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Autore: Rameo_Laufeyson8    20/06/2023    0 recensioni
Sin da bambina Eden cerca di sopravvivere in una realtà crudele e apocalittica. Era appena tredicenne allo scoppio dell'epidemia di cordyceps, e dopo dieci anni dai primi contagi vaga ancora per i resti delle insidiose città fantasma alla ricerca di viveri, spinta dall'istinto disperato di sopravvivere nonostante gli orrori nascosti in ogni angolo. Seppur Eden sia una viandante disperata non è un eremita. Da cinque lunghi anni Pietro è la sua ombra, pronto a sacrificare la sua stessa vita per proteggerla. I due sono in simbiosi, indissolubilmente innamorati per promesse che vanno ben oltre l'immaginario umano. Ma è quando si separano tragicamente che i loro destini vengono alterati con tremenda crudeltà. E a salvare la vita di Eden sarà Joel Miller.
Ma questa non è una storia d'amore, oh no; questo racconto è scritto col sangue della vendetta.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ellie, Joel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tommy si palesa vicino a me. Il tempo trascorso da quando Joel è uscito dalla mia stanza mi è scivolato tra l'incoscienza. Ora sono sveglia e in sofferenza, un attimo dopo il vuoto da tregua alla mia psiche e ai miei nervi in fiamme. Ed in questo lasso incalcolabile di tempo ecco Tommy.

Quando lo guardo sorrido, stordita. Penso che sia Joel data la somiglianza. Socchiudo le palpebre e mi concentro per metterlo a fuoco; rido mostrando i denti, con tenerezza. Se solo avessi la lucidità di parlargli direi anche a lui cosa trovo di così divertente,  tanto sono ridotta male da averlo scambiato per Joel.

Come se Tommy dubitasse che io ci veda ancora passa lentamente una mano davanti al mio viso, ed io seguo i suoi movimenti del palmo aperto, che vanno dal basso verso l'alto.

-Eden?-

Non capisco perché mi chiama. Ho un aspetto talmente schifoso da sembrare fuori come un balcone? Il mio sorriso svanisce di colpo. Corrugo la fronte e provo a fargli capire che lo vedo, non è mica colpa mia se le palpebre si abbassano senza permesso.

-Joel è andato a prendere la chitarra?- gli chiedo. Sollevo a fatica una mano per provare a toccare la sua. La mia vista si è sdoppiata, e quando penso di aver stretto le dita di Tommy in realtà agguanto il vuoto.

-Non va affatto bene dannazione.- borbotta fra se e se. Scuote la testa e fa per andare. Anche lui.

-Aspetta.-

Tommy mi guarda con espressione truce. Mi tremano le labbra, per reprimere il pianto tiro su col naso.

-Avevi detto che avreste fatto a turni per controllarmi- resto senza voce perché mi manca l'aria, arranco alla ricerca di ossigeno e tossico piano. Questo mi provoca una nuova scossa di dolore alla ferita. Non ho intenzione di interrompermi, e quindi proseguo ostinatamente; -Joel mi aveva garantito la sua compagnia. Ti prego non lasciarmi da sola anche tu.-

Tommy è in evidente difficoltà: -Avrai la febbre molto alta, lo dirò a  qualcuno che ti sappia dare l'aiuto di cui hai bisogno.-

-Tommy per favore, rimani qui ancora un po'.- sono irragionevole. So che Tommy vuole fare la cosa giusta, dal canto mio però mi sento una bambina, vulnerabile e terrorizzata. Non m'importa della febbre o del dolore, il medico ha a disposizione solamente farmaci per il mal di testa e per influenze qualsiasi, nulla che abbia effetto su questo mio corpo disintegrato. Quindi perché negarmi ciò che desidero più di ogni altra cosa? Perché lasciarmi nel momento in cui ho più bisogno di una presenza fidata? Non ho per caso già perso abbastanza?

Tommy ha un cuore più tenero di quello di Joel, è molto facile persuaderlo. Stringe le labbra, trovo divertente il modo in cui i suoi baffi neri si infittiscano, mi ricordano l'espressività di Pietro...

-Come hai conosciuto Joel?- gli domando allungando il mento. La sua risposta non mi importa granché ma parlo di getto per allontanare il pensiero di Pietro.

Lui è sorpreso dal modo in cui io sia loquace. Fa spallucce e mi risponde: -Io e Joel siamo fratelli.-

Adesso sì che tutto quadra.

-In effetti vi somigliate.- constato.

-Joel è il maggiore.- pare obbligato a fornirmi più informazioni. Io voglio parlare, e non di me. Tutto ciò che mi riguarda è drammatico e deprimente. Devo smettere di pensare a tutte le cose orribili che mi sono accadute, parlare di altri potrebbe tenermi i pensieri occupati altrove.

-Ellie però non gli somiglia.- dico giungendo le mani sudate.

Tommy non è entusiasta di rivelarmi troppi particolari, e si limita a tagliare corto; -Ellie non è la figlia di Joel. E' una storia molto lunga, se vorrà te la racconteranno entrambi un giorno.-

Se vivrò abbastanza per ascoltarla, penso battendo i denti infreddolita.

Tommy si volta a guardare fuori dalla finestra. Il suo profilo è sporgente ma più armonioso e levigato rispetto a quello di Joel. I ricci neri gli sfiorano la nuca, immagino la sensazione di solletico sulla sua pelle mentre scuote il capo per via dei suoi pensieri segreti. Ora è malinconico.

-Ellie lo ha reso una persona migliore, lo ha reso felice.- le sue parole fanno sorridere anche me. Ricordo bene come si ci sente ad amare così tanto una persona.

Tommy poggia una mano sulla mia fronte diventando improvvisamente serio.

-Stai scottando Eden, torno subito.-

Chiudo gli occhi. Esalo un debole soffio di fiato.

Come vorrei rivedere il viso di Pietro in questo limbo di oscurità.

Pietro...

 

Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, PietroPietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro, Pietro...

-Pietro.- sussurro risvegliandomi. E' notte fonda, la fiamma di una candela dal cero bianco fa luce nella mia stanza buia. E' poggiata nel comodino di fianco alla spalliera del mio letto, ed anche se il fuoco è flebile mi pare di essere accecata.

Sollevo un braccio per coprirmi gli occhi abituati al nero del mio sonno profondo e senza farci caso urto contro la mano di qualcuno. Provo a ricollegare tutti gli ingranaggi dei miei sensi annebbiati, e capisco che sulla mia fronte c'era il tocco ruvido e caldo di un uomo.

-Pietro?- lo chiamo, sono sicura che questo non sia un sogno. Le sue mani le ricordavo così morbide e affusolate... cosa mai gli è accaduto? Ha per caso lottato contro l'orda di infetti? E' riuscito a salvarsi la vita?

-Eden no- mi interrompe quella voce così profonda.

Le lacrime scivolano da sole, corrono sul mio viso come se fossero la testimonianza lampante di una martire addolorata.

Il mio corpo, invaso dalla febbre, ignora le condizioni in cui sono riversa da giorni. Come se fossi un'entità distaccata da tutto ciò che mi affligge mi tiro a sedere di scatto. Mi sollevo con un solo gesto del busto, talmente su di giri che non avverto neanche le mie solite vertigini.

I miei lunghi capelli trascurati mi scivolano sulla schiena nuda. Qualcuno deve avermi spogliata. Cosa mi è accaduto?

Questo pensiero mi sfiora a mal appena mentre il lenzuolo cade dal mio petto e lascia i seni nudi alla frescura della stanza.

Piego i gomiti e con ingordigia afferro tra le mani il volto dinanzi a me. L'uomo è seduto ai piedi del mio letto, come se mi stesse vegliando. Piego la gamba buona attorno alla sua vita e sollevo rigidamente quella dolorante. Ignoro la mia sofferenza, respiro intensamente con le labbra secche socchiuse.

Mi pare quasi di vederlo, giovane e raggiante. La barba chiara e gli occhi vitrei.

-Pietro.- ripeto ancora, il suo nome sembra una preghiera.

Mi afferra i polsi chiudendoli tutti nelle sue mani grandi, e tenta di allontanarmi.

Io, disperata, mi porgo a lui con la lingua appena fuori dalla bocca.

Lui prova a ritrarsi, sta per alzarsi dal letto, ma io ho bisogno di lui. Non m'importa nient'altro se non sentirlo addosso dopo averlo creduto morto.

-Eden sono io, sono Jo- - interrompo quella voce fiondandomi sulle sue labbra. Riesco a sfiorarle appena, passando la punta della lingua in mezzo alla fessura di quella bocca umida e sottile.

Joel non è violento, ma utilizza bene la sua forza per spingermi di nuovo a letto, lontano dalle mie allucinazioni.

-Eden!- sbotta provando a mantenere un tono basso. Prende il lenzuolo bianco e me lo tira fino al collo. Sta sudando, i suoi capelli morbidi ondeggiano perchè è sospeso sopra di me.

Freneticamente gli accarezzo il volto, passo le dita sulle sue guance, dietro alle sue orecchie. Lo percorro ovunque, ingorda e disperata, quasi potessi rubare i suoi lineamenti.

-Non è possibile. Pietro?- mi lamento ed inizio a realizzare che la mia non è stata altro che un'allucinazione.

-Sono Joel. Eden, guardami non sono Pietro, sono Joel.- mi ripete con voce ferma, rimanendo sospeso sopra di me, con le mani a tenere saldo il lenzuolo per far si che io non mi denudi più.

Ed ecco che realizzo, e crollo. Con una mano tappo la mia bocca in un gesto di sdegno. Mi sento così in colpa per ciò che ho fatto, ed anche molto in imbarazzo, ma più di ogni altra cosa sono sconvolta. L'immagine di Pietro era solamente un fantasma. Capirlo mi fa avvertire terribilmente la sua mancanza.

Stringo un pungo al petto perché il cuore sta per smembrarsi. Batte all'impazzata e fa male per questa perdita incolmabile.

-Joel perdonami.- singhiozzo tremando sul posto.

Lui allenta la presa sul lenzuolo; -Tranquilla.-

Piango ad occhi chiusi raggomitolando le braccia magre su me stessa, irrigidirmi così pare trattenere il rumore dei miei versi disperati.

Joel è impacciato, capisco che non si sente a suo agio dopo che ho cercato di saltargli addosso. Eppure non ostenta, ed il suo abbraccio è del tutto sincero.

Mi cinge con un braccio facendolo passare sotto la mia schiena e mi solleva dolcemente, stavolta non ha paura di farmi male.

Io mi lascio stringere contro il suo petto. Sta in silenzio e a me sta bene così, fintanto che posso riversare le mie lacrime su di lui.

Resto pietrificata con le braccia tra i miei seni, i pugni chiusi dolorosamente scavandomi mezzelune nei palmi con le unghie. Joel mantiene le distanze, non poggia nemmeno il mento contro il mio capo.

Stiamo fermi nell'oscurità. La candela minaccia di spegnersi per un soffio d'aria che entra dagli spifferi. L'esistenza mi ha sopraffatta, la mia stessa identità è smarrita nelle sofferenze che ho cercato di sopportare da dieci anni a questa parte. Non sono più me stessa.

Perché il destino non mi ha concesso la grazia di sparire come tutte le persone che ho amato? Perché lasciarmi sopravvivere con il peso di questo dolore a gravare sulle mie spalle?

Guardo Joel e trovo una temporanea risposta; i suoi occhi stanchi parlano, sembrano il riflesso dei miei.

   
 
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