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Autore: Red_Coat    26/12/2022    0 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Era il crepuscolo, quando Denzel riaprì gli occhi.
Si sentiva meglio, più in forze e senza brividi.
Per tutto quel tempo era rimasto con Aerith, immerso nel calore di un sogno pieno di luce, e del profumo intenso dei fiori a cui la ragazza si dedicava con solerzia.
L'aveva aiutata volentieri, senza chiedersi se avesse senso, o quanto tempo fosse trascorso da che si erano incontrati.
Lei era stata gentile, gli aveva chiesto come andassero le cose, se il geostigma lo facesse soffrire tanto. Lui aveva risposto di no per non intristirla, accorgendosi solo allora di non sentire più tanto il peso di quella malattia. Si sentiva un po' stanco, ma quel luogo sembrava fargli bene.
 
«Siediti, se vuoi.» gli disse dolce, indicando un grosso masso proprio a pochi passi da loro.
 
Il ragazzo accolse l'invito, trovando che in fin dei conti quel giaciglio non fosse poi così scomodo. Non c'era niente di scomodo li, nessuna sensazione sgradevole, niente che desse fastidio al corpo e all'anima.
E lei, con la sua dolcezza e i suoi sorrisi, sembrava l'angelo custode di quell'angolo di paradiso.
Rimase seduto ad osservarla accarezzare i petali dei fiori, dare da bere ad alcuni e incoraggiarne con parole dolci altri. Anche loro, notò, sembravano non avere nessun problema, a differenza dei fiori nella chiesetta ad esempio, che seppur in buoni condizioni risentivano delle sue premurosa attenzioni.
Calò un silenzio tranquillo tra di loro, per un bel po' di tempo nessuno parlò.
Poi una domanda riscosse il ragazzo dal torpore tranquillo in cui era caduto.
 
«Come stanno gli altri?»
 
Si riscosse, guardandola. Anche se continuava a sorridere e ad affaccendarsi coi suoi fiori, un velo di tristezza calò sul suo volto, e la luce nei suoi occhi si spense un po'.
 
«Oh...» mormorò il ragazzo, mordendosi le labbra e aspettando un po' prima di risponderle, cercando di trovare le parole giuste per renderle tutto meno amaro possibile «Io...» bofonchiò infine, aggrappandosi al bordo della roccia «Bene, credo. Siamo insieme, adesso. Abbiamo ritrovato Cloud.»
 
La ragazza sorrise tristemente, fermandosi un istante ma senza alzare gli occhi su di lui.
 
«Si... lo so...» mormorò.
 
E per un momento solo Denzel fu sicuro di averla vista tremare.
Poi finalmente si voltò verso di lui, ed esitante trovò il coraggio di chiedere.
 
«E lui? Come ti sembra... credi... pensi che abbia ancora voglia di combattere per noi?»
 
Denzel si fece pensieroso, aggrottando le sopracciglia e riflettendo su quella domanda strana alle sue orecchie. Lui era solo un bambino che non aveva combattuto la grande guerra tra Cetra e Figli di Jenova, un innocente che ne aveva subito solo le terribili conseguenze.
Perciò li per lì non seppe cosa rispondere, e questo Aerith parve capirlo, perché cercò di scusarsi ritrovando il buon umore e scuotendo il capo.
 
«Non importa.» disse «Lascia stare.» poi smise di accudire i suoi fiori e avvicinandosi di nuovo a lui si abbassò al suo livello, inginocchiandosi e prendendogli le mani «Puoi farmi un favore, Denzel?»
 
Ora ne fu sicuro. Era davvero triste e preoccupata. Talmente tanto che lui non riuscì ad esimersi dall'accordarle ciò che chiedeva.
 
«Digli... che noi siamo ancora con lui. Dillo anche a Tifa. E che... se lui deciderà di combattere, lo faremo anche noi.»
 
Di nuovo, Denzel fu sorpreso e stranito da quelle parole, poi però un'idea accese la sua mente.
 
«Aerith...» mormorò, catturando la sua attenzione «Posso chiederti una cosa?»
 
La giovane lo scrutò preoccupata per qualche istante, poi sorrise di nuovo, annuendo e restando ad ascoltarlo.
 
«Tu parli di combattere, ma...» iniziò il ragazzo, dopo un breve sospiro «Contro chi? E se Cloud dovesse decidere di farlo, tutto questo finirà?»
 
E con "tutto questo" Denzel intendeva la sofferenza, il declino del pianeta, la piaga degli zombies. Le milioni di morti inutili e tragiche.
La vide scurirsi ancora di più, chinare il capo e lasciargli le mani, gli occhi pieni di lacrime.
Le sue labbra rosee si chinarono in una smorfia e per un istante Denzel credette che stesse per piangere.
Poi però si riprese, si alzò e voltandogli le spalle replicò, con voce calma.
 
«Finirà, Denzel. In un modo o nell'altro finirà, ma... sarebbe tutto più facile se la speranza non ci avesse abbandonato.»
 
Poi chinò il capo, e allora si che fu sicuro di averla sentita singhiozzare.
All'improvviso, i fiori attorno a lei iniziarono ad appassire, fino a che di quel bellissimo prato non rimasero che piccole chiazze di colore sparse qua e là. Anche la luce si fece meno intensa, come quella del sole al tramonto.
Nel cuore del ragazzo calò una tristezza profonda, che lo spinse ad accorrere in suo soccorso.
L’abbracciò forte, e senza opporsi la sentì ricambiare, stringendolo sul proprio cuore e accarezzandogli la schiena.
Lui chiuse gli occhi e si concesse qualche lacrima, poi però tornò a guardarla e col coraggio che lo caratterizzava le disse, prendendole a sua volta le mani
 
«Non essere triste, Aerith. Io non ho perso la speranza. E se Cloud non vorrà farlo, sarò io a combattere.»
 
La ragazza si sciolse in un sorriso commosso, accarezzandogli il viso dolce e i capelli.
 
«Oh, Denzel. Credo...» mormorò, mentre il sogno iniziava a svanire «Credo che combattere non serva più a molto ora. Per far davvero finire questa guerra dovresti riuscire a riaccendere la fiamma della speranza nel cuore più oscuro, lì dove una volta non c'erano che luce, vita e amore. Ma è troppo tardi ormai... non ce ne siamo accorti. Noi... non siamo stati in grado di preservare quella fiamma quando potevamo farlo, e ora il gelo della morte ci divorerà uno ad uno.»
 
Questi furono gli ultimi singhiozzi che riuscì a udire, prima che il sogno svanisse restituendolo alla realtà. Si ritrovò seduto su quella panca gelida, con indosso una coperta di lana grezza e l'abbraccio di Marlene a scardarlo.
Ancora turbato dal sogno, per un attimo fu indeciso sul da farsi, poi però decise di non svegliarla, scostando il suo braccio e lasciandole addosso la coperta per dirigersi in punta di piedi verso il grande portone d'ingresso.
Aerith aveva parlato di un cuore in cui regnavano le tenebre, e chissà perchè lui si era convinto avesse parlato di Cloud. Se per far finire la guerra bastava riaccendere la fiamma della speranza, allora lui poteva farlo eccome. Non sarebbe finita, ora che sapeva come agire.
Ma quello che sentì non appena raggiunse la soglia gli fece cambiare idea, facendo luce su quelle parole enigmatiche.
 
«Mi spiace per Shera, Cid.» disse la voce di Barret «Davvero. Credo di sapere come ti senti.»
«Vorrei poter avere quel demone di Osaka tra le mani e finirlo a colpi di alabarda!» sbottò il pilota, amaro, dando sfogo al suo dolore e alla sua rabbia.
 
"Osaka?" pensò dentro di sé il ragazzo, continuando ad ascoltare nascosto nell'ombra.
 
«Anche io, credimi. Ah, quanto lo vorrei!» disse Wallace «Ma... non credo servirebbe a molto.» mormorò, poi dopo un istante di cupo silenzio soggiunse «Non riesco a credere a ciò che è stato in grado di fare... anche io ho perso molti amici per strada. Perfino i genitori di Marlene... ma non ho mai neanche sognato di fare quello che ha fatto lui. Omicidi... zombie...»
 
Scosse la testa, lasciando cadere nel vuoto il resto delle parole.
 
«Tifa è convinta che ce l'abbia con noi, ma perché dovrebbe?» si chiese invece «Insomma, che abbiamo fatto per meritare questo?»
 
Cid non seppe cosa rispondere, perciò ripeté le sue maledizioni contro l'assassino di sua moglie, ma a quel punto Denzel non lo ascoltava già più, perché quella domanda aveva già fatto breccia nel suo cuore.
 
«Denzel...»
 
La voce di Marlene sussurrò nell'ombra alle sue spalle il suo nome, riscuotendolo.
Si voltò e la vide scrutarlo, del tutto sveglia.
 
«Che fai?» domandò.
 
Lui le fece segno di tacere, poi la prese per mano la condusse lontano dagli adulti, a ciò che restava dell'ingresso al piano di sopra.
Si sedettero sul primo scalino, e solo allora il ragazzo si aprì.
 
«Ho visto quella ragazza, Marlene. Aerith. Mi è venuta in sogno.»
 
La bambina s'illuminò.
 
«Davvero? E che ti ha detto?»
«Che il solo modo per far finire questa guerra è riaccendere la speranza in un cuore gelido come la morte.»
 
La ragazzina s'impensierì.
 
«E chi sarebbe?» domandò.
 
Denzel sorrise trionfante.
 
«Io credevo fosse Cloud, ma poi ho sentito parlare Barret e Cid.» le spiegò, ma sul punto di darle la rivelazione si bloccò.
«E allora?» lo incoraggiò lei «Cosa dicevano?»
 
Denzel la guardò negli occhi, quindi sospirò e chiese.
 
«Tu hai mai sentito parlare di un certo Osaka?»
 
Marlene s'illuminò.
 
«Intendi Victor Osaka?» domandò incuriosita, poi annuì «Certo. Ho sentito Tifa parlarne con un turk, prima che arrivassi tu. Ho provato a chiederle chi fosse, ma lei non ha voluto rispondere. In realtà, penso che il solo pensarci faccia a tutti una paura enorme.»
 
Denzel annuì.
 
«Ci credo. A quanto pare è proprio lui ad aver creato gli zombie. E sembra che lo abbia fatto perché ha qualcosa contro Cloud e gli altri.»
 
Marlene lo fissò a bocca aperta, realizzando subito ciò che questo significasse, ma senza il coraggio di credere a ciò che restava da dire.
 
«Quindi...» mormorò dopo un po', intimorita e preoccupata «Tu... pensi che Aerith parlasse di lui? Che fosse il suo il cuore che dobbiamo cercare di riaccendere?»
 
Denzel annuì, facendosi serio.
 
«Pensaci. Non credo che Cloud sia capace di spingersi tanto oltre, mentre questo Osaka...»
«Ma, e se non ci riuscissimo? Se fosse troppo tardi?» domandò allora la bambina, ripensando agli zombie e restando un po' terrorizzata alla sola idea di dover andare incontro a braccia tese a un uomo che era stato in grado di creare mostri simili.
 
Tuttavia, la sicurezza negli occhi di Denzel la spinse ad avere fiducia, se non nella riuscita di quel piano, quanto meno in lui, e nelle parole di Aerith.
 
«Ce la faremo, ne sono sicuro.» ribadì infatti il ragazzo «Aerith ha detto che una volta nel suo cuore c'erano amore, vita e luce. Questo vuol dire che possono tornare ad esserci. Magari, in fondo a tutto questo odio qualcosa è rimasto.»
 
Poi la fissò negli occhi, e proprio come la ragazza dei fiori aveva fatto con lui le prese le mani, concludendo.
 
«Io non ho mai conosciuto Aerith, ma... era davvero tanto, tanto triste. Ha detto che la speranza sta scomparendo dai cuori di tutti, e io le ho promesso di aiutarla. Perciò... se nessuno crede più che le cose possano cambiare, io devo quanto meno provarci.»
 
Marlene tacque, guardandolo negli occhi. Era pallido, provato dal geostigma, ma una nuova forza sembrava avergli riempito il cuore. E quella forza, ne fu sicura, solo Aerith sarebbe stata in grado di dargliela.
Cloud e Tifa non volevano più combattere? Erano davvero... così stanchi e spaventati?
Allora... non restava altra soluzione che seguire l'unica strada ancora illuminata dalla ormai flebile luce della speranza. In fondo il futuro era il loro, era tempo di lasciare che i grandi si riposassero e raccogliere da loro il faticoso compito di preservarlo.
 
***
 
Subito dopo essersi occupato dell'ultimo erede della Shinra, Victor si era sentito nuovamente stanco, così aveva deciso di godersi quel momento un altro po’, tornando nell'appartamento in cui aveva vissuto con la sua famiglia prima della tragedia.
Aveva tirato fuori da uno degli album che conservava nella libreria dello studio una foto di Hikari e Keiichi, ritratti insieme il giorno del matrimonio, l'aveva inserita in una bellissima cornice di vetro e posta sul tavolino ora sgombro, accanto al pugnale ancora sporco del sangue di tutti i loro assassini, Hojo incluso, quindi aveva acceso tre candele bianche, una per Hikari, una per Keiichi e una per suo padre e tutte le altre persone a lui care morte a causa della Shinra.
Mentre i suoi fratelli organizzavano le ultime cose per la prossima mossa, lui era rimasto seduto sul divano di fronte a quell'altare improvvisato e lentamente era scivolato in un sonno profondo, attraversando i ricordi più belli grazie a sogni vividi che come balsamo avevano calmato il suo cuore, fino a condurlo lì dove il suo alter ego, Vittorio Blain, lo attendeva. Nella parte più luminosa del suo cuore.
Si ritrovò in piedi di fronte alle placide acque di un lago, e vide il Navy disteso su un manto di fresca erbetta, una gamba sopra l'altra, le mani giunte sotto la nuca e gli occhi chiusi contro la luce chiara che sfavillava ovunque.
 
«Vittorio...» mormorò Osaka, quasi sorpreso.
 
Questi non si mosse, ma al suo fianco, accucciato col muso sulle zampe, apparve Fenrir, che sentendolo arrivare abbassò le orecchie e alzò la testa per poterlo guardare meglio.
 
«Ciao Vic...» disse il ragazzo del suo sogno, senza guardarlo ma sorridendo appena «Vieni, siediti un po'. Si sta bene...»
 
Con uno strano peso sul cuore, l'ex SOLDIER guardò di nuovo le acque placide e sentì un nodo stringerglisi in gola.
 
«Si...» mormorò abbassando il capo «Si, lo so...»
 
A quel punto, Fenrir si mise a sedere, e uggiolò continuando a guardarlo, quasi lo implorasse di accogliere quell'invito.
Osaka sospirò, e controvoglia lo fece, sedendosi a gambe incrociate di fianco a Blain e prendendo a tormentare un filo d'erba, pur di evitare di guardare i dintorni.
Con la coda degli occhi, Blain lo fissò e sorrise di nuovo, stavolta più intenerita.
 
«Quindi...» fece «Che sapore ha la vendetta?»
 
Per niente sorpreso da quella domanda, Victor sorrise amaro.
 
«Dolce...» rispose seguitando a giocare con il verde stelo, poi però s'intristì un po' e aggiunse «Ma non è abbastanza... non lo sarà mai...» finì cupo.
 
A quel punto, Fenrir emise un leggero ringhio fissandoli, come a dargli ragione.
Blain finalmente riaprì gli occhi, guardandolo e annuendo, comprensivo.
 
«Già...» commentò «Solo adesso lo capisco.»
 
Calò un silenzio assorto tra di loro, rotto solo dal lento sciabordio delle acque.
Ognuno assorto nei suoi pensieri, per un po' si dimenticarono l'uno dell'altro, poi però Blain si mise a sedere, e richiamando per nome lo invitò a guardarlo.
 
«Vic...» disse, proseguendo solo quando furono occhi negli occhi «Siamo arrivati alla fine, lo sai questo, vero?»
 
Il SOLDIER sorrise e annuì, gli occhi stranamente lucidi.
 
«Lo so...» mormorò, smettendo di dare attenzione al filo d'erba e ponendosi finalmente faccia a faccia con quell'angoscia che lo tormentava da un po'.
 
Blain annuì, facendosi serio.
 
«Tu... sei sicuro di voler andare fino in fondo?»
 
Di nuovo, Victor tremò, sforzandosi di sorridere.
Stavolta attese qualche istante di troppo, prima di rispondere, esternando tutti i suoi dubbi. Con lui poteva farlo. In realtà, ormai quel ragazzo era diventato il suo unico, vero amico da un po'.
 
«Io... credo di sì.» esordì, facendosi poi pensoso e aggiungendo amaro «In fondo, cos'ho ancora da perdere? Qualsiasi cosa accada... qualsiasi sia il piano di Sephiroth... in un modo o nell'altro tutto questo finirà.»
 
Vittorio Blain lo fissò in silenzio per qualche istante, poi si alzò e gli si parò davanti, inginocchiandosi alla sua altezza.
Victor lo fissò stranito, accorgendosi solo allora, per la prima volta dopo tanto tempo, della sua incredibile somiglianza con Zack. Restò ad osservarlo a bocca aperta, come se non riuscisse a crederci, e Blain dovette averlo capito, perché sorrise, i suoi occhi si riempirono di lacrime, e con la mano destra gli batté una pacca sulla spalla.
 
«È proprio questo il punto, Vic.» replicò, come parlando a un bambino «Tu hai ancora molto da perdere, anche se adesso non te ne rendi conto. Ma il Pianeta questo lo sa, e cercherà di usarlo contro di te. Da adesso in poi...» lo avvisò quindi, facendosi torvo «Avrai bisogno di tutta la forza di cui sei capace, perché il giorno e la notte saranno pieni di fantasmi, gli spettri del tuo passato, che cercheranno per l'ultima volta di farti cambiare idea. Questione di giorni. Dieci, forse quindici... sarai in grado di respingerli e arrivare fino in fondo?»
 
Di nuovo, Victor rabbrividì. Quindi... era davvero la fine. Questione di giorni... lottare contro i fantasmi, consegnare la vendetta a Sephiroth... e dopo?
"Cosa succederà dopo?" avrebbe voluto chiedere.
Ma non ebbe il coraggio.
Si limitò a farsi serio, e annuire, mostrando una sicurezza che non aveva.
 
«Sono pronto...» decretò, nello sguardo la stessa furia torva del suo Generale, Maestro e Fratello quando aveva deciso che tutti gli anni passati al servizio della Shinra non lo avrebbero più riguardato «La vendetta è tutto ciò che mi resta. La avrò...»
 
E poi sia quel che sia.
Ma Fenrir lo guardò, reclinando il capo con aria interrogativa. Neanche Blain sembrò essere persuaso da quella risposta, tuttavia decise di lasciarlo andare per il momento.
Avrebbero avuto modo di parlare ancora, prima della fine. Ed erano molte le cose da dire, meglio farlo un po' alla volta.
Ritornò a sorridere, ponendo entrambi le mani sulle sue spalle e annuendo, arrendevole.
 
«E io ti aiuterò, Victor Osaka...» promise, tornando a guardarlo negli occhi «Lo giuro, tutti i tuoi morti avranno la loro vendetta. Fosse anche l'ultima cosa che farò.»
 
Solo allora, fissandolo negli occhi, Osaka parve capire il pieno significato di quelle parole. Non sapeva di Kendra, né del ruolo che aveva avuto nella morte di sua moglie e sua figlia. Eppure, guardando quegli occhi azzurri e sinceri, un senso di profonda fiducia e gratitudine gli riempì il cuore.
Appoggiò a sua volta una mano sulla spalla del Navy e accostò la fronte alla sua.
 
«E avrai la mia gratitudine per questo, Vittorio.» decretò, la voce appena un po' incrinata «Per l'eternità, qualsiasi cosa accada. Parola di Victor Osaka.»
 
Sorrisero insieme, mentre il sogno iniziava a svanire. E quando infine Victor riuscì a riaprire gli occhi si accorse di altre due circostanze che riscaldarono il suo cuore e ritemprarono il suo spirito: Un fiore giallo, spuntato dal nulla e appoggiato vicino alla foto di Hikari e Keiichi, e Kadaj addormentato con la testa sul suo grembo, come un bambino tra le braccia di suo padre.
Stava sognando. Era strano, perché fino a quel momento aveva creduto che loro in quanto ombre non potessero farlo, anzi che non avessero nemmeno bisogno di dormire.
Quello che non sapeva, tuttavia, era che non era stata la stanchezza a indurlo a cedere a quello stato di apparente incoscienza, ma il bisogno di dimenticare.
 
***
 
Era successo tutto all'improvviso, così velocemente da non concedergli nemmeno il tempo di prepararsi ad un simile choc.
Subito dopo aver realizzato la sua vendetta contro la Shinra, Victor aveva affidato loro un compito importante: nascondere la madre fino al tempo giusto per la Réunion.
Le tre ombre non avevano accolto di buon grado quella decisione, in quanto nati dal desiderio di Sephiroth di rinascere avrebbero voluto dar luogo subito a quello che loro ritenevano essere l'unico modo per "diventare reali".
Yazoo e Loz in particolare si erano dimostrati piuttosto contrariati, vedendo i loro sogni di acquisire corpi fisici sfumare in mille pezzi.
Kadaj invece si era ritrovato a non sapere come sentirsi, combattuto tra rabbia, delusione, e un sentimento strano di paura che, contrariamente ad ogni previsione, lo spinsero ad accettare con un certo sollievo la decisione del maggiore.
Mentre le loro moto sfrecciavano verso il punto indicato dal Niisan, stringendo quella scatola nera al petto d'improvviso si era sentito come trascinare via dal suo stato cosciente, e visioni avevano attraversato la sua mente.
Una in particolare lo aveva indotto a frenare bruscamente, facendo sbandare anche i suoi fratelli che per poco non gli erano finiti addosso.
Si erano preoccupati, ancor di più nel vederlo affannato stringere la madre, le pupille dilatate e lo sguardo perso nel vuoto.
 
«Kadaj!» lo avevano richiamato in coro.
 
Ma lui non li aveva sentiti, ancora fisso su quel tempo come se fosse il suo presente.
La sua morte. Ecco cosa aveva visto.
La sua morte e la rinascita di Sephiroth per mezzo di lui.
E un dolore atroce aveva squarciato in due il suo animo, inducendolo a urlare chino su sé stesso.
I suoi fratelli si erano allarmati, scendendo dalle loro moto e accorrendo, ma lui in preda all'isteria li aveva respinti, ripartendo a tutto gas verso un altro punto della città, diverso da quello suggerito da Victor e più vicino ad Edge e ai suoi edifici in costruzione.
Lì aveva sfogato la sua rabbia, lasciando la Madre sulla sella della moto e cadendo in ginocchio, le mani giunte all'altezza di un cuore che non aveva, quasi volesse tentare di strapparsi dal petto quelle fitte lancinanti.
Poi, graffiando la terra sotto di sé, aveva iniziato a piangere a dirotto, senza riuscire a fermarsi, prendendosi la testa fra le mani e gridando al cielo il nome di quel maledetto.
 
«Sephiroth!!!»
 
Mai. Mai si sarebbe rassegnato a questo. Mai avrebbe potuto farlo.
 
«Questo posto è mio!! MIO!!!»
 
"Questa è la mia vita, il mio presente. IO ESISTO!!"
Ricominciò a singhiozzare, annaspando e implorando, pietoso.
 
«Non puoi... ti prego, non puoi... Victor... il mio Niisan... io voglio esistere...»
 
Si aggrappò a quelle parole, ma già il suo volere iniziò a svanire, come un'illusione effimera. E dentro di sé una consapevolezza prese a farsi sempre più pesante, fino a schiacciarlo.
"Non puoi opporti. Lei ha già deciso."
Rimase a lungo disteso a terra, sconfitto, come se la morte fosse già arrivata a coglierlo.
Il tempo scorse senza che a lui importasse misurarlo, fino a che, poco alla volta, la mente riuscì a ritornare lucida, e lui riuscì di nuovo ad alzarsi, profondamente affranto ma consapevole del suo dovere.
Prese la pala che aveva portato con sé, scavò una buca profonda al centro di un cantiere di un palazzo fermo ancora alle fondamenta e con una lentezza quasi solenne ma con un'espressione contrariata in volto vi adagiò la scatola nera, lottando contro se stesso per non scoppiare di nuovo a piangere mentre la ricopriva.
Sistemò la terra in modo che non si vedesse il punto di sepoltura, poi risalì in sella alla sua moto e sfrecciò a tutta velocità verso casa di Victor, lì dove trovò ad accoglierlo una scena altrettanto straziante.
C'era un piccolo altare sul tavolino. Il suo Niisan era addormentato davanti ad esso, sul divano, e accanto a lui, impalpabili ma chiaramente visibili, i fantasmi di Hikari e Keiichi lo assistevano.
La donna era accanto a lui, lo stringeva forte abbracciandolo e accarezzandogli la fronte e la lunga ciocca bianca.
Il bambino era seduto ai suoi piedi, e gli stringeva le mani.
Quando li vide, la sorpresa fu tanta da fargli dimenticare per un attimo il proprio dolore.
Li osservò a bocca aperta e occhi sgranati, questi si voltarono e accortosi della sua presenza sorrisero.
Hikari si portò il dito indice alle labbra e scoccò un occhiolino.
 
«Oggi papà si è stancato tanto...» spiegò sottovoce Keiichi, come se potesse essere udito da lui «Lasciamolo riposare un po'.»
 
Commosso, Kadaj aveva sorriso e annuito. Lacrime erano tornate a empire i suoi occhi, ma stavolta per un motivo diverso.
Vide Keiichi alzarsi e correre da lui, ad abbracciarlo.
 
«Non aver paura, zio Kadaj.» lo rassicurò con il suo solito sorriso solare «Papà ti vuole bene. Vedrai, si prenderà cura di noi.»
 
Quelle parole lo lasciarono di stucco. Alzò gli occhi verso suo fratello e ripeté, emozionato.
"Niisan..."
 
«Lui... mi vuole bene?»
 
Hikari sorrise intenerita, annuendo. Quindi gli fece segno di avvicinarsi e lo invitò a sedersi al fianco del marito.
Lentamente, un passo dopo l'altro tenendo la piccola mano di Keiichi, Kadaj obbedì e una volta al fianco di Victor si distese sulle sue gambe, accogliendo con un nodo in gola e un sorriso grato le carezze materne che la donna decise di concedergli.
Iniziò a piangere di nuovo, ma senza singhiozzi stavolta, il cuore riscaldato da quell'affetto.
Guardò il suo Niisan, profondamente addormentato e sussurrò, guardando di nuovo la giovane donna al suo fianco.
 
«Victor-chan... non voglio andarmene...»
 
Di nuovo, Hikari gli sorrise, e chinatasi su di lui gli sfiorò la fronte con un bacio tenero, facendo la stessa cosa con suo marito e poi scoccandogli un altro occhiolino. Fu così che si addormentò, e al suo risveglio fu così che Victor lo trovò.
Non ne fu contrariato, anzi. Sorrise intenerito, e con le lacrime agli occhi lo riscosse, passandogli una mano sulla fronte.
 
«Kadaj...» mormorò, con voce tremula.
 
Questi riaprì gli occhi, e in quelli del suo Niisan ritrovò la calma perduta.
Sembrava diverso ora, il suo Victor-chan.
Più... sereno.
E di riflesso sentì di poterlo essere anche lui.
Si tirò su, rimettendosi a sedere.
 
«Niisan... Hikari e Keiichi erano qui.» lo informò, convinto di farlo felice.
 
Lo vide commuoversi, annuendo e lanciando un'occhiata al fiore sul tavolino.
 
«Lo so...» disse «E ... mi dispiace di avervi delusi, prima.» aggiunse tornando a fissarlo.
 
Ma in risposta Kadaj scosse il capo, deciso.
 
«No, Niisan. Non ci hai deluso. Hai ragione.» replicò.
 
Proprio allora, mentre Osaka lo fissava sorpreso, Yazoo e Loz fecero il loro ingresso in casa, scrutandoli attentamente.
Si alzò, e si avvicinò a loro guardandoli negli occhi e concludendo deciso
 
«Noi ti seguiremo, fino alla fine.»
 
Parlava a lui, ma quelle parole in realtà erano per i suoi due fratelli, che dopo un primo istante di esitazione fissando il suo sguardo serio decisero di accettare, annuendo e tornando a guardare il Niisan con la sua stessa espressione.
 
«Fino alla fine.» ripeterono all'unisono, portandosi una mano sul cuore.
 
Victor sorrise, fiero e grato, quindi si alzò e cogliendogli di sorpresa si avvicinò coinvolgendoli in un abbraccio in cui, uno dopo l'altro, si persero, lasciandosi andare alle lacrime e accogliendo quel calore.
 
«Grazie Kadaj.» mormorò «Sono contento di avervi al mio fianco.»
 
E questi, tornando a singhiozzare, si aggrappò al suo braccio e replicò, affondando il volto nel colletto del suo soprabito.
 
«Anche noi, Niisan.»
 
Concludendo poi, solo attraverso la telepatia di modo che gli altri due non potessero sentire.
"Sei la nostra famiglia, l'unica che abbiamo. E lo saremo fino alla fine, qualsiasi cosa accada."
 
***

Il giorno dopo ...
 
Il piano era semplice: usare un'esca per attirare il pesce grosso in trappola.
In un primo momento, Victor aveva deciso che l'obiettivo migliore fosse Tifa, visto il suo legame con Cloud, quindi incaricò Loz e Yazoo di occuparsi di lei.
Tuttavia, dopo neanche dieci minuti i due tornarono con una sorpresa che lo sconvolse non poco.
Erano due bambini, un maschio e una femmina, all'apparenza più o meno della stessa età.
Furono trascinati fin dentro l'appartamento, e alla sua presenza assunsero un atteggiamento da duri, raddrizzando le spalle e fissandolo con espressione accusatrice, mentre i loro occhi erano lo specchio della paura e le loro mani continuavano a stringersi.
Al contrario di ogni loro previsione, tuttavia, non appena li vide Victor Osaka fu catapultato indietro nel passato, ai tempi in cui era stato padre, e fissando il ragazzo in quegli occhi pieni di coraggio non poté fare a meno di notare l'impressionante somiglianza con il suo Keiichi. E quella bambina che lo accompagnava... perché? Perché doveva essere proprio una bambina?
Restò in silenzio, trattenendo il fiato e stringendo i pugni.
Kadaj, l'unico in grado di comprendere appieno il suo tormento, lo osservò facendo un passo in avanti, pronto a correre in suo aiuto.
 
«Niisan, questi due marmocchi ci stavano spiando. Che ne facciamo?» chiese invece Loz, ignaro.
«Vuoi che ce ne sbarazziamo?» propose Yazoo, mettendo già mano alla sua pistola.
 
I due ragazzi non fecero nemmeno in tempo a reagire che subito Victor replicò, allarmato.
 
«No!»
 
Ci fu un istante di silenzio, in cui vide i suoi due fratelli fissarlo sorpresi inclinando il capo di lato. I bambini invece si guardarono e sorrisero, stringendosi di più.
 
«No...» ripeté a mezza bocca, poi si avvicinò, un passo avanti all'altro, esitante, e s'inginocchiò alla loro altezza «Lasciateli.» ordinò.
 
Yazoo e Loz si scambiarono un altro sguardo confuso, poi guardarono Kadaj e lo videro annuire, sorridendo appena.
Obbedirono, e con loro grande sorpresa i due bambini non provarono nemmeno a scappare.
 
«Chi siete voi?» domandò allora l’ex SOLDIER, osservandoli attentamente «Perché ci stavate seguendo? Non lo sapete che questa zona è pericolosa?»
 
C'era una dolcezza inusuale nelle sue parole. Un tipo di dolcezza che sorprese perfino i due ragazzi. Il bambino guardò la compagna, sorrise di nuovo, quindi annuì e rispose, tornando ad affrontarlo a viso aperto.
 
«Io mi chiamo Denzel, lei è Marlene. Siamo venuti fin qui per parlarti. Sei tu Victor Osaka, vero?»
 
Un altro colpo al cuore. Senza riuscire a impedirselo Victor tremò di nuovo, e vedendolo Marlene sentì nascere dentro di sé una nuova speranza.
 
«Come sapete il mio nome?» domandò, alzandosi e indietreggiando, con un terribile sospetto nel cuore.
 
Kadaj gli si accostò, osservando quei bambini come il peggiore dei presagi.
 
«È stata Aerith a mandarci. La conosci?» domandò Marlene, e lo vide sbiancare, facendosi torvo.
«Noi viviamo con Cloud e gli altri.» aggiunse Denzel «E siamo venuti per chiederti di smetterla. Non vogliamo la guerra, nessuno la vuole. Cosa hanno fatto Cloud, Tifa e gli altri per meritare tutto questo?»
 
Come un fulmine a ciel sereno, quella domanda piombò su di lui, spiazzandolo, mentre la voce di Vittorio Blain tornò a tuonare nei suoi ricordi.
"Gli spettri del tuo passato torneranno, e cercheranno per l'ultima volta di farti cambiare idea. Sarai in grado di respingerli e arrivare fino in fondo?"
All'improvviso, solo di fronte a quei bambini e alla loro candida innocenza, d'un tratto Victor Osaka si ritrovò disarmato, e il sospetto si trasformò in realtà.
"Così..." pensò, stringendo tra le mani il ciondolo dono di Hikari "È iniziata, Vittorio. È questo il modo in cui il pianeta crede di fermarmi? Sbattendomi ancora una volta in faccia ciò che resta della mia umanità?"
 
(Continua...)
 
 
   
 
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