Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Krgul00    16/04/2022    1 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO DICIASSETTE
Le Vette dei Mille Laghi erano la meta naturalistica che spingeva, ogni anno, migliaia di turisti a scegliere Twin Lake come destinazione per le loro vacanze.
Oltre agli impianti sciistici della zona, che la rendevano a dir poco godibile d’inverno, la regione era una vera meraviglia anche in primavera ed estate, con scorci mozzafiato di laghi incontaminati – d’ogni dimensione – incastonati tra il verde dei boschi e il bianco, quasi innaturale, delle rocce.
L’aspetto più importante – per i cittadini del posto, quantomeno – era che questa catena montuosa riparava l’entroterra dal vento gelido di nordest, che spirava crudele ed impetuoso nelle stagioni più rigide; tuttavia, proprio come una calda coperta troppo corta, che lasciava scoperti ogni qualvolta strattonata d’un lato, l’aria fredda s’insinuava negli spiragli tra le montagne, fino a raggiungere la città sottostante.
Fu così che un piccolo refolo di vento nacque da quelle cime, con un vagito che fu più un ululato, sotto il caldo Sole del primo pomeriggio, e prese sempre più forza fino a spazzare la neve perenne in alti pennacchi immacolati.
Si fece strada più giù, arrotolandosi su sé stesso per chilometri e chilometri in una corsa frenetica, fino ad arrivare a valle; dove, in primavera, quando ormai la neve si fosse sciolta, fili d’erba d’un verde brillante – quasi accecante – avrebbero ricoperto tutto, e non sarebbe stato difficile vedere dei grizzly, rinvigoriti dal lungo sonno, al pascolo in quei prati.
Il vento perse d’intensità, e sarebbe morto così, a pochi minuti dalla sua nascita, se un altro flusso d’aria non lo avesse raggiunto, donandogli nuova linfa e spingendolo in avanti.
Disegnò un percorso sinuoso, smuovendo panni bagnati appesi sui fili ad asciugare ed accarezzando i tetti rossi delle prime case di periferia.
Raggiunse Twin Lake City, incuneandosi sotto le automobili, sospingendo fogli di giornale sfuggiti a qualche passante ignaro e sferzando i cappotti di chiunque incontrasse.
La sua lunga corsa fu arrestata dalla porta a vetri della centrale di polizia della città, e quando Logan Moore l’aprì e superò la soglia fu accompagnato da un refolo d’aria fredda che scombinò il bancone all’entrata, in un vortice di carte e documenti.
L’uomo non notò affatto come Portia, la segretaria, si sistemò frettolosamente i capelli – già perfetti – e si lisciò la gonna di lana del suo vestito a scacchi, al solo vederlo.
Era troppo concentrato a contenere la sua rabbia, nata dalla scoperta del voltafaccia ai suoi danni di quella mattina.
Non aspettò le sue due accompagnatrici e iniziò a farsi strada verso la stanza interrogatori, sicuro di trovarvi la causa di tutto il suo ribollente fastidio.
Ma la sua avanzata fu ostacolata da Portia stessa, che si frappose tra lui e il suo obiettivo. “Buongiorno Logan.” Lo salutò, adorante. “Lo sceriffo Clark mi ha avvisato che saresti venuto. Purtroppo, al momento è occupato. Dovete aspettare qui, gli dirò subito che siete arrivati.” Lo rassicurò con un sorriso gentile, lanciando sguardi perplessi alle due donne con lui.
Logan si voltò verso Annabelle King e Maddie Foster. “Aspettatemi qui.” Ordinò nel suo tono che non ammetteva repliche.
Quella mattina, era stato tirato giù dal letto dal suono incessante del campanello.
Era vero che erano passate le undici, ma era altrettanto vero che Logan fosse tornato a casa alle cinque e mezza della mattina dal suo incarico di pattugliamento ai magazzini.
Inoltre, il sabato era sempre stato il suo giorno libero ed era Luke a sostituirlo alla centrale di polizia. In ogni caso, quando aveva aperto la porta, ancora in pigiama, non si sarebbe mai aspettato di vedere Maddie e Annabelle in piedi sulla soglia.
Era stato evidente avessero corso a perdifiato fino a casa sua; eppure, ci avevano messo una vita a comunicargli ciò per cui erano venute.
Si era ritrovato, ancora stravolto, seduto al tavolo da pranzo con le due donne che bisticciavano su chi dovesse riferirgli l’accaduto.
Dopo dieci minuti buoni, Logan aveva deciso che poteva anche prepararsi la colazione, nel frattempo, e mentre mangiava le sue uova strapazzate Maddie aveva iniziato a raccontare.
Aveva cominciato proprio dall’inizio, dalla mattina del giorno precedente, perdendosi in ogni più piccolo dettaglio irrilevante, finché Annabelle, stufa, non l’aveva interrotta rubandole la parola.
L’altra era stata molto più celere nel presentargli la sua versione dei fatti; tuttavia, si era bruscamente interrotta sulle motivazioni che l’avevano spinta a guidare da sola, in piena notte, fino a Twin Lake City, dove aveva incontrato Charlie e Maddie.
Le sue guance erano diventate rosso ciliegia dall’imbarazzo e si era fatta improvvisamente muta.
Dopo mezz’ora, quando ormai aveva finito di mangiare, Logan era riuscito a capire solo una cosa: si trattava di Charlie. Il ché gli era stato chiaro fin dall’inizio; però, non avrebbe mai pensato che le due donne fossero venute a dirgli che era stata arrestata.
Ancora non capiva perché non avessero iniziato da lì. Nel momento stesso in cui aveva aperto la porta, Maddie avrebbe dovuto dirgli solo quattro parole: “Charlie è stata arrestata”, e lui si sarebbe precipitato fuori di casa.
Invece, tra una cosa e l’altra, gli avevano fatto perdere troppo tempo ed erano passate quattro ore, ormai, da che Ryan Clark l’aveva prelevata da casa sua.
Ad ogni modo, la centrale di polizia di Twin Lake City era il doppio di quella di Sunlake ed attraverso un corridoio, che s’apriva sul lato destro dell’enorme stanzone principale, si accedeva alla parte sul retro, dove si trovavano, tra le altre, le stanze di detenzione provvisoria e la sala interrogatori.
Non che quest’ultima fosse chissà cosa. Erano quattro semplici pareti con un tavolo e una sedia, nulla più.
Logan si diresse da quella parte e Portia fece fatica a tenere il passo delle sue lunghe gambe.
“Intendevo dire che anche tu dovresti aspettare, Logan. Clark ha detto che non voleva essere disturbato.”
“Certo che lo ha detto.” Sbuffò lui, senza accennare a fermarsi e l’altra non seppe proprio cosa fare: non le era mai capitato che quell’uomo non le desse ascolto; pertanto, si limitò a rincorrerlo.
Avanzarono, così, fino alla porta della stanza interrogatori e, quando lui entrò, la donna si affacciò per scusarsi. “Gli ho detto che doveva aspettare di là, sceriffo. Ma non mi ha voluto dare ascolto.”
In ogni caso, Logan non seppe mai cosa rispose l’altro, perché i suoi occhi trovarono subito l’unica persona che per lui avesse importanza e per un momento, sospeso nel tempo e nello spazio, tutta la sua collera sfumò, come se fosse solamente il ricordo d’un sogno, e tutto il suo mondo parve restringersi ad un unico viso.
Tuttavia, fu come la calma che permea la baia prima dello tsunami.
Il livido violaceo sullo zigomo di Charlie, sormontato da un taglio di almeno quattro centimetri, richiamò nuovamente tutto il suo furore, come acque che si ritirano prima della catastrofe.
Non badò alla porta che veniva richiusa, si voltò verso Ryan Clark e Luke Thomson, con il fuoco nello sguardo. “Che diavolo significa?”
Perlomeno, i due ebbero il buon gusto di mostrarsi in imbarazzo. Sapevano perfettamente, infatti, di essersi comportati in modo più che scorretto nei suoi confronti.
Lo sceriffo di Twin Lake non aveva alcuna giurisdizione nella contea di Lake Rock; pertanto, l’unico modo in cui avesse potuto arrestare Charlie era soltanto chiedendo e ottenendo il permesso di Logan.
Nel suo giorno libero, però, a fare le sue veci era il vicesceriffo che, evidentemente, non aveva esitato a concedere quell’autorizzazione.
“Logan, non abbiamo potuto fare altrimenti…” Si giustificò Clark, allargando le braccia sui fianchi in segno di impotenza.
Ma all’altro non interessarono le sue scuse. “Ci sono due donne qua fuori, pronte a testimoniare di come Charlie le abbia salvate da un’aggressione, ieri notte. Una, addirittura, è pronta a giurare che le abbia salvato la vita!” Con il cappotto aperto e le mani sui fianchi, il distintivo che aveva alla cintura era ben visibile, quasi a voler ricordargli di come avessero scavalcato il suo ruolo. “E voi avete la brillante idea di arrestarla. Vi ha dato di volta il cervello, maledizione? E non venite a parlarmi di eccesso di legittima difesa.” Quasi ringhiò quell’ultimo avvertimento.
Era quella, infatti, l’unica spiegazione che aveva trovato – nel lungo tragitto in macchina con Maddie e Annabelle – che pensava potesse giustificare quell’arresto assurdo. Ryan Clark era stato diffidente fin da subito nei confronti della donna ed era possibile che avesse approfittato degli eventi per prenderla in custodia ed interrogarla.
In ogni caso, Luke non si fece intimidire affatto dal suo atteggiamento scontroso, e tutte le sue preoccupazioni di quei giorni – inascoltate e trascurate – contribuirono a dar colore al suo tono. “Se ne potrebbe anche parlare, visto che tre uomini sono finiti in ospedale. Uno con due giunture spezzate, l’altro con il naso rotto e uno con un buco di sette centimetri nel piede.”
“Direi che possono anche ritenersi fortunati. Soprattutto perché non sono stato io a sbatterli in galera.”
Luke incrociò le braccia al petto, sfidandolo. “Infatti. E non si era detto che avresti dovuto tenerla d’occhio? Sarebbe potuta succedere una tragedia, e tutto perché non mi hai dato retta!”
Solo quando il terzo si intromise, Logan si rese conto di aver fatto un passo avanti verso l’amico.
“D’accordo. Ora calmiamoci tutti!” S’affretto ad intervenire Ryan, ben conscio del fatto che, se avesse lasciato progredire quella discussione, si sarebbero ritrovati coinvolti in un litigio senza vie d’uscita. “In ogni caso, non ha importanza.” Disse, nel tentativo di riportare la conversazione sui giusti binari, non rendendosi conto di star pungolando ancora un cane rabbioso.
“Non ha importanza? Hai visto il suo viso, dannazione?” Sibilò, puntando il dito verso la donna seduta al tavolo al centro della stanza.
Come se fosse stato colpito, lo sceriffo di Twin Lake indietreggiò d’un passo, stupito e un po’ impaurito dal furore nelle iridi scure di lui.
Tuttavia, una voce, fino a quel momento silente, si levò in difesa del pover’uomo. “Lo sceriffo intendeva dire che il motivo per cui sono qui non ha nulla a che fare con l’accaduto di ieri notte.”
Tre paia d’occhi si voltarono a guardare Charlie, due dei quali estremamente sorpresi: da quando l’avevano prelevata da casa sua, infatti, lei si era ritirata in un mutismo ostinato e a nulla erano valsi i loro tentativi di instaurare una conversazione.
Continuò, per nulla turbata da tutta quell’attenzione: “Pare che Peter Cox abbia confessato: sono una pedina fondamentale della sua organizzazione criminale. Evidentemente, oltre a non saper accettare un rifiuto, quell’uomo è particolarmente vendicativo.” Commentò, e dalle espressioni sui volti di Clark e Luke si rese conto che le sue parole potevano essere interpretate come una sorta d’ammissione; perciò, con un sorrisetto ironico aggiunse: “Ed anche bugiardo, s’intende.”
Presa dall’impeto della sua rabbia, infatti, Charlie non aveva pensato alle conseguenze del rivelare a Ruiz di conoscerlo a fondo, forse meglio di chiunque altro. L’uomo non poteva certo tollerare l’affronto subito e la posizione di vantaggio che, aveva scoperto, lei aveva su di lui.
Era normale, quindi, che, quando la polizia – che aveva sempre pedinato l’uomo – lo aveva trovato ancora svenuto e l’aveva arrestato, questo cercasse di trascinarla a fondo con lui.
Ad ogni modo, la tranquillità della donna, ammorbidì l’ostilità di Logan.
Non sembrò particolarmente preoccupata o spaventata dalla sua condizione; piuttosto, dava l’impressione che, tutta quella situazione, fosse solo una grande scocciatura e niente più.
Come se al ristorante dove stava cenando avessero finito il suo piatto preferito: un semplice inconveniente.
La volta precedente, quando Ryan gli aveva riferito dell’incontro tra lei e Ruiz, Logan aveva visto il dubbio farsi strada sul viso di lei e prender possesso dei suoi lineamenti, lasciando trapelare la paura che lui potesse dubitare di lei.
Stavolta, però, in quegli occhi color del mare, non ci fu traccia di dubbio o incertezza: pareva sapesse che, qualsiasi cosa gli avessero detto, lui non avrebbe mai potuto pensare il peggio e, in ogni caso, non l’avrebbe mai lasciata andare.
Sentì le sue spalle rilassarsi e, a malincuore, lasciò il rifugio sicuro di quegli zaffiri che erano le iridi blu di Charlie, per voltarsi nuovamente verso gli altri due uomini, aspettando una spiegazione che non arrivò.
“Questo cambia tutto, allora.” E il suo tono pacato li illuse per un momento d’averlo finalmente fatto ragionare. Solo Charlie notò la vena ironica di cui erano velate quelle parole e represse il sorriso che minacciò di curvarle le labbra. “Se quell’uomo, uno stupratore e un assassino, dice una cosa del genere, come potremmo non dargli ragione? È una persona così affidabile, dopotutto.”
Ryan iniziò a torturarsi le mani, nervoso. “Lo sai che non è così facile. Non posso lasciarla semplicemente andare.”
Lo sapeva e, controvoglia, dovette ammettere che un po’ lo capiva.
Sospirò. Quella storia diventava un gran casino, giorno dopo giorno.
“Ruiz aveva un sacco di cose da dire sulla loro collaborazione.” Intervenne Luke, scuotendo la testa palesemente turbato. “E Charlie si rifiuta di rispondere alle nostre domande e, che tu ci creda o no, quello che hai sentito è tutto ciò che ha detto in merito. Non ha nemmeno mai provato a scagionarsi in alcun modo…”
“Forse dovremmo andare fuori a parlarne.” Propose Ryan, schiarendosi la gola a disagio.
“Qualsiasi cosa tu abbia da dire, puoi dirla difronte a Charlie.”
Lo sceriffo di Twin Lake lanciò un’occhiata nervosa alla donna che, tuttavia, non sembrò affatto serbargli rancore, anzi lo incoraggiò a procedere con un gentile cenno della testa.
“Ho chiesto a Portia di fare un ricerca su di te, signorina Royce.” Iniziò, rivolgendosi direttamente a lei, per poi tornare a guardarlo. “E lo sai cosa c’era nel suo fascicolo?”
Logan studiò attentamente il viso di lei e conobbe la risposta prima di sentirla dalla bocca dell’altro: niente, pensò.
“Niente.” Confermò, infatti, Clark. “Solo un certificato di nascita, un indirizzo di residenza e l’assicurazione sanitaria. Nessuna multa, nessun ticket ospedaliero aperto, nessuna macchina intestata, niente di niente. Certo, potrebbe essere solo un caso che, dopo tredici anni d’assenza, si ripresenti qui proprio quando abbiamo aperto quest’indagine. Ma conosce Peter Cox di persona e questa non è la prima volta che viene coinvolta in questa storia.”
Logan non ebbe nulla da dire, lasciò che il silenzio parlasse per lui, incapace di distogliere lo sguardo da Charlie. Non ché stesse cercando una rassicurazione negli occhi di lei – non ne aveva affatto bisogno – ma più che altro perché non ne poteva fare a meno.
Gli era mancata. E magari quello non era il momento migliore per quel tipo di pensieri, ma la realizzazione di quella verità lo travolse lì, in quella stanza. La strana sensazione di disagio che aveva avvertito appena sveglio, si rese conto era scaturita dall’impossibilità di vedere il bellissimo sorriso di lei che gli dava il buongiorno.
Ad ogni modo, Ryan Clark interpretò quel silenzio per ciò che era: il rifiuto dell’altro di credere e cedere al suo parere.
“Non capisco, come fai a fidarti ancora di questa donna?” Disse, battendo le palpebre visibilmente sconcertato.
Per Logan, quella era la domanda più facile che gli avessero mai rivolto, e ancora guardandola, senza vacillare un solo istante, dichiarò: “È molto semplice, in effetti. La amo.”
Quelle due parole furono la scintilla che diede vita alla brace che iniziò ad ardere negli occhi di lei. Il loro calore lo pervase, bruciandogli la pelle e consumandogli l’anima.
Il sorriso pieno di estasiata dolcezza che curvò quelle labbra piene e morbide lo rinvigorì, e si sentì l’uomo più potente del mondo.
Avrebbe potuto fare tutto, per quel sorriso: scalare l’Everest in un giorno, attraversare a nuoto l’Atlantico oppure volare fino alla Luna e ritorno. Bastava solo una sua parola, e lui l’avrebbe fatto senza esitare.
Se fosse stato un altro, e non l’uomo pragmatico che era, magari si sarebbe chiesto da dove fosse nato quel sentimento. Avrebbe potuto dire che l’amava per la sua bellezza, per la sua mente o per la dolcezza spiazzante che nascondeva dentro di sé; ma, oltre al fatto che adorava anche quelli che potevano considerarsi dei difetti – gli piaceva fin troppo prenderla in giro per la sua incapacità nel seguire una semplice ricetta culinaria – sapeva che, tutto ciò, era, inevitabilmente, vittima di un mutamento.
Magari, quella bellezza sarebbe sbiadita con il tempo, le sue idee sarebbero cambiate e il suo carattere sarebbe stato temprato dalla vita, ma lui l’avrebbe amata ancora, sempre e comunque.
Se era vero che, all’inizio dei tempi, l’invidia degli dèi aveva portato alla scissione in due metà dell’essere umano e che queste metà erano state destinate a vagare sulla terra alla ricerca l’una dell’altra, di modo da tornare ad essere una cosa sola, allora l’odissea di Logan si era conclusa.
Aveva trovato ciò che cercava nel suo continuo vagare.
Quindi, proprio come in quel mito, il suo sentimento incontrò il suo equivalente negli occhi della donna, andandosi a fondere in un unico essere inscindibile.
Attraverso quel semplice contatto di sguardi, ci fu una fusione di anime che s’appartenevano l’una all’altra, in un lungo istante che gli parve durare secoli; finché, non si voltò per rivolgersi a Ryan.
“La amo, e se lei mi dice che è innocente io le credo.”
“Però non l’ha fatto, giusto? Non ti ha detto che è innocente.”
Lo aveva fatto, invece.
Non con le parole, perché di quelle non avevano mai avuto bisogno, ma lo aveva fatto. Ed era inutile tentare di spiegargli una cosa simile, non avrebbe mai potuto capire.
Tutta la collera che lo aveva spinto fino ad allora era sparita, non poteva esserci spazio per la rabbia dopo l’intensità di quel momento.
Rimase solo la frustrazione di non poter fare nulla: non era lui lo sceriffo in quella contea e, per quanto ci provasse, non sarebbe mai riuscito a convincerli di star commettendo un errore.
Tuttavia, non aveva intenzione di smettere di provarci.
“Se Charlie e Cox fossero stati in combutta, per quale motivo l’avrebbe spedirlo all’ospedale?” Domandò.
Effettivamente, quella era una delle domande che Ryan e Luke avevano posto alla donna. In assenza di una risposta, i due uomini si erano convinti che tra i due ci fosse stato uno screzio: magari, in un tentativo - non troppo riuscito - di fare carriera in quell’organizzazione criminale, lei aveva deciso di liberarsi del suo principale rivale.
In ogni caso, a Logan parve fantascienza.
Inoltre, tutto questo non quadrava con la versione di Maddie ed Annabelle, che avevano assistito al diverbio tra i due. A cosa era servita tutta quella messinscena?
Quindi, alla fine della fiera, tutto ciò che avevano su di lei era la parola di un pregiudicato. Ma, al loro posto – se non si fosse trattato di Charlie – Logan l’avrebbe lasciata libera? Ovviamente no.
Il silenzio di lei, però, sembrò convincere sempre di più gli altri della sua colpevolezza e, a quel punto, Ryan Clark sembrò convincersi che l’unica via d’uscita, se lei non avesse collaborato, sarebbe stata andare a processo.
Logan non capiva perché avesse rifiutato un avvocato – non aveva nemmeno fatto la sua unica telefonata – ma, era pronto a scommettere, quella donna aveva un piano e la sua imperturbabilità gli trasmise un senso di fiduciosa attesa.
Si ritrovò anche lui, quindi, ad aspettare qualsiasi cosa fosse.
La calma di Charlie fu scalfita solo dall’annuncio dell’arrivo di suo padre. Fu Logan stesso ad andare a parlare con l’uomo e si attenne alla versione cui, all’inizio, aveva creduto anche lui. Per il momento, non ritenne necessario dirgli che la figlia era stata invischiata con un cartello della droga, non voleva certo che gli venisse un infarto.
Pertanto, parlò dell’aggressione della notte prima, quando un solo uomo – meglio uno che tre – aveva minacciato la figlia e le altre due donne sedute con lui nella sala d’attesa.
“Sono solo delle formalità.” Lo rassicurò.
Ma le ore passarono una dopo l’altra, senza che succedesse nulla, e Stephen Royce divenne sempre più ansioso e impaziente.
Anche per lui era lo stesso, soprattutto perché non riuscì a rimanere un momento da solo con Charlie per parlarle, per chiederle cosa stessero attendendo con così tanta pazienza.
Non avrebbe mai creduto che aspettare potesse essere così sfibrante.
Charlie, da parte sua, sembrava pronta a passare lì anche l’intera notte.
In ogni caso, quando iniziò a pensare d’essersi sbagliato, che quella sensazione d’aspettativa era appunto solo quello: una sensazione, la porta della stanza interrogatori si aprì.
Il tramonto era passato ormai da un pezzo e l’ora di cena si era fatta sempre più vicina; eppure, Ryan Clark, Luke Thomson e Logan Moore erano ancora lì, davanti al tavolo a cui era seduta Charlie, come spasimanti d’altri tempi venuti a render omaggio.
Un agente, di cui Logan non sapeva il nome, entrò nella stanza e nessuno di loro notò subito il lieve fermento di cui era preda. Solo quando parlò, il tono della sua voce tradì quell’agitazione.
“Sceriffo, c’è un uomo che chiede di lei.” Riferì, rivolgendosi a Clark.
Il volto di Ryan si corrucciò dalla perplessità. Aveva chiesto di non essere disturbato ed aveva disposto che ogni questione venisse sottoposta al suo vice; per questo motivo, disse: “Chiedi a Nathan di occuparsene.”
L’altro sembrò combattuto, come se fosse intrappolato tra due forze che lo schiacciavano: da una parte non voleva disobbedire al suo superiore e dall’altra… qualsiasi cosa fosse successa.
Spostando il peso da un piede all’altro, l’agente si schiarì la voce e si guardò nervosamente attorno. “Dice di lavorare per il ministero dell’interno, signore.”
Voltati di spalle, nessuno vide il sorriso che incurvò un angolo della bocca di Charlie, sorriso che sparì non appena, alle parole seguenti dell’uomo, ottenne l’attenzione di tutti su di sé. “E vuole vedere la signorina Royce.”
Finalmente.
Il momento era arrivato.
Sicuramente, non capitava tutti i giorni di avere una visita di quell’importanza e, nel caso di realtà moltopiccole, come la loro, non capitava affatto. Fu per quel motivo che, sopraffatto, Clark riuscì solo a mormorare senza fiato: “Ti ha detto il suo nome?”
“Matthew Allen, signore.”
L’attesa era ufficialmente finita.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Krgul00