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Autore: time_wings    18/12/2022    2 recensioni
[ATLA!AU - AtsuHina, IwaOi, OsaAka]
Atsumu e Osamu passano le loro giornate tra allenamenti noiosissimi e scippi fallimentari, nell'anello esterno di Ba Sing Se. La loro vita cambia radicalmente quando si ritrovano costretti ad aiutare Shouyou Hinata, un ragazzo misterioso che viaggia in groppa a un bisonte volante.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Keiji Akaashi, Osamu Miya, Shouyou Hinata, Tooru Oikawa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III. Kao Lai


“Sei proprio uno stupido,” commentò Oikawa, scuotendo la testa e scendendo seccato dalla groppa di Mugi. Iwaizumi si bloccò sul posto e lo guardò male, prima di seguirlo.
“Mica ho scelto io di cadere.”
“Sei stupido uguale.”
“Dobbiamo risalire. Quello è tutto ciò che resta dei dominatori dell’aria,” disse Shouyou.
Si erano momentaneamente nascosti nell’interno sfilacciato dei monti di Zoulang, in uno slargo di un percorso sottile scavato sul fondo di una montagna in una zona vicina al mare. Sembravano le fauci di un mostro marino: la pianta circolare era disseminata di spuntoni di pietra che si innalzavano dal basso e pendevano dall’alto come denti appuntiti, colonne sottilissime ostruivano ulteriormente la vista per dare l’impressione che la grotta fosse completamente chiusa. Attraverso le fessure di queste colonne, però, si facevano largo tenui bagliori. Si riflettevano sulla pozza d’acqua alta giusto qualche centimetro che faceva da pavimento, e rimbalzavano sulle mura attorno, colorando la grotta di una luce che aveva viaggiato abbastanza perché fosse impossibile collocarne la sorgente. Di tanto in tanto il suono costante di una goccia che cadeva nell’acqua rimbombava a sottolineare il silenzio.
“Nessuno degli altri dominatori dell’aria sa del pericolo. Ho sentito del carico sulla strada per Ba Sing Se e ho lasciato messaggi in codice ovunque, ma non si è presentato nessuno.” Hinata camminava qua e là per la grotta, il nervosismo che sporcava quell’entusiasmo naturale e lo trasformava in una carica inquinata e adrenalinica. Spostandosi creava piccole correnti d’aria che si tuffavano nell’acqua e la perturbavano in mulinelli innocui.
Atsumu fece per muovere un passo verso di lui, ma Akaashi lo tenne giù senza dire una parola e continuò a curargli una ferita superficiale con quel suo strano metodo fosforescente. “Ti ho detto di fidarti, abbiamo un piano,” disse, costringendosi a mantenere il suo sguardo, quando Shouyou si voltò. Alla fine fu Hinata ad abbassarlo per primo. “Credi che ‘Samu abbia scorrazzato in groppa a un bisonte volante per un mese nonostante il mal d’aria per niente? Ormai è la battaglia di tutti.”
“Parla per te,” Oikawa fece spallucce. “Io voglio vincere contro quegli sbruffoni della Nazione del Fuoco. Voglio che se ne vadano da Kao Lai: non fa bene al business. Non posso convertirli tutti alla sanità mentale con metodi poco ortodossi come ho fatto con questo qui.” Indicò Iwaizumi.
“Il punto è che abbiamo tutti lo stesso obiettivo,” intervenne Osamu, prima che Atsumu potesse ribattere dicendo qualcosa contro Oikawa. Non che non gli stesse completamente, assolutamente e integralmente sul cazzo, ma i loro battibecchi erano noiosissimi, a suo avviso. “Il nostro piano ha fallito perché abbiamo dirottato tutte le forze della Nazione del Fuoco sui monti di Zoulang, credendo che lo scambio sarebbe avvenuto sul litorale di Kao Lai. Quindi abbiamo dato per scontato che sarebbe arrivata una prima nave a portare il carico che non si trovava già a Kao Lai e che il carico completo sarebbe poi stato affidato a una seconda nave, che sarebbe tornata alla Nazione del Fuoco. Invece in questi minuti stanno scaricando il contenuto di una prima mongolfiera in quella che andrà alla Nazione del Fuoco. Con il nuovo piano stiamo solo cambiando mongolfiera da attaccare.”
Akaashi annuì e trasportò altra acqua luminosa sulla tibia di Atsumu. Non si era neanche accorto delle ustioni. “Questo comporta due vantaggi, per noi. Il primo è che, a differenza delle navi, le mongolfiere della Nazione del Fuoco non sono progettate per la guerra. Non dispongono di cannoni, balestre o altri dispositivi da combattimento. Il secondo è che noi in aria abbiamo più risorse e quindi più possibilità di vincere.”
 
Kao Lai era un mondo a parte.
Esisteva solo per chi si avventurava oltre la coltre fitta di lacrime di carbone, respirava solo grazie alla magia di cui si diceva fosse intrisa, veniva violata solo per la sete di conquista della Nazione del Fuoco e resisteva solo perché si era specializzata nell’unica arte al mondo che garantiva sempre la vittoria più sorprendente: gli imbrogli.
E quindi quel giorno, sotto il sole di mezzogiorno oscurato dalla fuliggine del vulcano di Shouhon, loro imbrogliarono.
In groppa a Mugi, Shouyou chiuse gli occhi. Il cielo gli gravava sulle spalle mentre, da solo in piedi sul collo dell’animale, sentiva il pelo solleticargli le caviglie, il vento riarrangiare le nuvole, la cenere frusciare e gli altri ragazzi respirare. Scandagliò il cielo misurandolo un soffio d’aria alla volta, le mani che ruotavano attorno ai polsi e le dita che si attorcigliavano a stringere il vuoto. Saltò in alto, allargò le braccia e abbracciò chilometri di etere e uccelli che migravano e si perdevano in mezzo a tutti quei residui di vulcano.
Poi la vide, aprì gli occhi di scatto e seppe che quella volta avrebbe vinto lui.
Atterrò sulla gobba del collo di Mugi, dominando l’aria sotto di lui, strinse le redini con cui gli indicava la strada, le attorcigliò attorno alle nocche finché queste non sbiancarono e deviò la rotta del bisonte.
“La vedo,” avvertì Iwaizumi e si alzò in piedi sull’ampia sella di Mugi. I contorni della fiamma stilizzata della Nazione del Fuoco si distinguevano appena oltre la pioggia di cenere che malediceva Kao Lai.
Shouyou fissò un punto della tela tesa del pallone, lo indicò, poi ruotò la mano di scatto e uno schiocco precedette di un secondo il suono acuto di una fuga d’aria.
La mongolfiera iniziò a perdere quota molto lentamente.
Più che una mongolfiera, in realtà, sembrava un dirigibile che sfruttasse lo stesso principio di funzionamento di una mongolfiera. Shouyou e gli altri dominatori dell’aria avevano sempre contato sul fatto che la Nazione del Fuoco potesse limitarsi a colonizzare ogni striscia di terra e solcare con le loro navi ogni angolo di oceano, ma il cielo sarebbe sempre appartenuto ai Nomadi dell’Aria. Ma il fatto era che con la scusa di nascondersi avevano finito per restare indietro sul progresso tecnologico del loro nemico. Shouyou realizzò con orrore che non ci avrebbero messo molto a far diventare quei bestioni delle macchine da guerra e allora il cielo, forse, avrebbero trovato il modo di bruciarlo.
Si avvicinarono all’entrata posteriore della mongolfiera. Mugi si adattò alla sua velocità di crociera e permise a Shouyou di fare pressione con le mani sulla porta di legno che isolava l’interno del lussuoso cesto inferiore. Un click segnalò il suo successo.
Dall’interno, urla concitate incalzavano gli addetti a bruciare altro gas, mentre qualcuno ordinava a qualcun altro di tirare funi come se fossero stati a bordo di una nave. Lo stretto corridoio d’ingresso curvava quasi subito, il che ostruiva completamente la vista di tutto quel trambusto.
Shouyou si voltò verso i suoi compagni di viaggio. “Voi entrate e prendete il comando della mongolfiera. Io e Mugi gestiremo l’atterraggio il più dolcemente possibile. Non si può riparare in tempo in ogni caso”
Iwaizumi e Oikawa saltarono per primi il corridoio d’aria che li separava dal cesto. Akaashi li seguì.
“Non posso intervenire,” disse Osamu a Shouyou, dando un’occhiata ai monti di Zoulang sotto di loro. “È tutto nelle tue mani.”
Hinata mandò giù con difficoltà un agglomerato denso di saliva. Forzò un sorriso e gli mostrò entrambi i pollici puntati in alto. Sperò che Osamu non captasse il nervosismo. A giudicare dal fremito esitante delle sue sopracciglia, Osamu lo captò, poi seguì Akaashi sulla mongolfiera e sparì oltre l’angolo retto del corridoio sottile.
“Vuoi che resti con te?” La voce di Atsumu era sporca di vento.
Shouyou si voltò a guardarlo, l’aria gli si infilava nei capelli e glieli scombinava. Colmò i passi che li separavano sulla sella di Mugi e sollevò un braccio per rimetterglieli a posto. Era inutile, con quel vento e tutta quella cenere, ma gli era venuta voglia di farlo. “Non mi servi mica, qui.”
Atsumu sorrise furbo. A Shouyou stavolta venne voglia di baciarlo. Quindi lo fece. Si sollevò sulle punte e gli sfiorò le labbra con le sue. Atsumu inspirò di scatto, si sporse in avanti e lo baciò davvero. Il vento si insinuava nei vestiti, rubava loro i respiri, rombava forte e manteneva il segreto.
A Shouyou sembrò che la corrente si impennasse, che tutt’attorno si acuisse come alla fine delle storie. Per anni aveva viaggiato da solo con Mugi e per anni si era fermato nei luoghi più trafficati e in quelli più remoti. Aveva incontrato occhi lattiginosi, volti stanchi, speranze accese e bottiglie vuote. Aveva dormito nel fieno, nella nebbia, nell’erba, sulla roccia e nella neve. Aveva mangiato, aveva respirato e aveva parlato, ma tutto sembrava spingerlo sempre più nella solitudine. Sembrava respingerlo. Ogni amicizia era destinata a bruciare ed estinguersi nell’arco di un paio di giorni, quando gli andava bene e poteva permettersi di fermarsi così a lungo. E quindi Shouyou prese quel bacio con l’avidità con cui ci si appropriava di una cosa rara e irripetibile, perché di lì a qualche ora avrebbero vinto o perso quella partita e tutto sarebbe finito per sempre. Forse anche Atsumu, con tutte le sue contraddizioni, sarebbe sparito per sempre, forse alla fine avrebbe truffato anche lui e si sarebbe rivelato un misero trucco del vento. E quindi, quando Atsumu si allontanò, lui lo baciò di nuovo perché Shouyou a volte non sapeva controllarsi e prendeva, prendeva, prendeva con una fame senza eguali.
“Quindi vuoi che resti con te” gli sussurrò alla fine Atsumu sulle labbra, facendo scontrare i loro nasi e sfiorandogli la fronte con la sua. Gli sorrise, un sorriso vero, uno di quelli che non sottintendevano nulla. “A me va bene, eh, non mi lamento, è molto comodo questo cielo, ci si potrebbe fare un bel progetto edi…”
Shouyou sorrise e fece un passo indietro. “Quando abbiamo vinto.”
Atsumu inclinò la testa su un lato e sollevò un sopracciglio. “Prometti?” E faceva sul serio. Era un imbroglione, aveva preso in giro mezzo anello esterno di Ba Sing Se, ma questo non escludeva che avesse dei principi. E quindi tutto quello che prometteva si cementificava e, se non era una fregatura, poi dava forma al futuro.
Hinata annuì e gli occhi di Atsumu acquistarono una sfumatura più scura. Era simile a quella che aveva visto accendersi la notte in cui l’aveva sorpreso ad allenarsi nella foresta di roccia alle porte Gaoling. Era la cosa che rendeva il suo fuoco migliore di qualunque altro, era quello che bruciava l’aria che Shouyou gli avrebbe ceduto con un sonoro fuum.
Atsumu gli soffiò un bacio scherzoso con la punta delle dita, poi seguì gli altri nella mongolfiera.
 
Dieci minuti dopo, il dirigibile atterrò con uno scossone da qualche parte sulle pendici più remote dei monti di Zoulang. Il pallone rosso si era afflosciato su un lato come un copricapo dimenticato in un armadio troppo a lungo e schiacciato dal peso del tempo e di qualche altro oggetto abbandonato.
“Trasportiamo un carico prezioso, per la maggior parte confiscato ai Templi dell’Aria, e pensavate che non fossimo preparati a un attacco aereo dei Nomadi?” Un uomo si parò loro davanti prima che potessero mettere mano alla ruota che apriva una pesante porta di legno e metallo. Aveva occhi nerissimi e capelli a spazzola dello stesso colore. Sembravano essere stati immersi nella gelatina o qualche altra sostanza appiccicosa. Qualunque cosa fosse non gli stava facendo un piacere. Forse per questo era così stressato.
Neutralizzare le guardie di più basso livello, sulla via per la sala di comando, non era stato troppo difficile. L’atterraggio di fortuna aveva già mietuto le prime vittime della paura e alcuni soldati non si erano preoccupati troppo di intrusi e pirati dei cieli: avevano preferito fiondarsi all’esterno non appena la mongolfiera aveva toccato terra. Molti di loro non erano neanche veri soldati, ma messaggeri e ingegneri, poiché quei palloni erano dispositivi nuovi e le loro potenzialità venivano ancora testate a ogni occasione utile. I più coriacei avevano provato a combattere, ma gli attacchi a sorpresa di dominatori di acqua, fuoco e terra avevano avuto la meglio prima ancora che la minaccia avesse modo di trasformarsi in sfida.
I problemi erano sorti solo a un passo dalla cabina di controllo, una mano idealmente già stretta attorno a una vittoria che sentivano di meritare, dopo tutto quel lavoro.
“Abbandonate la mongolfiera immediatamente,” li avvertì un tipo biondo, comparso dalle ombre.
Oikawa, però, ridacchiò. “Altrimenti?”
La guardia coi capelli a spazzola serrò le labbra, poi sollevò una mano scoppiettante di scatto. Oikawa era già pronto. Alzò un muro di ghiaccio con tutta l’acqua che aveva, lo spezzò in più punti e, la vittoria già certa nello sguardo, direzionò le lame verso gli avversari.
Poi accadde una cosa inaspettata. Il tempo rallentò nei secondi ripidi che la precederono, infine, come risacca, si abbatté nello spazio e sembrò accelerare.
La porta che le due guardie presiedevano si aprì con uno schianto, un uomo più vecchio e più grosso degli altri si piantò sotto il suo arco e allargò le braccia. A giudicare dalle rifiniture della sua tunica e dalla fattura dei pezzi di armatura che portava addosso, doveva essere uno importante. I capelli erano raccolti e tenuti su con un fermaglio che sembrava valere più di quanto avesse mai guadagnato lui con ogni sua predizione. Gli occhi chiari brillavano di crudeltà. Si fece avanti sicuro, distese le braccia di lato e scostò tutto il ghiaccio di Oikawa sulle pareti della cabina con due potenti fiammate, finché questo non evaporò.
“Merda,” sussurrò Iwaizumi.
“Esibizionista del cazzo,” mormorò Atsumu.
I due dominatori del fuoco scostarono Akaashi, Osamu e Oikawa e iniziarono a combattere negli spazi angusti di corridoi e leggeri slarghi della mongolfiera. La battaglia avanzava e indietreggiava lungo i passaggi stretti, prima verso l’uscita, poi verso la cabina di comando, a seconda di chi guidava momentaneamente quella danza.
“Hai dell’acqua?” domandò Oikawa ad Akaashi, lo sguardo bruciava di umiliazione, impotenza e offesa, ma lo portava con l’orgoglio di chi era sicuro che si sarebbe rifatto.
Akaashi scosse la testa e si guardò attorno, poi chiuse gli occhi più volte, sollevò le mani, infine scosse la testa un’ultima volta. “Non ne percepisco neanche.”
Oikawa si voltò verso Osamu, che gli mostrò i palmi, vagamente seccato. “Non posso toccare i monti di Zoulang.”
“L’hai già fatto stamattina.”
“Avevo tempo per concentrarmi e contatto diretto con la terra. Questo aggeggio è fatto interamente di legno e metallo, nessun dominatore della terra è capace di farci qualcosa.”
Oikawa si guardò attorno. I suoi movimenti non erano mai inutili, erano tutti calcolati, ma le pupille correvano frenetiche da un muro a un altro, come se vi apparisse a intermittenza un’iscrizione con la soluzione a tutti i loro problemi. “Be’, allora esci da qui e vai a raccogliere qualche pietra.”
“Già, mentre faccio avanti e indietro mio fratello riesce a morire sei volte,” Osamu gli si avvicinò con uno scatto, le sopracciglia aggrottate.
“Credi che l’abbia fatto apposta?”
“Credo che…”
“Ma che state facendo?!” Shouyou li raggiunse confuso, l’affanno rendeva la corsa incostante. In una mano reggeva il suo aliante. Li superò veloce e rarefatto come aria e attaccò i soldati volgendo di colpo i palmi delle mani verso di loro.
Osamu inspirò rassegnato, poi alzò gli occhi al cielo. “Al diavolo, la periferia di Ba Sing Se sarà servita a qualcosa,” e partì alla carica solo con calci e pugni.
Akaashi scambiò uno sguardo incerto con Oikawa, poi sfilò due coltelli affilatissimi da fondine invisibili legate ai passanti dei suoi pantaloni.
Oikawa invece, rimasto indietro a guardare la battaglia srotolarsi come una serie di fotogrammi, era solo un indovino. Con l’arrivo degli attacchi d’aria di Shouyou e la forza bruta di Osamu e Akaashi, l’asse del combattimento si spostò in loro favore. 
“State indietro,” avvertì Hinata, poi sollevò in alto l’aliante e lo abbatté con la punta sul pavimento di legno della struttura. Lo sollevò immediatamente e lo ruotò di novanta gradi, preparandosi a farlo roteare e sfruttare l’aria che avrebbe spostato.
Invece l’aliante si incagliò tra le pareti troppo strette dei corridoi. Shouyou sgranò gli occhi per un secondo di perplessità fatale. La Nazione del Fuoco attaccò con violenza e lui ebbe solo il tempo per mollare l’aliante e spingere indietro il fuoco con un muro d’aria.
Qualche fiamma sottile divorò il suo attacco invisibile e gli leccò le mani. Mollò la presa sull’attacco, sopraffatto dalla sorpresa per il dolore. Scosse la testa e grugnì, ristabilendo un contatto con l’aria che aveva più la costanza della difesa che l’istantaneità dell’offesa. L’esasperazione e la pazienza erano qualità che brillavano molto più intensamente in un dominatore dell’aria che nella sete della soddisfazione immediata che rincorrevano i dominatori del fuoco, ma c’era un motivo se qualcuno raggiungeva ranghi così alti in una gerarchia tanto rigida.
L’uomo anziano e grosso fece un passo, spinse con slancio le mani in avanti e una fiammata divampò e neutralizzò la difesa di Shouyou. Il ragazzo cadde in ginocchio, le mani ustionate a contatto col legno.
Atsumu, Iwaizumi, Akaashi e Osamu, dietro di lui, sollevarono le mani in segno di resa, gli sguardi ancora all’erta, ma rassegnati.
“È finita,” annunciò l’omone, con una risata fragorosa. Mosse qualche passo in avanti, come se una maledizione che gli impediva di avvicinarsi ai suoi nemici fosse stata appena sollevata e lui avesse finalmente potuto varcare un confine un tempo sacro.
Con una smorfia di dolore, ma senza lasciarsi scappare neanche un suono, Shouyou staccò le mani dal legno e le sollevò a sua volta.
Oikawa non era un indovino, era un ciarlatano. Era nato a Kao Lai per caso, ed era noto per essere l’espressione più pura della sua magia, anche se era un truffatore. L’unico talento vero che vantava era quello di saper inventare sul momento stronzate allucinanti, per giunta anche in rima, e riuscire a farsi pagare una fortuna. Tooru Oikawa era apparenza, era la sicurezza di vetro su cui si reggeva la sua intera esistenza e aveva abbandonato da anni la convinzione di essere speciale, di potersi fare spazio nel mondo magari non con il talento innato ma almeno con l’intelligenza e il duro lavoro. Lui non era speciale, lui non era destinato a grandi cose. Era nato per dare l’impressione che lo fosse, ma era un guscio vuoto. Era spaventosamente, completamente, inesorabilmente mediocre.
Però un segreto ce l’aveva davvero. Ed era spaventoso al punto che neanche l’ossessione di arrivare in alto era riuscita a convincerlo a scoperchiarlo.
L’aveva progettato una volta da bambino, sul tetto della casa in cui viveva nella periferia squallida della Tribù dell’Acqua del Nord. A quei tempi il suo sogno era diventare il dominatore dell’acqua più forte al mondo e la sua immaginazione era stata elaborata abbastanza da convincerlo che quello fosse qualcosa di più che un sogno: il futuro. È una cosa che possono permettersi i bambini e i malinconici, l’idea che i sogni si confondano e si amalgamino così bene al futuro. Ci aveva messo un anno di ostinati tentativi e alla fine ci era riuscito, il talento che era certo di possedere si era sposato allo studio di mesi e a un’intuizione semplice come tutte le cose a cui nessuno pensava mai: l’acqua era ovunque.
Aveva messo in pratica il suo esperimento e sua madre l’aveva scoperto, appena qualche anno prima che la Nazione del Fuoco spezzasse la sua vita e con lei tutti i castelli di vetro di Oikawa. Quella notte, gli aveva fatto promettere che non l’avrebbe fatto mai più. Lui le aveva dato retta, l’aveva giurato a se stesso perché aveva visto il terrore nei suoi occhi, un tipo di terrore così assoluto, così puro, che non aveva lasciato spazio neanche all’ombra dell’ammirazione che Oikawa si era aspettato quando per la prima volta aveva accarezzato l’idea. La vergogna aveva dato un nuovo colore a quel talento. Ed era marcio.
Un sospiro triste gli lasciò le labbra, quando sollevò gli occhi in quelli dell’uomo immenso che voleva vederlo inginocchiarsi. Cercò di farlo passare per arroganza.
“Oikawa, non è il momento,” gli sussurrò Iwaizumi, concitato, voltandosi quanto bastava per dare l’impressione che lo stesse guardando. “È inutile provarci. Non c’è acqua, qui.”
“L’acqua, Iwa-chan,” Oikawa sbuffò in una risata triste e alzò entrambe le mani in segno di resa. Incontrò i suoi occhi per un attimo, poi li spostò sulle tre guardie. “È ovunque.”
Sollevò le spalle e fletté le dita in avanti. I tre uomini sgranarono gli occhi, il terrore li investì e li soffocò, pareva che le loro pupille sparissero sotto il livello di un mare in tempesta, annaspando attorno a un concetto che non riuscivano a capire. Oikawa mosse le dita e loro cominciarono a muoversi a scatti contro la loro volontà. Atsumu si voltò di colpo a guardarlo, le sopracciglia aggrottate, mentre si alzava per lasciarli passare.
“Ma cos’è?” chiese Osamu, guardando la scena come se si stesse svolgendo al rovescio.
Akaashi tenne gli occhi sugli uomini che, lentamente ma inesorabilmente, Oikawa stava spingendo solo con le dita e la forza del pensiero fuori dalla mongolfiera. “Nel nostro corpo c’è molta acqua” spiegò, “in giro si dice che alcuni dominatori sappiano sfruttare questa cosa in loro favore. Lo chiamano dominio del sangue. Non è proprio… ben visto, neanche in teoria.”
I soldati abbandonarono la mongolfiera con un ultimo passo involontario, poi Oikawa chiuse la porta alle loro spalle e rimase lì, fermo davanti al suo legno scuro. “Dovreste riuscire a prendere comando della mongolfiera, adesso.”
Nessuno si mosse, però, il silenzio si allargò come le onde di una pietra lanciata in uno stagno immobile.
Oikawa si voltò a guardarli e Iwaizumi si riscosse di scatto. “Allora? Che stiamo aspettando? Hinata, tu hai il buco nel pallone da riparare.”
Shouyou si mise sull’attenti e si fiondò con un salto verso l’interno del pallone. Il resto del gruppo invece corse nella cabina di comando, di colpo indaffaratissimo.
 
“Ma perché credete che sappia governare questa cosa? Non sono io quello che ha un bisonte volante!”
“Perché, scartina,” rispose la voce di Oikawa, seccata, “altrimenti sei completamente inutile.”
“Io sono cresciuto tra due vicoli e un locale poco raccomandabile, perché dovrei saper far volare una mongolfiera della Nazione del Fuoco?”
“Puoi farcela, Atsumu!” si unì Shouyou, lanciandosi leggero da una parte all’altra dei meccanismi interni del velivolo per raggiungere il buco da riparare. Iwaizumi stava alimentando la combustione del gas.
“Sentito? Il tuo fan numero uno dice che ce la fai.”
“Oikawa.” La mongolfiera guadagnò qualche metro grazie allo sferragliare costante di Iwaizumi, il cui fuoco strisciava contro lo sportello del bruciatore e lo faceva sbatacchiare. Rumore di legno che strideva contro altro legno segnalò che Atsumu aveva mosso un po’ titubante il timone. “Appena prendiamo quota giuro che ti butto giù.”
Sobbalzarono in seguito a uno scossone, poi Atsumu raddrizzò il tiro gentilmente e i monti di Zoulang presero ad allontanarsi con crescente rapidità. Osamu attraversò il labirinto di corridoi e stive in cerca della stanza che conteneva il carico dei dominatori dell’aria. Attraverso degli oblò inseriti equidistanti sulle pareti esterne della mongolfiera, notò il paesaggio rimpicciolirsi e l’ombra scura di Mugi passargli davanti ogni volta che compiva un giro attorno al veicolo.
Si fermò davanti a una porta di legno che sbatacchiava contro l’intelaiatura al ritmo del vento, mosse un passo nella sua direzione e le assi del pavimento scricchiolarono. Aggrottò la fronte e strinse la mano attorno alla maniglia d’ottone opaco, il vociare leggero dei ragazzi dall’altra parte della mongolfiera gli arrivava attutito dagli strati di legno che lo separavano da loro. Poi ruotò la maniglia e il vento lo investì.
Sollevò una mano per parare il flusso d’aria. Si trovava su un balcone incastonato sul fondo della mongolfiera. Pareti di legno lavorato allo stesso modo degli interni contornavano l’intero spazio e ne facevano un cubicolo. Un parapetto dipinto vagamente più scuro si affacciava sul vuoto. Mughi ruggì appena più su e Osamu riconobbe la punta della sua coda abbassarsi per darsi la spinta.
Sul balcone non era solo.
Le voci erano state sostituite dal fischio permeante del vento, che lo investiva a ondate e infilava le dita irriverente nei capelli di Akaashi. Lui, affacciato alla balaustra, gli dava le spalle.
Osamu si avvicinò come se il ricercatore fosse stato un’anomalia del vento, un addensamento impossibile che avrebbe potuto svanire solo con un soffio del suo respiro.
“Non stavi cercando il carico dei dominatori dell’aria?” disse invece all’improvviso.
Osamu si stupì che l’avesse sentito e lo stupore stesso lo stupì. Era esattamente la forza invisibile che lo costringeva a gravitargli attorno. Perché Osamu semplicemente non si stupiva. Mai. Le cose le prevedeva o gli risultavano così insignificanti da non provocare alcuna reazione in lui quando poi si verificavano. Ba Sing Se era una fregatura, ma non era così sorprendente se per anni aveva sempre avuto la sensazione che qualcosa non quadrasse ma non avesse semplicemente mai avuto alcun interesse ad approfondire. A Kao Lai pioveva cenere, la guerra esisteva, aveva combattuto in un’arena e Shouyou Hinata era un dominatore dell’aria, ma nulla di tutto questo era riuscito a scalfire lo strato di calma di cui si vestiva per evitare di mettere piede fuori dalla certezza della sua testa troppo a lungo. Questo finché non si era trovato a specchiarsi negli occhi torbidi di Akaashi e vedere i suoi sgranarsi nel loro riflesso.
“E invece ho trovato te,” ribatté, appoggiandosi disinvolto anche lui alla ringhiera. Infilò l’indice della mano destra nel buco che il ghiaccio di Akaashi aveva aperto nei suoi vestiti nel bosco di Shoubei. Sembrava passata una vita.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, il suono del vento che si abbatteva sul pallone della mongolfiera sapeva essere dolce come quello di una nave che fende le acque dell’alba.
“Hai abbastanza materiale per la tua prossima favola?”
Akaashi si strinse nelle spalle e inspirò bruscamente in un fischio pensieroso. “Credo che quello che è successo si presti più all’informazione.”
“Sì.” Osamu annuì e sbuffò, cambiando posizione e appoggiandosi con la schiena alla ringhiera, a braccia conserte. Stare sull’orlo ricordava un po’ troppo il tipo di viaggio sulla schiena di Mugi e iniziava a dargli il mal d’aria. “In realtà avrei un’idea.”
Akaashi si voltò di scatto. Avere tutta la sua attenzione era un compito enorme che non era certo di saper gestire. Sembrava fragile e letale come il suo ghiaccio. Osamu si diede dello stupido e distolse lo sguardo. Lo incollò alla porta chiusa che aveva ripreso a sbattere su se stessa.
“Io vengo da Ba Sing Se. Lì molti credono che la guerra non ci sia o che sia finita da tempo, altri sono costretti a tacere. Il Dai Li, un gruppo di agenti addestrati nel dominio della terra, attacca chiunque attenti all’incolumità di questa bugia. Non so esattamente cosa accada a chi viola le leggi, ma data l’assenza di proteste e visto quanto la messinscena regge, immagino vengano messi a tacere in qualche modo.”
Akaashi piegò un sopracciglio. “Credevo che fosse la città più avanzata del Regno della Terra.”
“Lo è.” Osamu annuì, “ma è avanzata anche nel controllo della sua popolazione, immagino. In ogni caso, far entrare informazioni apertamente è del tutto impossibile, quindi stavo pensando che per una volta potresti unire favola e verità e… scrivere storie che contengano messaggi in codice su quello che accade davvero oltre le mura di Ba Sing Se. Forse non cambierà le cose, ma instillerà il dubbio in qualcuno e sarà impossibile identificare l’anello debole in un libro, quando la reazione a catena sarà così avanzata da produrre effetti rilevanti.”
Il volto di Akaashi si illuminò. Osamu pensò che fosse un po’ strano che avesse passato la vita a dividersi tra fatti storici e fantastici e non avesse mai pensato di unirli. “Si può fare,” fu la sua risposta ponderata, ma i suoi occhi brillavano.
“Potrei darti una mano. Faccio schifo a scrivere, ma so come funziona la mente della gente di Ba Sing Se, quindi…” lasciò che la mano e il resto della frase vagassero nel cielo immenso sopra Kao Lai. “E posso cucinare qualcosa tra una pausa e l’altra.” , pensò Osamu, sarcastico, poi potremmo comprare casa in campagna e circondarci di animali da compagnia e un bell’orto.
Osamu scacciò all’istante la vita bucolica che stava immaginando con filtro patetico, perché Akaashi gli stava porgendo una mano. La strinse, un po’ frastornato, e poi continuò a stringerla. Era calda, sorprendentemente – Osamu non smetteva di sorprendersi con lui, a quanto pareva –, al contrario del ghiaccio di cui si circondava. Lo guardò e sembrò l’inizio di tutti i loro incontri. Sembrava che facessero a gara a chi immobilizzava l’altro prima che potesse attaccare, sembrava che cercassero costantemente un punto debole in cui infilarsi e accendere una miccia, distruggere facciate che erano abili entrambi a costruire con meticolosa ostinazione.
Akaashi si schiarì la voce, Osamu lo imitò e gli lasciò la mano come se avesse preso una scossa a scoppio ritardato. Si impose di non arrossire, perché era una di quelle cose patetiche che faceva suo fratello e che si era ripromesso di non ereditare mai, perché non importava contro chi combatteva, Osamu lottava sempre un po’ anche con Atsumu.
“È davvero una buona idea,” ragionò Akaashi, lo sguardo vagava di nuovo nel vuoto, “come ho fatto a non pensarci prima?”
Osamu odiava Atsumu, odiava odiava odiava Atsumu, ma in quel momento cercò di imitare la sua faccia tosta. “Perché non conoscevi ancora me.”
Akaashi lo guardò un attimo soltanto, poi tornò a fissare il cielo. Gli angoli delle sue labbra si arricciarono appena in un sorriso.
 
***
 
Un paio d’ore più tardi, la mongolfiera atterrò con delicatezza sul suolo di un isolotto non lontano dal Tempio dell’Aria dell’Ovest, al largo di Kao Lai. Dalle coste scoscese a strapiombo sul mare, se si aguzzava la vista, si riuscivano a distinguere i contorni in divenire di una nube di lacrime di carbone.
Iwaizumi lasciò cadere una cassa di legno ai piedi della mongolfiera e si ripulì del sudore sulla fronte con il dorso della mano. “Questa era l’ultima.”
Shouyou gli sorrise grato e con un salto raggiunse la cassa più grande. Batté il lato di una mano su una zona fragile, dove due assi si incrociavano, e uno stridio di aria compressa anticipò la caduta di tutti i pannelli che tenevano in piedi la scatola.
Al suo interno c’erano due scatole più piccole, del tutto identiche. Legno e metalli preziosi si davano la caccia in un intrico di bassorilievi dettagliatissimi di dominatori dell’aria e simboli sacri. In cima a ognuno degli scrigni, al posto di un lucchetto, al centro, campeggiavano tre aperture simili alle campane delle trombe.
“Li apriamo e poi li riportiamo al Tempio dell’Aria dell’Ovest?” domandò Shouyou, voltandosi a intercettare gli occhi curiosi dei suoi cinque compagni di viaggio, che annuirono in fretta.
Il mare attaccò impetuoso la scogliera, rombava ostinato a dare l’impressione che bastasse una sola onda a scalfire le pareti dell’isola, eppure quella non si mosse. I capelli di Shouyou si arresero al vento, che lassù soffiava forte, padrone di tutto quel vuoto più di quanto lo fosse in cielo, dove forse il suo dominio pareva più scontato.
Sembrava il luogo perfetto per la fine di un viaggio.
Shouyou diede loro di nuovo le spalle, si sedette e fissò un punto distante della distesa d’acqua che dominava il paesaggio. Il sole faceva brillare le onde all’orizzonte. Svuotò i polmoni in un respiro lunghissimo e si portò le mani sotto al mento, allargando le dita per dividere il suo respiro in tre parti, che fece confluire nelle tre aperture in cima allo scrigno. A stento udì un click garantirgli l’accesso all’ultimo tesoro dei dominatori dell’aria.
Aprì il coperchio e sorrise raggiante al motivo di tutti quei chilometri.
“È uno scherzo?” udì Atsumu domandare, mentre si sporgeva oltre la sua spalla per dare un’occhiata.
Shouyou si voltò verso la sua voce e se lo trovò più vicino di quanto si aspettasse. Seduto sui calcagni, abbassò lo sguardo solo un attimo sulle sue labbra, prima di tornare a dedicarsi al contenuto della scatola. A Shouyou non sarebbe dispiaciuto un secondo in più di contatto di visivo, così continuò a guardarlo aggrottare le sopracciglia nel principio di un broncio. Era buffo.
“Sono… semi?”
Shouyou non staccò lo sguardo da lui, quando annuì.
“Che cosa?” domandò Oikawa in uno sbuffo divertito, avvicinandosi. “Semi, hai detto?”
“Abbiamo girato il mondo per dei semi?” continuò Atsumu, che doveva essere particolarmente sconcertato da una cosa che Shouyou trovava normalissima, se non aveva colto l’occasione per insultare Oikawa.
“Ma certo, ha assolutamente senso,” ribatté Osamu, le mani seppellite nelle tasche. Calciò una pietruzza giù dalla scogliera. Shouyou non la vide atterrare in acqua e non udì neanche il mare mangiarsela e spedirla sul fondale.
“Davvero? Sapevo che avresti capito, Osamu!”
“No, no,” anche Osamu si accovacciò e si sporse oltre la spalla che non stava occupando Atsumu. Affondò una mano nei semi, come per accertarsi che fossero reali. “Ero ironico,” sussurrò pensieroso, portandosene un paio al naso e inspirando. “Sono semi per davvero, assurdo,” commentò con fare pratico.
“Non sono solo semi, vero?” domandò all’improvviso Akaashi dalle retrovie. Shouyou si voltò a guardarlo con un sorriso enorme. Una cosa strana di Akaashi, secondo Hinata, era che sembrava impossibile riuscire a liberarlo dalla maledizione di quel cipiglio. Anche quando non ce l’aveva sembrava che ce l’avesse.
“Sì, sono solo semi!” Shouyou richiuse la scatola e il meccanismo a soffi scattò. Si tirò su, spazzolandosi i vestiti, “ma non sono solo semi, hanno un significato.”
Accolse gli sguardi non equamente divisi tra scetticismo e curiosità dei suoi nuovi amici. Akaashi pareva l’unico curioso.
“La Nazione del Fuoco non ha mai trovato queste scatole in ottantacinque anni di occupazione intermittente dei Templi dell’Aria. Non è strano?”
“È strano che gli scrigni valgano più di quello che c’è dentro,” interloquì Atsumu.
Shouyou scosse la testa. Non capiva perché non capissero. “È perché i dominatori dell’aria hanno fatto in modo che fossero difficilissimi da trovare. Hanno fatto di loro i grandi-mitici-ultimi tesori dei Nomadi dell’Aria! I semi simboleggiano la rinascita, la vita. Ogni scrigno contiene una manciata di semi delle piante più pregiate che i Nomadi hanno raccolto nei loro viaggi, ma anche di quelle più importanti da coltivare, così che, se accadesse qualcosa al mondo, i superstiti potrebbero farlo rinascere, ripopolarlo, dargli nuova vita. È una figata!”
“Ma per aprire la scatola serve un dominatore dell’aria. Ancora non capisco perché siano chiusi in scrigni così elaborati, se dentro ci sono solo dei semi,” intervenne Iwaizumi.
Shouyou scosse la testa e sorrise. “Non c’è bisogno che qualcosa sia di valore perché valga tanto.”
Mare e vento picchiarono placidi il loro assenso. Atsumu gli sorrise e Shouyou ricambiò, perché con tutte le sue ombre, Atsumu faceva davvero davvero un sacco di luce.
“Mangiamo?” offrì Shouyou e si portò due dita alla bocca per fare un fischio a Mugi, che ruggì in risposta.
 
I gemelli Miya avevano perso il conto delle volte in cui avevano detto loro che erano destinati a fallire.
C’era stato il venditore di pesce andato a male, a un paio di vie strette e malridotte di distanza dalla stanza fatiscente in cui vivevano. Il tanfo del suo pesce, alle prime luci dell’alba e col vento a favore, si infiltrava tra le aste piatte della tapparella della loro unica finestra, insieme ai primi raggi di sole, e la puzza restava a volte anche tutta la giornata. Che avrebbero fallito, gliel’avevano detto anche Ki, il fruttivendolo a cui Atsumu rubava sempre le mele, il calzolaio scemo, suo figlio ancora più scemo e la venditrice ambulante Flipper. La chiamavano così perché cambiava i prodotti che vendeva alla velocità della luce e in base a quello che si procurava per caso o per reato. Un giorno le si poteva chiedere un orologio, quello dopo una fetta di prosciutto. Il minimo comun denominatore era che non c’era comunque mai da fidarsi sul versante qualità. L’intera e pittoresca popolazione della zona in cui vivevano nell’anello esterno di Ba Sing Se si era adoperata negli anni per convincere tutti i ragazzi, in una forma di contorto senso di protezione, che nella vita avrebbero fallito e basta. Che sognare era bello, ma che non bisognava crederci troppo perché più si lottava per uscire dalla merda, più questa ti tirava giù. I gemelli Miya davano nell’occhio ed erano un’accoppiata particolarmente vivace sul fronte scippi come sul fronte casino e quindi erano più esposti di altri al mantra del fallimento.
I gemelli Miya non avevano mai dato troppo peso a quelle predizioni e non perché credessero di essere destinati a chissà quale tesoro, ma perché era impossibile disperarsi per il fallimento quando il più dorato successo a cui avessero mai aspirato era convincere l’uomo gioviale dietro il bancone della Zanna del Serpente a dar loro una birra omaggio. In realtà proprio lui, per qualche ragione, era sempre stato discretamente protettivo nei loro confronti.
Forse alla fine di quel viaggio, seduti con le gambe penzoloni oltre una scogliera che sembrava autoproclamarsi a gran voce il capolinea del mondo, il vento che fischiava e rombava e sussurrava nelle orecchie, il successo non aveva alcun valore. Restava una parola che acquistava significato solo come contrario di fallimento.
Avevano vinto alla fine e avevano fallito milioni di volte nel mezzo, a mostrare che forse un concetto estremo e conclusivo di successo non esisteva davvero. Avevano fallito quando erano stati costretti a scappare da Ba Sing Se e, assurdamente, questo aveva fatto assaporare loro la libertà. Avevano fallito quando Osamu si era avventurato nel bosco di Shoubei in cerca di legna e aveva incontrato un nemico prezioso. Avevano fallito quando Saya aveva distrutto la loro unica possibilità di mettere le mani su un mucchio di soldi utili e avevano vinto qualcosa di più importante poco dopo. Avevano fallito quando erano arrivati in ritardo al Tempio dell’Aria dell’Est ed erano stati costretti a correre a Kao Lai, ma era stato in quel momento che avevano dato il meglio di loro. Avevano fallito quando avevano speso tutti quei soldi nel modo sbagliato, stando al gioco della Nazione del Fuoco e poi poco dopo si erano riorganizzati e li avevano fatti a pezzi. Avevano fallito nel fallire, perché alla fine Atsumu aveva trovato il sole e Osamu il ghiaccio.
“Adesso che si fa?” domandò Oikawa, addentando una delle noccioline di Shouyou dalla sua scorta evidentemente illimitata. Sbadigliò prima che arrivasse il sapore un po’ stantio, poi accartocciò la faccia e tossicchiò.
“Io devo portare i semi al sicuro al Tempio dell’Aria dell’Ovest,” spiegò Hinata, ficcandosi poi una tonnellata di noccioline in bocca. Lui non sembrava avere le stesse difficoltà di Oikawa. “Poi riprenderò a viaggiare.”
“Be’, io pensavo di tornare alla Tribù dell’Acqua del Nord. Mi conviene sparire da Kao Lai per un po’.” Oikawa lasciò le noccioline che non voleva in grembo a Iwaizumi con uno scatto felino e si ripulì le mani per nascondere le prove. Lui se ne accorse in ritardo ed ebbe solo modo di soffocare una protesta e sbuffare esausto. Sfiorò gli occhi di Oikawa solo per un secondo, poi spostò lo sguardo sul mare, disinteressato.
“Mmh,” mormorò, come a dirgli che tornare al nord era una buona idea.
Oikawa invase il suo spazio personale e abbassò il capo a cercare il suo sguardo. “Vieni con me?”
“Ho delle…” Iwaizumi increspò le sopracciglia, con studiata concentrazione, “delle faccende da sbrigare…”
“Io e Iwa-chan andiamo alla Tribù dell’Acqua!” annunciò Oikawa ad alta voce a tutto il gruppo.
“Sei davvero un prepotente.”
Oikawa sollevò le sopracciglia, poi sorrise e alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo. “‘Ho delle faccende da sbrigare’, come no, non ti lasci proprio mai aiutare, tu.”
“Qualcuno deve bilanciare tutto il tuo piagnucolare,” borbottò Iwaizumi.
“Noi torniamo a Ba Sing Se,” disse invece Osamu, scambiando un’occhiata complice con Akaashi, che annuì tranquillo in risposta.
“Dobbiamo avvertire Aran, Kita e gli altri della guerra e di come stanno davvero le cose,” continuò Atsumu.
“Senza contare che probabilmente ci avranno dati per morti.”
“Non che mi manchi sorbirmi tre strigliate al giorno da Kita…”
“Gli animali selvaggi vanno addomesticati,” cinguettò Oikawa, intromettendosi.
“E i cagacazzi vanno lasciati su un’isola in mezzo al nulla, quindi tu resti a piedi,” ribatté Atsumu.
“Oooh, spaventoso.” Oikawa sgranò gli occhi e fece ondeggiare pigramente le braccia davanti a sé, in direzione di Atsumu. “Lasci un dominatore dell’acqua solo in mezzo al mare, è una tragedia, sei cattivissimo!”
Il resto dei ragazzi si alzò tra grugniti e risate (queste ultime solo di Shouyou, unicamente di Shouyou) per l’ennesimo round di battibecchi. Iwaizumi dovette scrollare il braccio di Oikawa via dal suo, dov’era attorcigliato, per riuscire nell’impresa. Raccolsero borse, provviste e tesori vari e recuperarono la mongolfiera per un ultimo giro verso ovest.
“Tu mi devi ancora un favore,” disse Osamu ad Akaashi. C’era qualcosa, nel vento che gli scompigliava i capelli, che lo rendeva più selvaggio e quindi, agli occhi di Osamu, più alla sua portata.
“Un favore?” Akaashi aggrottò la fronte. “Combattere insieme mi sembra un favore ragionevole. E in ogni caso non ti devo alcun favore, visto che il bosco di Shoubei…”
“È sempre vuoto,” concluse Osamu per lui, con un sorriso pigro.
Akaashi lo guardò come si guarda un enigma che si comprende abbastanza perché si capisca che la scelta più saggia è lasciarlo irrisolto. Tentennò, poi abbassò lo sguardo sulle sue mani, “magari ti devo una maglietta,” concesse.
Il sorriso di Osamu si allargò in furbizia. Gli strinse il polso e gli sollevò il braccio. Un buco identico a quello che aveva lui apriva una finestra su una cartina di vene blu. “Te ne devo una anch’io, credo.” Osamu abbassò il braccio di Akaashi e gli allargò il buco nella manica, facendoci entrare una mano per intrecciare le dita alle sue.
Akaashi si irrigidì giusto il tempo che gli ci volle a elaborare una cosa che non aveva previsto, poi ricambiò la stretta.
 
Qualche minuto dopo, mongolfiera e bisonte volante erano pronti per riprendere l’ultimo viaggio verso il Tempio dell’Aria dell’Ovest per svuotare il carico, prima di dividersi. Iwaizumi e Oikawa erano già saliti in mongolfiera, seguiti da Akaashi, che commentava alcune delle idee ingegneristiche della Nazione del Fuoco, facendo domande a Iwaizumi di cui lui non conosceva neanche l’ombra di una risposta.
Shouyou, invece, stava accarezzando calmo il muso di Mugi, parlandogli di cose che nessun altro avrebbe potuto sentire con tutto quel vento.
“‘Samu, stavo pensando…” Atsumu afferrò il polso di suo fratello, prima che potesse salire anche lui in mongolfiera. La porta era aperta sullo stesso corridoio buio che avevano dovuto raggiungere con un salto di centinaia di metri nel vuoto solo qualche ora prima. In quel momento invece sembrava innocuo. “Quanto pensi che ci fermeremo a Ba Sing Se?”
Osamu aggrottò le sopracciglia. Si inumidì le labbra, il vento gliele stava seccando. Era certo che stesse succedendo anche a quelle di Atsumu, ma lui non sembrava farci caso. Lì sembrava… a posto. “Che vuoi dire?” domandò cauto.
“Sì, intendo… una volta detto tutto agli altri. Quanto credi che aspetteremo prima di ripartire?”
“‘Tsumu…” Se la forza di una realizzazione avesse potuto scuotere e spaccare il mondo, l’intera scogliera avrebbe aperto una voragine così profonda e così improvvisa da non lasciare a nessuno il tempo di mettersi in salvo. Fu come specchiarsi e non vedersi riflessi. Osamu inclinò il capo su un lato e guardò suo fratello come se avesse avuto per la prima volta un volto diverso dal suo. “Ripartire?”
Ogni singolo momento chiave aprì la sua porta. Atsumu seduto sulle panchine di pietra sul retro della Zanna del Serpente. Atsumu che non si guardava indietro mentre scappavano da Ba Sing Se. Atsumu che non aveva il mal d’aria. Atsumu che non aveva mai dominato il fuoco, ma si faceva insegnare trucchi nuovi da Iwaizumi. Atsumu che delineava il piano di viaggio alle sue spalle. Atsumu che non gli chiedeva se voleva restare a Oshubi. Atsumu che bruciava gli stendardi della Nazione del Fuoco al Tempio dell’Aria dell’Est.
Si guardarono. Nel fremito delle sue sopracciglia, Osamu riconobbe che Atsumu era arrabbiato perché era ferito. “Io voglio tornare a casa, ‘Tsumu.” Era ovvio, era normale. Atsumu aveva vissuto tutta la vita in un posto in cui era un errore. Osamu aveva vissuto tutta la vita immerso nel suo elemento.
Il vento sfilacciò il silenzio. “È perché hai uno stupido progetto con Akaashi? Ti sei innamorato? È questo il punto? Non è una scelta lucida!”
“Potrei dire lo stesso di te!”
“Questa è vita, ‘Samu! Pensavo che lo volessi anche tu. Pensavo che vivere in quella merda ti stesse stretto.”
“Questo non c’entra con…” si interruppe. Sospirò. “Quando qualcosa non funziona non per forza si butta via. A volte si prova ad aggiustarla.”
Shouyou atterrò tra loro. I suoi spostamenti d’aria erano muti con tutto quel vento. “Dobbiamo ripartire! Che state…” sollevò un angolo della bocca, poi sgranò gli occhi. In un altro contesto, Osamu l’avrebbe trovato un sacco buffo. “Ehi, non litigate!”
“Io vado in mongolfiera, attenua il mal d’aria.”
Atsumu annuì, la sfida negli occhi. “Io vado con Mugi e Shouyou.”
“Va bene.”
“Bene.” Si avviarono in direzioni opposte. Shouyou rimase qualche altro attimo confuso nel mezzo, poi volò in groppa al bisonte volante. “‘Samu!”
“Che vuoi?” Osamu si voltò, seccato.
“Ti dimostrerò che sarò il fratello più felice.”
Osamu rise. La risata morì negli occhi. “Non se lo sarò io.”
 
 
A Ba Sing Se, Kita alzò lo sguardo verso il cielo terso del primo pomeriggio. Si portò una mano agli occhi per schermare la luce e scandagliò l’aria per assicurarsi di non scambiare alcun bisonte volante per una nuvola. “Vi prego, non tornate,” sussurrò a se stesso, poi aprì la porta sul retro della Zanna del Serpente per raggiungere gli altri a un tavolo con solo tre sedie.





 
Noteee: EEeeeeEEEeccoci, mi scuso per il disguido e il momentaneo monopolio di efp che ho avuto in questi intensi minuti di ripubblicazione (io lo so LO SO LO SOOO intimamente che ho commesso qualche errore. Nel caso questa fosse la vostra prima volta qui, vi lascio alle vere note.
COMUNQUE ho scritto questa storia a intermittenza per nove mesi. La maggior parte è stata scritta IN blocco e sono certa di non aver dato il meglio di me. Non posto da mesi e prima dell'ultima storia postata pure non ho postato per mesi. Mi sento iper arrugginita e questa intera fic non è per niente nel genere che scrivo di solito, quindi devo ammettere che sono terrorizzata all'idea di buttarla qui, ma ci ho lavorato tanto e voglio prendermi la soddisfazione di vederla qui, con tutti (e sono tanti, veramente un sacco) i suoi difetti.
Grazie alla Svizzera per alcuni paesaggi e alla Shilin in Cina per la foresta di pietra! E grazie a voi per aver letto veramente TUTTA questa roba, la pazienza la sopportazione la dedizione GRAZIE questa è roba tipica solo degli haters, quindi insultatemi, ve lo siete meritato!
(Grazie davvero, genteh)

El.

 

 
   
 
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