suo nuovo laboratorio, senza curarsi di altro all’infuori di ciò che stava progettando.

Pepper si alzò e chiuse con uno scatto il fascicolo che aveva davanti a sé, porgendolo alla responsabile commerciale che attendeva in silenzio al suo fianco; la istruì brevemente sulle precisazioni da fare includere nel contratto e poi si diresse alla porta, abbandonando la sala riunioni. Percorse a passi lenti il lungo corridoio immacolato, la mente di nuovo immersa in pensieri contorti, e in pochi minuti raggiunse il suo ufficio, chiudendosi la porta alle spalle: aveva decisamente bisogno di un po’ di quiete. Prese posto alla sua scrivania, digitando le credenziali di accesso sulla tastiera del pc e preparandosi mentalmente alla sfilza di mail che avrebbe trovato. Mentre attendeva che il computer si avviasse, rivolse in automatico un’occhiata all’orologio posizionato sulla parete di fronte: erano quasi le 20. Pepper corrugò la fronte, perplessa: non si era resa conto di aver fatto così tardi. Poco male, pensò seccata. Di certo a casa qualcuno non la stava aspettando con estrema impazienza.

Aprì con un clic del mouse una relazione sul lancio del loro nuovo prodotto ed iniziò a controllarne il contenuto, per essere certa che riportasse tutte le informazioni essenziali. Iniziò a digitare alcuni commenti e osservazioni, salvo poi interrompersi e puntellare con uno scatto i gomiti sul tavolo, poggiando il volto sulle mani congiunte. Inspirò a fondo, avvertendo la compostezza scivolare via dalle sue spalle per lasciare posto alla tensione, nonostante i suoi sforzi continui per tenerla a bada; per quanto cercasse di concentrarsi interamente sul lavoro, escludendo ogni distrazione, una parte della sua mente non poteva fare a meno di pensare a Tony.

Tony e le sue ombre, che ogni volta sembravano sconfitte ma che puntualmente si ripresentavano, senza dargli tregua. Pepper aveva davvero creduto che, dopo l’operazione e le sedute con lo psicoanalista, avesse finalmente trovato una sorta di stabilità, un nuovo punto di partenza. Le sembrava che avesse imparato dai suoi errori e che stesse procedendo nella giusta direzione; l’idea della Iron Legion, a cui aveva iniziato a pensare qualche tempo dopo essere rientrati da Venezia, ne era un esempio lampante: un piccolo esercito di armature gestito da JARVIS e che non richiedeva il suo costante controllo. Pepper sapeva che l’Iron Legion era solo il primo passo di un progetto che Tony aveva iniziato a considerare sempre più indispensabile: la creazione di una sorta di barriera difensiva a protezione del mondo, in grado di contrastare qualsiasi nemico; proprio per questo aveva iniziato a progettare un’intelligenza artificiale insieme al Dottor Banner, con l’obiettivo di migliorare e superare JARVIS, rendendolo di fatto del tutto autonomo e capace di ostacolare ogni minaccia. Onestamente, Pepper non si era sentita molto tranquilla all’idea di un supervisore robotico, ma Tony sapeva quello che faceva e le sue creazioni si erano spesso rivelate decisamente brillanti; inoltre, Bruce collaborava attivamente al progetto Ultron e avrebbe sicuramente sostenuto un approccio cauto e ragionevole.

Poi gli Avengers erano andati in missione a Sokovia e qualcosa era cambiato drasticamente. Tony non si era dilungato molto sull’accaduto, ma le aveva accennato ad una visione catastrofica nella quale lui era l’unico Avenger sopravvissuto e la Terra veniva invasa e distrutta dagli alieni. Non le serviva conoscere ogni dettaglio per capire quanto quella visione dovesse averlo turbato: per lui niente era peggio di non riuscire a fare tutto il possibile per salvare il mondo. Pur trattandosi di un’illusione, Tony doveva essersi sentito oltremodo responsabile e l’urgenza di giungere a un punto di svolta nella creazione di Ultron si era resa insostenibile.

E ci era riuscito: Ultron aveva finalmente visto la luce e il perfetto sogno di Tony poteva dirsi realizzato; tuttavia, le cose non erano andate come previsto e l’intelligenza artificiale si era rivoltata contro il suo creatore, morte e distruzione come unico intento. Quando tutto ciò era accaduto, Pepper era lontana e impegnata in una serie di convegni, ma non ci aveva messo molto a rendersi conto di quanto la situazione fosse sfuggita loro di mano: prima Johannesburg, poi Seoul e infine la stessa Sokovia, la devastazione si era diffusa a macchia d’olio senza che i Vendicatori potessero evitarlo. Avevano tentato in ogni modo di limitare i danni e di mettere in salvo quante più persone possibili, ciononostante Sokovia era stata totalmente distrutta, lasciandosi dietro una lunga scia di morte. Ma questa volta, la catastrofe non era stata provocata da orde di alieni piombati dal cielo con l’intento di distruggere e colonizzare il pianeta: Ultron era stato creato nei laboratori dell’Avengers Tower, per la prima volta erano le loro stesse mani ad essere intrise di sangue; o, per meglio dire, quelle di Tony.

Per Pepper non era stato difficile immaginare quanto lui si sentisse responsabile per tutto questo: ciò che aveva creato con l’intento di proteggere il mondo da ogni minaccia, garantendo una pace perpetua, si era rivelato un completo fallimento. Aveva messo il suo genio al servizio del mondo, creando invece un’arma di distruzione di massa. Uno scherzo del destino davvero di cattivo gusto, persino per Tony Stark.

Dopo essersi finalmente ricongiunti, aveva cercato in più occasioni di parlarne e offrirgli conforto, ma lui si era chiuso in se stesso respingendo ogni dialogo. Pepper aveva atteso, paziente: confidava che Tony avesse solo bisogno di metabolizzare i fatti, di accettare le sue responsabilità e di imparare a conviverci, traendone insegnamenti per il futuro. Ma i giorni passavano e niente di tutto ciò accadeva: Tony sprofondava nel senso di colpa, rifiutando ogni aiuto e isolandosi dal mondo, persino e soprattutto da lei. A nulla era valso attendere, provare approcci diversi, fingere che andasse tutto bene: lui aveva eretto intorno a sé un muro invalicabile, dedicandosi all’unica cosa che rappresentava per lui un porto sicuro: armeggiare nel suo laboratorio.

La dimostrazione di quanto quella vicenda avesse inferto una ferita profonda e dolorosa nel suo animo risiedeva inequivocabilmente nella sua decisione di prendersi una pausa e ritirarsi dagli Avengers. Avrebbe potuto rimboccarsi le maniche e dedicarsi interamente alle nuove leve, mettendo a loro disposizione le sue conoscenze, il suo genio e la sua esperienza. Sarebbe stato un ottimo modo per iniziare a porre rimedio ai suoi errori e redimersi, avrebbe avuto un nuovo scopo a cui guardare; invece aveva preso la direzione opposta, scegliendo di allontanarsi dal gruppo. Quando aveva provato a sondare cautamente il terreno al riguardo, Tony aveva liquidato in fretta la faccenda, sostenendo che prendersi una pausa era in quel momento la cosa più giusta da fare.

Pepper sospirò, sentendosi impotente. Non si poteva continuare così, era logorante per entrambi: per lui, che non riusciva a trovare una via di uscita e per lei, che assisteva alla sua disfatta senza poter fare nulla per impedirlo. Era come se l’equilibrio che avevano faticosamente raggiunto, fatto di fiducia e sostegno reciproci, si stesse sgretolando giorno dopo giorno, silenzio dopo silenzio: l’amore, che costituiva il solido collante di quel mosaico di sentimenti sfaccettati, faticava sempre di più a sostenere i brandelli lisi di un rapporto un tempo saldo e inscalfibile.

Scosse la testa e si apprestò a spegnere il computer: in quelle condizioni era inutile continuare, non riusciva proprio a concentrarsi; tanto valeva chiudere tutto e andare a casa. Si alzò e indossò il cappotto, abbottonandolo con cura, poi compose l’interno di Happy e lo avvisò che stava uscendo. Percorse a ritroso i corridoi, gettando un’occhiata distratta all’openspace deserto; raggiunse con calma la hall e attraversò l’ingresso. Happy la attendeva in piedi, accanto all’auto. Quando la vide, le rivolse uno sguardo comprensivo: era al corrente della piega che recentemente la situazione aveva preso. Non fece commenti, limitandosi a salutarla, e si mise alla guida, mentre lei prendeva posto sui sedili posteriori.

Pepper fissò lo sguardo sul finestrino, osservando in silenzio le vie trafficate di New York scorrere accanto a lei; cercò di concentrarsi sul paesaggio urbano che si snodava sotto ai suoi occhi, eppure non riusciva a fare a meno di chiedersi che cosa avrebbe trovato, una volta a casa. Una parte di sé sperava vivamente che Tony si fosse ripreso, che fosse riuscito a riemergere dal torbido oceano di tormento e malessere in cui era immerso; l’altra parte, ben più realistica, era perfettamente consapevole che niente fosse cambiato nell’arco delle dodici ore in cui erano stati separati. Si ritrovò a chiedersi che cosa fare, come muoversi. Ma più ci pensava e meno riusciva a trovare una soluzione; cominciava a credere che non fosse nemmeno possibile trovarla, se Tony non le permetteva di aiutarlo.

«Eccoci arrivati». La voce di Happy interruppe il filo dei suoi pensieri, mentre accostava con precisione accanto al marciapiede.

Pepper si riscosse e gli rivolse un breve sorriso. «Grazie, Happy. Ci vediamo domani» lo salutò, aprendo la portiera dell’auto. Un attimo prima di posare un piede sull’asfalto si bloccò, la mente attraversata da un’intuizione improvvisa; ruotò il busto verso l’interno e incrociò il suo sguardo nello specchietto retrovisore. «Senti, Happy… So che ti sembrerà una domanda strana, ma ti dispiacerebbe tornare a lavorare per Tony? Non fraintendermi,» si affrettò ad aggiungere, bloccando sul nascere il suo tentativo di ribattere «mi trovo bene con te e apprezzo che tu abbia insistito per scortarmi a casa e in ufficio, ma…».

«La prudenza non è mai troppa» affermò lui, facendo spallucce.

«…io credo di essere al sicuro, ora. Ultron è una storia passata, ormai, e non ci sono altre minacce all’orizzonte. Posso cavarmela» continuò Pepper, con voce ferma. «Tony invece non se la sta passando bene e… credo che continuerà così ancora per molto. Se tornassi a lavorare per lui, potresti tenerlo d’occhio, no? Mi sentirei più tranquilla, sapendo che una persona amica vigila su di lui» terminò, conciliante.

Happy assottigliò appena lo sguardo, scrutandola con attenzione. Infine, annuì piano. «Io onestamente preferirei continuare ad occuparmi della sua sicurezza. Ma se proprio ci tiene… farò una chiacchierata con Tony. Non le assicuro niente, però» precisò.

Pepper gli rivolse un ampio sorriso, rincuorata. «Grazie Happy. Lo apprezzo molto. Buona serata» si congedò, scendendo dalla macchina e salendo i pochi gradini che conducevano alla porta di ingresso. Infilò la chiave nella toppa e fece scattare la serratura, udendo distrattamente il rombo dell’auto che si allontanava alle sue spalle.

Sebbene Tony disponesse di un alloggio personale e alquanto spazioso all’Avengers Tower, si era categoricamente rifiutato di farla vivere lì, in mezzo a un branco di zoticoni con manie di protagonismo. Aveva sostenuto che avevano bisogno di privacy e di una casa tutta per loro, e così avevano optato per una villetta appena fuori città, dotata di ogni comfort e lontana da occhi indiscreti. Dopo la distruzione della villa di Malibu, l’avevano resa la loro dimora principale; Tony soggiornava alla Tower di tanto in tanto, quasi sempre quando lei era in trasferta per lavoro.

Spinse piano la porta, che si aprì cigolando appena: ad accoglierla, solo il buio e il silenzio. Avanzò di qualche passo nell’ampio ingresso, posando distrattamente le chiavi e la borsa sul mobile alla sua destra. Si tolse il cappotto e lo appese, poi si diresse in cucina. Il suo sguardo scivolò sulle superfici intonse, perfettamente in ordine: Tony non doveva essersi nemmeno preso la briga di salire e tentare di preparare qualcosa per cena; d’altronde, di recente sembrava che neanche ci abitasse in quella casa. Strinse tra le mani il ripiano in marmo dell’isola e inspirò profondamente, cercando di calmarsi. Attese qualche secondo, riflettendo con cura. Valutò se fosse il caso di mettere qualcosa sotto ai denti, prima di andare a scovare il suo riottoso compagno; infine stabilì che affrontare il problema aveva decisamente la priorità.
 

 
“When you feel my heat, look into my eyes
It's where my demons hide, it's where my demons hide
Don't get too close, it's dark inside
It's where my demons hide, it's where my demons hide”
 

Scese uno dopo l’altro i gradini che conducevano al piano seminterrato, i passi che riecheggiavano appena nel silenzio che avvolgeva la casa, e aprì delicatamente la porta del laboratorio: tentare un approccio civile non avrebbe di certo guastato, pensò. Un disordine sempre più evidente regnava in quell’angolo della loro abitazione che lei cominciava quasi a considerare estraneo: cavi e dispositivi di vario genere erano sparpagliati sugli scaffali e sui banconi, ancora più ingombri di quello che ricordava. I robot, un tempo sempre attivi e intenti a lavorare su strani congegni, ora sostavano immobili e rassegnati accanto ad una parete. Tony occupava la solita postazione in fondo alla stanza, lo sguardo totalmente concentrato sullo schermo di un computer.

«Oltre a passare intere giornate qui dentro, ora hai deciso anche di morire di fame?» esordì Pepper, chiudendo distrattamente la porta dietro di sé e avvicinandosi di qualche passo.

Udendo la sua voce, Tony si riscosse e le rivolse una veloce occhiata, prima di tornare a fissare lo schermo. «Ciao. E comunque no, ho spizzicato qualcosa dal frigo qui sotto. Già di ritorno?» osservò.

Lei lo guardò incredula: diceva sul serio? «Già di ritorno?! Tony, sono quasi le 21!» sottolineò.

Tony inarcò appena le sopracciglia, gli occhi sempre puntati sul display. «Ah, davvero? È incredibile come il tempo passi velocemente, quando ci si diverte» buttò lì, scrollando le spalle.

Pepper strinse le palpebre. «Ma non mi dire» sbuffò, sarcastica.

Prese a muoversi nel laboratorio, osservandosi attorno e tentando di dare un senso al caos incontrastato da cui era circondata. Su uno scaffale, tra una cassetta degli attrezzi e una scatola piena zeppa di cavi, scorse alcune bottiglie di vetro vuote. Si accigliò, prendendone una in mano: l’odore intenso che emanava era inequivocabile.

«E queste? Hai ricominciato anche con l’alcol, adesso?» chiese, voltandosi verso di lui [2].

Tony storse il naso. Lo vide muovere per un rapido istante le pupille nella sua direzione, prima di tornare a digitare qualcosa sulla tastiera del computer. «Solo un goccio ogni tanto. Non so neanche da quanto siano lì, quelle bottiglie» minimizzò, incolore. «Un bicchierino sporadico mi fa più che bene. Mi mette in moto il cervello» aggiunse, come se fosse tutto a posto. Continuava a non guardarla.

L’esasperazione che aveva covato in quei giorni si fece d’improvviso più intensa, insostenibile. La sentì premere inesorabile contro il petto, scalpitante. «Tony,» sbottò, secca «dovresti davvero smetterla».

Questa volta, Tony sollevò gli occhi e la guardò. Corrugò appena la fronte, percependo la durezza del suo tono. Fu solo un istante: la sua espressione si fece di nuovo impassibile, quasi assente. «Di fare cosa?» chiese, noncurante.

«Questo. Quello che continui a fare da settimane, ovvero marcire qui dentro per creare qualcosa di… non so cosa» berciò lei, allargando le braccia ad indicare l’ambiente circostante.

«Io non sto marcendo qui dentro» puntualizzò Tony.

Pepper inarcò eloquentemente un sopracciglio. «No?!».

«No» ribatté lui, sostenuto. Si puntellò con gli avambracci sul bancone, evitando di guardarla negli occhi. «Per tua informazione, ho qualcosa di geniale tra le mani. Mi sto solo adoperando per terminarlo nel più breve tempo possibile» concluse, stringendosi nelle spalle.

«Ah, certo» replicò lei, canzonatoria. «Dunque è solo una fortuita coincidenza che tu abbia ripreso a bere e che ti sia isolato qui dentro, giusto?» rimarcò, retorica. Incrociò le braccia al petto e gli rivolse un’occhiata stizzita: eccolo lì, il muro invalicabile tra di loro. Lui le parlava, eppure non le diceva davvero ciò che pensava, ciò che provava. Ma questa volta non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sviare. «Tu ti stai di nuovo facendo ossessionare» sentenziò, schietta «e sai benissimo che questo atteggiamento non porta a niente».

«Non è vero!» si difese energicamente lui.

«Sì, invece!» ribatté Pepper, perdendo definitivamente la pazienza. «Sono settimane che continui così, settimane! Pensi che non me ne sia accorta, solo perché fino ad ora mi sono limitata a tacere?».

Tony sollevò una mano e inspirò a fondo. «D’accordo, riconosco di essere stato un po’sfuggevole di recente, ma da questo a –».

«È palese, Tony» lo interruppe, brusca. «Ti stai di nuovo chiudendo in te stesso, proprio come hai fatto dopo New York». Un silenzio assordante calò su di loro. Rimasero a fissarsi per lunghi istanti, una verità sempre più chiara che si faceva strada nelle loro menti, quando Pepper si decise a continuare. «E io comincio davvero ad averne abbastanza» ammise, stanca.

Lui si lasciò sfuggire un sospiro e abbassò la testa, nervoso; si passò una mano sul volto e per qualche istante non disse nulla. Pepper poteva quasi vedere il suo cervello riflettere febbrile, valutando cosa rispondere. “Parlami” si ritrovò a pensare, disperatamente; avrebbe dato qualsiasi cosa perché lui si aprisse e le permettesse di aiutarlo a sostenere un peso troppo grande per una sola persona, anche per Tony Stark. Dopo quella che parve un’eternità, Tony si strinse la radice del naso tra pollice e indice e si decise finalmente a guardarla, gli occhi densi di ombre.

«Tu non capisci. Non puoi capire – come potresti?» cominciò, scrollando la testa con frustrazione.

Pepper non batté ciglio. Si limitò ad osservarlo, in attesa. «Beh, prova a spiegarmelo. Farò uno sforzo» lo incalzò.

Lui la studiò per lunghi istanti, infine schioccò la lingua e rilasciò un pesante sospiro. «Io devo rimediare, in un modo o nell’altro. Devo. Ho causato morte e distruzione, non posso starmene semplicemente qui con le mani in mano, come se non fosse successo niente!» decretò con vigore. Poi le rivolse un’occhiata stralunata, come se non riuscisse a capacitarsi fino in fondo di averlo detto ad alta voce.

Pepper annuì lentamente. «È vero» convenne. «Devi rimediare, ma non così». Inclinò la testa, sondando a fondo il suo sguardo. Una breccia si stava lentamente aprendo in quella barriera impenetrabile che lui si ostinava ad erigere: era l’occasione che aspettava, poteva finalmente attraversarla e ristabilire un contatto, tentando di risanare quel rapporto in continuo deterioramento.

«Tony» riprese, assumendo un tono di voce sicuro e al tempo stesso conciliante «Non stai reagendo nel modo corretto, credimi. Quello che è successo a Sokovia è una vera tragedia e penso di poter immaginare come ti senti».

Tony scosse la testa, le labbra piegate in un sorriso amaro. «Non puoi. Nessuno oltre a me può saperlo davvero».

Pepper lo scrutò con attenzione. Per quanto si ostinasse ad isolarsi nella sua sofferenza, lei non aveva alcuna intenzione di demordere. «Ma posso provarci, almeno» replicò.

Lui negò ancora, sbuffando una risatina infelice. «Fidati, no. Io stesso fatico a raccapezzarmi».

«Va bene» concesse, spiccia. «Ciò non toglie che tu la stia gestendo in modo sbagliato». Si avvicinò a lui e gli prese le mani tra le sue, in una stretta salda eppure confortevole. «Non possiamo cancellare quello che è successo e non possiamo fare finta che non sia mai avvenuto. Ma dobbiamo andare avanti» insistette, cercando il suo sguardo. «Non potevi prevedere che sarebbe andata così. Le tue intenzioni erano ammirevoli, volevi solo garantire la pace» osservò, con tono ragionevole.

«E invece ho causato l’effetto opposto, pensa un po’» mormorò lui, sarcastico.

Pepper accarezzò le sue mani, cercando di trasmettergli tutto il suo sostegno attraverso le dita. «Volevi rendere il mondo un posto migliore e sicuro. Non è questo ciò che conta, alla fine?» provò.

Tony non rispose, limitandosi a spostare lo sguardo sul bancone ma senza vederlo davvero. Pepper capì che non stava facendo abbastanza e sentì dentro di sé l’urgenza di avvicinarsi ancora, di provare a colmare quella distanza che si intensificava ogni giorno di più. «Dovresti smettere di passare tutto il tempo qui dentro. Potresti provare ad uscire, vedere qualcuno… dedicarti ad altro» esitò, incerta. «Da quant’è che non vedi Rhodey?» chiese.

Lui si strinse nelle spalle, assorto. «Boh. Da qualche settimana, penso».

«Perché non lo chiami? Lo sai che verrebbe subito» suggerì lei, osservandolo attenta.

Tony contrasse le labbra in una piega dura. «Non mi va. E poi avrà sicuramente da fare» rispose.

«Per te troverebbe sempre del tempo, lo sai» considerò Pepper. Evitò di fargli notare che prima di allora non si era mai fatto problemi in merito agli impegni di Rhodey, e che si stava nascondendo dietro l’ennesima scusa: non voleva contrariarlo e spingerlo a chiudersi di nuovo in se stesso. Era ben consapevole di starsi addentrando in un terreno pericoloso, con l’alto rischio di incrinare ulteriormente il precario equilibrio in cui si trovavano.

Valutò con attenzione come muoversi, cosa dire. Una parte di sé avrebbe voluto continuare ad assecondarlo, con l’intento di riuscire a far sì che lui la vedesse finalmente come un’alleata; un’altra, invece, desiderava scuotere il suo animo, indurlo a reagire anche a costo di farsi odiare. Inclinò la testa, riflettendo febbrile. Infine, decise che valeva comunque la pena tentare: forse, insistendo un po’, sarebbe riuscita a farlo ragionare. «Perché non fai un giro al Complesso? Stare in compagnia ti farà bene. E già che ci sei, potresti dare un’occhiata ai nuovi membri» propose quindi, speranzosa. «Potresti davvero fare la differenza. Sarebbe un ottimo modo per ricominciare a vivere e lasciarti lo sconforto alle spalle».

Tony sbuffò, improvvisamente infastidito. «Ne abbiamo già parlato, Pepper, e ti ho detto che non sono per niente la persona adatta. Pensi davvero che potrei presentarmi davanti a loro e pretendere di dispensare consigli e morali? Io, che ho distrutto un’intera nazione perché non so accettare i miei limiti?» sbottò, senza curarsi di nascondere il risentimento. Scostò bruscamente le mani dalle sue, indietreggiando di qualche passo e fremendo di rabbia. Dolore e frustrazione e amarezza si rincorrevano senza sosta nei suoi occhi.

Pepper percepì distintamente una frattura farsi strada implacabile tra di loro; si stava di nuovo allontanando da lei. «Tony, per favore. Se solo ci pensassi un po’ sopra, capiresti che…» tentò, cauta.

Lui non le permise nemmeno di terminare la frase. Si girò di scatto, dandole le spalle. «Ho detto di no. Ci ho già riflettuto a sufficienza, non serve a niente insistere» decretò.

Pepper si ritrovò a fissare la sua schiena, che conosceva così bene e tuttavia non le era mai sembrata così estranea. Alzò di scatto una mano, per poi bloccarla a mezz’aria e lasciarla ricadere contro il fianco. Scosse appena il capo, cercando di fare mentalmente ordine. «Ascoltami. Io capisco che non sia per niente una situazione facile, ma possiamo trovare una via d’uscita» esordì, con voce salda. Mosse qualche passo verso di lui. «Non sei solo. Io sono qui, siamo insieme, possiamo affrontare qualsiasi cosa. Ma devi darmi modo di aiutarti».

Lui si passò una mano sul volto. «Non puoi aiutarmi. Nessuno può, nemmeno tu» mormorò, voltandosi appena. Un istante dopo dovette essersi reso conto di ciò che aveva detto, perché schioccò la lingua e le rivolse un’occhiata di scuse. «Mi dispiace. Non è colpa tua. È qualcosa che devo capire e risolvere da solo» precisò.

Pepper incassò le sue parole con un dolore sordo nel petto, ma non vacillò: era decisa a non arrendersi. Non ancora. «Sì, che posso aiutarti. Se solo tu…».

«No. Questa volta è diverso» stabilì lui, con voce ferma. Rimasero a scrutarsi per lunghi istanti, poi Tony scosse la testa e si appoggiò pesantemente al bancone. «Basta, Pep. Smettila. È tutto inutile» rimarcò con durezza.

Pepper lo osservò, sbigottita. Un ansito spezzato le sfuggì dalle labbra socchiuse. D’un tratto, lo vide per come era davvero: lontano, inarrivabile. La breccia si era chiusa, il muro si era fatto, se possibile, ancora più insormontabile.

Come un fiume in piena, percepì distintamente la frustrazione diffondersi nelle vene. Niente di ciò che diceva sembrava fare effetto: più tentava di raggiungerlo e più lui gli sfuggiva, sempre un passo al di fuori della sua portata. Decise che avrebbe tentato con ogni mezzo, anche a costo di sbattergli crudelmente la verità in faccia. «Non puoi riportare in vita quelle persone. Non puoi più fare niente per loro, lo capisci?» affermò, schietta.

Lui incassò le spalle, incurvandole sotto il peso di quell’affermazione. «Lo so. Ma questo non implica che non possa creare qualcosa che mi permetta di trovare un po’ di sollievo». 

Pepper sentì la rabbia montare dentro di sé e prevalere sul misto di sensazioni contrastanti che provava: eccolo lì, il nocciolo del problema. «Ti stai curando solo del tuo senso di colpa. A te non interessa fare ammenda, tentare di rimediare attivamente ai tuoi errori. Vuoi solo liberarti la coscienza» sentenziò, senza preoccuparsi di celare la durezza delle sue parole.

Tony non rispose, né diede segno di volerlo fare; il suo corpo vibrò per un istante, ma un attimo dopo ritrovò la sua compostezza. Si limitò ad afferrare un prototipo posato accanto a lui e a rigirarselo tra le mani, osservandolo assorto.

Sentendo che il silenzio continuava a protrarsi, Pepper capì che non avrebbe ottenuto altre risposte da lui. Non in quel momento, almeno. Scelse comunque di lanciare un ultimo affondo, nella speranza di riuscire finalmente a scuoterlo. «Tutto questo non ti porterà da nessuna parte. E lo sai».

Prese ad allontanarsi in direzione della porta, abbandonandolo al suo cieco tormento. Salì le scale quasi di corsa, rabbia e dolore che si agitavano dentro di lei ad ogni passo. Raggiunse infine il salotto e si lasciò cadere sul divano. Si portò le mani al volto ed espirò con forza, cercando di calmarsi, di riprendere il controllo per valutare con attenzione ciò che era appena accaduto.

Ripercorse con la mente ogni frase, ogni sguardo, ogni silenzio. Pensò che avrebbe potuto fare un altro tentativo, magari utilizzando maggior cautela, ma qualcosa dentro di sé le diceva che non sarebbe servito a nulla. Questa volta, Tony non stava affrontando normali difficoltà o quotidiani incidenti di percorso; erano i suoi demoni ad affollargli la mente e ad opprimerlo, demoni che lui stesso aveva creato nell’assistere alla distruzione causata da Ultron, la sua creatura. Si trattava di un dolore al di fuori della sua portata, che forse non avrebbe mai potuto toccare e comprendere fino in fondo, un dolore che si originava e si concludeva in Tony e che lo circondava, isolandolo da tutto il resto.

Si rese conto che spettava a Tony trovare il modo di affrontare quella distanza e decidere di percorrerla, riducendola un passo alla volta mentre combatteva dall’interno le ombre che lo opprimevano. Capì che per lei era inevitabile a quel punto fare un passo indietro, lasciandolo affrontare la propria battaglia e limitandosi a seguirlo con lo sguardo, anche a costo di perderlo.

Sorrise con profondo rammarico: stare ferma a guardare non le era mai sembrato così difficile.


 
“They say it’s what you make
I say it’s up to fate
It’s woven in my soul
I need to let you go
Your eyes, they shine so bright
I want to save that light
I can’t escape this now
unless you show me how”
 
Demons – Imagine Dragons




Note:
[1] Piccolo omaggio a Heath Ledger. 

[2] Nei fumetti, Tony sviluppa in più occasioni una vera e propria dipendenza dall’alcol, mentre invece nei film del MCU questo aspetto viene solo toccato in maniera superficiale. Considerando la caratterizzazione del personaggio, ho ritenuto più coerente la versione del fumetto e l’ho adattata al mio contesto.




Ciao a tutti! Eccomi con il quinto capitolo, che si svolge poco dopo Age of Ultron, nell’arco di tempo che precede Civil War. Il tema principale è, chiaramente, il tormento di Tony per ciò che è accaduto a Sokovia: per la prima volta, è stato un suo errore a causare morte e distruzione e tutto questo ha un impatto non indifferente sulla sua psiche. È sicuramente un passaggio vitale per la sua maturazione.
 
Il punto di vista è quello di Pepper: ho trovato molto interessante analizzare tutta questa sofferenza attraverso occhi esterni. Gli occhi di chi, appunto, si ritrova ad avere che fare con una persona che sta visibilmente male, ma che non vuole o, meglio, non può farsi aiutare. Spero di essere riuscita a rendere in modo credibile la sua frustrazione e la sua determinazione nel tentare di stabilire un dialogo, in un continuo oscillare tra un approccio cauto e uno più brusco. Al tempo stesso, ho cercato di renderle giustizia lodando la sua capacità di riuscire a gestire senza crollare lavoro e relazione: trattandosi di un personaggio secondario, nel MCU tutto questo non viene molto approfondito.

Questo capitolo pone le basi per ciò che avverrà nel prossimo: in primis per Tony e la sua introspezione, ma anche per la loro rottura. A questo proposito, il momento che ho deciso di raccontare qui non è esattamente quello in cui decidono di prendersi una pausa, ma quello in cui Pepper si rende conto di non poter fare nulla per aiutare Tony. Il che non esclude che nei giorni successivi non ne abbiano riparlato, in modo pacifico o urlandosi contro; ma è, inevitabilmente, il primo passo concreto che porterà alla loro separazione in Civil War.

Ho infine scelto di inserire Happy e il loro scambio di battute per tentare di spiegare perché, a partire da Homecoming (ad essere precisi, da Civil War, considerando che nel primo film di Spider Man si vedono i flashback di CW) lui abbia ripreso a lavorare per Tony occupandosi di Peter, se fino a quel momento aveva praticamente sempre lavorato per Pepper: ho trovato coerente che glielo abbia chiesto lei, per sentirsi un po’ più tranquilla.

Grazie a chi seguirà, recensirà e leggerà la mia storia: se mi farete sapere cosa ne pensate, mi renderete molto felice!
 
Iander
 
  
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