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Autore: Ardesis    09/01/2022    8 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Più di un anno.
Non so come, ma sono riuscita a superarmi. Penso di non aver mai pubblicato con un ritardo simile.
E non finisce qui. Non so se ne sarete felici o se vi cadranno le braccia, ma devo annunciarvi che l’ultimo capitolo non è questo ma sarà il prossimo.
Scusatemi, davvero. Sono un’autrice difficile, credo che ormai sia evidente, mi dispiace aver messo a dura prova così spesso la vostra pazienza.
A chi ha seguito questa storia dal principio -e parlo di cinque anni fa- non posso che essere grata per la fiducia, così come a chi mi ha incoraggiata e stimolata. In questa storia c’è tanto di voi.

 
La Senna era un nastro di frusciante velluto nero che curvava per raccogliere tra le sue pieghe gli edifici pallidi di Parigi. Sullo sfondo del cielo notturno, le torri silenziose di Notre Dame vegliavano il sonno nervoso della città, con distacco, con boria. Annette si guardò intorno. Di poetico, in quel freddo panorama, non c’era un bel niente, osservò, cercando un’emozione nel cuore. Nulla.
Si fermò, immerse tre dita nell’esiguo spazio tra il corsetto e il proprio petto ed estrasse una boccetta -il frutto di un furtarello di poco conto, un petit souvenir. La aprì e il tappo produsse uno schiocco sordo che le accese finalmente una scintilla di emozione nel cuore, un’emozione però amara. I suoi pensieri ritornarono alle serene giornate trascorse a Palazzo, a quell’insipida spensieratezza che si era stoltamente lasciata alle spalle. Una scelta infelice, una scommessa persa.
Il rimorso la colpì con inaspettata violenza e con un’intensità tale da provocarle un dolore fisico, acuto come una trafittura. Si piegò su se stessa, sopraffatta e rimase così, a premersi la mano sullo stomaco, finché il rammarico non scemò in malinconia. Allora si accorse della sensuale fragranza di rose che sgorgava dalla boccetta sovrapponendosi all’olezzo del fiume e della città e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
-Chissà che un lungo bagno...-
Disse salendo sul parapetto del ponte e affacciandosi sul vuoto. Contò cinque gocce, come le aveva insegnato Marron, e le osservò precipitare in piccole perle di luce dal vetro lavorato della fiala fino alla corrente nera del fiume. Poco dopo fu il suo turno.




 
-Sei sicuro di aver lasciato qui la borsa?-
Oscar camminava in cerchio con la candela in mano, annaffiando di luce ogni angolo della stanza.
-Sì, ma certo. L’avevo lasciata sulla sedia.-
André si era alzato dal letto ed era rimasto in piedi, rigido, con gli occhi puntati verso lo scrittoio ma con lo sguardo perso nel vuoto. Mentre Oscar gli camminava intorno disordinando con furia le ombre della stanza, lui ripercorreva ancora e ancora nella mente ogni gesto che aveva compiuto da quando aveva messo piede a Palazzo. Ne avrebbe saputo dire con precisione perfino la sequenza. Concluse che, se la borsa non era su quella sedia -e non c’era davvero- l’aveva presa qualcuno.
-È stata Annette.-
L’affermazione di Oscar turbò la sua mente tanto quanto la luce della candela turbò la sua pupilla buona, quando lei la fermò di colpo davanti al suo viso.
-Annette.- le idee nella sua testa si riordinarono all’istante come un reggimento di soldati al comando di mettersi in riga. -È stata Annette.-
-André, devi dirmi tutta la verità.- lo mise alle strette lei abbassando il lucignolo -Perché se tu non fossi tu e io non mi fidassi ciecamente di te...-
D’istinto André indietreggiò e si ritrovò nuovamente seduto sul bordo del letto a fissare la boccetta di elisir che fino ad allora non aveva mai abbandonato la stretta del suo pugno.
-Il veleno che ancora mi circola nelle vene proviene da quella fiala e quella fiala proviene dalla tua tasca, André. Tu sapevi che questo afrodisiaco può essere anche un veleno?-
-Lo sapevo.-
Si sentì dire lui a bassa voce.
-Annette è stata complice di Saint Just e ha provato ad avvelenarmi con quello.- Oscar indicò la fiala -Che strana concatenazione di coincidenze.-
-È stata colpa mia.-
André parlava alla boccetta.
-Colpa, colpa!- gli fece eco Oscar, massaggiandosi la fronte -Non serve adesso decidere su chi deve ricadere la colpa. Non c’è tempo. Bisogna agire.- lasciò la candela sul comodino e gli toccò la spalla con la punta delle dita. -Di logica, Annette deve aver lasciato il Palazzo per dirigersi a Parigi. Se è fuggita da poco e sulle proprie gambe, forse possiamo intercettarla prendendo i cavalli. Ma dobbiamo darci una mossa.-
André annuì smarrito, poi prese un respiro profondo, si cacciò la boccetta in tasca e, con un macigno nel petto, seguì Oscar che si era già lanciata fuori dalla stanza.
-C’è una domanda che devo farti, André.- lo avvertì lei mentre marciava svelta nel corridoio dandogli la schiena. -Perché l’hai fatta assumere qui? E perché non me ne hai parlato?- Non ricevendo una risposta, proseguì: -Quella notte, dopo l’aggressione a Saint Antoine, mentre salivamo le scale mi dicesti che l’appartamento di fronte a quello di Saint Just era stato occupato da una prostituta. Me lo ricordo. - Lo ascoltò mozzare il fiato poi riprese -Proprio ieri ho scoperto da Marron che Annette abitava nella tua stessa casa e che sei stato tu a mandarla qui. Ed io credo di aver capito.-
Il ginocchio di André fece per cedere, ma lui ebbe la prontezza di riaggiustare in fretta il passo prima di ritrovarsi a baciare il pavimento. Oscar, persa nel suo ragionamento e nel suo incedere marziale, non se ne accorse neppure.
-D’altra parte è stata un’intuizione semplice.- continuò lei inarrestabile -Annette ha a che fare con quella parte del tuo passato di cui non vai fiero, dico bene? L’hai fatta assumere qui per sdebitarti con lei. O per pietà, magari. Forse è stata proprio lei a regalarti questo afrodisiaco.-
André schiuse le labbra per negare ma le parole gli morirono in gola. No, Annette non aveva mai condiviso il letto con lui né tantomeno gli aveva rifilato quel maledetto elisir. La verità era ben lontana dalle congetture di Oscar eppure era anche molto meno credibile. Lui stesso, se fosse stato nei suoi panni, ad ascoltarsi non si sarebbe preso sul serio. Boccheggiò indeciso. Forse non era il momento giusto per scoprire le carte. Ci sarebbero state troppe spiegazioni da dare e troppo poco tempo per farlo.
-In ogni caso, non ha molta importanza.- decise lei, togliendolo dall’imbarazzo del dubbio -Ora pensiamo a sbrigarci. Voglio prendere quella donna prima che metta piede a Parigi.-
-Oscar, ascoltami.- André tossì e fece uno scatto in avanti per mettersi al suo fianco -Se anche Annette si trovasse ancora lungo la strada, sentendoci arrivare a cavallo si nasconderebbe nella boscaglia. E ormai fuori è buio. Non la troveremmo mai.-
-Abbiamo forse altre possibilità?-
-Sì.-
Oscar rallentò senza fermarsi e gli offrì la propria attenzione.
-Lasciamo perdere Annette e andiamo direttamente da Saint Just.-
Propose lui. A quelle parole, Oscar si arrestò di colpo e nello stesso istante tese il braccio di lato in modo da bloccare anche lui.
-Tu sai dove si trova?-
Chiese con aria stupita e sospettosa. Lui sostenne il suo sguardo e scosse leggermente la testa.
-No, ma conosco qualcuno che lo sa.-


 
Rosalie non fu sorpresa, ma sicuramente non entusiasta, quando sentì bussare alla porta di casa a pochi minuti dallo scoccare della mezzanotte. Lanciò uno sguardo seccato all’orologio e poi i suoi occhi si ritrovarono a roteare verso le travi del soffitto. “L’impegno civile non ha orari”, pensò amara, ricordando tutte le volte in cui quelle parole erano uscite dalla bocca fiera di Bernard.
Si lasciò sfuggire uno sbuffo contenuto, per poi tornare ad immergersi nella confortante ritmicità del lavoro di rammendo a cui si stava dedicando, mentre con la coda dell’occhio seguiva la sagoma di Bernard che attraversava la stanza. Non aveva alcuna intenzione di sprecarsi ad accogliere ospiti, a cui interessava soltanto ed esclusivamente l’attenzione di suo marito. Si concesse solo la frivolezza di fare una scommessa con se stessa. Provò ad immaginare quale dei numerosi e gagliardi compagni del marito avesse avuto la faccia tosta di presentarsi alla porta della loro dimora a quell’ora di notte, magari pretendendo di avere qualche notizia troppo calda e fragrante per lasciarla ad attendere il sorgere del sole, o più probabilmente per il semplice gusto di esibire un po’ di lessico forbito davanti ad un bicchiere di vino cortesemente offerto.
Quando udì il cigolio della porta che si apriva, la curiosità le fece sollevare gli occhi e allora scoprì di aver decisamente preso un granchio. Mai si sarebbe potuta sognare di ricevere quella visita. In un istante fu in piedi e il suo lavoro di cucito sul pavimento.
Sotto l’ombra degli ampi cappucci dei loro mantelli neri, i volti pallidi di Oscar e di André sembravano due mascheroni di pietra appesi al buio piatto e bluastro del pianerottolo. Lei appariva stanchissima e allo stesso tempo divorata da un fuoco feroce, lui invece irrequieto e cupo come il mare in un giorno di pioggia.
Rosalie esplose in un irrefrenabile e sincero “Qual buon vento!”, ignorando il presentimento che ad averli portati lì non fosse stato niente di buono.
Oscar avanzò verso di lei tirando con sforzo le labbra in un sorriso gentile.
-Come stai, cara Rosalie? Mi spiace non avervi potuto avvertire del nostro arrivo. Spero tu possa perdonare la nostra scortese intromissione.-
Le disse prendendole le mani. Rosalie, senza parole, si limitò a sorridere e ad arrossire.
-Bernard, non allarmarti,- mormorò André, immobile oltre la soglia, con la voce di un temporale -ma abbiamo bisogno del tuo aiuto. Devi condurci da una persona.-
Pochi istanti dopo, Bernard era al suo fianco, con il mantello piegato sul braccio e le scarpe ben allacciate ai piedi.
-Ti sottraiamo a tua moglie e alla tranquillità della tua casa per poco tempo.-
Disse Oscar con voce lieve e vagamente rauca, parlando a Bernard ma guardando Rosalie.
-Cosa succede?-
Chiese l’altra.
-Nulla per cui tu debba darti pensiero. Un malinteso da risolvere, niente di più.-
La mandibola di Rosalie si strinse per un istante. Guardò gli occhi profondi della donna che aveva di fronte e pensò con malizia e amarezza “una questione tra uomini?”.
-Vorrei avere il tempo di spiegarti.- recuperò Oscar tirando verso di sé i polsi dell’amica come se desiderasse sinceramente portarla con loro. Rosalie annuì e abbassò lo sguardo sulla finissima rosa incisa sopra l’anello d’oro che cingeva il suo anulare destro. La vicinanza di Oscar, il suo profumo, la stretta decisa delle sue mani la disorientavano, impastavano insieme pensieri ed emozioni. Si chiese se fosse inopportuno provare quel genere di sentimento in presenza di suo marito, se tutto quel terremoto interiore arrivasse a infastidire il figlio che portava in pancia. Nel dubbio, indietreggiò di un passo e si accorse di non trovare più così sgradevole l’idea di rimanere lì da sola.
Ascoltò i saluti sbrigativi e il fruscio della stoffa degli abiti che per un minuto riempirono la piccola stanza, poi il tonfo della porta le restituì il silenzio. Un instante dopo Rosalie era alla finestra a guardare l’onda dei mantelli delle persone più care della sua vita che sparivano in fretta nel buio dei vicoli, lasciandole in eredità il ricordo fresco dei loro volti e una stretta alla bocca dello stomaco.


 
Di corpi annegati la Senna ne restituiva con agghiacciante puntualità almeno uno al mese. Lungo tutto il suo corso, laddove la corrente era più gentile o dove qualche ostacolo si sporgeva sull’acqua, finiva l’ultimo viaggio di qualche infelice. Il fiume raccoglieva la disperazione della gente dal primo ponte sulle montagne fino all’ultimo verso la foce, si prendeva le vite di coloro che gliel’offrivano e poi risputava i cadaveri da qualche parte lungo le sponde o li consegnava all’immensità del mare.
Quella notte, sulla riva opposta rispetto al Palazzo del Louvre, due mendicanti, padre e figlio -ma talmente malridotti da sembrare entrambi ugualmente vecchi-, avevano trovato il corpo esanime di una donna, sbattuto dalla corrente contro la sporgenza di una piattaforma per imbarcazioni appena più alta del livello dell’acqua su cui erano soliti rifugiarsi per riposare durante la notte. L’avevano tirata all’asciutto e poi si erano affacciati sulla strada.
-Ehi, voi soldati.- aveva chiamato uno dei due notando un gruppo di militari che passava per la via pattugliando la zona. -La Senna ci ha fatto un macabro regalo. Ve ne occupate?-
Se n’erano occupati, ma solo in due. Il terzo era rimasto in disparte. Alain lo stomaco di ferro per affrontare la vista di un morto annegato ce l’aveva, se l’era fatto con gli anni. Gli era già capitato di avere a che fare con dei cadaveri rigurgitati dalla Senna e aveva imparato a non farsi impressionare. Ma era sicuro di non essere ancora pronto a guardare il volto di un’altra suicida, nonostante si trattasse di una sconosciuta. Non era passato abbastanza tempo da quel maledetto giorno, l’immagine del viso livido della sorella non gli era ancora sparita dagli occhi. Credeva, poi, che il condividere la scelta di darsi la morte creasse tra persone diverse un tenue ma concreto legame. In qualche modo, la disperazione che le aveva condotte a tanto, a prescindere dal motivo da cui era scaturita, doveva finire per farle assomigliare un po’ tutte.
Tenne al sicuro lo sguardo osservando il cielo. Era una notte triste, tremendamente adeguata alla circostanza. Il blu del cielo tendeva al grigio e c’erano poche stelle.
-Perdonate, signore.-
La mano magra del mendicante che sembrava più giovane tirò timidamente la manica della sua giacca. Alain gli rivolse uno sguardo paziente.
-Vi devo consegnare una cosa.- l’uomo estrasse dal gilet un sacchetto di cuoio e lo adagiò sulla mano di Alain. -Era incastrato nel corsetto. Mio padre non vuole tenere i soldi di una persona che si è data la morte.-
“Spirito maledetto, soldi maledetti.”
Sembrava dire la sua espressione. Alain strinse la mascella. Pensò a Diane appesa alla trave poi scrollò la testa e la visiond nella sua mente svanì come fumo che si disperde in uno sbuffo di vento. Avrebbe tanto voluto svuotarsi in gola un bicchiere di liquore.
Fece un cenno con la testa per far intendere che comprendeva e si versò il contenuto tintinnante del sacchetto nel palmo. Pensò amaro che con i soldi che aveva sotto gli occhi si sarebbe potuto garantire almeno tre belle sbronze, ma che nemmeno lui avrebbe avuto il fegato di spenderli, tantomeno per uno scopo così bieco. In quanto a quella fiala di vetro con l’aspetto di una boccetta di profumo, o qualcosa di simile, che brillava tra le monete “beh, deve avere poca importanza”. Si ficcò tutto nella tasca della giacca e si allontanò per accendersi la pipa. Voleva avere a che fare il meno possibile con quella faccenda e dimenticarsene in fretta. Avrebbe sistemato tutto quanto sulla scrivania del Comandante il mattino seguente insieme al resoconto della ronda e avrebbe lasciato che diventasse un suo problema. Lei avrebbe saputo che farne.


 
C’era tensione, Dio se c’era. Tanta che la si sarebbe quasi potuta tagliare a fette, pensò Bernard.
-Per di qua.-
Disse, svoltando in un vicolo buio. Gli altri due lo seguirono in silenzio.
La storia che avevano appena finito di raccontargli aveva dell’incredibile. Li guardò di sfuggita, prima l’uno e poi l’altra. Davvero quella donna, quella semi divinità, come la vedeva Rosalie, aveva deciso di scendere dal suo Olimpo di porcellana nel lerciume della città, di notte, percorrendo quelle stesse vie in cui poco tempo prima aveva rischiato di morire in un modo tanto lontano da quello che probabilmente le avevano fatto sognare, per tentare di recuperare dei semplici documenti? Anche molti altri elementi del racconto, a dir la verità, non si spiegavano. Su una cosa, però, Bernard non aveva dubbi: avrebbe soltanto sprecato il fiato se avesse provato ad elemosinare qualche dettaglio in più. Doveva tenersi la curiosità e farsi bastare ciò che aveva saputo. Il “questo è quanto” di Oscar era stato definitivo, come lo scatto di chiusura di un lucchetto.
-Arriveremo alla locanda a breve.-
Annunciò e gli sembrò di parlare al vento, le sue stesse parole gli parvero prive di suono. Ripeté la frase. Finalmente gli arrivò all’orecchio un mugolio, segno che l’informazione fosse stata acquisita da almeno un paio di orecchie. Rallentò fino a fermarsi e si voltò verso Oscar.
-Da qui in poi continueremo io e André.-
Il viso di lei divenne, se possibile, più scuro di quanto non fosse stato fino a quel momento, ma Bernard richiamò a sé un po’ dell’ormai polverosa spavalderia del Cavaliere Nero per non lasciarsi intimidire e spiegò:
-Non ne vado fiero, ma Saint Just si fida di me. Se gli porto la volpe dentro la tana, rischio di perdere questo vantaggio. E non converrebbe a nessuno.-
Oscar aggrottò la fronte e guardò di sfuggita André.
-D’accordo.- concesse infine con una voce venata di sarcasmo -La volpe aspetterà qui. Per favore, portate i miei saluti al roditore.-
Così mentre lei con un sospiro si appoggiava a braccia conserte al muro umido di un edificio, i due uomini, in silenzio, proseguirono.


 
Di tutte le osterie di Parigi che negli anni André aveva visitato, quella gli parve la più squallida. Il soffitto era basso, le sottili travi a vista avevano una curvatura preoccupante e le pareti, dove l’intonaco non era caduto, erano un orribile arazzo di macchie di muffa. E l’odore, l’odore era un meraviglioso miscuglio di tutte le tipologie di olezzi che un naso può trovare sgradevoli.
-Dov’è?-
Chiese brusco Bernard al locandiere, un uomo il cui aspetto era del tutto conforme al luogo che lo ospitava.
-Sta nel retro.-
Rispose quello con voce belante.
Il retro, scoprì André poco dopo, era uno stanzone incredibilmente più accogliente del locale vero e proprio. Pareti di legno, poco mobilio -un tavolo e due panche- tante botti e scaffali mezzi vuoti, ma ordinati. Le finestre senza vetri che si susseguivano lungo la parete che costeggiava la strada buttavano dentro aria fredda, ma almeno impedivano il ristagno di cattivi odori.
Saint Just era seduto a gambe larghe su una delle panche, col busto proteso verso il braciere che gli stava di fronte e gli occhi stregati dal lento logorio dei tizzoni.
-Credevo di dover attendere di più.- alzò la testa e mostrò un sorriso a cui la luce del fuoco diede qualcosa di inumano -Lieto di costatare che tu sia più sveglio di quanto avessi previsto.-
André si sentì prudere le mani. Quella canaglia stava parlando con lui. Gli si avvicinò quanto bastava per poter all’occorrenza tirare un calcio al braciere e rovesciargli i tizzoni roventi in pieno volto.
-Sono qui per consegnarti quei documenti.-
Annunciò. Il sorriso di Saint Just si inclinò.
-Bel tentativo, ma ti devo informare che Annette è stata più veloce.-
I piedi di André fremettero e la voce fece fatica ad uscirgli dalla gola.
-Davvero? Dov’è ora?-
-Non ne ho idea e non mi interessa. L’ho ricompensata per il servizio che mi ha reso e poi ho lasciato che andasse per la sua strada. E dato che mi trovavo a corto di denaro, sono stato costretto a pagarla con quei due spiccioli che stavano nella tua borsa, spero non ti dispiaccia.-
Anche questa volta, André dovette fare uno sforzo per resistere alla tentazione di fargli mangiare un po’ di quelle braci che facevano luce al suo ghigno sardonico.
-Io so perché sei qui veramente, Grandier. Non certo per queste inutili cartacce.- continuò Saint Just rivelando la borsa che aveva nascosto sotto la panca -Le hai rubate a Moreau e me le avresti consegnate senza pensarci due volte, non è vero? A te non interessano, sai che sono solo pinzillacchere.-
Le mani di André si chiusero a pugno mentre lui guardava quelle di Saint Just che affondavano nella sua borsa. Come aveva potuto essere tanto ingenuo da non pensare che Saint Just avesse in serbo una strategia, un asso nella manica? Ecco che, come avrebbe dovuto prevedere, quel perverso gioco continuava, evolveva sotto i suoi occhi, prendendolo ancora una volta alla sprovvista. Ecco un altro peso pronto a sbilanciare nuovamente i piatti.
-Scommetto che sei qui per questo.-
André si ritrovò a fissare senza fiato la copertina nera del proprio diario. Tra quei brevi sfoghi di inchiostro ce n’era davvero qualcuno che avesse lo stesso prezzo della libertà per Saint Just? Si rivide da solo, nella propria stanza, ad intingere la penna dentro il proprio cuore per poi guidarla su quelle pagine alla tenue luce di qualche amica candela e scrivere la tristezza, la speranza, la gioia, l’amore.
Quando capì, desiderò di non aver mai imparato a scrivere.



 
Le finestre erano alte, ma senza vetri. Se soltanto avesse trovato qualcosa sopra cui salire, come una botte o una cassa, sarebbe riuscita a gettare uno sguardo all’interno, ma nel vicolo non c’era nulla, il Caso non le aveva fornito alcuno strumento utile. Non le rimaneva altro che provare ad ascoltare.
Un rapido sguardo intorno per accertarsi di essere da sola, poi si appoggiò al muro e tese l’orecchio. Per qualche istante udì solo il rimbombo martellante del proprio cuore nelle tempie poi finalmente delle voci.
Non poteva vedere, ma non le era andata tanto male. Il silenzio piatto della notte e l’assoluta desolazione del quartiere le garantirono di non perdersi nemmeno una parola.
   
 
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