Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: Chevalier1    08/04/2023    2 recensioni
Il Generale man mano che si avvicinava notò che nella destra aveva qualcosa di bianco. Vide che lo sconosciuto, (ma lo era?) lo attendeva da solo, ben attento a tenere le mani sempre in vista. Quando il generale fu nelle vicinanze, l’uomo abbassò la destra giusto il necessario per tendergli, oltre le inferriate del cancello, una bustina che le dita avvertirono leggermente rigonfia.
Questa storia è il seguito di Natale 1789: un Natale troppo cupo per cui mi sentivo in debito con i personaggi e con i lettori. Provo a rimediare con due puntate pasquali, anche nello spirito.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, Altri, André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

East Sussex, 7 febbraio, 1790

Mio amato Augustin,

finalmente riesco a trovare un canale affidabile per portarVi nostre notizie. Chi giunge dalla Francia di questi tempi non vi fa ritorno e per questa ragione, come immaginerete, non è facile avere a portata mani sicure nelle quali mettere notizie riservate. Nel dolore e nelle lacerazioni che tutti attraversiamo e nella lontananza che ci tiene in pena gli uni per gli altri e ci fa soffrire enormemente sono lieta di dirVi che stiamo bene, che siamo accolti con rispetto e con relativo agio in un solido maniero all'est del Sussex, di cui occupiamo un'ala concessa in locazione dai padroni di casa, che ci trattano con cordialità senza invadenza alcuna. Stiamo bene di salute anche se soffriamo un poco il clima spesso grigio e piovoso che ci ripaga con un'erbetta sempre fresca e con il paesaggio rilassante delle colline circostanti, che grazie alle loro greggi al pascolo ci forniscono di ottimo latte e di dignitoso formaggio. Nulla di paragonabile alla varietà francese, ma dati i tempi ci accontentiamo eccome e non ci manca nulla di importante a livello materiale, tutte le mancanze sono rivolte alle persone che abbiamo amato e perduto e a Voi che sappiamo solo e lontano in una Patria diventata insidiosa e forse ostile. Per tutto il resto non dateVi pena per noi.

Occupo le mie giornate insegnando l'arte del ricamo e le buone maniere alle due figlie maggiori del padrone di casa e a un gruppo di ragazze di buona famiglia e in età da marito della zona, impegnate a preparare il debutto in società. Marie è un poco ringiovanita, sempre presa com'è a rincorrere i due piccoli di casa: un bambino biondo con gli occhi azzurri e una bambina bruna con gli occhi verdi, due diavoletti che credo le ricordino Oscar e André e che mi sembra le impediscano di arrendersi al suo irrimediabile dolore. Il padre li ha affidati a lei sperando che imparino il francese, sono due cervellini perspicaci e imparano presto, ma la cosa che riesce loro meglio è l'invenzione di marachelle sempre nuove che costringono Marie di tanto in tanto a minacciarli con il mestolo. Lo ha a portata di mano perché spesso, benché gli anni e le sofferenze abbiano lasciato il segno, la troviamo a dare direttive in cucina materia in cui gli inglesi hanno molto da imparare.

Il nostro ultimo genero Alexandre ha trovato un lavoro come amministratore, presso le proprietà di un nobile francese immigrato decenni fa con buona fortuna per sposare una nobildonna di Brighton e provvede egregiamente alle nostre necessità. Nostra figlia insegna il pianoforte ai figli del nostro ospite e veglia sull'educazione di François Augustin, che studia con profitto e vorrebbe provare il prossimo anno l'esame di ammissione a uno di questi rinomati e prestigiosi collegi inglesi, e di

Marguerite-Anne, che si sta facendo una ragazza raffinata con grande attitudine per la musica e per il canto.

Le altre figlie con nipoti e mariti ci hanno lasciato da qualche mese, hanno scelto il progresso della grande città e si sono trasferiti a Londra, ma anche loro stanno bene e stanno trovando una stabilità.

Mio caro Augustin vorrei tanto sapere di Voi, so da chi giunge dalla Francia che Parigi vive momenti difficili, so che vivete ormai solo e con poca assistenza a palazzo, quantomeno le ultime notizie Vi danno in buona salute fisica e questo ci conforta, anche se immaginiamo che la solitudine non allevii l'immenso dolore che condividiamo e che anzi finisca per esacerbarlo. È possibile che il lungo viaggio di questa lettera Ve la faccia giungere entro la prossima Pasqua, se così sarà che la colomba della resurrezione Vi porti almeno un poco di pace interiore.

Dopo tutto quello che abbiamo vissuto, dopo questa dolorosa separazione permettetemi di dirVi, addirittura di scriverVi, una cosa che forse a una nobildonna non più giovane non si conviene: sono stata una di quelle donne fortunate che hanno amato il marito scelto per loro, tra le poche chieste in sposa da un uomo che le ha volute per amore. Per questo tra le cose che mi pesano ora è non poter invecchiare accanto a Voi. Abbiate cura di Voi, Augustin, per quanto potete senza tradire il Vostro ruolo, prego che il Signore ci faccia la grazia di ricongiungerci in questa vita. Il ricordo di quanto vissuto insieme porta certo rimpianto ma anche una grande consolazione, finché siamo vivi possiamo ancora sperare.

Vi amo

Vostra Marguerite

Superato il groppo in gola sorto sulle prime a tradimento al tono inconsueto delle frasi conclusive, la carezza di quelle parole inattese regalò al Generale dopo mesi e mesi una notte di sonno ristoratore.

Il mattino di Pasqua, di buon’ora come di consueto, si alzò per una volta rigenerato, si vestì scegliendo una tenuta sobria ma sufficientemente formale da non mancare di rispetto alla solennità festiva, si assicurò nella tasca interna della redingote scura una piccola borsa di cuoio e la medaglietta che aveva ricevuto il giorno prima, nascose per precauzione un pugnale nella cintura e si avviò verso le scuderie.

Dopo un’ora di cavalcata tranquilla per non sgualcire l’abito più del dovuto giunse in vista di una piccola chiesa in mezzo alla campagna. Il suono delle campane, tornato a festa dopo il silenzio che la tradizione francese voleva in segno di lutto dalla sera del giovedì santo, annunciava la celebrazione imminente.

Entrò nella navata trafitta dai raggi del sole che, filtrando dalle vetrate colorate, disegnavano arabeschi pastello sul pavimento. Scelse lo stesso angolo defilato da cui aveva assistito alla Messa di Natale (1) e, inginocchiato nell’attesa della processione del celebrante verso l’altare, pregò che a presiedere la funzione fosse la stessa persona della notte tra il 24 e il 25 dicembre.

- «Dominus vobiscum».

- «Et cum spiritu tuo» . (2)

Riconosciuta la voce, mentre rispondeva alla formula di rito, il Generale ringraziò di essere stato esaudito: si sentiva in debito con quell’uomo misericordioso che aveva accolto la sua disperazione, e financo il suo rifiuto, senza giudicarli.

La sua spina era sempre lì, ma il suo animo era stato, almeno un poco, alleggerito dalla visita del giorno prima.

Gloria in excelsis Deo. Et in terra pax hominibus bonae voluntatis .

Il Generale si chiese se potesse considerarsi ammesso al novero degli uomini di buona volontà sui quali si invocava la pace di cui sentiva impellente bisogno.

Quando salì sul pulpito il sacerdote, che non aveva perso l’abitudine a scrutare per sicurezza i volti degli astanti - maturata in tempi prerivoluzionari in cui la chiesa era luogo di ritrovo per persone di tutti i ceti interessate al nuovo corso -, riconobbe immediatamente lo sguardo di quell’uomo che gli era rimasto impresso. Ringraziò mentalmente il Padreterno di avergli fatto la grazia di rivederlo e pregò che non fuggisse subito al termine della funzione.

- «Ite, missa est»

- «Deo gratia»

Quando si voltò per scendere dall’altare il reverendo non lo vide più e se ne rammaricò, ma un istante dopo lo notò in attesa dietro una colonna e lo raggiunse.

- «Confessatemi, padre».

Ringraziando Iddio per il dono di quel ritorno, il sacerdote gli indicò la direzione del confessionale.

- «In nomine Patris et Filii e Spiritus Sancti. Vi ascolto, fratello»

- «Chiedo perdono a Dio e a Voi, ho peccato di superbia contro Dio, mancando di rispetto al vostro ministero e a voi tre mesi fa. Anche quello era un modo di nominare Dio invano, ma invece di dannarmi Egli mi ha fatto la grazia di farmi ritrovare un poco di pace interiore pur nel dolore che non mi abbandona mai. Ieri ho finalmente saputo che quel che resta della mia famiglia è sano e salvo in un luogo sicuro, saperlo non mi renderà la figlia che ho perduto ma che, ora lo so, se n’è andata senza essere in collera con me: una grazia che non ho meritato, ma che ugualmente mi avvolge anche se non farò mai pace con quello che è accaduto e con il fatto di esserne la causa indiretta. Ma non temete, padre, questa volta non vi rifiuterò, né Voi né la grazia di Dio, sono venuto per provare a riparare il mio ennesimo torto».

- «Ego te absolvo peccatis tui, in nomine Patris et Filii e Spiritus Sancti. Amen»

- «Amen». - «Nemmeno questa volta vi chiederò di pregare per penitenza, pregate perché il vostro cuore afflitto trovi attimi di pace»

Il sacerdote uscì dal confessionale e avvolse in un abbraccio fraterno l’uomo di fronte a lui che nel frattempo si era alzato e che accolse quel gesto cui non era avvezzo con stupore ma non con fastidio.

«Venite» e gli fece cenno di seguirlo in Sacrestia, dove si liberò della stola penitenziale e dei paramenti sacri che ancora vestiva dalla Messa.

    - «Vi attende qualcuno?» - «No, Reverendo, la mia poca servitù ha una giornata di riposo» - «Allora, ve ne prego, datemi il tempo di riporre gli arredi sacri che sono ancora sull’altare e poi fatemi l’onore di condividere la mia povera tavola»

Il Generale non nascose la meraviglia:

    - «Siete certo di quello che dite, siete sicuro di volere la pecora smarrita alla vostro desco?».

    «Et murmurabant pharisaei et scribae dicentes: “Hic peccatores recipit et manducat cum illis ”. Et ait ad illos parabolam istam dicens: “Quis ex vobis homo, qui habet centum oves et si perdiderit unam ex illis, nonne dimittit nonaginta novem in deserto et vadit ad illam, quae perierat, donec inveniat illam?». (2)

    - «Mi avete convinto, vi ringrazio della grazia che fate voi a me. Ma prima vorrei domandarvi una cortesia: vorrei che benediceste questo piccolo oggetto che ho riavuto ieri e che per me ha un significato enorme. È l’ultimo ricordo di mia figlia».

Estrasse dalla tasca interna della redingote la medaglietta ricevuta il giorno prima e la tese maneggiandola come una reliquia al suo interlocutore. Il sacerdote se la rigirò in mano a meglio vederla al sole che filtrava caldo da una vetrata: l’effigie portava sul recto una Madonna con bambino, sul verso le iniziali, lo stemma di famiglia e una data di 35 anni prima, la osservò con attenzione, come a volerla leggere, prima di pronunciare la formula di benedizione e tracciarvi sopra un segno di croce.

Guidò il generale davanti a una nicchia in cui c’era l’affresco di una Madonna col Bambino e poi proseguì recitando la preghiera dei defunti:

- «Requiem aeternam dona eis. Domine, et lux perpetua luceat eis. Te decet hymnus, Deus, in Sion, et tibi reddetur votum in Jerusalem Exaudi orationem meam; ad te omnis caro veniet. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis».

La voce del generale si unì a quella del sacerdote, ringraziandolo mentalmente di aver compreso senza parole quanto avesse bisogno di quel piccolo rito e di una speranza di resurrezione per trovare un attimo di pace in terra.

Il sacerdote accese un cero lì davanti e concesse a quell’anima inquieta un minuto di meditazione silenziosa e poi lo invitò:

- «Seguitemi pure, se volete, Generale, o se, invece, avete bisogno di un attimo di aria aperta in solitudine prendetevi il tempo che vi serve».

Il Generale optò per il giro attorno alla chiesa. Non s’avvide che anche il sacerdote era uscito e aveva spiccato una rosa bianca, per porla in chiesa accanto al cero acceso.

Quando si sentì pronto, il Generale bussò alla porta della piccola canonica inglobata nello steccato che circondava la chiesa, domandandosi se fosse davvero il caso di accettare quell’invito.

L’interno svelava un luogo spoglio e modesto, ma pulito e ordinato. Davanti a quella tavola semplice e senza pretese, il cuore del Generale si distese.

«Panem nostrum cotidianum da nobis hodie», sussurrò il sacerdote ringraziando Iddio e lasciando intendere che negli ultimi mesi il pane quotidiano non tutti i giorni era stato scontato.

- «Dalla sera di Natale ho pensato spesso a voi, sapete? Mi sono sentito disarmato quella notte davanti al vostro dolore senza speranza e ho temuto di non rivedervi».

- «Anch’io vi ho pensato, spesso. La vostra accoglienza che ha rispettato l’abisso del mio dolore senza bisogno di provare a colmarlo con parole di circostanza in qualche modo mi ha fatto sentire compreso da chi avrebbe potuto e forse dovuto cacciarmi a calci dopo quell’atto di arroganza».

- «Vi sbagliate, Generale, et adducite vitulum saginatum, occidite et manducemus et epulemur, quia hic filius meus mortuus erat et revixit, perierat et inventus est. Quanto a vitello grasso siamo un po’ scarsi di questi tempi, il banchetto non è stato all’altezza di quello evangelico ma abbiamo fatto del nostro meglio ed è stato un piacere oltreché un onore condividere la tavola con voi. Assisto a tanti pentimenti di facciata, sapete? Persone che vengono semplicemente per abitudine, per adempiere a un rito che vivono come fosse vuoto...». (3)

Serviti dall’anziana madre del sacerdote che al Generale ricordava Marie condivisero conversando amabilmente la convivialità di un pranzo rustico ma preparato con cura.

- «Vi ringrazio di cuore, reverendo: il vostro cibo, semplice e gustoso, il vostro vino schietto, e ancor più il piacere della vostra colta compagnia hanno dato sollievo al corpo e all’anima, era davvero molto tempo che non avevo occasione di concedermi qualche ora serena a discorrere di musica e di letteratura: per chi dopo aver avuto attorno a sé una famiglia numerosa, vive solo in spazi troppo grandi, le feste comandate sono un momento che aggrava il dolore, dando rilievo ad assenze e sensi di colpa destinati a durare per sempre. E invece voi mi avete donato momenti di autentica serenità e intanto ieri accanto alla medaglia che avete benedetto e che in qualche modo rinnova la mia pena ho ricevuto una lettera che ha allargato il mio cuore: è ugualmente doloroso stare lontani da chi si ama, ma essere liberati dall’incertezza sul loro destino e saperli sani e salvi è davvero una piccola resurrezione. A maggior ragione se la notizia viene con parole, inattese, cariche di un sentimento che a volte mi chiedo se io abbia meritato. Non sono una persona facile, non lo sono stato come marito né come padre, non è stato semplice convivere con la mia attitudine all’intransigenza che ora, giusto contrappasso, grava su di me».

«Siete un essere umano, Generale, imperfetto come tutti, non per questo, anzi, meno figlio di Dio».

- «Touché, mi toccherà di nuovo confessarvi superbia», rise il Generale.

Sul punto di congedarsi il Generale estrasse la piccola borsa che aveva nascosto nella tasca interna: conteneva un gruzzolo non modestissimo di monete d’oro: «Datemi l’opportunità di contribuire a scardinare la spirale di vendette potenzialmente senza fine che si annuncia: servitevene per dare un futuro ai bimbi orfani di entrambi i fronti. Son tutti vittime innocenti della violenza di chi li ha preceduti, fate quanto in vostro potere perché le colpe dei padri non ricadano su di loro, educateli, se potete, a non vivere nell’odio e nel terrore. Il futuro e la speranza sono nelle loro mani, ditelo loro da parte di un vecchio Generale che ha vissuto più in guerra che in pace e che ora non chiede altro che una tregua».

    - «Non so come ringraziarvi Generale» disse il sacerdote indicando con gli occhi la borsa che l’altro gli aveva messo in mano, «ma dunque sapevate della scuola?» - «Quale scuola, Reverendo?» - «Venite con me».

Sollevando la talare sul davanti per non inciampare il sacerdote s’inerpicò su una stretta scala a chiocciola seguito dal suo ospite. Chinandosi per non battere la testa sugli spioventi uno dopo l’altro s’addentrarono nel sottotetto: disposto per lungo sotto l’altissima cuspide del tetto e parallelo ad essa, al centro della soffitta, campeggiava un tavolaccio di legno macchiato d’inchiostro con attorno sgabelli e sedie zoppi. Nelle parti laterali della stanza, dove lo spiovente lasciava il posto a basse pareti verticali, scaffali ricavati da resti di mensole che avevano visto tempi migliori ospitavano libri consumati dal tempo, per lo più adatti a lettori di primo pelo. Ma anche qualche accostamento più adulto e non scontato: su due coste vicine il Generale aveva letto Pensées di Blaise Pascal e Émile ou De l'éducation di Jean Jacques Rousseau. Sulla parete opposta alla porta una lavagna cancellata a metà recava vestigia di moltiplicazioni inesatte e tracce di coniugazioni periclitanti. Al centro del tavolo faceva mostra di sé, posato su un leggio tarlato, un grande abbecedario consunto dalle troppe consultazioni.

Chiudendosi la porta alle spalle il Generale notò che sulla faccia interna del battente era appesa con quattro chiodi una mappa della Francia tratta da una fonte obsoleta, disegnata approssimativamente da cartografi alle prime armi di buona volontà e manualità da rivedere, con ogni probabilità bambini. La guardò e le sorrise.

    - «La maggior parte del mio ministero, quando non ci sono messe battesimi e funerali, consiste nell’insegnare le tabelline a contadinelli duri di testa e a orfanelli di tutte le bandiere. Ma la mia biblioteca non è tutta qui, se non vi pesa salire ancora vi mostrerò qualcosa che ho messo al sicuro in cima al campanile». - «Volentieri, Reverendo. Ancora ho la forza di sostenere le scale».

S’inoltrarono in una chiocciola stretta e carica di polvere e di piume lasciate da qualche colombo.

    - «Scusate, Generale, forse non è il percorso adatto al vostro abito». - «Non datevi pensiero, questa Pasqua in vostra compagnia è la mia prima occasione “mondana”, se non vi offende che la chiami così, da quasi un anno. Passo in uniforme tutto il mio tempo pubblico e in abiti domestici il resto. Quello che non farà questa scala lo faranno le tarme. E poi il vostro sguardo di poco fa mi ha lasciato intendere che la meta vale il viaggio».

Giunti nel vano all’ultimo piano prima della cella campanaria, il Generale si trovò all’interno di una non grande ma ordinata e pulitissima biblioteca: testi di liturgia, filosofia, classici greci e latini e ovviamente libri sacri. Il sacerdote si avviò a uno scaffale che conteneva libri di catechesi ormai ritenuti datati. Il Generale si stupì che intendesse mostrargli proprio quelli ma l’arcano fu presto svelato. Dietro i libri nascosta da una porticina di legno chiusa a chiave c’era una nicchia a scomparsa, il sacerdote la aprì e ne estrasse una scatola di marocchino adatta più o meno a contenere un evangeliario. La posò con cautela sul ripiano e ne estrasse un codice più piccolo, poco più di 20 centimetri per 30, ne aprì con il massimo riguardo le pagine di vellum, la più fine delle pergamene, e mostrò l’interno: una spettacolare Bibbia riccamente miniata e vergata in una grafia che anche a un uomo colto come il Generale parve astrusa: «Che lingua è?».

    - «Siriaco. Potrebbe risalire al VI-VII secolo e provenire dalla Mesopotamia». - «Conservatela con cura, Reverendo, ha un valore economico e a maggior ragione culturale enorme». - «Perdonatemi questa piccola vanità Generale», confidò il prete, mentre, completata la guardinga discesa dai ripidi gradini, risbucavano all’aperto, «me ne preme, come immaginerete, più il valore storico e culturale, ve l’ho mostrata perché siete l’unica persona che conosco che possa comprendere l’emozione che mi dà. Mi piacerebbe che i ragazzi cui insegno semplicemente a leggere e a scrivere, per essere un poco più consapevoli della propria umanità, potessero un giorno arrivare a comprendere il valore di un libro, non solo per rivenderselo». - «Grazie, Reverendo, che Dio vi conservi, questo Paese ha un disperato bisogno di persone come come voi. È tempo che mi congedi, concedetemi la vostra benedizione»

    «Benedicat vos omnipotens Deus, Pater, et Filius, et Spiritus Sanctus.

    Gloria in excelsis et Et in terra pax hominibus bonae voluntatis, abbiate cura di voi, Che Dio vi accompagni. E non dimenticate di tornare a trovarmi».

    - «Ve lo prometto, tornerò: dopo il vostro invito ho un debito con voi». E un’amicizia da coltivare, pensò tra sé il generale, forse la prima vera da quando le responsabilità si erano fatte soverchianti.

    Il sacerdote guardò l’uomo allontanarsi per la stessa strada della volta precedente e fu tentato di chiedersi se la luce che lo illuminava fosse soltanto il sole. Ma represse subito quel pensiero troppo carico di devozione popolare per la sua fede temperata dai lumi: Signore, perdonatemi, forse ho bevuto un bicchiere più del consueto.

    Lunedì dell’Angelo 1790

    Il Generale Jarjayes si alzò presto come al solito, ma abbreviò la cavalcata consueta, consumò la colazione e appena la luce fu sufficiente si infilò in biblioteca chiedendo di non essere disturbato. Aprì la tenda della grande vetrata, dispose sul tavolo gli strumenti da lavoro e cominciò a squadrare un grande foglio. All’ora di pranzo la mappa della Francia era completa e precisa anche se mancavano ancora i colori.

    Si prese il tempo di un pasto leggero, tornò in biblioteca e si diede da fare con pennelli e colori: diede l’azzurro ai mari e ai fiumi, il verde chiaro alle pianure, il verde scuro alle colline, il beige alle coste, il bruno alle montagne. Riguardò la mappa: non trovò niente di particolare da obiettare, era sufficientemente precisa e chiara, per quanto non eccessivamente dettagliata. Eppure il risultato non lo convinceva.

    Si accese la pipa e sedette a meditare in poltrona accanto alla finestra in cerca della ragione della propria insoddisfazione, nella sua mente persa dietro alle volute del fumo, prese forma quello che ancora mancava: un paio di velieri solcarono l’Atlantico, un castello si materializzò lungo la Loira, le guglie di Notre-Dame svettarono all’altezza di Parigi e un ciuffo di lavanda spuntò in Provenza, due o tre picchi con una spruzzata di neve fecero la loro comparsa sulle Alpi. Aspirò l’ultima boccata prima che il fornello della pipa si spegnesse e si rimise al lavoro, completando la mappa con piccoli disegni dal tratto preciso ma studiatamente infantile, poi man mano che l’acquerello andava asciugandosi aggiunse i nomi di mari, fiumi, montagne e città, sforzandosi di adottare una grafia chiara e leggibile, adatta anche a lettori inesperti.

    Verso sera, prima che la luce calasse definitivamente, fece chiamare Étienne, il figlio dello stalliere, che aveva accompagnato il padre nel giorno festivo per tenergli compagnia mentre strigliava e nutriva i cavalli.

    Il bambino percorse trepidante, come sulle uova, la penombra azzurrina del lungo corridoio fino alla porta di legno verniciata in grigio chiaro, aveva sette anni, due grandi occhi azzurri lievemente tondeggianti, nasino all’insù punteggiato di lentiggini e zazzera bruna, ispida e scarmigliata. Bussò alla porta tutto tremante e intanto faceva un rapido esame di coscienza, convinto che il burbero padrone di casa, agitato dal padre alla stregua di un babau come minaccia preventiva per ogni possibile monelleria, lo avesse chiamato per un solenne rimprovero. Ma non riusciva a trovarne la cagione, cosa che ingigantiva l’incertezza e dunque il timore.

    - «Vieni avanti, Étienne», tuonò la voce profonda ma non adirata del generale.

    Il bambino, aperto il battente, esitò sulla soglia.

    - «Coraggio, avvicinati. Non ti mangio mica, devo farti vedere una cosa».

    Il bambino si avvicinò e quando fu davanti al cavalletto, su cui stava ad asciugare la mappa colorata sgranò, arrotondandoli un altro poco, gli occhi color fiordaliso:

      - «Oh, bello!». - «Sai cos’è?». - «La Francia, signore». - «Pensi che vada bene per dei bambini come te?» - «Oh sì signore, è bellissima, la mia scuola ha una mappa della Francia ma è in bianco e nero e tutta rovinata». - «Avvicinati, Étienne, che cosa c’è scritto qui?». - «O-c-e-à-n-o a-a-t-l-a-n-t-ì-co». - «Bravo Étienne si dice Ocèano Atlàntico. E sai che cosa c’è dall’altra parte? - «L’America, signore», - «Continua così Étienne studia sodo e se lo farai tra qualche mese, quando avrai imparato speditamente a leggere i nomi sulla cartina, e appreso le coordinate geografiche ne avrai una anche tu».

    Il bambino che si era aspettato tutt’altro restò lì intimidito come uno stoccafisso:

      - «G...grazie, signore». - «Ora fila in cucina, vai da Josephine e dille che ti sei guadagnato una fetta di dolce, sai la strada?». - «Nno... signore...». - «Vieni », si fece precedere dandogli una spintarella sulle spalle e lo accompagnò alle scale indicandogli la via. - «Grazie, signore».

    Étienne si precipitò giù dalla rampa, saltelloni, improvvisamente leggero, portandosi via il ricordo di un uomo molto diverso da come glielo avevano raccontato.

    Il generale scese nelle scuderie, deciso a sgranchirsi con una cavalcata prima di cena.

      - «Buonasera, Armand». - «Oh, buonasera, Generale, scusatemi, controluce non vi avevo visto, il cavallo è già sellato». - «Grazie, Armand, volevo dirti... ho conosciuto Etienne... ha una bella testolina vivace» - «Non vi avrà importunato, quel saltafossi, spero?» - «Certo che no, sono stato io a farlo chiamare, avevo bisogno di un bambino per una piccola verifica. Volevo dirti... incoraggialo a studiare, è sveglio, capace e curioso. Farà strada...», montò a cavallo e si avviò, quando fu in aperta campagna spronò il cavallo al galoppo verso il tramonto, cavalcando con una leggerezza che aveva creduto perduta per sempre.

    All’improvviso, il congedo che, per limiti di età e forse ancor più per gli incerti della storia, si avvicinava e che fin lì, in quella voragine di solitudine, aveva temuto più della morte, gli faceva un po’ meno paura.

    (1)Il racconto della Messa di Natale è il contenuto di un altro racconto di questo fandom, Chevalier1, Natale 1789 https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4042927&i=1

    (2)Le parti liturgiche latine sono tratte dal Messale Romano, rito Tridentino, in uso nella Chiesa cattolica dal Concilio di Trento 1570 e al 1969, quando è stata introdotta la riforma elaborata durante il Concilio Vaticano II.

    (3) Vangelo di Luca, 15,2-4 «I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: 4 «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova?».

    (4) Luca, 15,23-24 «Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: Chevalier1