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Autore: Klood    29/08/2009    4 recensioni
Cosa cambia nel cuore di due persone che non si vedono da sei anni? Può un'amicizia durare nonostante la distanza e la lontananza più totale? Juliet, nota giornalista, rivede Orlando, ormai attore affermato del cinema....
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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THERE’S NO PLACE LIKE LONDON

CAPITOLO I

 

 

J

uliet non poteva quasi credere di essere davanti a quella porta: quante volte era passata con lui davanti a quella casa, guardandola e sognando un giorno di entrarci. Perché lui ce l’avrebbe fatta. Avrebbe realizzato il suo sogno diventando quello che sognava fin da quando si conoscevano. E lui avrebbe comprato quella casa. Quante volte i due, adolescenti, ne avevano immaginato l’interno, trasformandolo a loro piacimento. Perché nessuno dei due vi era mai riuscito ad entrare, nonostante ne conoscessero il proprietario. E forse non avevano mai chiesto il permesso di poterla vedere, nemmeno con una scusa, probabilmente per rispetto o per paura che le loro aspettative si tramutassero in delusioni. Così i giorni si erano susseguiti, tramutandosi in settimane, mesi e anni, in cui i sogni aumentavano e crescevano. Poi, d’improvviso, quasi come una doccia fredda, era arrivata la lontananza. Per i primi tempi Juliet aveva sperato che nonostante tutto, lui sarebbe tornato, meno regolarmente, certo, ma l’avrebbe fatto; e come si sbagliava. Ormai erano passati sei anni, ma la ragazza, che era diventata una donna, aveva continuato a coltivare nel profondo un barlume di speranza.

A 32 anni ormai compiuti, con un lavoro sicuro ed una meravigliosa casa nella capitale britannica, ci si aspettava solo l’arrivo del principe azzurro; lei invece aspettava l’arrivo di qualcun altro. Era una di quelle cose che nessuno si sapeva spiegare, specialmente le sue colleghe in redazione: Juliet era davvero una bellissima donna. Capelli lunghi e leggermente mossi color castano, occhi castano scuro, labbra sottili e viso da principessa delle favole; instancabile lavoratrice, solare, divertente, disponibile e ambiziosa al punto giusto…ma senza una relazione fissa. Era uscita con alcuni ragazzi, in quel periodo, ma nessuno aveva superato la terza settimana. L’unico che ci era riuscito, a sentire le storie che circolavano, era una storia di anni prima: ancora ventenne e fresca di laurea, Juliet, appena assunta, aveva avuto una storia con un famoso editore, un certo Christian Johnston. I due erano sempre insieme, facendo i fidanzatini alla prima cotta senza nessun tipo di timore. Poi, dopo due anni, inspiegabilmente, tutto era finito. Nessuno sapeva la ragione di questa separazione improvvisa: si sapeva solo che due anni dopo Christian Johnston si era sposato con Jane Banks, giornalista di People, ed ora aveva ormai tre figli.

Altro fatto alquanto inconsueto per una donna, era lo strano attaccamento di Juliet per vari oggetti alquanto bizzarri che riempivano il suo ufficio. A prima vista non si notavano molto, ma se si cominciava ad osservare lo studio con più attenzione, non si potevano non notare il teschio sulla mensola alla destra della scrivania, la freccia che era stata appesa al muro sopra la porta; L’arma di un eroe, citava una scritta a mano sotto di essa. Per non parlare dei vari proiettili e pezzi di artiglieria che si intravedevano qua e là nella libreria. “I ricordi di un periodo particolare” spiegava a chiunque le chiedesse delucidazioni su quegli oggetti. E ormai nella redazione londinese di Vogue si erano tutti abituati a quella particolare donna che avevano visto arrivare ormai cinque anni prima con la convinzione di conquistare la meta che si era prefissata nel minor tempo possibile. E dopo tre anni l’aveva raggiunto: era lei ad intervistare i volti di copertina che capeggiavano sulle copertine della rivista.

Ancora di fronte a quel cancello, fu scossa dai suoi pensieri, sentendo il campanello di una bicicletta che passava di lì. Respirò profondamente e suonò il campanello in cui era scritto ancora il nome del vecchio proprietario, cosa che fece sorridere la donna. Il temutissimo professor Seamus Cooper, che insegnava la letteratura citando Shakespeare anche se si parlava di James Joyce. Pochi secondi dopo aver suonato il campanello, sentì il citofono alzarsi e, sorridendo, Juliet iniziò a parlare.

O Romeo, Romeo! Wherefore art thou Romeo?

Deny thy father and refuse thy name!

Or, if though wilt not be but sworn my love,

And I’ll no longer be a Capulet.

Non appena ebbe finito sentì il cancello scattare e con una lieve pressione lo aprì, entrando lungo il vialetto di quella casa tanto sognata. Quindi davanti alla porta, bussò con due colpi. Attese qualche secondo, prima di trovarsi davanti un ragazzo, o meglio un uomo, con i capelli castani medio lunghi, gli occhi azzurri, il naso un po’ a patata e le orecchie leggermente a sventola. Vestiva con un semplice paio di jeans un po’ vissuti, una t-shirt colorata ed una giacca nera. Juliet sorrise, serena: le sembrava passata un’eternità da quando quei due si erano visti, ma ogni momento le era tanto scolpito nella mente che sembrava quasi che quei ricordi fossero stati congelati per essere poi tirati fuori freschi al momento adatto. Istintivamente si sfiorò il ciondolo che portava al collo: una j intagliata in un pezzo di legno; lo stupore che percorse il volto della persona di fronte a lei, le fece allargare il sorriso ancora di più.

“Juliet!” esclamò ancora più stupito.

“La sola ed unica, Dom.” fu la risposta di lei, che non appena finì quella frase gli si gettò tra le braccia, felice. Lui la strinse a sé inspirando quel profumo…lo stesso che aveva l’ultima volta che si erano visti. Lui si staccò da lei, guardandola negli occhi per poi farle fare una piroetta. Sorrise. Non solo il profumo non era cambiato, ma anche tutto il resto. Era solo maturato a causa del passare degli anni. I capelli sempre raccolti in quella maniera, che non aveva mai capito come potessero restarsene in quel modo; e quella solita ciocca che scendeva incorniciando il suo occhio destro. Quante volte mentre lei stava studiando, lui aveva cercato di sistemargliela, facendola sorridere e cominciare a scherzare, lasciando perdere completamente lo studio.

Juliet a sua volta l’osservò: l’ultima volta che l’aveva visto era stato in un minuscolo riquadro di People. Biondo, con quel suo solito sorriso, scherzava in una località tropicale assieme ad una donna molto bella, con cui stava da parecchio. L’articolo parlava di matrimonio imminente, e i due sembravano molto affiatati insieme, dando una conferma apparente alle affermazioni della giornalista. Juliet ricordava di aver sorriso leggendo quel trafiletto: non si immaginava possibile il matrimonio di quel ragazzo, ormai diventato uomo anch’esso, con cui aveva condiviso davvero tanto. Era quasi impossibile che una come Dom si sposasse…la parola matrimonio con annessi e derivati non compariva nel vocabolario personale di Dom.

“Juliet Wollstonecraft.” la interrupe Dom da quei pensieri, “sono passati sei anni e non sei cambiata di una virgola.”

“Tu invece in sei mesi diventi un altro.” gli rispose.

“Che fai? Spii?”

“Assolutamente no. Leggo i giornali…” gli sorrise. “Immagino che ci sia anche Evangeline, qui.”

A quell’affermazione Dom si bloccò: era ormai un anno che le cose non funzionavano con Evie, come la chiamava lui, e la rottura definitiva era avvenuta qualche mese prima, in un modo alquanto burrascoso. Stava per rispondere quando una voce lo bloccò.

Dominic Monaghan, se stai di nuovo cercando di abbordare qualcuno…” iniziò, per poi bloccarsi alla vista di quella scena. Il suo sorriso si allargò e si diresse a passo svelto verso Juliet.

“Sam!” esclamò quest’ultima, abbracciandola. “Sono secoli…”

“Secondo i miei calcoli, direi un anno, ad occhio e croce.” le rispose ridacchiando. “Spero tu non stia lavorando.” osservò, guadando in direzione di Dominic. “Oggi è vietato lavorare, e se vedo anche solo l’ombra della giornalista, giuro che ti caccio fuori a pedate nel fondoschiena!”

“Giornalista?” chiese Dominic con gli occhi sgranati. Juliet annuì, per poi fulminare bonariamente Sam con lo sguardo.

“Com’è che ti chiamano? Ah, sì! La temibile Wollstonecraft.” affermò Samantha, guardandola con occhio scrutatore. “Io però non vedo nulla di temibile…”

Dominic era sempre più stupefatto. “Tu sei la giornalista di Vogue? Quella dei servizi di copertina?” chiese.

“Affermativo, Mr. Monaghan.” gli rispose Juliet, lanciandogli un’occhiata che doveva incutere terrore, per poi ridere di gusto. Dopo di ché si rivolse all’altra donna. “Questa l’ha fatta mamma.” le disse, porgendole un sacchetto al cui interno vi era un contenitore quadrato. “Le ho ripetuto che non era necessario, ma lo sai com’è fatta…”

Samantha sorrise, annuendo, per poi prendere il sacchetto e sparire dietro ad una porta non lontana da loro.

Per un poco i due rimasero in silenzio, poi fu Dominic ad interromperlo. “Vieni, ti mostro la casa…” le fece, conducendola verso la sala. Mentre percorreva l’ingresso, Juliet si guardava intorno: a destra e a sinistra, man mano che procedevano, si aprivano alcune stanze che Dominic le indicava. Subito a sinistra, dietro la porta in cui era sparita Sam, c’era la cucina, collegata alla sala, mentre a sinistra c’era un ripostiglio e più avanti una stanza per gli ospiti. A quell’altezza il corridoio si muoveva verso sinistra, affiancando il bagno e arrivando dritto nella sala. Poco prima dell’entrata, una scala conduceva al piano di sopra.

Appena Juliet entrò nella sala rimase a bocca aperta: mentre l’ingresso era particolarmente sobrio e spoglio, la sala era completamente diversa. Nella parete opposta due finestroni immensi la percorrevano, lasciando da un lato spazio per una porta che conduceva nel giardino. Di fronte a lei vi era un lungo tavolo in legno, ora colmo di leccornie di ogni genere, dal dolce al salato. Infondo alla sala un divano in pelle bianca a elle di fronte ad un impianto tv da far rabbrividire con tanto di lettore dvd, vhs e l’immancabile play station. Appesi alle pareti, dove non c’erano mobili e mensole, vi erano due riproduzioni di quadri: un Constable ed un Van Gogh. Ora, in quella stanza vi erano un mucchio di persone, ed all’entrata di Dominic e Juliet molti si voltarono. La donna si rese conto di come molte di quelle persone le fossero familiari; ovviamente c’era tutto il gruppo che aveva condiviso con lei quell’esperienza favolosa. Passò in rassegna ogni viso, notando la mancanza di tre elementi: Dominic, che le era accanto, il fratello di Sam, ed un terzo, di cui stava per chiedere notizie, ma Dom sembrò leggerle nel pensiero.

“E’ andato a prendere il padrone di casa. Lo sai, che è il più affidabile…” le disse, facendola sorridere.

Poco distante da quel gruppo, ve n’era un altro, verso cui Juliet si diresse, andando ad abbracciare una ragazza bionda dai capelli corti e gli occhi vispi e sorridenti. Viola Barrie, figlia del noto Jonathan Barrie, primo violino della Royal Albert Hall di Londra, e lontana parente dello scrittore J. M. Barrie. Veniva da una famiglia di artisti: la madre infatti era stata membro della Royal Ballet e sua nonna prima ballerina della Scala. Da una ragazza simile ci si aspettava quindi un mestiere legato alle arti, anche diverso dalla professione che ricoprivano i genitori, come per esempio l’attrice o la pittrice. E invece Viola era diventata un chirurgo abbastanza importante e stimato dai suoi colleghi.

Dopo essersi salutate, Juliet salutò anche il resto del gruppo: erano presenti Hugh, Conrad, e Sylvia. Aggiungendo lei stessa, Viola, ed il fratello di Sam, si formava quello che loro stessi avevano nominato il Canterbury Shakespearian group. I sei erano infatti tutti nati a Centerbury e, fino a 16 anni, avevano frequentato le stesse scuole. All’età di 12, avevano costituito il gruppo: ognuno di loro aveva il nome di qualche personaggio di cui William Shakespeare aveva scritto ed ognuno rappresentava un’opera diversa dell’autore che tutti amavano particolarmente.

I cinque membri presenti in quel momento si scambiarono qualche parola, raccontandosi cos’era successo negli ultimi giorni; infatti nonostante l’assenza di un membro del gruppo, che ormai era così lontano da non venire più agli incontri, che si svolgevano comunque regolarmente, i ragazzi continuavano a frequentarsi. Dopo di ché Juliet si congedò da loro per dirigersi verso il gruppo dove c’era Dominic.

“Capisco che sono passati anni, ma almeno un ciao non sarebbe male…” commentò lei divertita, facendo zittire tutto il gruppo per qualche istante. Ma fu davvero un tempo davvero ristretto perché dopo il silenzio si trasformò in una gioia fatta di abbracci, baci, domande semplici e dirette che avevano il sapore di un tempo lontano, quando ancora la leggerezza dell’età era qualcosa di palpabile. E in quello scambio di sorrisi e gioia, Juliet rivide davvero tutti: Elijah, Billy, Liv, Karl, Miranda, Cate, John, Andy, Bernard, David, entrambi gli Sean, ed infine Ian che la chiamò come usava fare anni addietro, riempiendola di una serenità ritrovata per la prima volta dopo così tanto tempo. Ma quella festa fu improvvisamente interrotta dal trillo di un telefono, seguito dall’entrata nella sala di Samantha, proveniente da una porta laterale. Alzò la cornetta, mentre nell’intera stanza calò il silenzio, intervallato dalle brevi parole di Sam.

“Perfetto!” concluse la donna chiudendo la conversazione. Poi si guardò intorno seria, scrutando gli occhi di ognuno dei presenti, per poi rivolgersi a Dominic. “Occupati del piano di sotto. Io vado di sopra. Mi raccomando la porta… ed ognuno al suo posto.” concluse, rivolta a tutti.

In quel momento, sembrò scoppiare il finimondo; Dominic partì a tutta birra, dirigendosi verso le altre stanze. I restanti, invece, si divisero in due gruppi: Juliet e molti altri (tra cui l’intero gruppo con cui stava parlando) si recarono in cucina, e gli altri in bagno.

“Ma che cavolo…?” chiese Juliet non capendo, ma fu interrotta da due dita che le tapparono la bocca.

“Fai la brava, Jules, e non una parola…” le rispose Billy.

Poco dopo entrarono nella stanza anche Dominic e Samantha; lui si mise accanto a Juliet, mentre lei andò alla finestra.

“Eccoli.” fu il sussurro di quest’ultima, qualche minuto dopo.

Improvvisamente il silenzio calò nella casa, come se non ci fosse anima viva. Neanche i respiri erano percepibili e fu per Juliet qualcosa di irreale. Si rese conto in quel momento di come, nonostante sei anni di lontananza, non fosse cambiato niente in quel rapporto così particolare ma anche profondo. Anche se, in effetti, una cosa era cambiata: durante quei 18 mesi passati lontani dal mondo, aveva avuto la sua prima vera storia, finita dopo 7 mesi senza nessun tipo di rancore da parte di entrambi. I due si erano resi conto che la cosa non sarebbe potuta continuare, ed ora erano rimasti amici. Forse per una questione di riflesso, Juliet strinse la mano di Dominic che sorrise: aveva ragione lei. Nonostante quei 7 mesi non era cambiato il loro rapporto; certo, non facevano più i fidanzatini, ma i sorrisi, gli abbracci, e tutti quegli altri gesti che definiscono una profonda amicizia non si erano assopiti, anzi, si erano fortificati.

Improvvisamente, due mani si posarono sui fianchi di Juliet, che presa alla sprovvista stava per urlare, ma Dominic fu più veloce. Le tappò la bocca appena in tempo. Subito dopo infatti la porta d’entrata scattò e la luce dell’ingresso si accese, illuminando attraverso la fessura della porta la cucina. In quel momento Juliet si voltò, trovandosi di fronte a colui che in quella famosa esperienza era diventato un vero e proprio mentore per lei: il viso era leggermente invecchiato, ma quel suo fascino incredibile era rimasto inalterato. I capelli non erano più lunghi fino alle spalle, ma corti, ed un paio di baffi incorniciavano la bocca; i suoi penetranti occhi azzurri le sorridevano e lei ricambiò quel sorriso, rendendosi conto di essere finalmente tornata in quell’atmosfera fantastica e riempita di una gioia che davvero non provava più da tempo.

I passi nell’ingresso si facevano sempre più nitidi, dirigendosi verso la sala. Un cenno di Samantha e la porta che collegava cucina e salotto si aprì. I passi si fermarono, per farsi più veloci verso la sala. Rapidamente tutti uscirono dal loro nascondiglio, e proprio nel momento in cui il padrone di casa entrò nella casa, si accese la luce, e tutti si voltarono.

“Sorpresa!!!” fu il grido unanime che rimbombò per tutta la sala.

Il cane nero accanto a lui, sembrò riconoscere qualcosa, perché si buttò tra la folla, alla ricerca di quell’odore così familiare. Lui invece no, rimase lì. Fermo immobile. Incredulo che tutte quelle persone potessero essere lì per lui. Non che non fosse circondato da migliaia di persone ogni volta, ma solitamente erano tutte attratte dalla luce che emanava indirettamente, e non per quello che in realtà era. Sicuramente era stata la sorella ad organizzare il tutto, e doveva ammettere che la sorpresa era pienamente riuscita; e guardandosi attorno riconobbe tutti quei volti che gli sorridevano felici.

“Allora, non dici niente?” chiese Dominic, sorridendo soddisfatto.

Lui aprì bocca, ma non gli uscì niente. Non riusciva ad esprimere l’emozione forte e la gioia che gli aveva provocato quella sorpresa, ma nessuno gliene fece una colpa, perché subito fu investito da quella marea di gente che lo abbracciava, lo baciava affettuosamente, facendo riaffiorare vecchi ricordi. Poi, come in un viaggio nel tempo fatto a ritroso, se li ritrovò davanti: Viola, Sylvia, Conrad e Hugh. Dapprima il sorriso e la gioia lo pervase, per poi portare il suo occhio a vagare per la stanza, nella disperata ricerca di quell’unica persona che poteva riempire quel senso di vuoto e di smarrimento che lo stava attanagliando, facendogli quasi mancare il respiro.

“E’ qui, Gibbo.” gli disse Viola, quasi leggendo i suoi pensieri. “L’ho vista accanto a Dom quando siamo usciti. Un attimo prima era lì, e quello dopo era sparita… sarà in giro per la casa.”

“Forse hai ragione…” le rispose poco convinto, rendendosi conto in quel momento di come gli mancasse quel rapporto. Del perché aveva deciso di comprare quella casa non appena aveva saputo che era in vendita, occupandosi personalmente di arredarla, nonostante il parere contrario di Aileen. Non voleva che nessun altro la toccasse: quella casa aveva un significato che solo lui e lei sapevano. Quella era la casa che entrambi avevano sognato, ed ora che lui l’aveva, l’avrebbe trasformata, facendola diventare identica a come l’avevano sognata. E ora che vi era riuscito, o almeno così sperava, aveva intenzione di recuperare tutto, specialmente quegli anni perduti, in un modo o nell’altro.

Dopo aver scambiato qualche parola con ciascun membro del Group, rivangando vecchi ricordi, ed esperienze passate, li salutò, dirigendosi verso la sorella.

“Allora balenottera, potevi avvisare prima? Almeno chiamavo qualcuno a riordinare…” le disse.

“Ci abbiamo pensato io e la mamma, gambo di sedano… e ringrazia che sono passata prima di lei per vedere in che condizioni era.” gli rispose lievemente critica, “Tre giorni che vivi qui e sembrava passato Attila con il suo esercito.”

“Tu esageri…”

“E tu sei un casinista di dimensioni cosmiche.” gli disse Samantha, porgendogli poi un piatto con una fetta di torta. “Bentornato a Londra, fratellino.”

A quel gesto lui prese il piatto dalle mani della sorella, la guardò sorridente e le si avvicinò sfiorandole la guancia con un bacio delicato.

“Grazie, Sammie… per tutto.” le rispose dolce. Poi con la mano destra, impugnò la forchetta e mangiò un pezzo di torta. Samantha lo guardò incuriosita, come se stesse attendendo una reazione da parte del fratello più piccolo di due anni, che non comprendeva quello sguardo da parte della sorella. Poi improvvisamente, quando tolse la forchetta dalle sue labbra, cominciando a gustare il dolce, chiuse gli occhi. Quel sapore… lo riconosceva benissimo, anche dopo anni. Mentre iniziava a masticare, vedeva le mani di quella donna, che ormai aveva già circa 60 anni, ancora quarantenne, impastare e preparare quello stesso dolce, mentre due bambini giocavano in cortile, ridendo sereni ed ignari del futuro che li attendeva. In quel momento gli apparve un flash; i medesimi bambini, ormai adulti. L’uno accanto all’altra. Il sapore di quella torta in bocca e nelle narici il suo profumo. Un arrivederci e la promessa di un ritorno che non era mai accaduto: un ritorno che aveva dovuto aspettare anni prima di diventare concreto. Di colpo aprì gli occhi, ritrovandosi davanti la sorella che lo osservava.

“Ogni volta che la mangio torno indietro, ricordando dettagli che sembravano insignificanti a quell’epoca…” gli disse. “Sei anni di astinenza non so a cosa possano portare…” concluse, salutandolo con un bacio sulla guancia ed allontanandosi dal fratello che improvvisamente, iniziò a trangugiare quella fetta. E ogni boccone era un ricordo, un’emozione. I giochi al parco, gli esami, l’incidente a casa di Paul, l’operazione alla schiena, le lacrime di lei, le risate agli scherzi di lui. E fu così che si ritrovò di colpo con il piatto vuoto; lo pose su un tavolino vicino a lui e si voltò casualmente verso la finestra. E fu proprio lì, con il braccio destro a mezz’aria e quello sinistro lungo il fianco, gli occhi fissi al giardino, che si bloccò, mentre lungo il corpo si sentì il sangue scorrergli nelle vene ancor più velocemente del solito, inondandolo di un calore ritrovato. Con una lentezza quasi esasperante, si incamminò verso la porta da cui si accedeva in giardino, aprendola e richiudendola dietro di sé silenziosamente. Poco distante, alla sua destra, Sidi, suo fido compare a quattro zampe da ormai tre anni, era steso sull’erba scura, confondendosi con essa. Il muso rivolto verso qualcuno: una donna. Portava un paio di decolté nere, le gambe fasciate da calze color carne sotto ad una gonna scura. Dalla giacca scura (probabilmente dello stesso colore della gonna) usciva una camicetta bianca molto semplice. I capelli erano tenuti raccolti grazie ad un bastoncino, ed il viso, ce si vedeva solo in parte, sembrava sorridente e disteso.

Abbagliato da quella visione che gli sembrava così lontana, rimase per qualche attimo bloccato sul pavimento, poi il suo piede si posò sull’erba fresca facendo un passo verso di lei. Mentre compieva questo movimento prese fiato, e parlò, scandendo le parole e amplificando la voce, rendendola cristallina, come gli era stato insegnato.

If I profane with my unworthiest hand

This holy shrine, the gentle sin is this:

My lips, two blushing pilgrims, ready stand

To smooth that rough touch with a tender kiss.

Alle prime parole la mano della donna si bloccò. Il cane si voltò verso colui che aveva parlato, per poi tornare con gli occhi a quell’amorevole persona che ormai conosceva da un anno. Quando era entrato in quella immensa sala, ne aveva riconosciuto immediatamente l’odore, e l’aveva rivista in giardino, intenta a contemplare il cielo. Ma ora, le vedeva qualcosa sul viso che non aveva mai visto. Fece un mugolio, cercando di capire cosa stesse succedendo. Lei gli accarezzò dolcemente la testa, sorridendogli amorevolmente, mentre una nuova e ritrovata luce si impossessò dei suoi occhi. Si alzò in piedi, prese un respiro e si voltò verso il suo interlocutore.

Good pilgrim, you do wrong your hand too much,

Which mannerly devotion shows in this;

For saints have hands that pilgrim’s hands do touch.

And palm to palm Is holy palmer’s kiss.

Senza fare oltre, lui mosse un passo verso di lei.

Have non saints lips, and holy palmers too?

Lei sorrise, muovendo un passo in sua direzione.

Ay, pilgrim, lips that they must use in prayer.

Un altro passo verso di lei.

O then, dear saint, let lips do what hands do:

They pray: grant thou, lest faith turn to despair.

Lei si mosse verso lui. E la distanza tra loro era quasi colma.

Saints do not move, though grant for prayer’s sake.

Un altro passo. Avrebbe potuto sfiorare le braccia di lei, se solo avesse allungato il braccio, ma non lo fece.

Then move not, while my prayer’s effect I take.

E non appena le parole diventarono solo un ricordo, colmarono insieme quella minima distanza che c’era tra di loro, trovandosi l’una nelle braccia dell’altro, abbracciandosi dopo sei anni di lontananza, mescolando i ricordi di una vita passata insieme, una vita che li aveva riempiti di esperienza, di sogni, e di ambizioni. Quella stessa vita,che li aveva allontanati, ma che ora li aveva fatti riunire in quel giardino di quella casa tanto sognata. Lui la strinse di più a sé inalando il suo profumo e sorridendo. Era sempre lo stesso di sei anni fa, lo stesso da quando la conosceva; quell’odore di vaniglia che ti entrava nelle narici anche se tu non volevi.

“Usi ancora quel bagnoschiuma.” ruppe il silenzio lui.

“Credo di mandare avanti la casa da sola.” sorrise lei.

Lui si lasciò scappare una risata, per poi iniziare ad accarezzarle la schiena.

“Sono un coglione… non ho mantenuto la promessa…” si scusò.

“Non è vero. Siamo qui…” fu la risposta di lei, che alzò il viso sorridendogli e guardandolo in quegli occhi color nocciola. “Siamo a casa.”

La guardò negli occhi. Era cresciuta, certo, diventando una donna, ma la ragazza che aveva conosciuto lui era ancora lì, in attesa del suo ritorno. Le scostò la solita ciocca, sorridendo, posizionandogliela dietro l’orecchio.

“Mi sei mancata, Jules.”

“Mi sei mancato anche tu, Orlando.”

 

 

Questa è la mia prima fanfic... chissà che ne verrà fuori… spero gradiate… Ah! Ovviamente non conosco Orlando Bloom e nemmeno mi appartiene, non intendo quindi con questa fan fic offenderlo…

   
 
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