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Autore: edoardo811    02/07/2022    3 recensioni
Questa è una raccolta di drabble, oneshot, missing moments e capitoli extra della mia storia, La Spada del Paradiso.
Esploreremo le menti di più personaggi, scopriremo segreti sulla vita al Campo Mezzosangue e soprattutto scopriremo come se la cavano i nostri eroi dopo gli avvenimenti de "La Spada del Paradiso."
Vi consiglio dunque di leggere quella storia per comprendere questa raccolta e soprattutto per evitarvi spoiler nel caso decidiate di farlo in futuro. Potete trovarla nella mia pagina autore.
Spero che la raccolta vi piaccia, buona lettura!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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Note: questo capitolo è ambientato durante il capitolo 19 di La Spada del Paradiso, "Fiducia". 



Il figlio di Efesto e la figlia di Ebe



Sarah aveva sempre cercato di tenersi il più lontano possibile dal Bunker Nove. Non sapeva di preciso perché. Forse perché riteneva che ogni centimetro di quel luogo fosse una possibile fonte di tetano.

O forse, era per via di chi lo frequentava.

Era ormai sera quando entrò in quel gigantesco capannone. Non c’era mai stata prima, perciò rimase per un istante sconcertata da quanto enorme, e disordinato, fosse. C’erano armi, armature, elettrodomestici smontati, bulloni e cavi ovunque si voltasse, sparpagliati su mensole, banconi da lavoro e perfino per terra. La sua paura del tetano non era così infondata, dopotutto. Per fortuna non era ossessionata dall’ordine come alcuni ragazzi che conosceva, altrimenti lì dentro sarebbe impazzita.

«Kevin?» domandò incerta, mentre avanzava tra quei rottami curandosi di non sfiorarne nemmeno uno. Conosceva i figli di Efesto, era sicura che in tutto quel caos loro ci vedessero ordine, e non voleva fare nulla per cambiarlo. «Ci sei?»

Vi fu un clangore di metallo, seguito da un’imprecazione. Sarah sussultò per la sorpresa. Il suo sguardo fu catturato da un grosso tendone al fondo del bunker. Sembrava il sipario di un teatro, grigio per la polvere e la sporcizia però.

«Kevin? Sei lì dietro?»

Nessuna risposta. Da dietro il sipario calò un silenzio quasi innaturale. Sarah si avvicinò con cautela. «Kevin…?»

Allungò una mano verso la tenda. Un secondo prima che potesse toccarla, quella venne spalancata all’improvviso e la ragazza saltò all’indietro, spaventata dalla figura trasandata appena uscita allo scoperto.

«Sarah?» domandò Kevin. «Che ci fai qui?»

Sarah non rispose subito. Il suo sguardo non riuscì a staccarsi da lui, dal suo viso coperto di grasso per motori e fuliggine e la sua maglietta, un tempo probabilmente bianca, e che adesso sembrava appena uscita da un campo di battaglia. Sembrava che gli fosse esplosa una bomba addosso.

«Ah, sì.» Kevin si accorse del suo sguardo e tirò il colletto, con un sorrisetto da bambino dispettoso. «Avresti potuto dirmi che saresti passata. Mi sarei messo il vestito elegante.»

Non appena sentì il suo sarcasmo, la ragazza si riscosse e fece una smorfia. «Non sei divertente.»

Kevin tirò la tenda in modo che lei non potesse vedere cosa ci fosse dietro. «Sì, beh, tu non mi hai ancora detto perché sei qui.»  

“E questo cosa c’entra?” pensò Sarah, infastidita.

«Buck vuole parlare con tutti i capicasa» rispose. «La cosa, sfortunatamente, include anche te.»

«Ah. E io che pensavo fosse qualcosa d’importante.» Kevin le diede le spalle. «Dì pure agli altri che sono malato, o cose così.»

Fece per tornarsene dietro il tendone, ma Sarah lo fermò. «Ehi, aspetta! Da quanto tempo sei qui dentro?»

Kevin si voltò nuovamente, corrucciato. «Uhm… non lo so. Che giorno è oggi?»

Solo in quel momento, Sarah si accorse anche delle sue occhiaie profonde come un fossato. Sembrava più vecchio di trent’anni. «Quando… quand’è stata l’ultima volta che hai dormito?»

«Ehm… che giorno è oggi?»

«Tu… non ti sei mai fermato? Da quando gli altri sono partiti per l’impresa??» domandò lei, sempre più esterrefatta.

«Sì, beh…» Kevin si avviò verso un angolo del bunker, dove Sarah notò un lavabo attaccato alla parete, vicino ad un ripiano pieno di stracci sporchi e un rotolo di carta da cucina. Gesticolò nervosamente mentre apriva l’acqua. «… il campo non può mica proteggersi da solo. No? Ho detto che avrei progettato delle trappole, ma devono essere a prova di mostro, e innocue per tutti gli altri.» Cominciò a lavarsi il viso, mentre continuava a parlare. «Non è mica così semplice. Metti che una driade ne attiva una mentre scappa da qualche satiro arrapato. Non voglio che qualcuno si faccia male.»

Sarah si morse un labbro, per non lasciarsi scappare una risatina. Per quanto… cruda, l’affermazione che aveva fatto sui satiri e le driadi era piuttosto accurata.

«Ma i tuoi fratelli non ti aiutano?»

Kevin strappò un pezzo di carta. «Abbiamo provato a collaborare per un po’, ma… non credo che capissero davvero quello che volevo fare. Così gli ho detto che avrei preparato un progetto per loro, da costruire. Anche se la cosa ci sta mettendo più del dovuto, per via di quello che ho detto prima. Ma ci sono vicino. Ancora qualche ritocco, e sarà tutto pronto» aggiunse frettoloso, come se volesse rassicurarla.

Sarah lo osservò mentre si puliva il viso. Diede ancora uno sguardo al bunker, a tutto quel caos, quegli oggetti sparpagliati in giro, e per finire quel tendone da cui era uscito. Chissà a cosa diamine stesse lavorando, là dietro.

«Non… credevo che t’importasse così tanto» disse, tornando a guardarlo. «Del campo, dico.»

«Certo che m’importa! È casa nostra. E non lascerò che quei bastardi tornino a rovinarcela.»

«Linguaggio, Kevin.»

«Cosa? Non dirmi che anche tu sei fissata con questa stronzata del…»

Sarah incrociò le braccia e lo zittì con un’occhiataccia. «Linguaggio, Kevin.»

Kevin rimase con la bocca spalancata per una manciata di secondi, prima di alzare le mani. «Va bene, va bene. Scusa. È solo che… ho tanto per la testa. E la mia mente viaggia molto più velocemente delle vostre. A volte non mi rendo conto di quello che dico… n-non che stia insinuando di essere più intelligente di te, eh. Non mi fraintendere. I-Insomma, quello che volevo dire…»

Questa volta, di fronte all’espressione imbarazzata di Kevin, Sarah non riuscì a trattenere una risatina. «Tranquillo, ho capito.»

Anche Kevin sorrise. La ragazza rimase a guardarlo mentre finiva di asciugarsi il viso abbronzato. Forse l’aveva giudicato male. Credeva che fosse scorbutico, e antipatico, e testardo, e cocciuto, e… tante altre cose. Invece teneva al campo. E aveva molto a cuore quello che faceva, a differenza di tanti altri egoisti e ipocriti che invece proclamavano di essere dalla parte del campo e di chi lo abitava. Con quelle poche parole, Kevin le aveva dimostrato di essere superiore a molti di quei soggetti.

E poi, nemmeno lei si era mai particolarmente interessata alle armi, al combattimento, o all’addestramento da semidio in generale. Non che pensasse che fosse una perdita di tempo, ma semplicemente aveva capito che combattere non faceva per lei. Non era forte, non era una guerriera, i mostri a malapena si accorgevano di lei. Ma rispettava i semidei, il campo, e tutto quello che facevano lì. Rispettava i guerrieri che c’erano stati prima di lei – Ercole, il più grande semidio di tutti i tempi, era suo patrigno dopotutto. Tuttavia, il suo ruolo non era quello. Lei voleva aiutare in altri modi, occuparsi dei suoi fratelli, dei suoi compagni, assicurarsi che tutti stessero bene. Aveva aiutato diverse volte i figli di Apollo con i feriti nei giochi, o negli allenamenti.

Se pensava a quella ragazza rapita… le venivano i brividi. Non voleva che la stessa sorte capitasse a uno dei suoi fratelli, né a nessun’altro.

E per Kevin era lo stesso. Nemmeno lui voleva che qualcun altro si facesse del male, o peggio. Solo perché non combatteva non significava che non gli importasse.

«Dai, vieni con me» lo invitò, accennando con la testa all’uscita. «Anche se Buck non avesse nulla di interessante da dire, ti farà bene uscire un po’. Ti meriti un po’ di riposo.»

Kevin si appoggiò al lavabo, con le braccia conserte. «Non pensavo t’importasse così tanto. Di me, dico.»

Sarah sentì le guance pizzicare, mentre il ragazzo faceva un altro sorrisetto beffardo.

«Beh…» Si avvicinò a lui e gli prese una mano. Era piena di calli e con la pelle screpolata, sicuramente per via del lavoro.

Il figlio di Efesto fece un verso sorpreso, mentre lei gli sottraeva delicatamente il pezzo di carta.

«… forse un po’ m’importa» concluse, pulendogli una macchia di grasso rimasta sulla guancia.

I loro sguardi si incrociarono e la ragazza avvertì un sussulto al petto. Anche Kevin sembrò imbarazzarsi, perché abbassò gli occhi e si grattò dietro al collo, con le guance lievemente arrossate. «Beh… sono… felice di saperlo.»

Sarah non riuscì a reprimere un altro sorriso. Non avrebbe mai pensato che si sarebbe trovata lì, a parlare proprio con lui in quel modo.

Butto la carta in un cestino già pieno fino all’orlo e accennò con la testa all’uscita: «Andiamo, su. Altrimenti ti trascino per le orecchie.»

«No, non serve. Ecco.» Kevin si staccò dal lavabo e slacciò il marsupio che teneva legato alla vita. «Ecco, così non mi metterò a giocherellare mentre ascolto le cazz... le sciocchezze di Buck.»

La figlia di Ebe roteò gli occhi, anche se un altro sorriso rischiava di fare capolino sul suo viso. Non voleva incoraggiare troppo quel bambinone nel corpo di un ventenne abbronzato e trasandato.

I due ragazzi uscirono dal bunker, fianco a fianco. Nessuno dei due disse più nulla durante tutto il tragitto nel bosco, ma quel silenzio non pesò a Sarah. Realizzò di trovarsi stranamente a proprio agio assieme a lui. E soprattutto, più il tempo passava e più si rendeva conto che non era per niente come appariva di solito. Era un ragazzo tranquillo, introverso, perfino un po’ timido. Lo capì dalla sua postura, dal suo modo di camminare. Era come se, inconsciamente, cercasse di non dare troppo nell’occhio.

Sì, si era decisamente sbagliata.

Sarah aveva sempre cercato di tenersi lontana dal Bunker Nove, e da chi lo frequentava. Ma dopo quel giorno… le cose cambiarono.

Aveva sempre pensato che il suo ruolo fosse quello di aiutare gli altri. Beh, anche Kevin rientrava negli “altri”. Era stato così occupato dal lavoro che aveva trascurato sé stesso, il suo corpo, il suo benessere. E lei avrebbe fatto in modo che le cose cambiassero. Anche lui meritava di stare bene.

E soprattutto, sarebbe stata molto lieta di introdurre la crema per le mani nella sua vita.





Salve gente. Ebbene sì, questo è un nuovo capitolo della raccolta. Mi sono reso conto che stava passando troppo tempo tra un aggiornamento e l'altro del Velo Invisibile e mi sono ricordato che avevo creato questa raccolta proprio per questo motivo, quindi eccoci qui. So che probabilmente non fregherà niente a nessuno di questi due personaggi, ma nella mia testa sono carini insieme. E poi, per quei pochi a cui interessa, volevo mettere un po' di sale sulla ferita, visto che si sono lasciati nell'ultimo capitolo della raccolta. Sono un mostro, lo so, lo so. Mi dispiace. 

Niente scusate per avervi fatto perdere tempo. Ci vediamo sul Velo, per quelli a cui interessa, tra qualche milione di anni. Peace. 

   
 
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