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Autore: MrsShepherd    22/08/2022    0 recensioni
Santana e Brittany hanno 35 anni. Santana vive a New York, con Rachel, Kurt e Blaine. Brittany vive in Ohio e ha aperto una scuola di danza con alcuni ex compagni del Glee club. A tenerle unite è la loro figlia Riley, che in questa storia sarà il filo conduttore che porterà le due donne a riavvicinarsi inevitabilmente e a chiarire ciò che dodici anni prima era rimasto sospeso.
Ogni capitolo porterà il titolo di una canzone eseguita dai protagonisti della serie tv. Il testo di ogni canzone rispecchierà il contenuto del capitolo.
Spero che questa fanfiction incentrata su Brittana possa appassionarvi quanto ha appassionato (e sta appassionando) me mentre la scrivo.
Un pensiero va' inevitabilmente a Naya Rivera, che ovunque si trovi, mi ha ispirato a scrivere questa storia.
Buona lettura!
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Brittany Pierce, Nuovo personaggio, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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!!! ATTENZIONE !!! CAPITOLO HOT

CAPITOLO 13: Toxic
Santana aprì gli occhi lentamente. Intorno a lei regnava solo il buio e capì di essersi svegliata nel bel mezzo della notte. Il suo telefono era sotto carica perché l’indomani avrebbe dovuto affrontare molte ore di viaggio in treno per ritornare nella sua New York. Non aveva portato con sè nessun libro che le facesse compagnia e odiava stare sola nel silenzio e sapeva che il telefono sarebbe stato il suo unico passatempo. Si rigirò nel letto più volte, maledicendosi per essersi svegliata; sapeva che non avrebbe ripreso sonno tanto facilmente. Voleva tornare a casa, era giusto così. Voleva rivedere Kurt, Rachel, Blaine e Cassidy, ma voleva anche rimanere con sua figlia. Sapeva che ormai non era più possibile avere entrambe le cose, ed era il giusto prezzo da pagare perché Riley avesse tutte le possibilità che lei non aveva mai avuto, almeno non gratis.
Essere adulti non era di certo facile, ma nemmeno per Riley questa situazione lo era e Santana si chiese se nell’altra stanza sua figlia avesse preso sonno o si stesse rigirando senza pena nel letto come lei. D’un tratto si accorse che la camera era insolitamente vuota e silenziosa; tese l’orecchio in scolto, ma non sentì il respiro regolare di Brittany. La chiamò, senza ottenere risposta. Ormai incapace di riaddormentarsi si alzò dal materasso con un colpo di reni e allungò una mano verso il letto in cerca della bionda, ma lo trovò vuoto. Camminò a tentoni verso il corridoio per non svegliare Riley e raggiunse il salotto. La luce della lampada le bruciò gli occhi, ma quando mise a fuoco la stanza si accorse che Brittany non era nemmeno lì. << Brit?>> sussurrò mettendo il naso in cucina. Stava per sedersi sul divano per aspettarla, quando con la coda dell’occhio notò che la porta di collegamento con la casa dei genitori di Brittany, che era rimasta sempre chiusa da quando loro erano partiti, era semiaperta e uno spiraglio di luce illuminava il pavimento sotto di essa. Rabbrividendo per il freddo notturno di gennaio, Santana si drizzò in piedi e aprì il massicico portone vetrato. Sentì in lontananza una musica lenta e prendendo coraggio scese a piedi nudi le scale in moquette che portavano alla casa dei Pierce. La casa dei coniugi Pierce era un labirinto di porte e porticine, situate su piani e livelli diversi, un tempo arricchita con quadri e decorazioni floreali su muri e ringhiere, che però erano stati imballati e spediti in Europa, dopo il loro trasferimento. Ora i muri color verde salvia spogli e le porte chiuse, davano più l’ida di una casa iniziata e mai finita. Santana si chiese come potessero essere rimaste le stanze al loro interno, ma non riusciva a figurarselo: magari tutto era impolverato e imperlato di ragnatele, ma in fondo lei sperava ingenuamente che al di là di quei portoni sigillati tutto fosse rimasto com’era quando era bambina. Le stanze illuminate, i mobili color panna pasticciati e decorati da Brittany con i pastelli a cera, l’odore di Waffles e marmellata…
Percorrendo quei corridoi semibui, le sembrò di sentire voci e rumori lontani, si ricordò di quando lei e Brittany giocavano a nascondino con il signor Pierce, un ometto asiatico con il cuore e le abitudini di un bambinone troppo cresciuto. Amava prendere parte ai giochi delle ragazzine e Santana era quasi certa che non perdesse di proposito, come fanno i grandi per accontentare i piccoli. Le stramberie dei Pierce non l’avevano mai troppo turbata da bambina, anzi la mettevano di buon umore, soprattutto nei giorni in cui era costretta a misurarsi con le sue compagne perfettamente ricche, pulite e alla moda, mentre lei aveva a sento i soldi per pagarsi il pranzo. I Pierce non avevano mai dato importanza a tutto ciò e nemmeno Brittany era stata educata a discriminare in base ai soldi; la sua filosofia era più semplice: se amavi i gatti avevi ottime possibilità di essere sua amica. Santana era decisamente più un tipo da “pianta grassa” e si teneva ben alla larga dal gatto di famiglia Lord Tubbington, un felino obeso e viziato che le soffiava contro tutte le volte che Brittany si allontanava. Non di meno, fu dispiaciuta quando “l’essere peloso”, come lo chiamava lei aveva tirato le cuoia e la tristezza provata al suo funerale, organizzato da Brittany in persona, era davvero autentica.
Sbattè contro l’appendiabiti dell’ingresso, che traballò come un pino al vento, per poi crollare al suolo.
<< Cazzo.>> urlò Santana sedendosi a terra e portando le mani su un piede dolorante. Con quello sano diede un calcio al mobile appena caduto, imprecando come se si aspettasse di ricevere qualunque risposta. Forse nemmeno i signori Pierce avevano voluto portarselo dietro.
<< Santana sei tu?>>
<< Brit, sono qui!>> disse lei alzandosi a fatica. Batté le mani sulle cosce per levare la polvere dal pigiama chiaro. << Che ci fai qui? Non avevi chiuso questa parte della casa?>>
Brittany scosse la testa e la invitò ad entrare nella stanza che una volta era stata un caldo e accogliente salotto. Le pareti, un tempo color salmone ora erano ricoperte da conetti di spugna scura che avevano la funzione di insonorizzare la stanza. Il mobilio chiaro, il divano con i motivi floreali, i quadri dalle forme bizzarre, erano spariti lasciando posto ad una dozzina di materassini morbidi impilati uno sopra l’altro come gli strati di un sandwich. Accanto alla finestra anch’essa sigillata, Brittany aveva montato un impianto stereo a rotelle. Una debole lampadina illuminava la stanza, senza però fare molta luce. Santana si stropicciò gli occhi: << Che ne è stato del salotto?>>
<< Ho tolto il divano.>> disse Brittany porgendo alla mora un puff lilla nascosto nella penombra, l’invitò con un cenno a sedersi, ma la mora era più interessata a guardarsi intorno.
<< Cosa fai qui dentro?>> chiese passando il dito indice sullo stereo.
<< Niente.>> le rispose Brittany rossa di vergogna. Santana, alla quale non si poteva nascondere nulla, accese lo stereo e subito ne partì una musica che lei conosceva bene: Another Love di Tom Odell. Brittany sentendosi ormai scoperta abbassò il volume al minimo: << Non riuscivo a dormire.>>
<< Nemmeno io.>> rispose Santana: << Perché?>>
<< Pensieri.>>
<< Pensieri…>> sospirò: << E vieni qui quando hai questi pensieri?>>
La bionda annuì senza proferire parola.
<< Riley sa di questo posto?>>
Brittany scosse la testa e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Si voltò per evitare lo sguardo inquisitorio della mora, che ovviamente se ne accorse. Santana si avvicinò e le mise una mano sulla spalla.
<< Lasciami stare.>> disse secca, per poi pentirsene all’istante: << Dovresti andare a dormire. Domani mattina parti presto.>> concluse apprensiva.
<< E invece resto. E tu mi dici che cos’hai.>>
<< Non ho nulla. Sono solo molto confusa.>>
Santana si avvicinò di più a lei: << Per cosa?>>. Brittany si allontanò più spaventata che infastidita, quella situazione la metteva a disagio, ma non sapeva perché: << Non lo so San, se sono confusa non posso saperlo.>>
<< Ti ho fatto qualcosa?>> chiese Santana non riuscendo a decifrare il comportamento della bionda.
<< Sì, cioè no. Non so. È solo…che avrei voluto avere più tempo.>>
<< Per cosa?>>
<< NON LO SO SANTANA! Per stare con voi, per…>> non terminò la frase e le rivolse uno sguardo torvo: << Mi stai interrogando? Sai che non ho mai sopportato queste cose, mi metti in difficoltà…>>
Santana si sedette sul puff lilla incrociando le gambe e portandosele al petto: << Sei sulla difensiva stasera…>>
<< Non mi fai ridere. Sei qui per aiutarmi o per criticare?>>
<< Dai, ballaci sopra, se la cosa ti turba così tanto, come una volta…è ancora così no?>>
<< Non ho voglia San.>>
La mora raggiunse l’impianto stereo e portò la canzone all’inizio: << Lo dico per darti una mano. Mi ricordo che al liceo quando eri turbata per qualcosa, io e te soltanto andavamo al parchetto di Lima Adjacent, mettevamo la musica e iniziavamo a danzare. Tutto era più chiaro alla fine.>>
Fece partire la musica e raggiunse Brittany e le sollevò le braccia. << Coraggio…>>
<< San…>> sospirò la donna: << L’hanno chiuso quel parchetto.>>
Santana appoggiò il suo corpo sulla schiena della bionda, incastrando il mento nella sua clavicola: << Chiudi gli occhi.>> sussurrò: << Senti la brezza dell’autunno, gli alberi che si muovono al vento, l’odore dell’erba bagnata. Ascolta il silenzio e immagina di essere là. Siamo solo io e te.>>
Sentì le spalle della bionda rilassarsi e il respiro farsi sempre più profondo e regolare. Come un bambino che fa volare la sua prima coccinella così fece Santana: spostò le mani sui suoi fianchi e la spinse leggermente in avanti e lei si librò in aria come una fata e con grazia iniziò a danzare.
Santana si ritrasse fino a toccare con la schiena il muro della stanza. La osservava calcare quei pavimenti, seria e concentrata come la prima di un balletto, ma leggera e divinamente inafferrabile. Ad ogni giravolta della bionda, ad ogni falcata che muoveva verso la sua direzione, Santana veniva inebriata dal suo profumo di rosa fresca e sentiva come se le mancasse la terra sotto i piedi. Scariche elettriche frequenti come brividi vibravano nella parte bassa dello stomaco, facendole tremare le gambe; fu costretta a chiudere gli occhi e a reggersi al muro per non cadere. Ma cosa le stava succedendo? Lo sapeva benissimo, ma non voleva. Non se l’era più concesso da tanto, non credeva più di meritarsi sensazioni così.
“Non adesso, non con lei”. Pensò a corto di fiato e con la salivazione ormai assente. Distolse lo sguardo sospirando rumorosamente. Ma la musica era finita e fu costretta a riaprire gli occhi perché quel profumo si era fatto improvvisamente troppo intenso.
Brittany la stava fissando: le sue braccia come una prigione la bloccavano tra il suo volto e il muro. Gli occhi blu ormai diventati scuri e lucidi la stavano fissando libidinosamente, anche lei aveva il respiro pesante. Santana si specchiò nel suo sguardo. E non ci capì più nulla.
Entrambe si sporsero in avanti per cercarsi in un bacio famelico, dimenticato e improvvisamente ritrovato. Si schiacciarono l’una all’altra, come se volessero essere una cosa sola. Dagli occhi di Brittany scendevano lacrime calde che inumidirono anche il volto della mora. Si staccò dall’intenso bacio, la guardò per un momento, ma non disse nulla.
ANCORA. Pensarono entrambe per poi cercarsi di nuovo con passione. La bionda prese l’altra per i fianchi e la sollevò schiacciandola ancora di più al muro, la sua intimità calda era pericolosamente vicina a quella di Santana, che iniziava a gemere sulle labbra di quest’ultima. In un attimo la mora si ritrovò con le gambe di nuovo a terra, tremanti e insicure sotto il suo peso. Brittany scese verso il basso, le slacciò il cordino del pigiama viola e indugiò pericolosamente vicina al suo centro del piacere.
<< Britt…>> sussurrò Santana ritrovando un minimo di lucidità: << Che stiamo facendo?>>. La bionda le aveva abbassato i pantaloni e le mutande in un colpo solo e lei poteva sentire il calore del suo respiro su di lei. Era esposta, vulnerabile, aperta.
<< Vuoi che smetta?>> disse Brittany rivolgendole lo sguardo e appoggiando il mento sul suo bassoventre. Santana le afferrò la nuca e affondò la testa della bionda nella sua intimità, ma non ci fu bisogno che la guidasse. Brittany la conosceva bene; fin dalla prima volta sapeva dove toccarla, dove amarla e in quali punti darle piacere. E Santana non si tirava certo indietro.
Sentì e labbra di Brittany chiudersi sul suo clitoride, si muovevano agili, senza fatica al contrario di lei che aveva le gambe molli e reggersi su di esse stava diventando un’impresa impossibile. Brittany capì anche questo, la sorresse prendendola per i fianchi e affrettò il ritmo, assecondata dai gemiti di piacere della mora. Dischiuse le labbra e la penetrò con la lingua, con spinte regolari e decise. Santana iniziò a tremare convulsamente e a sibilare parole incomprensibili sotto i denti serrati per il piacere. Si portò una mano al volto e strinse l’altra ancora più forte sulla testa di Brittany, guidando le sue ultime spinte. Poi venne copiosamente, urlando il suo nome. Come se lo facesse da sempre, Brittany l’accompagnò nella discesa, poi si sedette con la schiena contro il muro, ansante, con ancora il suo sapore su volto. Santana si accasciò accanto a lei e la fissò sconvolta. La bionda guardava il vuoto senza proferire parola, poi si voltò e la guardò cercando di leggerle dentro, ma per la prima volta nessuna delle due riuscì a comprendere nulla. Sospirò, poi si pulì il viso con la manica della maglietta e si alzò. La mora la guardò allontanarsi incredula, stava per distogliere lo sguardo, ma un particolare la fece desistere: tra le gambe muscolose della bionda Santana notò una macchia. Era bagnata quanto lei. Ancora una volta il cervello di Santana smise di ragionare. La donna ritrovò improvvisamente la forza, si alzò e l’afferrò per un braccio, obbligandola a voltarsi; poi la intrappolò in un bacio famelico, che sapeva di rose, ma anche di lei.
Con un incrocio di gambe la spinse sui materassini all’angolo della stanza e poi la coprì con il suo corpo. Iniziò a baciarla sul volto per poi arrivare al collo, che divorò famelica con baci appassionati e piccoli morsi. Brittany era immersa in ondate di piacere, che aumentarono quando sentì le mani della mora navigare ed esplorare tutto il suo corpo. Si fermarono sui seni, pieni e ancora sodi come un tempo. Santana li strinse entrambi nelle mani, senza smettere di baciarla, poi le sollevò la maglietta e incontrò la sua pelle morbida alabastro. Brittany sussultò quando le mani fredde della mora le afferrarono con forza i seni, ma poi gemette di piacere alla vista di Santana che si faceva strada dentro la sua maglietta larga. Catturò un capezzolo con le labbra, ma anziché morderlo, lo stimolò fino a farlo diventare duro, poi passò all’altro. Brittany sentiva l’eccitazione tra le gambe aumentare e un piacevole calore scaldarle il petto e le gambe. Santana si abbassò e le stuzzicò l’ombelico con la lingua, poi indugiò un poco e scese verso le gambe di Brittany. Quest’ultima però la fermò, prendendole il volto con le mani.
<< Ti voglio qui, con me.>> le disse portandole il volto vicino al suo e catturando le sue labbra in un dolce bacio. Santana non si oppose e rispose prontamente all’iniziativa della bionda. Continuarono a baciarsi e Brittany presa dalla passione infilò la mano nei pantaloni della mora; erano un casino, fradici per l’orgasmo di pochi minuti prima, zuppi per il piacere di adesso. Senza troppi indugi la penetrò con un dito, provocandole un gemito inaspettato. Ma Santana voleva ripagarla della stessa moneta e non avrebbe aspettato a lungo. Le mise una mano dietro la schiena e la sollevò leggermente poi inserì una mano dentro i suoi leggins viola scuro e incontrò immediatamente la sua intimità, già inumidita dal piacere. Mentre la bionda la penetrava, con uno sforzo immane iniziò ad esplorare le pieghe della sua vagina e trovò quel punto nascosto che faceva impazzire entrambe, una di piacere e l’altra per aver provocato in lei così tanto godimento. Cominciò a stuzzicarlo con cerchi irregolari che divennero sempre più piccoli e rapidi non appena Brittany chiese di più. E lo fece inarcando il bacino verso la sua direzione: allora Santana inserì il dito indice nella sua apertura. Entrambe si davano piacere entrando e uscendo dalle loro aperture con una foga che denotava astinenza. Si erano cercate, si erano mancate e ora, come per soddisfare un bisogno impellente, si erano trovate.
<< Di più…>> la sussurrò Brittany all’orecchio. E Santana obbedì, inserì un altro dito e avvicinando il suo bacino alla sua intimità iniziò a spingere con movimenti rapidi e decisi, seguendo il ritmo della mano della bionda che non accennava a rallentare. Brittany urlò e la mora ne soffocò il rumore portandole una mano alla sua bocca, poi chiuse le sue labbra sul suo polso, perché anche lei aveva un’immensa voglia di urlare, ma il pensiero che Riley le potesse scoprire la terrorizzava enormemente. Si guardarono negli occhi e con un’ultima spinta vennero all’unisono. Era stato fisico, quasi animale, ma, nonostante ciò, erano comunque venute nello stesso momento, guardandosi negli occhi, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Si lasciarono andare una sul corpo dell’altra e rimasero con le mani nei loro vestiti impregnati nei loro umori e odori per qualche minuto, finché entrambe smisero di ansimare. Volsero i loro sguardi imbarazzati verso al soffitto e restarono in silenzio per un po’. A realizzare quello che era appena accaduto.
Santana era più il tipo o tutto o niente. Ci mise un po’ ma le conseguenze di ciò che aveva fatto le arrivarono tutte insieme. Troppo rapidamente perché potesse gestirle con razionalità. Pensò a Riley, a Cass, al fatto che sarebbe tornata a New York, ai mesi senza Riley, al suo lavoro, a cosa avrebbero detto Kurt e Blaine, che sapevano fiutare il torbido da uno sguardo. Ma non pensò a quello che aveva appena fatto a Brittany. Perché per ora e per molto tempo non era stata per lei una priorità.
<< Cazzo.>> disse ripulendosi nella maglietta e sistemandosi in fretta i pantaloni. Si portò la mano sul volto e scappò la stanza correndo in camera sua. CAZZO. Riuscì a dire solo questo. Si infilò come un rettile nel letto, sgusciando dentro alle coperte e cercando di fare meno rumore possibile. Restò immobile, con l’odore della bionda addosso, senza riuscire a chiudere occhio.
Brittany però era diversa, lei aveva realizzato piano piano, sdraiata e svuotata su quel materassino freddo e vuoto, con lo stesso odore addosso, che quella era stata la più bella notte della sua vita.
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La stazione di Lima era quasi deserta quella mattina di gennaio, una signora impellicciata si apprestava a caricare il suo cagnolino di piccola taglia nella gabbietta, rivolgendogli parole che si dovrebbero dire ad un bambino, mentre lui le ringhiava con un’espressione piuttosto contrariata. Poco più in là un gruppetto di amici pendolari chiacchieravano del tempo, sbadigliando nell’attesa del treno che li avrebbe portati al lavoro. Brittany trascinava la pesante valigia riempita con i nuovi acquisti di Santana, lasciando le altre due donne della famiglia più avanti, a godersi gli ultimi momenti insieme. Santana e Riley però non erano persone da baci e abbracci, preferivano dimostrare il loro affetto con i fatti e con gli oggetti. Perché non sapevano farlo in alcun altro modo.
<< Tu…cerca di comportarti bene, ok?>>
Riley annuì.
<< Davvero, è la tua ultima…>>
<< …Possibilità, sì lo so.>> restarono un attimo in silenzio: << Sarai contenta di non avermi più in giro a New York.>>
<< Sai che non è vero.>> e Riley sapeva. Santana sospirò: << Questi giorni a Lima sono stati…un respiro. Siamo stati bene, ma sai che devo tornare a New York e tu non puoi farlo. Ti prego però non discutiamone ancora, adesso.>>
<< No, no.>> rispose Riley per una volta d’accordo con la madre. Ormai la decisione era stata presa, solo che...sentiva alla gola un nodo che le impediva di deglutire e uno strano calore nel petto. Era triste. Nonostante i continui litigi. Nonostante si sentisse spesso soffocare in sua presenza, realizzò improvvisamente che quando l’avrebbe vista allontanarsi su quel treno le sarebbe mancata la terra sotto i piedi, il suo puto di riferimento. E capì che è proprio quando una cosa viene a mancare che ne si comprende realmente la sua importanza.
Il suono della voce metallica che chiamava il treno per New York la fece sobbalzare. Si voltò immediatamente indietro per cercare lo sguardo di Brittany, che affrettando il passo la raggiunse in pochi secondi.
<< Ci siamo.>> disse Santana con ancora la colazione sullo stomaco. Controllò l’ora sul telefono e poi se lo rimise nella tasca del suo piumino peloso. Si chinò verso Riley e le sistemò il colletto del cappotto della giacca a vento color tortora.
<< Non andare fuori di testa. Conta sempre fino a 10 prima di dire o fare qualcosa di stupido. E ascolta sempre la mamma. >> le disse con gli occhi lucidi.
<< Lo so.>>
<< Non far disperare i tuoi professori.>>
<< Lo so.>>
<< E studia.>>
La ragazzina annuì nuovamente; niente che non le aveva già ripetuto all’infinito nelle settimane precedenti. Eppure, avrebbe voluto sentirsi dire altro: che le voleva bene, che aveva cambiato idea, che sarebbero tornate tutte insieme a New York, come una famiglia. Ma nulla di tutto ciò sarebbe mai uscito dalla sua bocca.
<< Mi chiami vero?>> chiese Riley con un filo di preoccupazione. << Non ti dimentichi di noi…>>
<< Mai.>> le ripose spostando la figlia lontano dal treno. Non riuscì a trattenersi, la strinse forte a sé: << Mai, mai, mai.>>
RIMANI.
“Ti prego, rimani.” Avrebbe voluto sussurrarle all’orecchio, ma dalla sua bocca uscì solo un singhiozzo soffocato. Santana la baciò in fronte, poi si alzò e prese la valigia dalle mani di Brittany.
<< Io…sono stata bene.>> le disse cercando di guardarla negli occhi.
<< Sì.>> l’abbracciò. Brittany respirò forte l’odore di Lime proveniente dalla sua pelle ambrata e fu sicura che Santana stesse facendo lo stesso, mentre passava una mano tra i suoi capelli biondi. Santana risentì di nuovo le forme piene della donna e decise di staccarsene per non provare ancora quelle sensazioni incontrollate della sera prima. La prese per le spalle e l’allontanò.
<< Fai buon viaggio.>> disse Brittany arretrando un poco alla vista del treno con le porte spalancate. << Vuoi una mano con la valigia?>>
<< No.>>
La bionda allungò una mano verso la figlia che si attacco ad una sua gamba in preda alla tristezza. Affondò il viso nel cappotto della madre e nascose le lacrime. Piangeva, perché la storia si stava ripetendo. Di nuovo. Ma, nonostante ciò, faceva sempre male.
<< RIMANI!>> urlò quando la vide dietro al finestrino. Santana non capì.
RIMANI.
Riley correva. Passando tra gambe, valige e persone molto più alte di lei. Senza curarsi contro chi stesse andando a sbattere. Doveva superarli tutti, doveva correre più veloce del treno. Arrivò alla fine del binario di cemento, il treno era poco lontano. Fece un grande salto, avrebbe seguito i binari, aveva fiato, aveva gambe, aveva una voglia matta di raggiungere Brittany fino a Lima.
Due braccia l’afferrarono e la tirarono giù, ingabbiandola come una preda affondata nelle sabbie mobili. Più tentava di liberarsi, più quelle braccia la bloccavano a terra.
<< Lasciami, lasciami!>>
<< Mamma non può tornare…>> le sussurrava all’orecchio Santana stringendola forte. << Non può tornare.>>
   
 
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