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Autore: evilqueen82    04/12/2021    1 recensioni
Ginny Weasley è una giovane donna in carriera.
Fa la giornalista a Londra e convive da nove anni con la sua compagna.
Ma un incontro inaspettato con un fantasma del passato, stravolge il suo presente.
Perde il lavoro, l'amore ed è costretta a ritornare a Little Hangleton, suo paese natio, dal quale otto anni prima era fuggita.
come se non bastasse è incinta e a molti la cosa non piacerà. A qualcuno meno ancora che ad altri.
I guai per lei sono appena iniziati....
AVVISO AI LETTORI.
tutti i capitoli sono stati revisionati.
Genere: Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Draco Malfoy, Famiglia Weasley, Ginny Weasley, Narcissa Malfoy | Coppie: Draco/Ginny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Dopo i drammatici eventi che si sono succeduti, Tom ripensa alla sua vita e ai tanti errori compiuti. Capisce di non essere stato il padre e il marito perfetto che avrebbe voluto. Quindi scrive una lettera a Ginny in cui si scusa per tutti i dispiaceri che le ha causato e le concede il divorzio, restituendole la sua libertà. Dopodiché lascia il paese per ritrovare se stesso. Trascorsi due anni e mezzo1 lo ritroviamo alle Barbados dove ha comprato un albergo e lo dirige. Ginny invece è tornata a vivere da sola,

ha ripreso il suo lavoro e si è messa fare l’attivista per l’ambiente insieme a Luna Lovegood. Tutto sembra andar bene fin quando un uragano non colpisce l’America centrale, tra cui l’isola in cui si trova Tom. Quindi Ginny parte per andare a cercarlo ma, dopo vane ricerche, è costretta a tornare in patria senza di lui. Ufficialmente dato per disperso, viene celebrato un rito funebre in sua memoria. Settimane dopo è solo Peagreen a credere che sia ancora vivo.

Sarà solo una pia illusione di un povero bambino? Intanto un cellulare squilla...

 

Ottobre 2023

La limousine sfrecciò tra il traffico di Londra, fermandosi infine nella destinazione indicata. L’aeroporto di Buckbeak2. Proprio lì dove tutto era iniziato. Dove quel fatale incontro con Tom aveva cambiato la mia vita per sempre.

Varcare di nuovo la soglia di quell’edificio fu quasi come morire. Vidi gli ultimi undici anni della mia esistenza scorrermi davanti come in un film. Un’infinità di cose erano successe da allora. Alcune bellissime, altre che avrei fatto meglio a dimenticare. Di certo ero una persona diversa. Col senno di poi non avrei ripetuto gli stessi errori, ma tutto sommato, pensai, le cose erano andate esattamente come dovevano. Inoltre, senza quegli sbagli non avrei conosciuto tante persone meravigliose.

Non ci sarebbe stata Narcissa al mio fianco in quel momento, tanto meno Peagreen a tenermi la mano. Tutto sarebbe stato diverso e diverso non significava per forza migliore. Di certo non potevo saperlo e ormai era inutile domandarselo. Dopotutto, nonostante tanta sofferenza ero esattamente dove volevo essere.

Mi voltai con orgoglio verso il mio bambino. Il suo sguardo curioso saettava ovunque, scorgendo i visi delle persone per cercare quello tanto agognato. Quello che un tempo non mi sarei mai aspettata di scorgere in quel posto e che aveva portato proprio alla sua nascita. Chissà se un giorno gli avrei raccontato cos’era accaduto nella stanza degli interrogatori...

“L’aereo non è ancora atterrato tesoro” mormorai, chinandomi verso di lui. “E quanto ci vuole ancora?” il tono che ne tradiva l’ansia e l’attesa. Stavo per dirgli di avere un po’ di pazienza, quando finalmente l’altoparlante ne annunciò l'arrivo. Sentii il mio cuore scalpitare furioso. “Ci siamo” riuscii a malapena a sussurrare tanta era l’agitazione. Peagreen dovette percepirlo perché mi strinse più forte la mano. Il suo sguardo si fece ancora più ansioso e vigile quando, qualche minuto più tardi, un folto gruppo di persone, una volta ritirato il proprio bagaglio, cominciò ad affluire verso di noi per poi superarci e uscire dall’aeroporto.

Non feci neanche in tempo a metterle a fuoco che una voce rotta mormorò: “Il mio bambino... il mio bambino”. Era stata Narcissa a parlare e un attimo dopo la vidi correre verso il suo adorato ragazzo. Il padre di mio figlio. Il mio ex marito. Il mio Tom. Quella donna solitamente così rigida e altera aveva perso tutta la sua compostezza, tanta era la gioia che provava. Nemmeno mia madre aveva avuto un tale trasporto nell’abbracciare il suo caro Percy dopo tanti anni di lontananza. Decisi di dar loro qualche istante per salutarsi e mi voltai verso Peagreen.

Era pallido e tremava. Il suo piccolo torace faceva su e giù tanta doveva essere l’emozione. Aveva quasi dieci anni ed era un ragazzino sano e forte. Ma non mi era mai sembrato tanto piccolo e fragile come in quel momento. Preoccupata stavo quasi per richiamare l’attenzione del padre ma non ce ne fu bisogno. Finalmente Tom si accorse di noi e i suoi occhi si spalancarono per lo stupore. Forse si aspettava la mia presenza, ma di certo non quella del figlio e lo guardò come se lo vedesse per la prima volta. Dopotutto erano oltre due anni che non lo vedeva di persona3 e, dalle video chat, non si era certo reso conto di quanto fosse cresciuto. Ma poiché era pur sempre il suo bambino quello che vedeva, anche se visibilmente emozionato, fece quello che era solito fare un tempo ogni volta che tornava a casa dal lavoro. Dopo essersi scostato delicatamente da sua madre, fece qualche passo avanti, si piegò sulle ginocchia e allargò le braccia per accoglierlo. Sembrava quasi che quel gesto familiare volesse annullare quel lungo lasso di tempo dall'ultima volta che lo aveva compiuto. Ma Peagreen non si mosse. Sentii la stretta della sua mano farsi ancora più forte. Il che era paradossale data la gioia provata nell’averlo saputo vivo e la trepidazione nell’attesa del suo ritorno. Quasi che infondo non avesse creduto nemmeno lui alle sue stesse speranze, o forse temeva di trovarsi in un bel sogno e che, se avesse fatto anche un solo passo, si sarebbe risvegliato nel suo letto con Tom sperduto chissà dove. Fatto sta che il padre continuò a chiamarlo ma lui rimase immobile.

Capii che toccava a me intervenire. Mi chinai verso di lui e cercai di tranquillizzarlo: gli dissi che andava tutto bene, che non era un solo sogno ma che aveva sempre avuto ragione. Il suo papà era ancora vivo ed era tornato da noi. E nel farlo cercai di trattenere il più possibile l’emozione che quelle stesse parole mi trasmettevano. Si voltò un istante verso di me, come a cercare una conferma, un tacito assenso. Quasi il permesso per poter fare quello che da troppo tempo aveva agognato. “Va' da lui” lo esortai con un sorriso rassicurante. Il suo respiro si placò. Sentii la presa della sua mano allentarsi per poi cedere del tutto. E, dopo averlo guardato ancora un attimo, corse finalmente a gettarsi tra le sue braccia.

Piangemmo tutti. Io, Narcissa, Peagreen e anche Tom. Soprattutto Tom. La sua gioia era incontenibile. Era un vero miracolo che fosse sopravvissuto.

Poco prima che la tempesta si scatenasse in tutta la sua potenza, era decollato assieme a un amico pilota su di un piccolo aereo turistico, per prestare soccorso ad alcuni pescatori in difficoltà a bordo di un peschereccio. Il mare era troppo mosso perché si potesse raggiungerli con una barca. Purtroppo però, dopo averli tratti in salvo dalla furia delle onde, erano stati sorpresi dal tifone vero e proprio. Il vento fortissimo aveva impedito loro di tornare indietro ed erano stati costretti a virare altrove. Per di più un fulmine aveva colpito il mezzo di striscio, danneggiando il motore e facendogli perdere quota. Fu solo grazie alla lunga esperienza di volo del pilota che erano riusciti a salvarsi, ma erano finiti su un'isola deserta. E lì con la radio e i telefonini fuori uso, non avevano potuto allertare nessuno neanche dopo che l’uragano era passato. Così erano stati costretti a tornare a bordo del gommone che si trovava all’interno nel veicolo. Intere settimane sotto il sole rovente con poche scorte di cibo e acqua (comprese banane e noci di cocco trovate sull’isola) razionate fin quando non ebbero fine. Quando finalmente giunsero su un’isola abitata erano più morti che vivi4.

Qualche giorno in ospedale per riprendersi poi, finalmente, poterono tornare alla loro isola. Tutto era andato distrutto, decine di morti e di feriti. Parecchi dispersi. Tom scoprì di essere tra questi, quando venne riconosciuto da uno dei suoi compaesani. E quale stupore nello scoprire che ero stata lì a cercarlo. Immediatamente si era recato all’ambasciata inglese e da lì, dopo che le linee furono ripristinate, aveva potuto contattare sua madre e farci sapere attraverso lei che era vivo e che sarebbe rientrato in patria al più presto. Non che non volesse restare e dare una mano ai suoi amici isolani, ma durante quei lunghi giorni senza cibo né acqua, l’unica cosa che lo aveva tenuto in vita era stata la volontà di rivedere le persone amate. Così aveva prenotato il volo per Londra ed era tornato da noi.

Dopo aver abbracciato e baciato suo figlio a più non posso, Tom gli sussurrò qualcosa in un orecchio. Peagreen allora si scostò e lui poté risollevarsi in piedi. Il bambino piangeva ancora, ma il suo sguardo era più sereno. Tirò su con il naso e si strofinò gli occhi con la manica della giacca, mentre il padre si sgranchiva un attimo e sistemava gli abiti stropicciati. Poi si sorrisero e Tom gli fece l’occhiolino prima di voltarsi in mia direzione.

Finalmente i nostri occhi si incontrarono. Sentii il mio respiro mozzarsi e stavolta fui io a tremare. In quell’istante capii che, nonostante tutte le nostre vicissitudini, non c’era nessun'altra persona al mondo con cui volessi stare. Donna o uomo che fosse. Che se non fosse mai tornato, non mi sarei mai più risposata o accompagnata. Lui era il solo che volessi al mio fianco. L’unica eccezione.

Sembrava incredibile che lo avessi capito proprio lì e in quel momento Dopo più di dieci anni, ritrovandosi esattamente dove tutto era iniziato. Dove, da nemici d’infanzia che si azzuffavano in strada, c’eravamo scoperti complici e poi amanti. Dove avevamo concepito il nostro bellissimo bambino e le nostre vite si erano intrecciate in maniera indissolubile. Tutto ciò che era accaduto in seguito magari non scompariva, ma ci univa ancora di più. In quell’istante eravamo di nuovo noi, non proprio come allora. Più adulti, più attenti ma pur sempre noi.

Anche Tom doveva averci pensato perché il suo sguardo si volse per qualche istante verso l’edificio per poi tornare verso di me con un sorriso di consapevolezza. Quel sorriso sghembo che mi aveva rivolto allora e che mi fece sorridere di rimando.

Fece qualche passo in mia direzione. Mi avvicinai anch’io, fino a che non gli fui a un palmo di naso. “Ho saputo che mi cercavi” . Mormorò senza smettere di guardarmi. Non rideva più, ma il suo volto tradiva attesa e speranza. I suoi occhi sembravano chiedermi “sei felice di rivedermi”? “Sì…” mi sentii rispondere . Il che era inteso come una risposa affermativa a entrambe le sue domande. Quella fatta a voce e quella silenziosa. Sperai che lo capisse. Che non ci fosse bisogno di troppe parole mentre, senza distogliere lo sguardo dal suo, sollevavo una mano e gliela posavo sul torace visibilmente smagrito sotto la canotta leggera e la camicia aperta. Nel punto in cui, nonostante l’abbronzatura, era ancora evidente la cicatrice infertagli dal pugnale Bellatrix. “Credevo fossi morto”. Mormorai sottovoce. “Lo ero… quasi. Ma tu mi hai tenuto in vita”. “Non te ne andrai di nuovo, vero?” Il solo pensiero mi faceva paura. Non volevo perderlo. Non stavolta. Non più. La mia voce dovette tradire l’ansia perché sul sul volto spuntò di nuovo un sorriso. Scosse la testa e con la mano mi sfiorò una guancia. Si chinò verso il mio orecchio e sussurrò: “No, se mi chiederai di restare”.

*

31 dicembre. “Ehi, ma non rispondi al telefono?” Chiese Tom, rientrando in camera dopo la doccia, mentre finivo di truccarmi di fronte allo specchio. L’odore del suo dopobarba impregnò tutta la stanza, facendomi arricciare il naso. “Allora?” Insistette, avvicinandosi al comodino sul quale il mio cellulare continuava incessantemente a squillare. “Fallo tu, se vuoi”. Risposi in tono un po’ brusco. “Scommetto che è di nuovo tua madre”. Disse prima ancora di guardare il display. “E chi altrimenti?! È tutto il giorno che chiama” Brontolai, passandomi il mascara. “Magari ha da dirti qualcosa d’importante riguardo stasera”. Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. “Come ti ho già detto, puoi risponderle tu se vuoi”. Ma lui non si azzardò. “Beh se ha bisogno di qualcosa, può chiamare direttamente sul mio”. Si limitò a dire, facendo spallucce. Dopodiché si tolse l’asciugamano legato intorno alla vita e lo poggiò sul letto. Approfittai di quell’istante in cui era nudo e di spalle per infilarsi i boxer e l’osservai di nascosto, attraverso lo specchio. Negli ultimi due mesi aveva ripreso forma e le vertebre non apparivano più evidenti sulla schiena, mentre l’abbronzatura a poco a poco era svanita. “Poco male”. Pensai tra me e me.

Poco dopo la chiamata cessò. “Finalmente!” Esclamai, tirando poi un sospiro di sollievo.
Tom sorrise.“Comunque lo sai che stasera dovrai rivederla?” Mi fece notare mentre apriva l’armadio per scegliere un completo. “Finché posso la evito”. “Ma dai! Non vorrai tenerle ancora il muso. È l’ultimo dell’anno!”. “E perché no?! Se lo merita dopo quello che mi ha fatto. Anzi che ci ha fatto. Perché questa cosa infondo ci riguarda un po’ tutti. Persino te”. Berciai, sentendo ancora ribollire la rabbia al pensiero.

Solo fino al giorno prima mi ero sentita immensamente felice. Avevamo trascorso un bel Natale tutti insieme alla villa. In quel occasione Narcissa aveva insistito per averci tutti da lei e aveva organizzato un evento incredibile. Non una delle sue solite feste mondane di un tempo, con quegli snob dei suoi parenti a farla da padroni, ma una vera cena di famiglia. Aveva riunito non solo tutti i Weasley, ma anche coloro che, tra i compaesani, avevano i parenti lontani o non li avevano affatto. Perché diceva che nessuno avrebbe dovuto essere da solo a Natale. Fu un ricevimento magnifico. C’erano stati cibo in abbondanza, fiumi di champagne, balli, giochi e canti natalizi intonati attorno ad un magnifico pianoforte a coda. Poi, un po’ prima di mezzanotte, Babbo Natale e due magnifici elfi (ovvero mio padre, Charlie e Tom) erano venuti a distribuire i regali, facendo felici tutti i bambini presenti. E naturalmente i festeggiamenti sarebbero continuati anche la sera del trentuno. Mentre il primo dell’anno staremmo stati tutti a pranzo dai miei. Narcissa compresa. Così avevo deciso di dare una mano a mia madre con i preparativi, e visto che quel giorno le scuole e la maggior parte degli uffici erano chiusi, sarei stata già lì di prima mattina.

Trenta dicembre (cronaca del misfatto)

Era una bella giornata, ma faceva piuttosto freddo e, nonostante il sole, la neve resisteva. Mio padre era sul retro e fu raggiunto subito da Tom e Peagreen che mi avevano accompagnata. Mentre finivo di spalare la neve sul portico, vidi arrivare il signor Dursley. “Ehi c’è posta per voi5!” Disse con il suo solito vocione dopo esser sceso dalla sua auto di servizio. Gli andai incontro e, oltre a quella dei miei genitori, mi feci dare anche la mia corrispondenza. Dopodiché, scambiati i soliti convenevoli e gli auguri di buon anno, rientrai in casa. Chiamai mia madre, ma era di sopra che armeggiava con l’aspirapolvere e non mi sentì. Quindi preparai del caffè e lo portai a gli altri sul retro. Mi sedetti al tavolo della cucina e, mentre sorseggiavo il mio, ne approfittai per smistare la posta. Avevo quasi finito di scansare le lettere rivolte a me, quando mi caddero gli occhi su una delle buste. La sollevai e la guardai da vicino per essere certa di non essermi sbagliata . Ma non c’erano dubbi. Il mittente riportava l’indirizzo di un penitenziario. Con mani tremanti, la aprii e iniziai a leggere. Proprio come sospettavo. Anzi peggio.

Prima ancora che mia madre mi raggiungesse, mi misi a rovistare nei posti dove era solita nascondere i dolciumi quando eravamo piccoli. Difatti, chiuse in una vecchia scatola, vi erano una mezza dozzina di lettere da parte di Daniel. Quel Daniel che mi aveva attirata fuori dal paese, quando ero incinta. Lo stesso bastardo che aveva cercato di stuprarmi e che in seguito aveva tentato in ogni modo di rovinarmi la reputazione e la vita. Che cosa voleva ancora?6 Ma soprattutto perché mia madre me le aveva tenute nascoste? Credeva forse che avrei potuto ancora dar retta a un simile elemento?

Dopo essere dapprima sbiancata e poi arrossita, cercò di giustificarsi dicendo che lo aveva fatto per proteggermi, che non voleva darmi ulteriori preoccupazioni oltre a quelle che avevo già e, che non ricevendo risposta, sperava che un giorno lui si sarebbe stancato. Cosa assai improbabile, visto che la prima lettera risaliva a ben cinque anni prima. Le missive erano quasi tutte uguali. In ognuna chiedeva perdono per tutto il male compiuto. Diceva di aver avuto modo di riflettere sugli sbagli compiuti e di essersi pentito. Giurava di essere cambiato e sperava che qualcuno della famiglia, prima o poi, gli facesse visita. Non si rivolgeva mai a me direttamente, piuttosto parlava a mia madre dicendole che per lui era stata una seconda mamma e le chiedeva di non lasciarlo solo. “Spero almeno che tu non gli abbia creduto!”. Era stata la mia replica furibonda. “Certo che no... però”. Ebbe un attimo di esitazione. Al che le sbraitai contro. “Però cosa? Non vorrai farmi credere di essere tanto ingenua?!”
A quel punto si era messa a piangere. Disse che lo sapeva bene che cos’era diventato ma che, al contempo, le aveva fatto pena. Quel povero ragazzo era stato abbandonato dai suoi e ne aveva passate tante. Forse quelle lettere erano solo un modo per sfogarsi, magari era stato uno psichiatra a suggerirgliele per fare ammenda. “Oh sì certo – sbottai in tono sarcastico – perché uno psichiatra suggerisce sempre al paziente di scrivere alla persona che ha molestato!”. Sperai che notasse quanto fossero ridicole le sue osservazioni. Ma lei insistette. Ribadì di non voler credere che fosse del tutto irrecuperabile. Che, anzi, era quasi certa che lui fosse davvero cambiato. Tra quelle righe poteva scorgere ancora il riflesso di quel dolce ragazzino che scorrazzava per casa con i suoi figli. Quel ragazzino che aveva imparato ad amare.

Non volli sentire altro. Afferrai la scatola e, come una furia, raggiunsi di nuovo mio padre sul retro. Lui e Tom erano alle prese con un piccolo falò nel quale, per tradizione, alla fine di ogni anno bruciava le cose che non servivano più. Peagreen, un poco distante, faceva combattere le sue action figures tra montagnole di neve. Attirati dalle urla di mia madre che cercava di fermarmi, smisero di fare ciò che stavano facendo. “Tu lo sapevi? Lo sapevi?!” Chiesi a mio padre, sventolandogli davanti una delle lettere incriminate. L’afferrò e si mise a leggerla. “Molly che cosa significa? Cos’è questa storia?” Tuonò incredulo e adirato al contempo. Mia madre si rimise a piangere, mentre io, sollevata dal fatto che almeno lui fosse all’oscuro, raccontai l’intera faccenda. Tom rimase senza parole. Mentre Peagreen, che non capiva cosa stesse succedendo, abbandonò i suoi giochi e andò ad abbracciare sua nonna. Una volta finito di raccontare, feci ciò che avrebbe dovuto fare lei dal primo momento. “Papà non è che ti servirebbe un po’ di cartaccia per il fuoco?7” E senza attendere risposta, svuotai il contenuto della scatola tra le fiamme.

Mi sentii subito meglio mentre Tom, vedendo bruciare definitivamente le speranze del suo antico rivale, era a dir poco raggiante. Sul suo volto rividi il ghigno con cui gli si rivolgeva in passato8.
“Spero che ora sarai soddisfatta” disse mia madre asciugandosi le lacrime.
“Puoi giurarci che lo sono!”. Fu la mia risposta.
“Bene” commentò sarcastica.
“Perfetto” replicai a mia volta nello stesso tono. Ma in realtà non era affatto così. Dopo il sollievo iniziale mi sentivo amareggiata. Sospettai che ce l’avesse ancora con me per non aver sposato Daniel dopo il diploma. Che mi ritenesse in parte responsabile per i suoi guai. Come se fossero partiti da me e non dall’abbandono di Lily e dalla condotta immorale di James. Non mi aveva mai detto nulla al riguardo. Nemmeno allora. Eppure sentivo che era così. Tuttavia non dissi niente. Non volevo creare ulteriori discussioni. Non quel giorno e non davanti a mio figlio. Ma non potendone più sopportare la vista, me ne andai. Tom e Peagreen provarono a venirmi dietro ma intimai loro di rimanere lì, perché ci saremmo rivisti la sera a casa. In quel momento avevo bisogno di restare da sola. Mentre facevo il giro della casa per raggiungere l’auto, sentii i miei discutere tra loro. Peagreen invece piangeva. Ne ebbi pena ma ci sarebbe stato suo padre a consolarlo.

Passai le ore successive a passeggiare sulla spiaggia, rimuginando sulla mia vita, su Daniel e sugli errori commessi. Avevo fatto dei sbagli, sì. Avevo ferito tante persone. Ma non mi sentivo in colpa verso di lui. Avevo provato in tutti i modi a riallacciare i rapporti tra noi, ma avevo capito ben presto che non voleva più essere mio amico, bensì cercava solo vendetta e rivalsa. Era un essere malvagio che nel corso degli anni aveva fatto male a tante persone. Non potevo credere che fosse cambiato. Anzi, ero certa che stesse tentando ancora di rovinarmi la vita. E lo dimostrava il fatto che aveva iniziato a scrivere quelle lettere subito dopo il mio matrimonio. Faceva leva sull’antico affetto di mia madre per controllarmi. Per farmi sapere che aveva ancora potere su di me. Ma stavolta non sarei stata al suo gioco.
Non appena rientrata nel mio appartamento, telefonai al suo padrino Sirius Black e gli raccontai delle lettere. Mi disse che avrebbe provveduto a parlare con il suo figlioccio e a impedirgli di scriverle ancora. Ma non bastava. Volevo essere sicura che non ci disturbasse più. Quindi mandai un fax al dirigente del suo carcere e gli intimai di intercettare la sua posta. Gli promisi che se io o la mia famiglia avessimo ricevuto nuovamente anche solo una cartolina da quello spregevole individuo, lo avrei denunciato.
Più tardi, quando Tom ritornò con Peagreen, lo informai dei provvedimenti presi. Egli mi raccontò di come mia madre avesse pianto tutta la giornata. Dopo averle parlato lui stesso, rievocando tutte le cose brutte che Daniel aveva fatto (non solo a me), era riuscito a farla ragionare. Alla fine aveva capito il suo errore e le dispiaceva di essere stata tanto stupida e ingenua. Aveva promesso che, se avesse ricevuto un’altra lettera, ci avrebbe informati. Potevo ritenermi soddisfatta. Tuttavia ero ancora molto arrabbiata con lei e volevo farle pagare il suo comportamento sconsiderato, così quando aveva iniziato a telefonare dalla mattina successiva, non le avevo risposto. Tanto ci saremmo riviste al gala di Narcissa. Fino a quel momento poteva cuocere nel suo brodo.

Trentuno dicembre

Indossai l’elegante mantello con il cappuccio che mi aveva regalato mia suocera per Natale. Era lungo, color verde e argento e foderato di pelliccia. Ben si intonava con il vestito blu che mi aveva regalato suo figlio. Mi guardai un'ultima volta nello specchio, per assicurarmi di essere in ordine. Tom mi venne dietro e mi afferrò per le spalle. “Sei bellissima” sussurrò vicino al mio orecchio, provocandomi un leggero brivido.
“Nemmeno tu sei tanto male” gli risposi, guardandolo attraverso lo specchio. In effetti era impeccabile nel suo completo grigio, le scarpe di vernice nere e il cappotto di panno blu. Dal suo ritorno i paese si era fatto la barba e tagliato i capelli. Sua madre e la mia ne erano state molto contente. “Oh grazie per il complimento” commentò con ironia, per poi sorridere e farmi l’occhiolino.
“Dobbiamo proprio andare?” gli domandai un poco corrucciata.
“Temo di sì” sussurrò in risposta. Al che sbuffai, facendolo sorridere di nuovo. Tuttavia ero certa che anche lui avrebbe voluto passare diversamente quella serata. Ma purtroppo gli altri ci aspettavano e Peagreen non vedeva l’ora di andare. Quindi mi feci coraggio e, tirato un grosso sospiro, mi apprestai ad andare a quella festa.

Primo gennaio 2024 ( Due del mattino)

Uscii da quella che era stata la mia camera da letto durante gli anni del mio matrimonio con Tom. Avevo passato l’ultima ora o giù di lì a parlare con mia madre. Lei si era scusata per il suo comportamento e io le avevo confessato ciò che avevo pensato il giorno prima. Ma non solo. Vennero fuori molte cose non dette tra noi. Cose di cui non avevamo mai discusso, nemmeno dopo il mio ritorno da Londra dieci anni prima. Anche se da tempo avevo imparato a consultarmi con la mia famiglia, a confrontarmi con i miei ogni volta che si presentava un problema che non potevo risolvere da sola, o quando avevo un dubbio che mi assillava, c’erano tuttavia questioni che erano sempre rimaste tabù. La mia fuga con Emma ad esempio. Quello che era successo all’aeroporto e le conseguenze che ne erano seguite. Per non parlare di Daniel e le vicende legate a lui. Ma, finalmente, riuscimmo a parlate con sincerità. E, per la prima volta, arrivammo a comprenderci davvero. Non più solo madre e figlia, ma due donne adulte che forse non avrebbero mai smesso di commettere errori ma che avrebbero cercato di fare il possibile per trarre il meglio dalla vita. Scendemmo giù nel salone: alcuni invitati erano già andati via, mentre altri si apprestavano a farlo. I bambini dormivano nelle stanze degli ospiti, mio padre invece russava su uno dei divani. Mia madre lo svegliò, dicendogli che era ora di andare. Da lì a poche ore averebbe dovuto alzarsi presto e preparare il pranzo. Le promisi che l’avrei raggiunta per darle una mano, dopodiché ci congedammo con un abbraccio. Quindi tornai al piano superiore e raggiunsi Tom sul terrazzo della sua vecchia stanza.

Era appoggiato alla ringhiera e osservava il cielo trapuntato di stelle. Ero entrata senza farmi sentire, camminando in punta di piedi, per prenderlo alle spalle e fargli paura, ma mi fermai quando vidi che era al telefono. Allora mi palesai senza spaventarlo e rimasi in attesa che finisse la conversazione. Stava parlando con uno dei suoi amici delle Barbados per fargli gli auguri. Lì non era ancora capodanno per via del fuso orario, ma a loro non importava. Rimasero a parlare per un po’ e Tom si fece aggiornare su tutto ciò era successo laggiù da quando era tornato in patria. Ebbi una stretta al cuore.

Lui era tornato per me ed era rimasto perché glielo lo avevo chiesto. Era venuto a vivere nel mio appartamento ma non aveva ancora deciso cosa fare. Diceva che stava sistemando i suoi affari a distanza. Che l’assicurazione lo avrebbe risarcito dei danni all’albergo e ne avrebbe acquistato uno nuovo vicino casa. Ma era davvero questo ciò che voleva? Più volte, mentre camminavamo in spiaggia mano nella mano, lo avevo scorto a guardare l’orizzonte con uno sguardo assorto, come se in quel paesaggio bramasse di vederne un altro. Una volta gli chiesi se, infondo al cuore, non desiderasse ripartire e lui mi aveva rassicurata, dicendomi che non intendeva più allontanarsi e che il suo posto era al nostro fianco. Tuttavia sentivo che stava sacrificando il suo sogno. Che avrebbe potuto pentirsene un giorno. E ciò sarebbe stato un male. Dalla discussione con mia madre, avevo realizzato quanto fosse importante essere sinceri. Era inutile e nocivo tenersi tutto dentro. Le cose non dette potevano far sorgere rancori e rimpianti. Capii che era giunto il momento di parlare. Parlare davvero. E quella notte al chiaro di luna cominciammo a definire il nostro destino.

Estate 2024

C’erano proprio tutti quel giorno all’aeroporto di Buckbeak. Amici, parenti e colleghi si erano riuniti per salutarci. Per essere ancora una volta tutti insieme. L’ultima, per chissà quanto tempo. Sei mesi, un anno se non di più. Non lo sapevamo ancora. Ma l’importante era andare. Perché né io né Tom avremmo rinunciato alle nostre aspirazioni. Non più. Dopo tanto discutere ero riuscita a far capire a quel testone di un Felton, che avevo risposato in primavera, che per essere davvero una coppia dovevamo prima di tutto rispettarci come singoli individui. E alla fine era eravamo giunti a un compromesso. Avremmo vissuto un po’ a casa e un po’ sull’isola. Dopotutto non era poi un sacrificio così grande. Tom sarebbe stato contento di tornare in patria di tanto in tanto, mentre infondo a me non dispiaceva allontanarmene. Ero una giornalista e avrei potuto lavorare ovunque, reinventarmi come freelance. Ero anche una blogger e i miei lettori mi avrebbero seguita nel racconto della mia esperienza. C’era tanto da fare alle Barbados, tanto da ricostruire, compreso l’albergo di Tom (stavolta con i dovuti accorgimenti per non farlo più crollare). C’erano persone da aiutare, mondi da scoprire e da salvaguardare. Forse Peagreen avrebbe sofferto un po’ di nostalgia all’inizio. Avevamo saggiamente atteso che finisse le elementari, assolutamente certi che non gli sarebbe stato difficile, col suo buon cuore, farsi nuovi amici alle medie, anche se così lontano da casa. E poi vivere in un nuovo mondo sarebbe stato esaltante. E chissà quante cose avremmo imparato io e lui. Chissà quante ne avremmo avute da raccontare ogni sera via Skype ai nostri parenti. Sarebbe stata un’esperienza magnifica che ci avrebbe arricchito nello spirito, facendoci diventare persone migliori, proprio com’era già successo a Tom. La felicità traspariva nel suo sguardo, in netto contrasto con le lacrime di mia madre che non la finiva più di singhiozzare e di abbracciarci, mentre Narcissa riuscì a contenersi anche se, al pari di mio padre, non la finiva con le raccomandazioni. l miei fratelli invece sorridevano a denti stretti, rivolgendo velate minacce al caro cognato se non si fosse comportato più che bene o se ci fosse successo qualcosa. Quanto a me toccarono gli “in bocca al lupo” degli amici e le strette di mano dei colleghi, compreso il mio capo: Mister Lovegood che, in via del tutto eccezionale, aveva messo il naso fuori dal suo ufficio, sorprendendo tutti, compresa Luna. “Ha qualcosa in mente, me lo dice il mio sesto senso”. Mi sussurrò la giovane nell’orecchio. E non si sbagliava. Difatti, solamente tre mesi dopo, l’uomo avrebbe preso il volo anche lui, tornando nella sua amata India, il posto dove aveva vissuto da ragazzo. Lasciò la sua casa e la gestione del Quibber alla figlia.

L’alto parlante annunciò il nostro volo e finalmente io e Tom, seguiti dal nostro bambino, ci imbarcammo verso un nuovo inizio. Partendo proprio da lì, da dove tutto era cominciato.

Epilogo.

Luglio 2032

Andate e ritorni, partenze improvvise, vacanze programmate. Viaggi di lavoro. Gli aeroporti erano una sorta di corridoio principale per la vita della gente. Potevano sancire la fine di un’era e l’inizio di un l’altra. Quanti avevano iniziato un nuovo percorso di vita prendendo il volo e lasciandosi il passato alle spalle? Io ne sapevo qualcosa. L’aeroporto di Buckbeak era stato per me e Tom uno spartiacque tra presente e passato. Ci aveva unito e diviso per poi unirci di nuovo. E quel giorno ci avrebbe rivisto ancora una volta. Solo che non saremmo stati noi a partire. Almeno non nell’immediato futuro. Da tempo tornati e ristabiliti in patria, non avevamo nessuna intenzione di allontanarcene. Ormai la nostra vita era lì.

Io aiutavo Luna nella direzione del Quibber. La mia vecchia amica lo aveva trasformato in un giornale manifesto per la lotta all’inquinamento e la salvaguardia del pianeta, riscuotendo molto successo nelle vendite. Per anni le avevo dato una mano, facendole da corrispondente estera, ma in seguito mi promosse a caporedattore. Era un lavoro impegnativo, ma niente rispetto a ciò che mi aspettava a casa. Ad attendermi tra le mura domestiche, oltre Tom e Peagreen, c’erano tre bambini bisognosi di attenzioni. La piccola Helen, l’ultimogenita di appena tre anni, e le due pesti Bonnie ed Andrew9 che di anni ne avevano sette. Erano una coppia di gemelli costoro, nati alle Barbados nell’aprile del duemilaventicinque. Avevano vissuto i primi due anni della loro esistenza in quell’isola delle Antille, poi io e Tom avevamo convenuto che fosse il momento di portarli in patria e farli conoscere ai nonni. Saremmo dovuti rimanere solo per un anno, ma un evento inaspettato cambiò nuovamente la nostra vita.

Poco tempo dopo il nostro ritorno, una malattia colpì Narcissa in maniera improvvisa, portandosela via in soli sei mesi10. Fu devastante non solo per la nostra famiglia, ma per tutta la comunità che negli anni l’aveva vista prodigarsi per il bene altrui. Il sindaco di Little Hangleton proclamò lutto cittadino e i tutti i compaesani si strinsero a noi nel nostro dolore.

Ed è per questo che restammo. Dopo il terribile evento, Tom non era più voluto ripartire. Disse che non se la sentiva di allontanarsi, voleva che stessi vicino ai miei genitori perché non si poteva mai sapere quanto sarebbero vissuti. Il mio povero marito era rimasto con sua madre fino alla fine. Le aveva parlato molto ed ero certa che alla fine l’avesse perdonata per i passati comportamenti. Dopotutto, negli ultimi anni, era stata una madre e una nonna amorevole. E anche se al funerale Tom aveva mantenuto la dignità e il contegno tipico dei Felton, lo conoscevo abbastanza per capire quanto fosse devastato dalla sua perdita. Fatto sta che si avvicinò ancora di più alla mia famiglia. Anche per questo, ne ero sicura,volle rimanere.

La nascita di Helen ci aveva riportato un po’ di gioia. E la presenza dei miei fu ancora più preziosa. Non ce l’avremmo ma fatta senza il loro aiuto. Sia io che lui eravamo entrambi molto impegnati. Tom infatti doveva occuparsi di villa Malfoy ormai divenuta un albergo di lusso. Era stata proprio Narcissa a dargli quel suggerimento: gli aveva lasciato il maniero in eredità, dandogli carta bianca per farne ciò che voleva. Avrebbe anche potuto vendere tutto se preferiva, a patto che non facesse nulla che non lo rendesse davvero felice. E Tom ne era felice eccome. Grazie alla sua idea aveva dato lavoro a molti. Inoltre, con l’aiuto e il supporto di mia madre, si occupava di mandare avanti i progetti e le associazioni benefiche creati da Narcissa stessa.

Sperava che lei, da qualche parte, lo vedesse e fosse fiera e orgogliosa di lui. Proprio come Tom lo era dei suoi figli. Soprattutto del suo adorato primogenito. Anche se ciò significava salutarlo per chissà quanto.

Era per lui che eravamo di nuovo lì, in quell’aeroporto. Quel giorno a prendere il volo sarebbe stato il nostro bambino. Anzi il nostro ragazzo a dire il vero. Perché il tempo era volato e il piccolo Peagreen Julian era ormai cresciuto. Aveva diciotto anni ed era pronto a conquistare il mondo. Sveglio e intelligente. Aveva vinto una borsa di studio per la prestigiosa MIT11e sognava di diventare un ingegnere in grado di costruire tecnologie all’avanguardia nel campo della scienza e dell’energia. Come me e suo padre, voleva a tutti i costi vivere in un mondo più pulito. Un ragazzo gentile e sensibile. Amante della natura e dello sport all’aria aperta. Aveva un unico neo: era un po’ vanesio. Proprio come suo padre. Sempre vestito in modo impeccabile, amava circondarsi di belle ragazze e da un po’ di tempo si faceva chiamare PJ. Aveva intuito che, accorpando le iniziali dei suoi due nomi, risultava più fico. E poi, come aveva ammesso, era stanco di farsi prendere in giro dai fratelli e dagli amici ma soprattutto di sentirci litigare su come dovesse essere chiamato. Ma per me poteva anche farsi chiamare Mister P. Sarebbe rimasto comunque il mio bambino. Il mio piccolo Weasley lentigginoso che amava farsi raccontare le favole e si addormentava stringendo il suo pupazzetto di gomma. Dovetti ricorrere a tutto il mio coraggio per trattenere le lacrime. Ci aveva già pensato mia madre a piangere come una fontana nel salutarlo. Mi limitai perciò alle raccomandazioni. Frasi come “Forza e coraggio”, “fatti valere” e “siamo fieri di te” vennero pronunciate fin quando l’altoparlante non annunciò il suo volo. Un ultimo abbraccio e lo vedemmo confondersi e sparire tra la folla. Per noi la fine di un’era, per lui un nuovo inizio.

Con aria mesta, io Tom stavamo tornando sui nostri passi, la piccola Helen tra le mie braccia, i gemelli che ci trottarono intorno, quando ad un tratto mi fermai di colpo. Davanti a me, camminando nella direzione opposta, l’ultima persona che mi sarei aspettata di rivedere. Soprattutto in quel posto. Erano passati vent’anni ma non era affatto cambiata. I lunghi capelli castani ondulati che le cadevano sulle spalle. La perfezione dei lineamenti per nulla alterati dal tempo.

Ma soprattutto il fascino, l’innata grazia che traspariva dalla sua persona, quanto dal suo passo. Sembrava quasi una modella che sfilava in passerella. “Emma!” Mi sentii esclamare il tono intriso di sorpresa. Nonostante la confusione, lei parve udirmi e dopo un attimo i nostri occhi si incrociarono. Lessi il medesimo stupore su suo viso. Restammo qualche istante così, come congelate nel tempo, poi le braccia di Tom mi circondarono ed egli mi cinse più vicino a sé. Lo sguardo di Emma si spostò su di lui e poi abbracciò l’intero quadretto familiare. Una smorfia parve indurirne un attimo i lineamenti per poi assumere un espressione indecifrabile. Strinse il braccio attorno alla persona che l’accompagnava, quindi affrettò il passo e, dopo averci sorpassati, sparì nuovamente dalla mia vita. A quel punto mi voltai verso Tom. Sul suo volto il ghigno beffardo che concedeva ai suoi nemici. Non mi fu difficile immaginare il dialogo silenzioso che si erano scambiati in quei pochi attimi. Non potei fare a meno di fulminarlo con lo sguardo mentre, per tutta risposta, sollevava le sopracciglia con fare ammiccante. Era chiaramente compiaciuto di sé stesso.
“Brutto…” mormorai a denti stretti. E non potei fare a meno di domandarmi se avevo fatto bene a scegliere lui.
“Ti amo anch’io” sussurrò nel mio orecchio, provocandomi un brivido. L’ennesimo, come ogni volta che le sue labbra mi sfioravano. E questo mi bastò. Forse non avevo fatto la scelta migliore ma di sicuro mi rendeva felice. Dopo diciannove anni andava più che bene.

Fine

Ho giurato a me stessa che

sarei stata contenta con la solitudine
perché non vale mai la pena
rischiare per tutto questo, ma...
Tu sei l'unica eccezione

sono strettamente a contatto con la realtà,
ma non posso lasciare andare quel che ho davanti a me, qui.
So che andrai via al mattino, quando ti sveglierai,
e mi lascerai con una sorta di prova che non si trattava di un sogno.
Oh,
Tu sei l'unica eccezione

e sono sulla buona strada per crederci12.

 

Only exception.

Ok gente! Eccoci arrivati alla fine. Non so dire come mi sento. Forse ancora non riesco a crederci. Come ho ripetuto più volte, questa è la revisione di un mio vecchio progetto iniziato nel 2010 e terminato l’anno seguente. Mille e più modifiche e versioni che non hanno portato da nessuna parte. Poi l’intuito geniale di Kiky 87 di cambiare la protagonista, sostituendola con Ginny. Un’idea grandiosa che subito mi ha portato a riscrivere ben 11 capitoli. Poi lo stop di due anni perché non sapevo come continuare fino a questa estate. Mi sono decisa a rileggere tutto e a riprovarci da dove mi ero interrotta. È stata una full immersion pazzesca ma finalmente l’ispirazione è tornata e ho potuto portare a termine il racconto. Non mi sembra vero. Mi sono molto affezionata ai miei personaggi e posso dire di aver fatto di tutto per rendergli giustizia. Mi è dispiaciuto far morire Narcissa. Ma per come ho impostato la storia non potevo fare altrimenti . Spero comunque di averle reso onore, rendendola più simpatica negli ultimi capitoli. Mentre chiedo scusa alle fan di Daniel: non ho nulla contro l’attore, ma un cattivo mi serviva e mi piaceva l’idea di capovolgere i ruoli. Il mio odio va solo all’interpretazione che gli ho dato. Detto questo, ci tengo personalmente a ringraziarvi per aver avuto il fegato di leggere la mia storia fino alla fine e anche se siete pochi, per me contate davvero. Spero che vi sia piaciuta. Se vi va, fatemi sapere che ne pensate. Un grande abbraccio a voi tutti e in modo particolare alla mia editor Kiky 87 che non solo ha corretto le mie bozze, ma mi ha sempre aiutata e spronata a crederci e continuare. Non ce l’avrei fatta senza di lei. Quindi se non vi è piaciuto il mio lavoro, sapete con chi prendervela. Scherzi a parte. Ancora grazie a tutti per avermi seguito fino alla fine. Un abbraccio grande. Evilqueen

1 Mentre scrivevo ho notato delle incongruenze nelle date. Il rapimento ha avuto luogo in aprile 2021. dato che quest’ultimo capitolo doveva essere ambientato nel 2023 ho deciso di correggere il tiro e far si che fossero passati due anni invece che uno.

2 Naturalmente quando era partita per cercare Tom aveva scelto un altra compagnia aerea. Non sapeva se Tom era morto e non voleva tornare in quel posto cosi significativo senza avere la certezza di rivederlo. Stessa cosa quando era tornata senza di lui. Comunque per chi non se lo ricorda Buckbeak nel linguaggio potteriano è l’ippogrifo. L’animale preferito di Draco Malfoy. #Lol

3 Praticamente da marzo 2021, quella sera che era andato a trovarli a rifugio, poco prima del rapimento da parte di Bellatrix e Fenrir.

4 Per questi particolari mi sono ispirata al film “Sei giorni, sette notti” e alle serie TV: Arrow e Vikings.

5 Chi di posta ferisce di posta perisce. #lol

6 Ma davvero! Che vuole ancora sto nano malefico?

7 Non potete capire da quanto tempo sognavo di scrivere questa battuta.

8 La vendetta di Ginny e Tom che nella mia precedente versione sono stati entrambi mollati. Lui dalla vecchia protagonista e lei da quel deficiente di Daniel che come ringraziamento di essergli rimasto sempre accanto e averlo sposato, aveva scritto a quell’altra citrulla per farsi raggiungere . Che schifo! Neanche fossero stati personaggi di Beautiful.

9 Il vero nome di Ginny e il secondo nome di Tom. Ma voi lo sapevate già, non è vero?

10 Non centra niente con la morte dell’attrice che la interpretava, per come ho impostato la storia avrei preso la stessa decisione anche se la povera Helen fosse stata ancora viva.

   
 
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