Disclaimer: I personaggi non mi appartengono,
Ma sono di proprietà dei rispetti autori.
La storia è scritta senza fini di lucro.
How Deep The Bullet Lies
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Un tocco e andrà in frantumi -Toccami, Rogers.
Toccami e fammi a pezzi. Distruggi ogni parte di me, rimodellami,
riplasmami, fa' ciò che vuoi, disegnami con le dita, con le mani,
sotto i polpastrelli, sulla lingua, tra le tue gambe, sopra il tuo
ventre.
C'è musica, sotto, forse un disco che ha messo mentre
versava del Bourbon, del gin, forse caffè, forse della semplice
acqua tonica.
“Pepper mi ha dato il benservito, quindi ora
ascolterai il mio soliloquio deprimente senza emettere verbo e poi
cancellerai con una passata di frasi fatte il mio insulso vomito di
parole. Intesi?”
Steve lo ha fatto entrare e gli ha indicato il divano. È
stato allora che deve aver messo la musica -Tony non lo ricorda.
Ricorda il bicchiere freddo tra le dita, un liquido al suo interno
del cui sapore non ha memoria, e la puntina del giradischi che
tracciava un solco profondo nel suo autocommiserante balbettio.
Parole, ritmo, sinfonie incise sul vinile appiattito.
Incidi. Incidimi. Su questa pelle inspessita di scelte
sbagliate e sproporzionato ego, su quest'ossatura d'insicurezza, su
questa schiena su cui è possibile contare una vertebra per ogni
omicidio, su di me, ovunque, incidi la sinfonia del tuo respiro, il
ritmo del cuore, le parole del tuo desiderio.
C'era un pozzo, nel fondo di quel bicchiere, e Tony ci
si è catapultato dentro. Non ha guardato quanto fosse profondo, non
si è pulito le scarpe prima di varcare la soglia: si è tappato il
naso, ha flesso le ginocchia ed è balzato in quel limo di
colpevolezza e rimpianti.
Ah, se il pubblico sapesse a quali vette d'odio può
arrivare l'ego di Tony Stark...! Eccolo, eccolo lì, che si strugge
per una storia finita ancor prima d'iniziare, ecco che abbaia contro
un giovane dagli occhi di veterano e inveisce e strepita e rantola e
ringhia, perchè cosa, cosa ne vuole sapere, lui, cosa? Lui,
che ha immolato il suo cuore per la patria, lui che non ha
sentimenti, ma solo ideali, lui, che per il terrore di provare e
perdere, mettersi in gioco e cadere, preferisce morire nei ricordi
d'una vecchia malata dall'Alzheimer piuttosto che vivere nel futuro
di chiunque.
Non ti voglio nel passato, non c'è spazio per te nel
futuro. Ti voglio adesso,
mi servi ora. Dammi
qualcosa che non esiste, cosicché io non lo possa distruggere. Dammi
un'ombra di sogno, per dimenticarla al mattino. Dammi fumo e
menzogna, accecami gli occhi, la mente ed il cuore. Dammi un nulla
che mai saprà concretizzarsi: non sarà mai mio e così vivrà in
eterno.
Perché è questo che fa, Tony Stark.
Dategli qualcosa in mano e lo ridurrà presto a
brandelli. Pari ad un bambino curioso, incapace di accettare il
Creato così come è stato predisposto, lo mutilerà, lo spezzerà,
lo strapperà, lo sviscererà, lo tagliuzzerà, lo polverizzerà in
atomi e preda dell'ira, impotente, per la rabbia di non poterli
scindere in parti ancora più piccole, microscopiche, li stringerà
nel pugno e poi li getterà via. Capriccioso e distruttivo, meccanico
di parti da lui stesso rotte, Futurista di disgrazie -Ecco chi è
Tony Stark.
Nulla che passi dalle sue mani, nessuno che intersechi
la propria vita alla sua ne uscirà mai integro e se non perderà la
vita, perderà se stesso e se non perderà se stesso perderà chi gli
è caro e se non perderà chi gli è caro perderà il proprio posto
nel mondo.
Tony Stark è letale, gas nervino, veleno che respira
nell'etere, infezione che circola nel sangue, fango e lordura,
sozzume, peste, malattia.
Il Mercante di Morte, alla fine, non è che la Morte
stessa.
La Morte di se stesso.
Tony Stark ha fame, ha sete, ha desiderio e brama, teme
la solitudine, ma disprezza chi condivide la sua aria, si tiene
lontano dalle relazioni, ma si sciacqua la bocca con sesso e umori,
azzanna chiunque gli porga la mano e si stringe in un angolo gridando
aiuto. Un bambino in una carapace da adulto, nascosto dentro le
piastre di un'armatura, che si maschera nella carnascialesca
pantomima dell'eroe universale.
“Lo sai, Rogers?” glielo ha sibilato a denti
stretti, ad un soffio dalla sua bocca “Sai perché mi è così
facile aggiusta le cose? Perché so esattamente come si fa a
romperle.”
Trova il mio cuore, adesso, trova il punto focale di
questa macchina di carne, trova il nodo delle vene, il nervo da cui
si diparte ogni pensiero, la leva che apre e chiude i polmoni, il
sistema centralizzato che controlla il contrarsi ed il distendersi
dei muscoli. Trovalo. Trovalo e distruggilo. Trova il tasto RESET
e premilo. Black Out. Riavvio.
E forse ne uscirà qualcosa di nuovo, qualcosa di
migliore. Forse i sistemi andranno in raffreddamento e quando
ripartiranno il malware se ne sarà andato e il mio software sarà di
nuovo integro, il mio disco fisso pulito, virgineo, come fosse appena
nato. E tu potrai riempirlo come vorrai e di ciò che ritieni giusto,
potrai riempirlo di albe e di tramonti, di poesie, di quadri, di
buono e cattivo, di bianco e di nero, di vecchie canzoni, di libri e
riviste, macchine fotografiche, un sentiero tra le montagne, una scia
di nuvole contro il cielo.
Steve lo riempie, Steve è con lui, dentro di lui,
attorno a lui, Steve copre ogni falla della sua persona, ogni buco
nero della sua esistenza e Tony grida, si aggrappa al tappeto con le
unghie, serra le nocche, si morde la lingua, poi annaspa, geme, e
grida e urla di nuovo.
Tony quasi piange e vorrebbe fosse solo dolore, quello,
solo dolore fisico, di quelli che puoi annegare con l'alcool e con le
pastiglie, di quelli che se ne vanno con una pomata all'arnica e la
fisioterapia. Il dolore fisico è controllabile, al dolore fisico può
essere dato rimedio, lo si può silenziare, può smettere, tacere.
Quel tipo di dolore, tuttavia, non ha cura. È il dolore
che spacca in più punti il terreno arido che è dentro di lui.
Pepper lo ha innaffiato della sua presenza, ha gettato
lacrime e amore in ogni crepa, ogni fogliolina che provava a nascere
l'ha tenuta al seno perché crescesse, con la speranza di innestarne
le radici in un punto, in un altro ed un altro ancora, fin dove
l'occhio potesse guardare, fino a dove gli anni li avessero condotti
assieme.
Tuttavia lento, ma inesorabile, Tony Stark ha strappato
con le proprie mani ogni pianta, ogni fiore e l'amore di Pepper è
seccato sotto il calore di un cuore finto, un artefatto di luce
creata in laboratorio e sostanze chimiche.
E perché quel bollore cocente non la distruggesse,
Pepper ha cercato salvezza lontano da lui.
Steve ha in sé il seme della grandezza, quel genere di
grandezza che un uomo ispira senza doverla proclamare, quella
grandezza che emana dagli occhi, dai gesti, dalle mani, dal tono di
voce, da come reagisce nelle situazioni limite e come vive la
quotidianità. In Steve il seme della salvezza ha la forma dei denti
che gli mordono la gola, della punta del naso che gli sfiora la nuca,
s'irrora e si dilata dentro di lui e ha la fattezze di un ansimo
liquido, di un braccio ancorato sotto le costole, di una goccia di
sudore che cola dalla tempia fino al mento, delle fasce tendinee del
collo che si contraggono e si dilatano, si restringono,
s'ispessiscono, si rilassano abbeverandosi di sorsate ineguali
d'ossigeno.
Ancora, vorrebbe
dire, Ancora. Straziami di nuovo. Fammi a pezzi. Ancora e
ancora e ancora, fino a che di me non resteranno che atomi, fino a
che non ci sarà un nuovo rimescolamento di pezzi e potrò comporre
un nuovo puzzle del mio viso e avrà la forma che voglio, che
desidero, e lo disegnerò a mio piacere e ci sarà una fonte sempre
viva e ci sarà acqua che scorre e piante che crescono e semi che
attecchiscono e la vegetazione della mia mente sarà rigogliosa,
folta, e ci sarà profumo di completezza e una fauna di pensieri
sempre diversa e rampicanti di buone intenzioni e querce secolari di
obiettivi raggiunti.
Ma il seme di Steve non può dar forma ad alcuna cosa,
se non al dolore che gli divide il cervello a metà.
Tony è arido.
Tony è vuoto come vuoto era l'appartamento in cui si è
spenta l'eco dei passi di Pepper e lo stridere delle ruote della
valigia, assottigliatosi nell'ombra dei cardini chiusi.
Steve lo guarda mentre si veste, mentre lo ignora,
mentre finge di allacciarsi le scarpe con le dita che non trovano il
nodo ed il polso che non smette di tremare. La testa rimbomba, il
mondo è sfocato di vertigine e malessere. Tiene gli occhi sulla
porta e si chiede cosa l'abbia spinto ad entrare
“Puoi rimanere qui a dormire.” lo avverte l'altro e
Tony lo ignora di nuovo “Apro il divano-letto...”
“Riposo, soldato.”
Persino parlare gli risulta difficile. Le parole sono
acido, le sillabe escrescenze sulla lingua e sul palato. Afte.
Bubboni infetti entro cui pulsano rancori, rimpianti e non-detti.
“Ti ringrazio per avermi fatto il favore di stare
zitto, almeno, ma non farti strane idee. Dimentica tutto. Tra noi non
c'è stato niente.”
Tony scaccia il pensiero che ci sia stato qualcosa.
Fosse anche una connessione, fosse anche una scintilla di
comprensione della reciproca solitudine.
Parlano entrambi la lingua degli esuli, dei pariah,
degli sconfitti, ma a differenza sua Steve ha imparato nuovi idiomi e
seppur con accento diverso, sa colloquiare col resto del mondo. Ne
trae persino conforto. Un senso di vicinanza. Di completezza, quasi.
La notte è un ventre di conchiglia contro cui un
bambino ha gettato un pugno di lumini e vetrini colorati. Le macchine
tagliano la strada a metà, coi fanali che lasciano strisciate umide
al loro passaggio, rosse, gialle, bianche. Sul filo dell'orizzonte le
teste dei passati sono grani di un rosario iniziato all'alba dei
tempi e mai concluso.
Tony Stark sospira -Si convince che sia un respiro di
sollievo, quello.
E si chiede, cosa sarebbe successo se avesse fermato
Pepper e le avesse detto di restare. Se le avesse preso le mani e le
avesse chiesto scusa. Se le avesse parlato, invece di rimanere
in silenzio, a contare i passi che l'allontanavano invece di
riportarla da lui.
E si domanda, cosa sarebbe successo se avesse accettato
l'invito di Rogers a rimanere. Se fosse rimasto a dormire sul divano
letto e quando gli incubi si fossero ripresentati non li avesse
semplicemente raccontati a Steve, mentre questi ascoltava accanto
alla finestra, l'anta scostata appena a far uscire il fumo della
pipa.
Ma tutte quelle possibilità avrebbero certamente
portato a qualcosa e quel qualcosa Tony l'avrebbe certamente
rovinato, fatto a pezzi. Distrutto.
Non c'era cura, per uno come lui.
Però c'era la tecnologia.
La tecnologia può restituirgli immagini e ricordi. In
uno scenario artefatto, su di un palcoscenico mnemonico avrebbe fatto
la scelta giusta, senza ripercussioni, senza lacrime. Una finta
concretizzazione di buone intenzioni, da cui nessuna tumefazione
maligna avrebbe potuto avvelenare la linfa vitale delle altre
persone.
Una ricostruzione fittizia di finti scenari, vite mai
vissute, torti raddrizzati, traumi risanati.
Un niente che la sua mente poteva riplasmare in
ologrammi di qualcosa a realtà aumentata.
E se poteva curare lui, se poteva sanare le fratture che
scomponevano la sua persona in dieci, cento, mille pezzi sbagliati,
chissà quante altre persone avrebbe aiutato.
Quante cose avrebbe aggiustato.
Anche senza Pepper.
Anche senza Steve.
Avrebbe costruito il proprio giardino con innesti
meccanici. Piante bio-alimentate in laboratorio. Fauna in provetta.
Flora bunsen. Acqua chimicamente pura. Avrebbe scelto cosa far
crescere e come farlo crescere. Avrebbe curato i ricordi malandati.
Spruzzato naniti neuro-trasmettitori sulle foglie mangiate dagli
insetti.
Nessuno si sarebbe fatto del male.
Cosa poteva andare storto, in fondo?
Non avrebbe creato nulla da distruggere.
“Sto cercando di impedirti di dividere gli Avengers!”
“Lo hai fatto tu quando hai firmato.”
Note dell'Autrice.
E niente.
Una parte con lo scrivere una PWP e poi si intrufola un
po' di flusso di coscienza e si arriva a una storia pre-Civil War e
la creazione del BARF.
No, ma tutto okay.