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Autore: Antys    09/11/2021    6 recensioni
«Voglio davvero crescere dei lupacchiotti con te, Der».
[…]
«Ha i tuoi occhi» il mutaforma lo guardò interrogativo, non sapendo minimamente a cosa si riferisse e Stiles dovette prendere un profondo respiro. «Di quando ti ho incontrato la prima volta» non li aveva mai dimenticati, nei giorni, nei mesi e negli anni, li aveva sempre avuti impressi nella memoria, indelebili, come se nulla avesse potuto cancellarli. Con il trascorrere del tempo quegli occhi pieni di struggimento e profondo senso di abbandono si erano intensificati, insieme al continuo dolore che gli veniva costantemente iniettato direttamente nelle vene. Non c’era stata quasi più via di salvezza. Di redenzione. Nella loro vita insieme, nella loro lunga, disastrosa ed incantevole storia d’amore, Stiles pensava di avergliela finalmente fornita.
Fu il turno di Derek di precipitare in una bolla priva di suoni, ma le motivazioni che avevano spinto la foga irrefrenabile di Stiles gli furono immediatamente lampanti. «Non puoi salvare tutti».
[…]
«Stai attento a quello che dici, ragazzino» il buio nello sguardo del lupo completo si palesò in tutta la sua ampiezza. «Sei sempre stato subdolo» proferì con voce incolore, l’oscurità che catturava tutta la luce. «Ma mai scorrettamente crudele».
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Derek/Stiles, Nuovo personaggio, Stiles Stilinski
Note: Kidfic, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Epilogo

 

«Cosa sto dimenticando?» Stiles si aggirava con ansia e sospetto per tutta la camera padronale, il letto ancora sfatto e parte di vestiti inutilizzati buttati sopra, la sveglia segnava un orario proibito rispetto a quello a cui si era abituato in quelle dodici settimane. 

«Niente» disse Derek con certezza, seguendolo per le scale e fin dentro lo studio, guardandolo raggiungere la cassaforte e digitare il codice di sicurezza, estraendo la pistola in dotazione e inserendola nella fondina; il distintivo era già dentro il taschino interno della giacca scura.

Gli occhi d’ambrosia scandagliarono tutto quello che aveva intorno, i documenti letti e riletti sul tavolo da lavoro, gli evidenziatori colorati e le innumerevoli penne inserite nel loro apposito contenitore, non c’era niente fuori posto. «Sicuro?».

«Sicuro» confermò il lupo mannaro, allungando le mani e strizzandogli le spalle per rilassarlo, stando ben attento a non sgualcirgli il vestito elegante che indossava come se fosse una divisa.

Stiles sospirò già esausto e ancora non aveva attraversato l’ingresso principale per lasciare l’abitazione, dirigersi in auto e metterla in moto, l’angoscia che sentiva dentro non riusciva a scacciarla via. «C’è qualcosa che mi frena».

«È del tutto normale» asserì Derek senza alcun stupore, le dita meticolose che scioglievano i nodi che il giorno precedente l’umano non aveva. «Sindrome da distacco».

Il detective gli soffiò contro con dispetto e noia, assestandogli un’occhiataccia. «Ti diverte, vero?».

«Un po’» Derek gli rifilò il suo sorriso affascinante che tirava fuori in rare occasioni, principalmente per deriderlo.

«Hai tutto sotto controllo? Ti serve una mano?» lo ignorò l’umano, tempestandolo di domande e facendo emergere l’ansia perpetua che lo caratterizzava, ma che giunti al quel punto si mischiava con l’apprensione genitoriale: con connubio letale.

«Ho tutto sotto controllo, va tutto bene» proferì per nulla turbato la creatura della notte, la pazienza che si palesava a prendere il sopravvento. «Tranquillo».

«Sarò tranquillo quando Corine inizierà a frequentare l’asilo» non trovava proprio pace davanti alla prospettiva che non potesse occuparsi a tempo pieno della cucciola, di doverla lasciare ogni mattina a se stessa, sprovvista completamente della compagnia dei fratelli e di lui, ma con solo Derek a badare a lei. Il lupo poteva non avere delle ore lavorative fisse, ma aveva molti progetti che lo coinvolgevano, persone da incontrare, appuntamenti a cui partecipare, commissioni di ogni genere e luoghi da ispezionare, aerei da prendere e visite fuoriporta, faticava a comprendere come avrebbero fatto a far coincidere i loro orari ed i turni per averla sempre sotto i loro occhi; Derek non sarebbe stato sempre disponibile e Stiles sapeva che avrebbe dovuto cominciare ad organizzare la sua agenza mattutina e fare numerosi sacrifici, chiedere favori e contraccambiarli. Sapeva anche che, laddove in città Derek fosse sicuro, se la sarebbe portata con sé ovunque fosse andato.

«Sono soltanto un paio di mesi, ce la caveremo» lo quietò il mutaforma, la ragionevolezza dalla sua parte, come se non vi fosse alcuna preoccupazione che lo turbasse.

Era una fortuna che nella coppia ci fosse qualcuno pragmatico, che non si facesse sopraffare dall’agitazione dell’ignoto e delle troppe incognite che quella situazione avrebbe potuto portare. «Sì, hai ragione» se la cavavano sempre, tuttavia l’attenzione del figlio dello sceriffo riprese a girare per tutta la stanza come se non fosse persuaso, finché gli occhi non brillarono davanti alle tre piccole figure che li osservavano dalla porta, i baffi di latte e indossando per metà ancora i pigiami dalle fantasie complesse, non lasciando una buona impressione che le cose stessero funzionando poi così bene e due di loro sarebbero dovuti già essere pronti per essere condotti all’istituto scolastico; purtroppo non aveva tempo per occuparsi di quello, di sorvegliarli mentre terminavano di lavarsi e vestirsi, l’orologio ticchettava e non poteva permettersi di essere in ritardo il suo primo giorno di rientro a lavoro. «Ehy, tesori miei».

I bambini videro i lunghi arti superiori di Stiles spalancarsi, invitandoli ad accorrere verso di lui per ricevere l’abbraccio di augurio di buona giornata e quelle coccole dovute solo a loro; si illuminarono a loro volta.

«Alt» li fermò tempestivamente Derek, parandosi davanti all’umano, la voce autoritaria che riecheggiava per le pareti, bloccando la loro corsa già avviata e ricevendo tre paia d’occhi, più una extra, confuse ed interrogative, non capacitandosi di dove avessero sbagliato. «Mostratemi le mani pulite, Stiles non ha tempo di cambiarsi».

I pargoletti fissarono inorriditi le loro mani come se li avessero traditi senza metterli al corrente, trovandole apparentemente immacolate, ma con evidenti tracce di briciole e dita inzuppate di liquido bianco; lo guardo severo di Derek non ammetteva repliche. Lanciarono delle occhiate colpevoli e corsero a raggiungere il bagno più vicino, quello collocato al piano terra.

«Uao, dei perfetti soldatini» proferì Stiles con evidente stupore. Era un po’ ingiusto, erano dei bambini obbedienti che difficilmente ritrattavano, seguendo le direttive con molta cura e Derek sapeva di certo il fatto suo, era un bravo genitore scrupoloso.

«Come ho detto: è tutto sotto controllo» affermò con fermezza il licantropo, voltandosi verso di lui con la sua aura austera ed impossibile da battere.

Stiles gli dedicò una curva rilassata e fiera sulle labbra, protendendosi appena per adagiargli un bacio a stampo. Derek ne pretese uno decisamente più approfondito.

I lupetti si presentarono in fila scoordinata e movimentata nel soggiorno che i due coniugi avevano raggiunto, l’ingresso ancora serrato e allo stesso tempo pronto per essere varcato, precipitandosi in direzione dell’unico umano della famiglia e gettandogli le braccia che l’avvolgevano ovunque riuscissero ad arrivare; Erick rimaneva ancora un passo indietro, limitandosi ad assistere all’affetto che le sue sorelle stavano manifestando.

Stiles aveva un sorriso per tutti loro di puro apprezzamento e contentezza, dispensando baci alle lupacchiotte e prendendole a turno in braccio per dedicare maggiore attenzione. Nessuna preferenza, era tutto distribuito in egual misura ed Erick non riusciva proprio ad ignorarlo.

Stiles si era liberato dalle sorelle che gli artigliavano le gambe e si presentava fermo davanti a lui, le iridi furbe che lo guardavano attente e la bocca in una smorfia accattivante d’attesa; gli appariva molto più alto e posato di quanto non l’avesse visto da quando li avevano accolti in casa propria. «Ciao, lupetto» disse benevolmente, le dita di una mano che andavano ad arruffargli con simpatia la chioma dorata, tutto il suo calore che l’attraversava in ogni cellula. «Torno presto».

L’impulso fu irreprimibile e gli arti corti andarono ad accerchiare i fianchi dell’umano, stringendo e stringendo, il viso immerso nella camicia immacolata e la giacca che presentava già qualche piega; contrariamente a quanto si aspettasse, non lo rimproverò nessuno.

La stretta fu ricambiata ed Erick non aveva alcuna intenzione di scioglierla. «Ti voglio bene» gli disse Stiles con autenticità, infondendogli totalmente l’amorevolezza che provava.

Il cuore del lupetto si riempì e sgorgò, provocando uno scoppio che era certo non avesse percepito soltanto l’udito perfetto del licantropo adulto; la diga che conteneva tutte le sue emozioni era stata distrutta dai due uomini che l’avevano accolto combattendo contro e per lui.

Per Stiles fu quasi infattibile uscire da quella casa ad un orario decente, la vera vittoria consistette nel riuscire a mettere un piede fuori dall’uscio.

 

«Papà, puoi aggiungere le gocce di cioccolato nei miei?» Laura era ancora molto assonnata e mezza addormentata, le sinapsi non si erano ancora attivate del tutto e continuava a strofinare gli occhi stretta nel suo pigiamino giallo, sbadigliando di tanto in tanto, trascinandosi in cucina guidata dal profumo dei pancake caldi che venivano cotti al momento dalle mani sapienti di Derek, arrampicandosi su uno degli sgabelli incassati all’isola che sostava in mezzo alla stanza principale e che venivano utilizzati per pasti veloci o, per la maggior parte delle occasioni, per intrattenere conversazioni. Fu seguita dai fratelli insonnoliti che privi di peso si gettarono sulle sedie adibite per il tavolo della colazione.

Un silenzio indicativo calò su tutto l’ambiente, il risveglio repentino di tutte e tre le creaturine e Stiles che era rimasto con il buongiorno incastrato nella gola mentre attraversava la porta e si accomodava tra Erick e Corine. Derek si paralizzò sul posto, la fiamma accesa con il manico stretto tra le dita, le frittelle di farina e uova che sfrigolavano sulla superficie antiaderente.

Laura si tappò la bocca imbarazzata con le manine, il rossore che le chiazzava il viso costellato di lentiggini e le iridi azzurre che schizzavano da ogni parte come per chiedere aiuto o accertarsi di qualcosa per l’errore che aveva commesso. Erano passati dei mesi da quando l’aveva pronunciato l’ultima volta e anche prima, in una notte di luna piena.

«Tesoro, non devi vergognarti» proferì Stiles quando comprese il suo disaggio e il senso di colpa che la copriva da ogni parte, il danno che pensava di aver arrecato. «Non è un problema, va tutto bene».

«No?» farfugliò incerta a labbra serrate, i grandi occhi che divenivano ancora più giganti ed i capelli biondi che tentavano di nasconderla.

La padella sul fuoco fu agitata e Stiles seppe che suo marito stava tentando di portare avanti l’incombenza di preparare il pasto principale per quell’inizio di giornata che, secondo il calendario stilato dall’umano, ricadeva su di lui. «No, se è quello che senti» scivolò dalla sedia allo sgabello che sostava proprio davanti a lei, sfiorandole teneramente la punta del naso e sorridendole candidamente. «Puoi chiamarci come vuoi, non ci sono limiti o divieti, non devi qualcosa a noi o a qualcun altro. Sei libera di usare qualsiasi appellativo o nome che desideri, qualsiasi cosa ti faccia stare bene».

La lupacchiotta si strinse su se stessa, lasciando fluire le mani che le coprivano la bocca e abbracciandosi di riflesso, come se non ne potesse farne a meno, messa completamente a nudo ed incapace di formulare qualsiasi cosa le attraversasse la mente. Le gemme di zaffiro si posavano su quattro identiche alle sue, combattuta contro la propria persona e quelle con cui condivideva il patrimonio genetico, torturandosi con gli incisivi il labbro inferiore. «È quello che sento» bisbigliò con voce spezzata, ma piena di intensità, arrivando forte e chiara alle orecchie di entrambi i coniugi.

Stiles le dedicò la sua curva incantevole, stracolma d’affetto e le accarezzò una tempia su cui adagiò un piccolo bacio. «Va bene, allora».

Laura rimaneva tutta impettita sulla sua seduta, i fili dorati che venivano spostati malamente dalla vista, voltandosi appena verso il piano cottura ed incontrando la schiena ampia e forte dell’uomo che non aveva ancora proferito parola, ma che si era limitato ad ascoltare senza intervenire. Si chiedeva se fosse veramente interessato o se non gli importasse affatto, eppure sapeva che sarebbe sempre accorso per lei, qualsiasi insieme di lettere avrebbe deciso di usare per chiamarlo. «Papà».  

Il fiato venne trattenuto da tutti gli abitanti all’interno di quelle mura e un piatto pieno di pancake con gocce di cioccolato appena cotti le fu offerto, fumanti e perfettamente impilati. «Ciao, fanciulla» fu tutto quello che Derek proferì con voce piena di calore, l’espressione felice che gli sporcava la bocca.

Le iridi oceaniche si inumidirono e il lupo le scostò i capelli dal viso, incastrando le ciocche ribelle dietro le orecchie a liberarla totalmente da qualsiasi maschera potesse adottare e frapporsi tra loro. Laura strinse forte il braccio che la vezzeggiava con entrambi i suoi, tenendolo ancorato e godendosi appieno quel contatto così intimo e privato, familiare. Quello era il suo papà. Derek era il suo papà.

«Anch’io» le gambe di una sedia sussultarono, un piccolo tornado schizzò per la cucina, girando intorno al tavolo e all’isola, portandosi davanti al licantropo adulto ed attaccandosi alle gambe chilometriche, stropicciando i pantaloni della tuta che indossava. «Anch’io voglio chiamarti papà, Der Der».

Derek la guardò sorpreso, per qualche attimo con il linguaggio azzerato, totalmente riflesso sugli occhi del mare che lo guardavano speranzosi ed un minuscolo broncio di chi si sentiva privato di qualcosa, ma Stiles non era per nulla stupito. «Certo che puoi, principessa».

Corine gli regalò il sorriso più bello del mondo e il lupo nero la prese tra le braccia dopo essersi separato con consenso da Laura, cullandola dolcemente e schioccandole un bacio pieno di dolcezza su una guancia paffuta.

«Anche Stils» approdò la cucciola, facendo sentire la sua autorità e indicando l’umano che se li stava mangiando con gli occhi, godendosi appieno quella scenetta smielata, tirando il mutaforma per una manica per condurlo verso di lui. «Anche Stils voglio chiamare papà».

«Cucciola, credo che ci sarebbe un po’ di confusione con tutti questi papà» sarebbe stato molto divertente all’inizio e avrebbe riscaldato il cuore sia al lupo che alla volpe, ma il figlio dello sceriffo era sicuro che ci sarebbero stati troppi fraintendimenti. «Puoi continuare a chiamarmi Stiles o in qualsiasi altro modo».

«Non è giusto» si dimostrò in disaccorto la piccola di casa, le iridi che fiammeggiavano dispiaciute e per nulla arrese, stringendo i pugnetti ad enfatizzare quanto impegno ci stesse investendo. «Anche tu sei il mio papà».

Laura annuì con convinzione, unendosi alla battaglia della sorellina, ignorando totalmente i bei pancake caldi caldi che Derek aveva cucinato di proposito per lei. «Sì, è vero, anche tu sei il nostro papà».

Il cuore di Stiles stava diventando improvvisamente troppo debole e facilmente attaccabile da tutto quell’amore smisurato delle sue belle lupacchiotte. «Mi onorate» ma davvero, non sapeva come evitare di deludere le sue piccole.

«Io so come chiamare Stiles» sopraggiunse in un miraggio Erick che era rimasto perfettamente in silenzio per tutto il tempo, pietrificato sul posto e con il piatto ancora vuoto, spettatore del nuovo atto che stava prendendo vigore, concretizzando qualcosa che gli era stato sottratto in un tempo remoto, ma non dimenticato.

Su di lui si concentrarono le attenzioni di quattro teste, gli occhi assetati di sapere delle bambine che lo fissavano stupefatte ed incredule, non sapendo minimamente cosa aspettarsi da lui. «Come?» chiese Corine, il nasino arricciato e sporgendosi dalla presa ferrea di Derek, invitandolo a metterla giù e correndo con i suoi piedini verso il fratello maggiore, le pupille lievemente dilatate, come se fossero stuzzicate da ulteriori raggi solari che attraversavano la vetrata che dava sul giardino privato. «Come chiamiamo Stils

«Papa» l’accento francese sostituì completamente quello americano, defluì come se non avesse mai pronunciato niente di diverso da quei suoni sconosciuti ai due sposi, c’era anche un enorme languore che si intersecava tra quelle poche e singole sillabe.

Gli occhi di Laura si sgranarono, stentando a credere alle sue orecchie e Corine lo guardò come se non riconoscesse minimamente l’essere che aveva le fattezze di suo fratello. «Davvero?».

Il coro delle cucciole sbigottite arrivò dritto e chiaro alle orecchie degli adulti esclusi che non sapevano come approcciarsi alla grande rivelazione che era arrivata alle figlie, ma che per loro era del tutto sconosciuta. «Che significa?».

«Non guardare me, niente francese» disse Derek quando le iridi d’ambrosia si puntarono su di lui come se fosse in possesso di tutte le nozioni di cui necessitava. «Conosco lo spagnolo».

«Quello lo conosco anch’io» ribatté annoiato Stiles, l’insinuazione non tanto velata che il suo consorte non servisse proprio a granché quando se ne aveva seriamente bisogno.

«Mh, passabile» lo sminuì con sarcasmo miscelato la creatura della notte dal pelo scuro, punzecchiandolo con grazia.

Il figlio dello sceriffo lo accigliò sconvolto e scandalizzato, la bocca semiaperta e il fuoco che era pronto a divampare. «Scusami tanto se non sono un madrelingua come te».

Derek gli sorrise ilare e con un doppio scopo ben evidente, la burla accattivante che cancellava tutto il resto. «Posso darti ripetizioni tutte le volte che vuoi».

L’umano gli soffiò contro con risentimento e l’offesa ben evidente, cancellata trionfo da un bacio a cui Stiles si ritrovò a ricambiare suo malgrado. Succedeva veramente, in quei dieci anni speso e volentieri si era esercitato con la lingua ispanica in cui era risultato piuttosto arrugginito con Derek, strumento che gli sarebbe stato molto utile nel suo lavoro sia nelle forze dell’ordine che soprattutto nell’FBI; più di una volta l’aveva utilizzata in diversi casi.

«Possiamo davvero davvero chiamarlo papa?» nel frattempo la conversazione tra i pargoli continuava con prepotenza ed incredulità, Laura si era perfino volatizzata dalla sua postazione ed aveva raggiunto Erick e Corine, la domanda che ripeteva sorda alle sue stesse orecchie. «Pensavo ci fosse vietato, che non volevi più usarlo».

«Sto realizzando che un latino e un polacco cresceranno tre bambini francesi» dichiarò il detective colpito dalla rivelazione dei continui accenti che variavano senza che ne avesse davvero preso coscienza.

«Il potere di un mondo globalizzato e fondato sull’immigrazione» proferì Derek come se la questione non lo toccasse minimamente, benché fosse abbastanza evidente.

«Io pensavo più al genocidio» rettificò l’umano perfidamente, ma con la leggerezza di esternare un dato di fatto.

«Che ragazzo cupo e cinico» osservò il licantropo moro con scherno a imbrattargli il tono vocale, fissandolo dall’alto con intensità. «Credevo fosse una mia caratteristica».

Stiles gli mostrò la bocca sardonica che prendeva destrezza, non lasciandogli scampo. «Non ho mai avuto una personalità solare».

Derek sbuffò non avendo nulla da ribattere.

«Non esiste persona più adatta di Stiles» affermò univocamente il lupetto, rispondendo alle domande stupefatte delle sorelle che sembravano essere pronte a scoppiare a piangere da un momento all’altro e né Derek né Stiles ne capivano la reale motivazione.

«Possiamo conoscere il segreto?» si intromise Stiles con moderazione, con l’ansia crescente che si elevava a mano a mano, preoccupato e non certo di voler davvero conoscere il responso di una tale manifestazione di turbamenti contrastati, si sentiva in sospeso ed in profonda apnea. «Cosa significa?».

I tre bambini si mutarono e le iridi azzurre si indirizzarono tutte in contemporanea sull’umano, provocandogli un momento di disagio e un nodo di saliva difficile da ingoiare. «Papà» lo informò Erick con un’emozione inclassificabile che prendeva forma, l’aria tesa e un profondo magone che sentiva all’altezza dello stomaco. Si aprì completamente ai sentimenti positivi che provava per lui. «Papa significa papà».

L’universo di Stiles implose ed improvvisamente non era più certo di dove si trovasse e cosa stesse facendo, con chi avesse a che fare. «Oh».

Due piccoli terremoti femminili biondi gli si abbatterò addosso e una litania di papa fu pronunciata in un coro scoordinato con toni acuti e teneri, l’accento francese che faceva da padrone e le manine che afferravano gli arti inferiori lunghi, sovrastandolo e ritrovandosi improvvisamente a perdere l’equilibrio, precipitando con il sedere per terra e venendo avvinghiato dalle braccine che lo circondarono, saltandogli addosso mentre ridacchiavano entusiaste ed estasiate, perseverando a chiamarlo papa.

«È così che chiamavamo il nostro papà» enunciò Erick frastornato, ma del tutto dedito alla causa quando si ritrovò ad un passo dal groviglio che erano le sue sorelle e Stiles, rendendolo partecipe di una nozione di cui era all’oscuro.

Stiles credette che tutti i neuroni e le sinapsi lo abbandonassero in contemporanea, decedendo, lasciandolo totalmente incapace di reagire e comunicare un qualsiasi pensiero, l’intensità di quella rivelazione privata che rimbombò per l’intera scatola cranica che avrebbe potuto definire momentaneamente vuota.

Stiles lo agguantò per un braccio tirandoselo addosso, obbligandolo a gettarsi su di lui e stringendolo forte forte contro di sé, stritolandolo insieme alle bambine che non volevano cedere il loro posto nemmeno di un millimetro.

Non avrebbe mai creduto possibile di provare un’emozione indefinita ed incalcolabile come quella che lo stava investendo, prendendolo in pieno petto, lasciandolo completamente senza aria ed incapace di emettere qualsiasi forma di suono. La stoccata definitiva arrivò quando Derek avvolse tutti loro tra le sue braccia forti, consacrando l’attimo più importante della loro vita familiare, la fiducia indiscussa che quei tre piccoli esserini sfortunati stavano indirizzando totalmente verso di loro.

 

 Il viaggio da Washington a Triangle non aveva subito difetti ed era proseguito senza incidenti di alcuna sorta, non era un tragitto eterno, senza traffico un’ora abbondante era più che sufficiente, ma era la prima gita fuori porta che facevano tutti insieme, caricati sulla grande auto familiare, il bagaglio traboccante dei loro averi calcolati per i tre giorni che li avrebbero visti lontani dalla grande capitale. C’era esaltazione da tutte le parti e perfino la musica per l’attraversata era stata scelta dai pargoli, le cinture di sicurezza ben allacciate su ogni passeggiero, non transigendo affatto su quello.

La prima tappa ovviamente era stata per la piccola villetta che possedevano da quelle parti, il giardino grande quasi quanto quello presente nella casa principale, ma un po’ meno curato ed addobbato, niente laghetti o alberi a fare da paravento, ma c’era verde ovunque posassero gli occhi. Vi erano soltanto tre camere da letto, di cui si appropriarono automaticamente, e le misure di tutti gli altri spazi abitabili erano più contenute, ma era molto calda ed appartata; riscosse molto successo.

Ma in quel momento erano da tutt’altra parte, il sole alto nel cielo, cosparso da latitanti nuvole bianche, una leggera brezza che spettinava le chiome di tre figure sedute su un’enorme tovaglia da picnic a fissare l’orizzonte boscoso, in attesa di veder scorgere qualcosa. Gli alberi erano alti e secolari, non riuscivano a vederne le cime, il terriccio insieme all’erba selvatica li accerchiava in ogni parte, alcune foglie secche a ricoprire le parti scoperte e sentieri che erano stati tracciati dai loro predecessori; non vi era una sola anima che potesse disturbarli.

Corine si arrampicò tra le gambe di Stiles, piazzandosi proprio al centro e lasciandosi circondare dal suo abbraccio, mentre Laura si avvicinava di qualche centimetro chiedendosi se da quella postazione si adocchiasse qualcosa di più, strizzando gli occhi e sforzando di notare qualcosa di nuovo. Non vide nulla.

Poi qualcosa accadde lì al Chopawamsic Backcountry Area, un essere a quattro zampe si palesò lentamente davanti a loro, il folto pelo del miele miscelato a fili dorati, la consistenza morbida e il desiderio di strapazzarlo fortemente, camminando verso di loro con perplessità e ritrosia. «Erick!» esclamò con entusiasmo vivo la cucciola della famiglia Hale-Stilinski, agitandosi dalla presa dell’umano e sbattendo le manine contenta, aspettando che si avvicinasse a loro, incitandolo con la felicità che strabordava da ogni poro. Laura rise alla visione e Corine scappò dalle braccia di Stiles, fiondandosi sul giovane lupo dalle iridi gialle luminose e aggrappandosi all’immenso collo, ridacchiando sulla pelliccia e affondandovi completamente, con Stiles che sorrideva cordialmente. Non vi era nessuna apprensione o inquietudine da parte sua, il plenilunio era passato da due giorni e conosceva bene le fatiche che avevano visto protagonista il lupetto in quei lunghi mesi in cui Derek gli aveva insegnato ogni cosa sul controllo, sull’essere un lupo vero, come muoversi, ascoltare e trovare le tracce, a rafforzare l’ancora che l’aveva tenuto intero per due immensi anni e sul dominare la luna stessa.

Erick soffiò con finto fastidio, trascinandosi una sorellina molto incollata a lui, i piedini sospesi e la vocina che emetteva versetti deliziati, la presa che si faceva più intensa per non rischiare di cadere e il totale affidamento che riponeva in lui. Difatti il canide si avvicinò con adagio, fermandosi esattamente davanti all’unico umano a distanza di chilometri e lasciando che la riprendesse con sé, ma nessuno dei due si mosse, al contrario Laura abbandonò il suo posto comodo, mollando la presa sul piccolo borsone che conteneva un cambio di vestiario per ognuno dei due lupi della famiglia, per accarezzare il manto dorato, adulandolo. «Ciao, bel lupetto» fu il modo in cui l’accolse Stiles, la curva indomita sulle labbra carnose e lo scintillio da volpe furba che emergeva incontrastata. Era la prima volta che si presentava davanti a lui sotto quella forma da quella fantomatica luna piena pericolosa, aveva sempre evitato finché non sarebbe stato certo di sapersi domane come avrebbe dovuto, pensando che gli sarebbe servito molto più tempo per adeguarsi e accettare tutte le emozioni contrastanti che gli vivevano dentro, ma Derek un giorno gli aveva dato il suo benestare e non gli serviva una conferma diversa da quella, era stato Erick a ritardare ancora un pochino.

Corine sciolse il legame, i piedini che toccavano nuovamente terra, muovendosi per volergli salire in groppa e le zampe della creatura si mossero un po’ più in avanti, premiata delle dita affusolate di Stiles che gli accarezzarono il pelo morbido, immergendole totalmente e completando il contatto. Fu un’esperienza senza precedenti per entrambi. «Sei proprio un bravo lupetto» tutta l’anima di Erick vibrò a quelle parole e l’accettazione fu imprescindibile, si sentiva proprio al posto giusto con le uniche persone che avrebbero mai potuto capirlo.

«Papa, quello è papà?» domandò con stupore immenso Laura, le cure che stava riservando al fratello che si bloccarono, richiamata da un'altra figura che sorgeva dai rami, il manto di puro inchiostro nero e due gemme blu elettriche a farne da padrone.

«Papà?» domandò in una eco immediata Corine, l’attenzione che si spostava dal lupetto al canide adulto che procedeva a passo spedito verso di loro.

Stiles non aveva bisogno di adocchiare l’animale maestoso che trotterellava nella direzione in cui si erano accomodati aspettandoli, conosceva ogni suo centimetro, i riflessi della luce che si posavano su di lui donandogli nuove tonalità e il portamento reale che assumeva privo di qualsiasi sforzo, tuttavia spostò comunque le iridi sul nuovo arrivato, senza stancarsi mai di ammirarlo. «È proprio il vostro papà».

Le lupacchiotte rimasero interdette per qualche attimo, indecise sul da farsi, ma Derek era già lì, maestoso e catturava tutta l’attenzione, statuario e immobile nella sua posa rappresentativa. Era la prima esperienza anche per loro.

Entrambe gli si gettarono addosso senza guardarsi indietro. «Papà, sei davvero bellissimo» affermò Laura completamente soggiogata, abbracciandogli il collo enorme e soffice, stringendo più forte.

«Sì, sì, bellissimo, papà» confermò la cucciola con vigore, riuscendo ad ancorarsi solo al petto e parte di una gamba zampata, ma non meno disposta a manifestare quanto fosse colpita e quanto bene gli volesse in qualsiasi forma assumesse.

Stiles sorrise per niente impressionato, conosceva perfettamente l’effetto che suo marito suscitava sotto quelle sembianze, rimanerne immuni sarebbe stato un peccato capitale. Schioccò un piccolo bacio sul muso di Erick, accerchiandogli la testa con un solo braccio e poggiandovi il capo su un lato. «Anche tu sei bellissimo, hai tanta luce con te».

Il lupetto non riuscì a frenare la sua contentezza, strofinandosi contro di lui dove lo toccava ed esibendosi in qualcosa fin troppo simile alle fusa; Stiles curvò le labbra verso l’alto in automatico, ma non infierì in alcuna maniera.

La situazione procedette pacifica per diversi minuti, finché le bambine non si buttarono nuovamente su Erick e lui si spostò per iniziare a giocare con loro, seguito dalle loro risatine divertite ed estasiate, invogliato a scatenarne ancora di più, abbandonando completamente Stiles che si limitò ad osservarli allontanarsi, stando ben attento che non uscissero dal suo campo visivo. Ma era evidente che un certo lupo nero avesse degli altri progetti, l’umano si ritrovò assaltato dalla bestia che amava, spinto sull’enorme tovaglia variopinta, l’ombra della sua stazza che si abbatteva su di lui e le quattro zampe che sostavano alzate sopra il suo corpo, a scrutarlo attentamente dalla posizione privilegiata in cui si trovava.

Stiles impiegò qualche secondo di troppo a metterlo a fuoco, disteso e con l’immensità accecante dell’Astro d’Apollo che lo accecava volutamente, ma anche con quello svantaggio, riusciva comunque a comprendere tutto lo splendore che racchiudeva; ne era inverosimilmente incantato. «Sei sempre magnifico, Sourwolf».

Il lupo si chinò a leccargli la faccia e Stiles scoppiò in una sonora risata. Fu il suo turno di agguantarlo per il collo peloso e lucido, a tenerlo legato fortemente a sé nella posa più scomoda che potessero escogitare.

Fu una giornata ricca di sorprese e le bambine si divertirono fino allo sfinimento ad inseguire quelle meravigliose creature della notte, totalmente disposte a cedere alle loro attenzioni. Fu uno spettacolo a cui assistere senza pari e non importava affatto se all’avvicinarsi del crepuscolo, Stiles e Derek avrebbero dovuto portare i pargoli in braccio – Laura stretta all’umano, mentre Corine ed Erick avviluppati al licantropo –, privi di forza e addormentati, per l’intero tragitto verso casa; quando l’ora di cena sarebbe passata e loro si sarebbero ridestati nel cuore della notte, fiondandosi nel lettone matrimoniale e tenendo i due adulti svegli fino ad ore proibite, finché non sarebbero collassati tutti insieme, avvolti da un connubio di arti protettori.

Era irrealisticamente e interamente vero.

 

Il campanello alla porta d’ingresso risuonò per tutta Villa Hale-Stilinski e Stiles si precipitò ad aprire al suo nuovo ospite. «Papà!» esclamò colmo di entusiasmo, mostrando un sorriso a trentadue denti e abbracciandolo nell’immediato. Era passato davvero troppo tempo da quando l’aveva visto l’ultima volta, dal matrimonio a fargli da testimone, non c’erano state altre occasioni con il tempo speso con i bambini ed era troppo presto per costringerli ad attraversare l’intero stato; rivederlo gli appariva come una visione.

Lo sceriffo se lo strinse forte al petto, beandosi finalmente della sua vicinanza fisica e non della sola voce che attraversava la linea telefonica o delle videochiamate che di tanto in tanto riuscivano a strapparsi in mezzo agli orari sballati e lavorativi che avevano, insieme al fuso orario che non gli rendeva le cose affatto semplici. «Ciao, figliolo».

«Tutto bene? Il viaggio è stato faticoso?» domandò Stiles a raffica, sciogliendo la presa e guardandolo dritto nelle iridi azzurre, così simili a quelle dei suoi bambini, ma anche incredibilmente diverse.

«Tutto bene» lo rasserenò Noah con un piccolo sorriso sulle labbra, non era cambiato assolutamente nulla nel suo comportamento espansivo ed apprensivo.

«Papa» un piccolo uragano dorato si precipitò verso di lui con energia con qualcosa che fremeva di condividere con lui, ma si piantò dietro una sua gamba quando notò la nuova figura che sostava davanti l’uscio di casa, nascondendosi appena. «Chi è?».

Una mano di Stiles andò a scompigliarsi affettuosamente i fili biondi, scacciando il leggero timore ed uno dei rarissimi episodi di timidezza che l’aveva appena colpita. «È il mio papà».

Gli occhi della cucciola divennero giganti e lo stupore crebbe inesorabilmente. «Oh, il tuo papà».

Lo sceriffo notò bene come la bambina si fosse aggrappata ad un arto inferiore del figlio, il leggero scetticismo che era volato via e il rifugio che per lei rappresentava. «Ciao, sono Corine» eppure ne uscì con coraggio, la manina che gli porgeva per presentarsi e il velo di imbarazzo che stava mettendo via con tutte le sue forze.

L’uomo più grande le sorrise calorosamente. «Ciao, Corine, mi chiamo Noah» le strinse la manina che gli offrì, trattandola da sua pari.

«Oppure potresti chiamarlo nonno» fece la sua incursione una figura femminile piuttosto simile nei colori e nel portamento a quelli di un certo lupo nero.

«Cora!» la accolse Stiles con inaspettata sorpresa, benché non ce ne fosse davvero ragione, ma nemmeno lei vedeva dal giorno del matrimonio.

«Stiles» si limitò a salutare la minore degli Hale, una piccola valigia che portava appresso, insieme all’evidente jet lag. «Allora cosa abbiamo qui?» tutta la sua attenzione fu rivolta alla creaturina che sostava vicino all’uomo etichettato come il papà di Stiles e da un’altra che silenziosa si era avvicinata, nascondendosi anch’ella dietro le gambe del figlio dello sceriffo.

Stiles non si stupì affatto dell’approccio diretto di Cora, niente convenevoli e giri di parole. «Corine, Laura, questa è Cora, la sorella del vostro papà» a quelle presentazioni un braccio scese sulla schiena della lupacchiotta a confortarla, se Corine aveva dimostrato della titubanza timida, con Laura le cose si triplicavano, aveva bisogno di più tempo per accettare nuove persone nella sua sfera personale.

«Potete chiamarmi zia Cora» le punzecchiò dritta al sodo la nuova arrivata, ammiccando spudoratamente, come una lupa pronta a mangiarle.

«Cora, potresti smetterla di forzare le mie figlie» la richiamò all’ordine Derek quando varcò la porta ancora aperta, carico di qualche altro bagaglio e di sacchi della spesa, depositando i primi al lato dell’ingresso e bisognoso di lasciare il resto in cucina.

«Papà!» si erse un coro femminile, le bambine che si fiondarono dai loro posti per raggiungerlo e richiamare tutta la sua attenzione, abbracciando strettamente le sue gambe lunghe. Era qualcosa di adorabile vederle correre per ricoprirlo d’amore, come se non lo vedessero da secoli quando in realtà erano passate una manciata di ore, ma accadeva anche con Stiles, veniva investito dalla medesima festa nel momento in cui rincasava dopo infiniti turni di lavoro laceranti e colmi d’orrore.

Ricevettero un ehy di saluto pieno di calore, ma Stiles notò bene quanto fosse in difficoltà in quel momento. «Lupacchiotte, che ne dite di accompagnare il mio papà nella camera degli ospiti?» propose loro venendo in soccorso del marito.

Le bambine lo guardarono con un lieve scetticismo, ma poi Corine annuì, prendendo lo sceriffo per mano e conducendolo verso la scalinata, mentre Laura con incertezza li seguiva, non prima di aver dato un’ultima stretta prolungata a Derek, segno che non avesse alcuna intenzione di separarsene. «Andiamo papà del mio papa» lo incitò la cucciola di casa, mentre l’uomo riuscì a stento a prendere la propria valigia al seguito che Derek aveva trasportato al posto suo. Prima di salire sul primo gradino sentirono un io sono Laura tentennante, ma stracolmo di buona volontà e le cose proseguirono da sole.

«Aspetta un attimo» si espose Cora a quella presentazione silenziosa e si fermarono tutti esattamente dov’erano, senza capire a chi si riferisse. «Tu sei Laura, vero?».

Il terzetto si bloccò all’inizio delle scale, Corine già sul secondo gradino a trascinarsi lo sceriffo, che sostava sul primo, e Laura che si approcciava a seguirli. Quest’ultima in automatico annuì confusa e anche in soggezione, ritrovandosi improvvisamente al centro dell’attenzione, evento che in genere le procurava agitazione.

Derek e Stiles videro Cora armeggiare con la valigia, aprire la cerniera quanto bastava e afferrare qualcosa alla cieca, attirando l’attenzione dei presenti ed estraendo un piccolo libro vissuto, dalle pagine ingiallite e dalla copertina leggermente rovinata agli angoli. «Questo è per te» disse a quel punto la lupa, mentre raggiungeva lentamente la lupacchiotta e le metteva tra le mani l’oggetto.

Laura lo accettò senza davvero capire, restia e sorpresa, rivolgendo uno sguardo di panico ai suoi genitori che, invece, le influivano coraggio e sicurezza. Quando le dita presero confidenza con il volume, quello che si limitò a leggere fu il titolo: lupacchiotta va in città.

«Era uno dei libri di mia sorella» spiegò Cora, come se quello rendesse tutto chiaro e colmo di ogni senso.

Laura la guardò con occhi giganti, come se lei avesse capito esattamente il valore di quel tesoro nascosto, e le manine corsero a sfogliare la prima pagina, incontrando una firma impeccabile. In tutta la sua eleganza vissuta il nome Laura Hale spiccava sul giallognolo, imprimendosi sulla retina. «Grazie».

Cora asserì con il capo, quasi in una riverenza, e la lupacchiotta strinse a sé il libro, abbracciandolo forte e precipitandosi a percorrere le scale da cui fu seguita subito dopo.

Sia Stiles che Derek erano sicuri che quel tomo non facesse parte dei numerosi pacchi che avevano spedito più di un decennio prima alla sua dimora, eppure in qualche modo esisteva.

«Non guardarmi così, Derek» proferì Cora quando intercettò i loro sguardi bisognosi di conoscenza, la cerniera del trolley che veniva richiusa. «È stato con me per tanto tempo. Non so perché, ma era l’unica cosa che avessi di voi a quel tempo» chissà quando e per quale ragione Laura glielo avesse ceduto, ma non se ne era mai separata dopo la tragedia.

Derek la guardò con visione rinnovata e lei se lo fece scivolare addosso, come se la questione fosse conclusa. Non c’era nulla da rivangare. «Dov’è il terzo?» chiese allora la lupa mannara mentre si guardava intorno e percependo la mancanza di un tassello. Derek tergiversò ancora qualche attimo prima di decidere di filarsela per poter quantomeno posare la spesa effettuata prima di andare a prendere Cora e lo sceriffo all’aeroporto.

L’umano rimasto riservò un occhio di riguardo verso il marito, sapeva che in un certo modo fosse scosso, ma quei due erano degli autentici Hale ed erano programmati per essere frigidi e lontano dal parlarsi con il cuore in mano. «Scott l’ha sequestrato» disse semplicemente sorridendo bonariamente, perché non si aspettava niente di buono da quella accoppiata. Scott, accompagnato da Malia, li avevano raggiunti la sera precedente, collocandosi nella dépendance e procedendo molto a tentoni con le piccole creature che non avevano mai incontrato prima di allora. Era stata una serata molto movimentata e un’ottima anteprima di ciò che sarebbe accaduto il giorno dopo, nel lungo e fortuito weekend del Ringraziamento.

Cora annuì a nulla di particolare, posando gli occhi sul cerchietto dorato che adornava l’anulare sinistro di Stiles, gemello a quello che suo fratello indossava e con cui si era presentato all’aera riservata agli arrivi già in compagnia di Noah Stilinski; aveva assistito in prima persona quando quei due scellerati se li erano scambiati in un giorno di piena estate soltanto un anno prima, con tanto di promesse al seguito non necessarie alla cerimonia di stato e lei a far da testimone a Derek. Sentiva su entrambi cinque odori miscelati perfettamente. «Tre bambini, eh» sottolineo con peculiarità la follia, ma era davvero stupita da quello che Stiles e Derek erano riusciti a fare da quando erano diventati da ben undici anni una coppia ufficiale. «Hai incastrato per bene mio fratello» fu in quel momento che Derek ritornò nel soggiorno in un pessimo tempismo.

Stiles sbuffò, non sentendosi colpevole affatto dell’accusa che gli veniva mossa. «Non ho incastrato proprio nessuno».

«Oh, andiamo, sappiamo benissimo che Derek non ti negherebbe niente» lo provocò con audacia la cognata, strizzandogli un occhio giocoso. «Farebbe di tutto per te».

Stiles posò uno sguardo eloquente sul marito e il mannaro si limitò a scuotere le spalle. «È vero».

L’umano lanciò una mala occhiata ad entrambi gli Hale. «Sono sempre io il cattivo della storia?».

«Sì» risposero all’unisono i fratelli e Stiles roteò gli occhi molto e troppo esasperatamente.

«Voi Hale siete davvero estenuanti ed insopportabili» abbaiò piccato il detective, profondamente colpito a tradimento dal suo consorte che si stava burlando di lui in buona compagnia della consanguinea. Era un bene che suo padre non fosse lì, avrebbe dato loro man forte.

Cora scoppiò a ridere con autentico divertimento fragoroso e sardonico. «È proprio per questo che ne hai sposato uno».

«Stiles» soffiò pacifico Derek, agguantandolo per un avambraccio e tirandolo verso di sé, tenendolo ben stretto. «Amo la mia vita con te».

Le iridi di miele brillarono di meraviglia e tutto il risentimento per quella leggera burla verso la propria persona evaporò, la fronte che si abbandonava con leggerezza su quella del mutaforma. «La amo anch’io».

Derek gli depositò un tiepido bacio sotto l’occhio, lambendogli sopraffino il setto nasale con la punta del suo.

«Credo proprio che andrò a cercare il mio angolino nella dépendance» dichiarò Cora a nessuno in particolare, piuttosto certa che non fosse udita dai due padroni di casa, ma per quanto li amasse entrambi non aveva voglia di vederli amoreggiare in ogni momento della giornata per quanto fossero una gioia per il cuore. Lo facevano già negli anni passati, quando lei era ritornata da Derek, in modo passivo-aggressivo e molto testardi; nel momento in cui aveva saputo che avevano finalmente abbassato le armi e che avevano ufficializzato il loro stare insieme, avrebbe tanto voluto sparare giochi d’artificio nel cielo di tutto il globo. La vetta massima della sua felicità per l’anima tormentata del suo caro e unico fratello arrivò quando annunciarono la loro intenzione di convogliare a nozze ed impegnarsi per allargare la famiglia; tutto si sarebbe aspetta, ma mai che avrebbero portato sotto il loro tetto in un’unica volta tre piccoli lupetti. Quelli erano i grandi eventi che erano in grado soltanto loro di far nascere e funzionare perfettamente.

«Perché c’è una batteria nella dépendance?» chiese la voce forte e confusa di Malia che tratteneva da qualche tempo, ma che per una serie di ragioni aveva scartato in una parte periferica della sua mente, entrando dalla vetrata della cucina e penetrando nelle stanze del piano inferiore.

Stiles e Derek ridacchiarono e sorrisero, sospirando un po’ e Cora si chiese se ci fosse davvero un posto per lei in quella casa enorme con ogni centimetro quadrato assegnato, finché non scoprì che i suoi oggetti personali furono sistemati nella camera di Erick, occasionalmente datale in prestito.

Arrivata la sera quel branco mal assortito era piuttosto su di giri e lo sceriffo preferì allontanarsi dal clamore che creavano con piccola Laura che gli dormiva beatamente tra le braccia, stretta nella sua presa mentre proseguiva per la scalinata, stando attendo a non farla scivolare e di non provocare una caduta per entrambi, atterrando sul corridoio indegne che conduceva alla sua stanza e proseguendo verso la porta socchiusa. Stiles uscì dalla propria camera da letto proprio in quell’istante. «Papà, aspetta, ti aiuto».

«No, ce la faccio» Noah interruppe la corsa di suo figlio che si precipitava da loro, gli arti superiori già lievemente spalancati per prendere la lupacchiotta con sé.

Stiles si immobilizzò all’istante, fissando l’intenzione del padre a non cedere, tenendo saldamente la fanciulla che continuava a dormire imperterrita persa nei suoi sogni dorati. Era ancora un uomo perfettamente in grado e in forze da poter mettere a letto una bambina personalmente senza alcuna fatica, anche arrampicandosi per una rampa di scale con tutto il suo dolce peso. Stiles non rettificò per nulla la propensione a volersi godere qualche attimo di più quell’esserino timido che aveva conquistato facilmente, spalancandogli la porta e conducendolo all’interno, dirigendosi verso il letto di Laura, accanto alla finestra, e scostando le lenzuola per facilitarlo nell’impresa.

Lo sceriffo lo seguì senza alcun problema, adagiando la bella addormentata sul materasso e rimboccandola accuratamente con le coperte, scostandole dal viso i lunghi fili color del grano. «È crollata subito».

«Sì» Stiles sorrise ampiamente, il dorso di alcune dita che le accarezzavano l’attaccatura dei capelli. «È stata una giornata impegnativa per lei» d’altronde c’era da aspettarselo, le emozioni e l’adrenalina in quella casa erano state numerose e perduranti; di ospiti raramente erano stati rallegrati in quei otto mesi e mai talmente numerosi, ma in quell’occasione di festa una piccola folla si era radunata tra quelle mura, facce che non avevano incontrato in nessuna occasione e che attivavano la timidezza che primeggiava sulla figlia di mezzo, triplicando le sue energie per riuscire a gestirsi e integrassi. Né Stiles né Derek avevano abbassato la guardia con lei in tutte quelle ore, ma Corine riusciva a trascinarla abbastanza con sé e suo padre sembrava sapere perfettamente come prenderla, con lui si era trovata a suo agio quasi subito, ma con gli altri aveva faticato parecchio.

«Sono delle bambine dolcissime» osservò Noah, riferendosi ad entrambe le creaturine che gli avevano riempito l’intera giornata e, in qualche modo, facendogliene quasi lode, come se fosse merito suo, ma non era nemmeno propriamente veritiero.

Stiles si chinò appena su di lei, regalandole un bacio pieno di tenerezza su una tempia. «Sono le mie meraviglie, è difficile separarsi da loro» tuttavia dovevano farlo. Sistemò alla meno peggio le lenzuola e si premurò di abbassare le veneziane in modo che nel mattino successivo, le sarebbe entrata meno luce possibile. Invitò anche suo padre ad uscire dalla stanza.

«Non dovresti metterle il pigiama?» gli fece notare lo sceriffo un attimo prima che la porta si chiudesse dietro le loro schiene.

«No, la sveglierei» non era decisamente un compito che in genere gli spettava, aveva fallito tutte le volte in cui aveva provato.

Dei passi felpati si distinsero impercettibilmente e una figura alta ed avvolta dall’ombra proseguiva verso di loro dall’ultimo gradino, piccole braccine che gli circondavano il collo e una testolina sonnecchiante adagiata sul bordo dell’incavo di una spalla. «C’è una riunione di bambine addormentate?» chiese Derek un attimo prima che la maniglia serrasse la porta della camera delle sue figlie, facendo ben intendere l’esistenza dell’assembramento sul corridoio, accompagnato dai bisbigli che aveva percepito nei pochi attimi precedenti.

«Sembra proprio di sì» sussurrò Stiles, uno schiocco pieno di affetto che adagiò su un pugnetto chiuso della cucciola, sorridendole intenerito dalle sue ciglia sfarfallanti e al pigolio papa con cui lo salutò. Voleva strapazzarla di coccole. «Ho il sospetto che anche Erick le affiancherà molto presto» la testa cigolante l’aveva ampiamente notata, poggiata sulla sedia ad ascoltare assetata di sapere tutti i racconti che il branco dei suoi genitori snocciolava tranquillamente, così come gli occhietti che si aprivano e chiudevano in continuazione; stava dando il meglio di sé per non crollare e perdersi l’esperienza di essere circondato da quell’innumerevole quantità di creature sovrannaturali variegate. 

Derek si limitò ad annuire con il colpo secco del capo e l’evidenza di avergli voluto concedere altro tempo prima di sottrarlo e metterlo a letto sotto le sue probabili proteste. «Che ne dici, principessa, ci mettiamo il pigiama?» domandò retoricamente il lupo mannaro, cullandola dolcemente e mormorandole ad un orecchio senza svegliarla più di quanto non fosse già.

«Papà, sì» borbottò appena con il sonno che ne faceva da padrone, insinuandosi sotto le palpebre che volevano serrarsi una volta per tutte, aumentando la stretta sull’uomo che l’ancorava con accuratezza a sé.

«Anche Laura dovrebbe essere cambiata» gli fece presente il consorte, aprendogli la porta per facilitare la sua entrata e rendergli quel compito più semplice, non prima di aver rubato un altro piccolo bacio a Corine.

«Me ne occuperò» lo rassicurò il licantropo, inabissandosi dentro la camera delle bambine e avviandosi verso il letto occupato dalla lupacchiotta abbandonata nel regno di Morfeo.

Lo sceriffo guardò in modo esplicito suo figlio, la chiara domanda che lampeggiava nei suoi occhi azzurri, la sua osservazione precedente che era stata stroncata e Stiles non faticò a comprenderla. «Derek è la persona più scontrosa che conosca, ma anche quella con il tocco più delicato, non la sveglierà mai» di quegli episodi ne avevano vissuti parecchi in quegli eterni ed anche velocissimi otto mesi. Stiles per primo l’aveva sperimentato sulla propria pelle per tutti gli anni in relazione con il mutaforma. Era un aspetto di cui tutti dovevano cominciare a fidarsi.

«No, con Erick» protestò la piccola e testarda lupetta, tirandolo per la maglia come se potesse fermarlo e guidarlo nella direzione opposta.

«Va bene, ma basta capricci, signorinella» la accontentò il grande lupo cattivo, rabbonendola allo stesso tempo, adagiandola lentamente sul suo letto d’appartenenza, le lenzuola vuote che raffiguravano una quantità notevole di volpi in diverse pose contraddistinte da pennellate che ricordavano gli acquarelli, e cominciando a spogliarla in modo aggraziato, rivestendola alla velocità della luce. «Vuoi la tua volpe?» gli domandò quando ebbe finito, incitandola a coricarsi sulle coperte scostate.

«Sì» gracchiò entusiasta Corine e allo stesso tempo con tono imperiale, come se non avesse nemmeno dovuto chiederle una cosa simile.

Derek la rintracciò immediatamente con la sua vista notturna e la cucciola strinse con tutta se stessa il suo peluche preferito, coricandosi sotto le lenzuola che il suo papà le rimboccò con meticolosità. «Facciamo in modo di non svegliare tua sorella».

Corine ridacchiò ovattata dal cotone spesso, il viso affondato nella testolina della volpe di pelo finto, riuscendo a strappare all’essere più brontolone del pianeta un bacio che le adagiò sulla chioma dorata, accompagnato da un buonanotte stracolmo di calore solo per lei.

Stiles socchiuse la porta un attimo dopo che il marito raggiunse il letto della lupacchiotta che ronfava bellamente, per nulla disturbata dalle nuove figure che avevano invaso il suo spazio di tranquillità. Aveva il cuore in subbuglio ogni volta che poteva osservare Derek interagire in modo divino e quotidiano con le loro preziose creaturine. «È bello vederlo così amato e contraccambiare quell’amore» era un autentico toccasana, lo espresse per la prima volta ad alta voce, la verità che poteva finalmente condividere con qualcuno di esterno a loro, l’autenticità che l’universo aveva ancora qualcosa di buono da offrire all’anima più dannata che avesse incontrato nella sua strada trafelata.

Lo sceriffo l’aveva testimoniato eccome in quella lunghissima giornata, l’aveva già fatto quando Derek e Stiles avevano dato inizio alla loro vita di coppia undici anni prima, ne era stato certo molto prima che ufficializzassero il tutto con il matrimonio ed era categorico ad un anno da quel giorno mentre si occupavano con l’immenso affetto che possedevano e che volevano donare a quei tre lupetti. L’amore in quella casa trasbordava da ogni impercettibile fessura ed era qualcosa di innegabile. «Le piacciono le volpi?» chiese dopo che assistette in silenzio a tutta quella scenetta incorniciata dal telaio della porta.

«Oh, sì» enfatizzò suo figlio, un leggero cipiglio non identificabile che prendeva forma in lui; probabilmente era rassegnazione per qualcosa che a Stiles proprio sfuggiva, non raccapezzandosene. «Per questo ad Halloween si è voluta travestire da volpacchiotta, era davvero adorabile, me la sarei mangiata» rise al ricordo, le foto che custodiva gelosamente ancora nello smartphone e che aveva tutta l’intenzione di far sviluppare su pellicola, insieme a tante altre. «Laura invece è una gran furbacchiona, è andata in giro tutto il giorno con il vestito da cappuccetto rosso; peccato che Derek non abbia accettato di accompagnarla in versione lupo, sarebbe stato esilarante ed eclatante» l’avrebbe adorato alla follia, sarebbe stato il suo momento preferito nella storia, ma Derek non si era guadagnato il titolo di lupo acido per niente.

«Ed Erick?» chiese il tutore della legge di Beacon Hills sollecitato dalla mancanza della sua menzione in merito. Alcune foto Stiles gliele aveva mandate in fibrillazione, cuori e stelle allegati a manifestare il suo entusiasmo. Lo sceriffo si era ritrovato a salvarne una in cui figuravano in posa perfetta le due bambine mascherate insieme a suo figlio, con una tunica annessa ad un grande cappuccio a simulare un maestro Jedi, come sfondo principale del cellulare – chi sono? gli era stato chiesto da uno dei colleghi di lunga data quando aveva notato l’immagine illuminarsi. Le mie nipotine, aveva risposto con fierezza e un languore caldo che l’aveva attraversato da parte a parte.

Stiles sospirò lievemente, i passi che scendevano la scalinata con calma. «È voluto rimanere con Derek a casa» non ne aveva affatto voluto sapere di agghindarsi con qualche costume o una maschera poco vistosa, aveva preferito passare tutto il pomeriggio seduto scompostamente sul divano a guardare i suoi lungometraggi animati favoriti e film sui supereroi pieni di speranza – Stiles si era dovuto rassegnare malamente alla consapevolezza che i suoi tre preziosi bambini avessero un debole per la coloratissima Marvel e disdegnassero la tetra ed oscura DC; era stato un duro colpo da incassare –, con la testa rasserenata abbandonata sulla spalla del suo papà lupo e sgranocchiando popcorn salati e caldi preparati al momento. Nessuno dei due adulti avevano protestato alla sua mancata voglia di partecipazione, c’erano ancora molte cose che apparivano ostiche agli occhi di Erick.

Il padrone di casa si abbandonò esausto su uno dei divani del salone, preferendo concedersi ancora qualche minuto prima di raggiungere gli ospiti ancora accomodati sul patio insieme al suo bambino, le temperature notturne che precipitavano, ma gli unici a risentire del freddo erano i due Stilinski, circondati da creature sovrumane che emanavano un calore corporeo decisamente elevato e ben tre di loro potevano farsi spuntare addosso una comoda e confortevole pelliccia in qualsiasi occasione.

Noah si accomodò ad un cuscino di distanza da suo figlio, scrutandolo attentamente e prendendosi più tempo di quanto fosse necessario. «La pensione si sta avvicinando».

La bomba arrivò dritta dritta su Stiles, prendendolo in pieno e strappandolo totalmente dalla quiete momentanea a cui si era abbandonato. «Stai già pensando a quanto ti annoierai?» era consapevole che il pensionamento fosse dietro l’angolo, che la vita da sceriffo di Beacon Hills stava giungendo al termine, ma con tutto quello che aveva passato ed affrontato, quella ricompensa gli spettava di diritto.

«Sto pensando di trasferirmi» proclamò senza peli sulla lingua, ma dritto al punto. «Qui».

Stiles sgranò gli occhi e le orecchie stentarono a credere a ciò che avevano udito. «Qui?» poi un sospetto gli pizzicò la materia grigia. «Perché? Pensi che non ce la stiamo cavando?».

«Affatto» dissentì immediatamente la massima autorità della loro città natale, scacciando quella pessima idea che stava stuzzicando la mente distruttiva di suo figlio. «State andando benissimo».

Stiles lo guardò a lungo con un interrogativo ben stampato sul volto, la testa leggermente inclinata a tentare di trovare una prospettiva diversa che potesse illuminarlo sulla questione. «Allora perché?».

«Non tornerai più a Beacon Hills» disse privo di giri di parole, letale.

«Certo che tornerò, ho i miei amici lì, il mio branco e ho te» il neo genitore stava avendo dei seri problemi a decriptare i messaggi che il padre gli stava lanciando.

«Non è la stessa cosa, tornerai un paio di volte all’anno» aveva sempre cercato di non fargli pesare quanto la distanza tra loro fosse enorme e si sentisse separato da lui, in quegli anni avevano tentato di organizzarsi al meglio delle loro possibilità, ma le cose erano cambiate nell’ultimo ed i piani d’incontro non più facilmente realizzabili. «Vorrei essere presente nella tua vita, nella vita dei miei nipoti».

L’apparato uditivo smise di funzionare quando la parola nipoti prese suono, era decisamente la prima volta che la mettevano su quel piano, com’era stato quando la parola figli gli era sfuggita con Derek, ma non poteva ignorare che le sue meravigliose creature rappresentassero esattamente quello. «E la casa? I tuoi amici, papà? La tua vita è lì».

«Non c’è nulla che mi trattenga a Beacon Hills» tutto quello che gli era rimasto era il lavoro ed i colleghi, ma a breve avrebbe raggiunto l’età per riscattare la sua pensione ed era nettamente difficile che i colleghi si frequentassero al di fuori dell’ambiente lavorativo; forse i primi tempi sarebbe andata bene, ma poi non sarebbe rimasto nulla e il suo cuore avrebbe reclamato quella parte di sé da cui era stato reciso. «E la casa non sarà un problema, posso affittarla o vederla» era un aspetto che non aveva affrontato completamente, ma era sicuro di non volerla tenere chiusa e disabitata a prendere polvere. In passato aveva creduto che Stiles l’avrebbe ereditata per viverci con chiunque volesse; anche se aveva messo in conto che un giorno avrebbe potuto lasciare la città per vivere in un’altra, non aveva calcolato che avrebbe trovato il suo futuro da tutt’altra parte, senza alcun segnale che sarebbe tornato a Beacon Hills, meno che meno aveva ipotizzato che quella vita l’avrebbe condivisa con Derek Hale. «La mia famiglia è qui».

Stiles fu investito da un tumulto all’altezza del cuore che gli paralizzò l’afflusso dell’ossigeno. «Certo che è qui. Mi piacerebbe moltissimo averti con noi».

«Bene» proferì Noah compiaciuto, rilassandosi sullo schienale e pronto per sganciare qualcosa di nuovo. «Ho già cominciato a cercare degli appartamenti in zona».

«Cosa?» lo sconcerto nell’agente dell’FBI fu non trascendibile, come la sua opposizione. «C’è la dépendance a tua disposizione, puoi trasferirti lì».

«Non andrò a vivere con mio figlio e suo marito, mantenete la vostra indipendenza» era decisamente l’ultima cosa che voleva, anche lui voleva mantenere la sua autonomia, ma voleva comunque essere facilmente rintracciabile e raggiungibile.

«Okay, sì» probabilmente era stato troppo precipitoso, ma tutta quella storia lo stava prendendo completamente alla sprovvista. Non aveva mai riflettuto sull’idea che la famiglia che stava costruendo con Derek e suo padre potessero coabitare nello stesso stato, figurarsi nella stessa città, ma evidentemente aveva ignorato i desideri dell’unica figura genitoriale che gli era rimasta e che l’aveva cresciuto con le sue sole forze. «Almeno fatti aiutare da Derek, è il suo campo».

«Derek me lo comprerebbe un appartamento» adorava il nato lupo e come rendeva felice suo figlio, ma c’erano dei limiti che non andavano proprio superati tra suocero e genero. «Non fa parte dei miei piani» tra l’altro voleva soltanto affittarne uno, non sapeva proprio cosa farci con una casa di proprietà giunto a quel capitolo della sua storia.

«Ah» la risata di Stiles uscì irrefrenabile, la sua mente stava già dipingendo uno scenario che l’avrebbe divertito fino all’inverosimile. «Mi dispiace dichiararti già perdente per la battaglia che ti attenderà».

Noah Stilinski si risentì e pentì allo stesso tempo; la mossa migliore sarebbe stata procedere con il suo trasloco senza informare nessuno dei fatti e presentarsi davanti l’ingresso principale all’improvviso, un emozionantissimo e scioccante momento di sorpresa.

«A chi dovrei comprare un appartamento?» domandò un Derek leggermente appesantito dalla stanchezza, la confusione che si dipingeva a chiare lettere sul volto accigliato e la scalinata che veniva abbandonata dietro le spalle larghe.

Un’altra risata piena prese vita da Stiles e scattò in piedi, stiracchiando le giunture e le ossa che avevano bisogno di vitalizzarsi, dirigendosi verso la figura del consorte con le sopracciglia aggrottate e rubandogli un bacio a tradimento con il diletto sulle labbra. «Ti aspetta una conversazione molto interessante, vado a recuperare il lupetto del mio cuore» gli stampò un altro schiocco di completa comprensione, dirigendosi verso l’esterno della casa per prelevare il giovane Erick che andava riconsegnato tra le braccia della divinità greca dei sogni e soprattutto tra quelle della sua sorellina minore che lo reclamava con tanto ardore tra le lenzuola stracolme di volpi rosse acquarellate. «Trovate un accordo, ragionevole».

Derek diresse l’espressione interrogativa ed eloquente al suocero e lo sceriffo si preparò a prendere quanta più aria possibile all’interno dei polmoni per affrontare la questione, senza che quella volpe doppiogiochista sotto mentite sfoglie del suo unico figlio facesse da arbitro.

«Lupetto, ti vedo riflessivo, che succede?» chiese Stiles il giorno successivo, alcune ore dopo il pranzo carico di portate che avevano consumato, trovandolo in cucina da solo seduto su uno degli sgabelli a guardare dalla vetrata il gruppetto formato dai loro ospiti a parlucchiare tra loro, accomodati ad un lungo tavolo da esterno sistemato in giardino, sotto vari piccoli alberi a dare frescura e riparati dall’ombra della villa, poco lontano dal patio.

Erick posò gli zaffiri su di lui per poi spostarli nuovamente dov’erano prima, le orecchie rizzate ad ascoltare la tavolata, le parole che quegli sconosciuti si scambiavano, era indeciso se porgere la domanda che era evidente lo pungolasse da qualche tempo. «Papà è loro amico?».

Stiles nel momento iniziale apparve perplesso, non comprendendo appieno quell’indagine, ma poi le iridi ambrate si spostarono verso l’attenzione che richiamava il bambino, il lupo nero che sedeva tra Lydia e Scott, il posto destinato a Stiles vuoto, poco più in là suo padre si intratteneva con le lupacchiotte davanti allo stagno, rallegrandole senza alcuno sforzo; perfino con Erick era riuscito nell’intento di conquistarlo subito, quando si era presentato a lui aveva visto una forma di rispetto prendere vita nelle sue gemme acquatiche verso quell’uomo che aveva cresciuto il suo papa, che non sapeva propriamente spiegarsi. «Difficile da identificare, a tuo padre non piacciono le etichette, ma posso dirti che è sempre accorso e accorerebbe in caso di aiuto per tutti loro».

Erick rimuginò ancora, non comprendendo totalmente ciò che Stiles volesse dire. «Non sembra a suo agio, ecco» l’unica persona che seguo è Stiles erano state le parole di Derek, avevano una qualche correlazione?

Stiles sorrise leggermente instupidito e molto commosso dalla capacità d’osservazione del suo bambino. Derek poteva apparire rilassato e disinteressato, ma c’era sempre un po’ di rigidità nelle sue spalle, qualcosa di impercettibile per qualcuno poco allenato, qualcuno che non lo conosceva come invece sapevano fare loro. «Sai che è poco socievole, è un musone brontolone» proprio come te. «È stato solo per tanto tempo, preferisce rimanere per conto proprio, è semplicemente il suo modo di fare».

«Ma adesso non è più solo, papa» proferì Erick con fermezza, quasi avesse timore di essere stato escluso dalla cerchia privata dell’uomo che identificava come uno dei suoi padri. «Ci siamo noi».

«Amore, lo so benissimo» disse Stiles con morbidezza e affabilità, scompigliandogli con trasporto la chioma bionda. «E lo sa anche lui».

Il bambino lo guardò un po’ dubbioso e con una leggera ansia che gli intricava i tratti facciali, continuando a osservare oltre il patio, su quel tavolo a cui erano accomodati momentaneamente soltanto gli adulti. Non appariva per niente tranquillo.

«Non sei convinto» osservò l’umano con moderazione, la percezione aperta del tutto dedicata alle preoccupazioni del lupetto.

«Non lo so» fu tutto ciò che Erick riuscì ad articolare, la perplessità confusa che non riusciva ad indirizzare in nessuna forma, a darle un corpo, qualcosa di facilmente comprensibile.

A Stiles, al contrario, appariva chiaro come il sole. «Vuoi combattere per il tuo papà».

Le iridi dell’oceano divennero enormi, le pupille si dilatarono e una consapevolezza, mista ad un’epifania concreta, presero vigore, divenendo tutto improvvisamente e spaventosamente limpido. Stiles gli rispose con un sorriso moderato e comprensivo, sapeva fin troppo bene cosa si provasse, quanto assiduamente si era battuto per dimostrare e manifestare l’immenso amore che provava per Derek, di fargli comprendere che non se ne sarebbe andato e che non l’avrebbe abbandonato per nessuna ragione al mondo. Il licantropo in numerose occasioni ne era fuggito, non credendoci affatto e ferendo ripetutamente il figlio dello sceriffo con le sue scelte, con la sua miscredenza, acchiapparlo e documentargli la verità non era stato minimamente facile; dubitava che Erick avrebbe mai dovuto affrontare quel calvario, ma era importante ed abbagliante notare quanto fosse vitale per quella piccola creatura bersagliata dalla sfortuna e dal dolore, voler dimostrare quanto tenesse fermamente a quel lupo nero intricato di sofferenze affini.

Derek varcò l’entrata dalla vetrata soleggiata pochi attimi dopo, seguito allegramente dalle lupacchiotte che gli volteggiavano attorno in una danza, non perdendolo di vista nemmeno un momento, allontanandosi dallo sceriffo di Beacon Hills che si era accomodato al fianco di Liam, prendendo fiato da quelle bestioline ricche di energie; supponeva che il mutaforma fosse rientrato per ricaricarsi di bevande e stuzzichini, come se non avessero passato buona parte della giornata a rifocillarsi.

«Papà» lo chiamò il lupetto in un momento dal suo ingresso nella cucina, dopo che ebbe preso una sorta di coraggio e decisione.

Derek posò sul bancone di marmo chiaro alcune delle bottiglie e dei vassoi vuoti che si era riportato indietro, sciacquandosi brevemente le mani nel lavabo al lato del piano cottura. «Ehy, ometto».

Un groppo in gola si formò in Erick quando il padre si girò verso la sua direzione, gli occhi verdi attenti a tutte le sue esigenze e richieste, mentre teneva a freno Corine che voleva uno dei suoi biscotti preferiti conservati nella credenza nei piani superiori, tirando e stropicciando un lembo dei suoi jeans. Laura, invece, si lasciava vezzeggiare dalle attenzioni di Stiles, avvolta da un avambraccio che le massaggiava un fianco; era estremamente felice immersa in tutto quel calore d’amore, le guance arrossate e il tiepido sorriso sulle labbra rosee ed Erick voleva versare il suo.

Si avvicinò all’uomo che gli aveva insegnato e contribuito a renderlo un lupo ed una persona migliore, il coraggio e la determinazione che gli scorreva nelle vene, allungando le braccia e stringendole attorno alla vita, aderendo completamente a lui. «Ti voglio bene, papà».

Derek posò prima le iridi boscose spiazzate sul bambino, che mai aveva menzionato quelle parole, e poi le indirizzò su Stiles che gli concesse una delle sue espressioni sapute, con le bambine che reagirono allo stupore della scena in egual misura, correndo per manifestare lo stesso sentimento e anche un abbraccio gemello, Laura incitata ad abbandonare combattuta la sua postazione da una pacca e un sussurro di comprensione da parte dell’umano. «Anch’io, anch’io, papà, ti voglio bene» fu il coro che diedero vita in simultanea, aggrappandosi al grande lupo cattivo senza permettergli alcuna via di scampo.

«Cos’è successo?» domandò Derek al marito con confusione, non comprendendo bene da cosa fosse scaturita quell’improvvisa dimostrazione bisognosa d’affetto, tentando arrancando di ricambiare quella tripletta d’abbracci.

Stiles gli regalò una curva delle labbra lungimirante, lo scintillio giocoso e di conoscenza che gli animava le perle d’ambrosia. «Hai trovato il tuo posto nel mondo».

Le pupille nere di Derek si dilatarono e rimpicciolirono stuzzicate da quella rivelazione inaspettata, automaticamente calamitate sui pargoletti che si tenevano ancorati al suo corpo, investendolo con tutto l’amore di cui erano pregni. Lo scompenso era enorme per quel cuore martoriato da ogni cataclisma che si era abbattuta su di sé. «Vi voglio bene anch’io».

La presa fu aumentata da entrambe le parti e per un lunghissimo momento eterno, tra quelle mura casalinghe esisteva soltanto quel quartetto con un unico testimone orgoglioso di loro, successivamente Erick si staccò placidamente, un’arruffata tra i fili dorati che l’accompagnava, mentre Corine veniva presa in braccio e Laura intensificava la sua stretta, con la missione del lupetto di estendere l’identico abbraccio d’affetto che si chiuse intorno a Stiles una volta che l’ebbe raggiunto, spiazzandolo sul colpo. «Papa, voglio combattere anche per te. Ti voglio bene».

Le iridi d’ambrosia lo fissarono con sconcerto, ricevendo segni d’assenso e sillabe affermative dalle cucciole che rimavano aggrappate al mannaro dal manto inchiostrato, con una sfilza di . Sentiva ogni sentimento ed emozione scaturiti dalle quattro persone che amava di più nell’universo attraversarlo in ogni centimetro del suo essere, lasciandolo privo di ossigeno e con il cuore traboccante di quell’amore inestimabile, con la voce di Derek che si ramificava, rendo l’intera scena ancora più reale. «Anche tu hai trovato il tuo posto nel mondo».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questa è proprio la fine.

Questa è la storia di cinque persone che si sono trovate nel dolore e si sono amate senza vincoli; alcune di loro hanno dovuto faticare maggiormente, ma hanno raggiunto un traguardo impagabile. Possiamo solo sperare che il loro futuro sia soltanto più radioso.

Vi ringrazio per avermi e averci seguito fino a qui, per averla apprezzata e amata insieme a me. Ringrazio chi si imbatterà in lei dopo oggi.

Antys

   
 
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