Hävitä
scomparire,
svanire, perdersi
Ariana abita in un mondo tetro dove il tempo non ha significato.
La sua vita è un
susseguirsi di momenti luminosi di sole (la sua voce niente fiori
spezzati
niente dita nere di lividi) e attimi dove il buio si addensa e i
narcisi si
sollevano crudeli per ballare nel cielo (il volto di sua madre
inerte sul
pavimento le grida dei suoi fratelli la risata dello straniero dagli
occhi
verde menta).
I suoi ricordi non sono lineari, a volte le sembra ieri il giorno in
cui tutto
s’è interrotto e a volte non ci pensa per settimane, per mesi interi.
Ricorda
ossessivamente la notte in cui Gellert è entrato nella sua stanza –
le sue
dita sulla pelle delle cosce, l’affanno del proprio respiro, quel misto
disperato di paura e desiderio, confusione, e poi la sua bocca sulla
propria e il
suo sapore e il calore di quelle labbra salate come lacrime, le sue
parole
impossibili (Ariana non capisce sempre ma quella volta sì quella volta
ha
capito e ha provato felicità, felicità e speranza).
Lo straniero, però, non parla più.
Non la guarda e ride tra le braccia di Albus, mentre Ariana abbandona i
fiori
sul pavimento e rifiuta di mangiare. Non ci sono più storie d’un mondo
perfetto, sogni che popolano il buio – la sua voce di miele è
annegata tra
risa stridenti, e le tenebre crepitano sempre più forte.
L’ha abbandonata – i
fiori frusciano e le crepe iniziano a sembrare baratri.
Ariana strappa i
narcisi con sempre più ferocia.
Di corone ne ha avuto abbastanza per una vita (distrutta) intera.
È una mattina tetra quando Ariana, spaesata, fragile, senza lividi, lo
cerca.
Gellert è sceso dalle scale per dirigersi in cucina, la sua voce
allegra è
ancora intenta ad articolare qualcosa ad Albus, che è rimasto in
camera, lei lo
sente e si solleva dal prato in cui giace come fosse già morta.
Si incontrano nel salone in penombra. Lo straniero si paralizza,
davanti a
quello sguardo azzurro così intenso, così consapevole (come la
notte in cui
l’ha baciata la notte in cui avrebbe voluto dissacrarla e invece è
scappato
come il codardo che non è mai stato), e non può fare a meno di
rabbrividire.
Lei trema, sente le lacrime pungerle gli occhi anche se non capisce
perché (ha
sette anni e non ha avuto neanche il tempo di piangere ancora rideva
quando
l’hanno fatta a pezzi) e così tende quelle mani magre verso di lui.
Lo straniero raccoglie quella supplica e bacia quelle dita senza lividi
– sa
che se uno dei suoi fratelli dovesse vederli scoppierebbe un disastro,
sa che
Albus non lo perdonerebbe mai, ma lei ha quell’aria persa, come se
fosse sul
punto di svanire, di dissolversi, scomparsa come il blu di quegli
ematomi che
non la adornano più, e senza lividi è ancora terrena oppure no?
Gli occhi di Gellert piangono un futuro che non si realizzerà mai,
mentre le
sfiora appena la gola.
“Se avessi potuto salvarti, forse noi...”
Ariana si lascia
sfuggire uno di quei gemiti metà singhiozzi metà sussurri (perché
capisce) e
strattona il braccio dello straniero per attirarlo più vicino. Lui non
oppone
resistenza, le sue mani si chiudono su quel viso magro e le sue labbra
le
sporcano la bocca (Ariana è felice anche se piange mentre respira
il suo
respiro). Tutto sembra precipitare, e non importano le anime (giuste
sbagliate non importa più), non importano i corpi (giusti
sbagliati non
importa più), non importa il sangue (fratelli legami una
verginità da
stracciare), tutto crolla e sparisce e si disintegra in quel bacio
famelico.
Gellert la sta ancora baciando quando Aberforth varca la porta del
salone.
Tutto si congela per
un istante infinitesimale – poi lo straniero la lascia andare come
se si
fosse scottato, lei piange ma le sue dita impacciate cercano di
trattenerlo per
la stoffa della camicia (è la camicia di suo fratello Albus) e
Aberforth grida
sfoderando la bacchetta.
Ariana singhiozza forte mentre loro due si battono a duello. Lo
straniero
ride di disprezzo e suo fratello è troppo furioso per articolare anche
una sola
parola, Albus si precipita giù dalle scale e resta attonito a fissare
la scena,
poi sfodera la bacchetta a sua volta.
Ariana piange, mentre nei suoi ricordi i narcisi ballano sfrenati (i
Babbani
l’hanno presa a calci fino a farle sputare sangue lei urlava e loro
ridevano e
calpestavano i suoi fiori le sue corone perfette e lei piangeva perché
i fiori
erano innocenti i fiori non avevano fatto niente di male), dondola
su se
stessa, cercando di ignorare le urla – ma lo straniero sta torturando
il suo Aberforth
e tutto svanisce e niente sarà mai più come prima.
Albus supplica, Gellert col sorriso rosso per un labbro spaccato lo
spinge via (avresti
dovuto educarlo tu stesso amore mio guarda cosa mi stai costringendo a
fare) e
Ariana piange disperata, ma tutte quelle crepe nessuno le nota.
Lei sa che è soltanto
colpa sua (per quel bacio per quella notte per quei racconti di
mondi
ideali) e geme i suoi sussurri incompresi. Vorrebbe chiamare i
loro nomi,
ma non può, non può – i Babbani l’hanno fatta a pezzi perché
giocava coi
fiori e lei ha perso la voce ha perso il senno ha perso tutto, anima
rotta in
un corpo bellissimo incapace di farsi ascoltare.
Ariana si strappa i
riccioli mentre sente la pazzia schizzarle fuori dalla testa, le orbite
doloranti come se ci avessero conficcato dei chiodi – ma nessuno la
sente,
nessuno la vede, a nessuno importa.
Le urla di Aberforth sono assordanti, raccapriccianti, la
bacchetta
giace inerme tra le dita di Albus mentre le suppliche gli cadono dalle
labbra
come le lacrime dal viso, Gellert ride della sua risata irrefrenabile
ma non
smette, e si scrolla di dosso il suo unico amico quando questi gli si
aggrappa
alla camicia (è la sua camicia ha addosso la sua camicia ha tutto
il suo
amore ma lo sta facendo a pezzi ugualmente).
Ariana non ci pensa più e scatta in avanti – non possono
sentirla ma
possono vederla e lei li fermerà li fermerà a qualunque costo perché li
ama
tutti li ama tutti pazzamente – ma la magia dentro di lei è
impazzita ed
esplode, e nello stesso istante Albus solleva la bacchetta per fermare
quello
scempio, e non la vede, semplicemente non la vede (è accecato dalle
lacrime
meine liebe che cosa stai facendo), e in un istante è tutto
finito.
Aberforth non grida più, Gellert non ride, Albus non piange – e la
bambina
spezzata giace sul marmo bianco del pavimento, interrotta per sempre.
La porta che si
chiude dietro i capelli biondi di Gellert fa male soltanto un po’.
Note
dell’Autrice
Ed eccoci alla fine
di questa storia. L’ultimo capitolo l’ho
voluto scrivere dando voce ad Ariana e utilizzando il suo punto di
vista.
Spero vi sia piaciuta. Grazie a tutti quelli che sono rimasti con me in
questa
piccola avventura.
Mary