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Autore: Red_Coat    24/07/2023    1 recensioni
"Per tutto questo tempo ho passato ogni singolo giorno della mia vita cercando un modo per riunirmi alla mia famiglia. Per riavere mia madre e mio padre, e dire loro quanto mi siano mancati. Ho speso tutto quello che avevo ... pur di poterli salutare un'ultima volta.
Se sono arrabbiata?? Si. Decisamente. Mi fa rabbia che anche il più grande potere del mondo non sia in grado di far nulla per aiutarmi!"
Emilie Gold è l'unica figlia femmina del Signore Oscuro e della sua amata Belle. Cresciuta nell'amore, curiosa come sua madre e abile nella magia come suo padre, ben presto si renderà conto di quanto il tempo possa essere paziente medico e al contempo spietato nemico. E nel tentativo di rendere possibile l'impossibile, scoprirà quanto il prezzo della magia possa essere alto, e quanto il Maestro tempo possa realmente cambiare anche il più oscuro dei cuori.
(coppie: SwanFire; RumBelle. Questa storia è una rivisitazione degli eventi della serie, potrebbero esserci spoiler così come potrebbero esserci coppie canon mai nate o fatti importanti della trama mai accaduti. Il punto di partenza dalla fine della terza stagione.)
Genere: Angst, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Baelfire, Belle, Emma Swan, Signor Gold/Tremotino
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Episodio XVII – Punti fissi


Passato,
Foresta incantata.
 

Era buio. Un buio pesto, denso, fatto di angoscia e incubi e permeato dall'odore acre della paglia in decomposizione che ricopriva il pavimento di pietra e di quello avvolgente e nauseabondo degli escrementi che riempivano le latrine di ogni cella.
Prigioniero della sua, un uomo si agitava nell'affannoso tentativo di liberarsi dalle pesanti catene che gli ancoravano i polsi alla dura roccia di cui era costituito il muro. Il tintinnio del metallo si mescolava ai gemiti degli altri prigionieri e allo squittio dei grassi ratti che scorrazzavano qui e là alla ricerca di cibo, o qualsiasi altra cosa che potesse sostituirlo, e alla lunga finì per suscitare dagli uomini più in forze grida di protesta.
 
«Ah, falla finita amico!» gli gridò uno di loro, a qualche metro.
 
La cella era profonda, perciò non riuscì a vederlo, ma riuscì a immaginare molto bene la rabbia ribollire sul suo volto.
 
«Nessuno è mai uscito vivo da qui, perciò rassegnati! Marcirai e morirai in questo buco, come tutti noi!» concluse ringhiando, e gli altri si unirono a lui riempiendolo di risate di scherno e insulti irripetibili.
 
L'uomo, un insignificante, pallido e segaligno uomo di mezza età, sospirò fermandosi per un istante a riprendere fiato.
Fissò gli altri suoi due compagni di cella, uno scheletro abbandonato alle sue manetta alla sua destra e un uomo morto da qualche giorno che già aveva iniziato a gonfiarsi e puzzare, alla sua destra.
Sospirò, voltando inorridito la faccia. Da quando era stato rinchiuso, otto settimane prima, non aveva smesso di sperare che qualcuno prima o poi si accorgesse di lui, per qualsiasi cosa. Tutto, anche la ghigliottina, sarebbe stato meglio di quell'inferno, ma il signore di quelle terre era morto da poco senza lasciare eredi e i criminali come lui, assassini, ladri e contrabbandieri con nulla da perdere e nessuna famiglia alle spalle a reclamarli, sarebbero stati presto dimenticati. Era quella la fine che avrebbe fatto. La fine di un topo di fogna.
Sospirò, abbandonandosi ad un pianto silenzioso, sentendo le forze scemare rapidamente. Ma proprio nel momento in cui stava per accettare la sua sorte, una voce si fece udire alle sue spalle.
 
«Che spettacolo penoso…» mormorò «Davvero patetico.»
 
Il cuore accelerò di colpo, mozzandogli il fiato in gola. Si voltò di scatto e si accorse di una sagoma non tanto alta apparsa nell'ombra proprio a pochi passi dal lui. La voce era quella di una ragazza, ma non c'erano finestre lì dentro e l'ultima torcia si era spenta giorni fa, perciò non riuscì a distinguere quasi nulla, se non la punta affilata dei suoi stivali e la luce terrificante di due occhi grigi in cui sembrava muoversi qualcosa.
 
«C-c-chi sei tu?» mormorò, balbettando a causa della paura.
 
Un ghigno largo si aprì, mostrando denti bianchi e lucidi.
 
«Cosa vuoi da me? Come hai fatto ad entrare?»
 
La sentì ridacchiare in una maniera che gli mise i brividi. Stava per morire? Erano già iniziate le allucinazioni?
 
«La domanda, mio caro, non è chi sono... ne cosa voglio... ma cosa vuoi tu dalla vita?» fece l'ombra, insidiosa «Vuoi davvero morire così? Non mi sembra proprio... o quelle a cui ho assistito prima erano solo convulsioni?» ridacchiò di nuovo, quasi a volerlo schernire.
 
Tentando invano di riappropriarsi della propria lucidità mentale, l'uomo si aggrappò alla vaga familiarità di quella strana entità. Dove l'aveva già vista? Le ricordava qualcosa, ma cosa? Non riuscì a ricordare, e questo lo agitò ancora di più.
Si divincolò tentando di allontanarsi, scalciando a vuoto e schiacciando la schiena contro il muro.
 
«Va via! Vattene! Demonio!»
 
Di nuovo, un coro di proteste si levò dai suoi compagni di prigionia. Qualcuno lanciò qualcosa contro le sbarre di ferro della cella e il tonfo che si udì lo fece sobbalzare.
 
«Sta zitto e muori, idiota!» gli disse lo stesso uomo di poco prima.
 
Iniziò a sudare freddo, mentre osservava l'ombra muoversi lentamente. Cambiò posizione, poi iniziò ad avanzare verso di lui, un passo dopo l'altro fino a stargli di fronte. Solo allora, finalmente, poté vederla.
Era davvero una ragazza, vestita di pelle, un mantello nero a coprire le spalle e i capelli legati in una morbida treccia che le pendeva da una spalla.
Si inginocchiò alla sua altezza e seria mormorò.
 
«Stammi a sentire, avanzo di galera. Mi serve il tuo aiuto per salvare mio fratello, e tu me lo darai, perché io posso offrirti qualcosa che altrimenti non potresti più ottenere: vita, e libertà.»
 
L'uomo tornò a fissarla negli occhi, sgranando i suoi, terrorizzati, stanchi e solcati da profonde occhiaie nere.
 
«C-chi sei tu?» tornò a chiedere, continuando a scavare nella memoria.
 
La giovane sospirò spazientita, lanciandogli uno sguardo di fuoco.
 
«Continui a fare le domande sbagliate.» mormorò tra i denti, minacciosa.
 
Poi si alzò, gli voltò le spalle e le scrollò.
 
«E va bene. Pensavo fossi il prigioniero più disperato e quello con più voglia di vivere, ma a quanto pare mi sbagliavo. Chiederò a uno di quei simpaticoni, vediamo se saranno più intelligenti di te» risolse, e allungò una mano verso la porta, ma lui la fermò.
«No! NO! ASPETTA! Aspetta!» strillò, ricominciando a sudare e tremare.
 
L'ombra si bloccò, voltando leggermente la testa verso di lui. Non ne fu sicuro, ma gli parve di scorgere un sogghigno.
 
«Davvero puoi liberarmi? Puoi farmi uscire vivo di qui?» chiese, dopo aver ripreso fiato.
 
Finalmente, la giovane si voltò verso di lui rivolgendogli di nuovo la sua attenzione. Sorrise, trionfante ma in un modo che aveva qualcosa di inquietante. Non ci badò. Niente poteva essere più spaventoso della morte in quell'inferno sotterraneo.
 
«È quello che ho detto.» gli disse lei, con un vocetta stridula, gesticolando platealmente e aprendosi un largo sorriso che tuttavia si spense subito «Avrai indietro la tua libertà e la tua patetica vita, caro. Quello che ti serve per ricominciare» sibilò seria.
 
La guardò, scrutandola con ancor più attenzione. Bella, innocente e pericolosa. Sembrava il diavolo. Accidenti, se lo sembrava! Ma qualsiasi cosa fosse, una strega o altro, era la sua unica via di fuga da lì.
Prese fiato, annuì e senza più esitazione rispose, quasi grato.
 
«Che devo fare?»
 
La ragazza tornò a sogghignare. Poi fece un passo indietro, agitò abile i polsi e tra le sue dita apparvero una pergamena con sigillo e un pennino rosso. Glieli porse, ma lui ancora non riuscì a ricordare.
 
«Firma.» la sentì sussurrare «E assicurami la tua fedeltà. I dettagli li definiremo in seguito.»
 
Non dovette neanche sforzarsi. Come un topolino attirato dal formaggio, la sua esca cadde dritta nel tranello assicurandole il pezzo di carne che le serviva per tirare fuori Neal Cassidy dalla trappola ancor più grossa in cui era andato ad infilarsi.
Il primo passo di Emilie Gold verso l'oscurità si era appena compiuto.
 
***
 
Aria, fresca e pulita, e un gradevole profumo di pini. Questa fu la prima cosa che l'uomo, tale Duke, avvertì non appena il fumo violaceo che li aveva trasportati fuori svanì. Le gambe vacillarono per la stanchezza e l'emozione, ma ce la fece a non cadere, e mentre gioiva aprendo le braccia alla fredda notte della foresta e urlando al cielo il suo entusiasmo, Emilie lo osservò con una smorfia infastidita.
Mise a tacere la sua coscienza con un rapido comando che non sortì l'effetto sperato, poi lo interruppe strattonandolo.
 
«Basta! Non abbiamo tempo per questo» ordinò perentoria «Seguimi!»
 
Duke obbedì, come un cagnolino fedele, e per i successivi cinque minuti di cammino in mezzo alla neve ancora fresca che ricopriva il suolo, mentre lo sentiva continuare a ringraziarla, a giurarle che avrebbe trovato un modo per ripagarla, a cantare e raccontarle ogni cosa della sua stupida vita, Emilie Gold continuò a sentire il proprio cuore martellarle il petto dolente. Si sentiva esausta, ma non si chiese perché. Continuò soltanto a schermare ogni altra sensazione o percezione ripetendosi ossessivamente, dentro di sé: "Devo farlo. È l'unico modo. La morte è un punto fisso nel tempo, ma non deve essere necessariamente quella di Bae. Lui deve vivere."
Con le dita della mano destra sfiorò la sinistra, cercando il suo anello, ma non lo trovò. Non poteva. Era stata lei stessa a darlo a William Scarlett, con la promessa di non seguirla.
 
«Non perderlo, per nessuna cosa al mondo. E non seguirmi. Devo fare una cosa» gli aveva detto, ma come al solito lui non si era arreso alla prima, rapida spiegazione.
 
Quello sguardo terrorizzato e angosciato, aveva spaventato anche lui.
 
«Cosa? Che succederà?» le aveva chiesto, in ansia.
«Niente» era stata la sua perentoria risposta «Devo solo…»
 
"Uccidere un uomo." avrebbe potuto dire. Ma si era limitata a mordersi la lingua, abbassare lo sguardo colpevole per colpa di un segreto che William Scarlett ancora non conosceva, e concludere, sbrigativa, scuotendo il capo.
 
«Papà ha molti tesori nel suo castello, ma ce n'è solo uno che considera inestimabile. Devo proteggerlo, ad ogni costo.»
 
Poi si era voltata, aveva fatto qualche passo ed era svanita in una nuvola di fumo, ignorando la raffica di domande e preoccupazioni che era seguita.
Erano arrivati in quel villaggio due mesi prima, per una ragione all'apparenza banale.
 
«Il viaggio è lungo e noi dobbiamo fare provviste. Questo è il posto migliore, ci sono stata una volta con mamma e papà.»
 
Tutte bugie, o almeno la prima parte. In realtà quei due mesi le erano serviti per preparare il contrattacco al malefico piano di Zelena, che comprendeva tra le altre cose il sacrificio di Baelfire per riportare in vita Tremotino.
La perfida strega aveva usato un candelabro per piazzare l'esca, ma ciò che stavolta non aveva calcolato era la sua presenza. Ora c'era lei, e nessuno della sua famiglia sarebbe rimasto vittima dei suoi sporchi giochetti. Nessuno... non più del necessario.
Il Signore Oscuro sarebbe tornato in vita, quella notte, ma Baelfire non ne avrebbe pagato il prezzo. Qualcun altro lo avrebbe fatto al posto suo, qualcuno che non aveva alcuna relazione con loro, e che non aveva nulla da perdere. Era stata illuminante la lista dei condannati a morte affissa al grande portone del castello. Tra quei nomi, Emilie aveva trovato quello del povero Duke perfetto. Orfano, senza moglie e figli, ladro, ubriacone, viscido e spregiudicato. Qualcuno che meritava la morte più di suo fratello, e l'inferno più del paradiso. Avrebbe voluto mandarci Zelena all'inferno, ma per quello avrebbe dovuto aspettare ancora un po'.
Sciaguratamente, proprio allora la voce del Coccodrillo era tornata a farsi sentire, sussurrandole che quella folle idea fosse la migliore, l'unica giusta.
"È perfetto! Salverai tuo fratello, sventerai i piani di Zelena e riavrai la tua famiglia. Un nuovo, felice inizio!"
Già... peccato che il prezzo da pagare fosse la vita di un uomo, un uomo tutto sommato innocente.
Non le aveva dato tregua. E nei giorni che avevano preceduto quella fatidica notte, mentre aspettava il momento propizio, i sogni su suo padre si erano avvicendati agli incubi sulla sua versione peggiore.
"Principessa, non farlo. Il tuo cuore, ricordati il nostro patto. La mia felicità... non vale il prezzo di un omicidio. Niente potrà mai valere tanto."
"Debole! Ricordi cosa ti ho insegnato, ragazzina? Tu puoi fare questo e altro. È l'unico modo, l'unica cosa giusta da fare. Se qualcuno deve morire, allora sia qualcun altro! Il nostro lieto fine vale qualunque prezzo! Qualunque! Quindi fallo! Non te ne pentirai..."
"Si, invece! Lo farai, e lo farai per sempre. Emilie... non oltrepassare quel limite. Non ho mai voluto questo per te, per nessuno di voi."
Giorno e notte, quella conversazione era continuata ininterrottamente e anche dopo aver ceduto l'anello a William. Le voci di suo padre continuavano a rimbombare,  e per la prima volta da che era partita per non sentirle Emilie aveva guardato con attenta disperazione tutte le maschere di Tremotino e ne aveva scelta una, la più comoda, la più sicura, e l'aveva indossata.
Dietro di essa, la Emilie insicura, spaventata, era svanita. O meglio, c'era ancora, solo... non era più lei. Lei, qualunque cosa fosse, si era limitata a guardarla con una smorfia di disgusto e compatimento, a distanza, lasciandola indietro mentre il passo diventava più deciso e il cuore più calmo. "Rimani lì a frignare e commiserarti nella neve, Emilie. Debole, fragile Emilie. Io regalerò a Bae e papà il lieto fine che meritano. Che noi meritiamo."
E fu così, in quel momento, non con il Tremotino del Desiderio e neanche dopo la morte di suo padre, ma in quel preciso istante, mentre conduceva il suo sacrificio sull'altare della morte, che Lucertolina nacque. Oscura, spietata, vendicativa, determinata e folle. Proprio come il Coccodrillo, ma con qualcosa, solo un minuscolo qualcosa, di lei. In fondo era tutto ciò che le serviva per fare ciò che andava fatto.
 
***
 
Mancava poco, davvero poco. Solo una manciata di minuti, e tutto si sarebbe compiuto. O avrebbe potuto compiersi, se il sigillo della cripta non fosse ormai caduto nelle mani di Emilie.
Era stato facile, più facile del previsto. Non aveva potuto farlo con Zelena in circolazione, perciò aveva dovuto ricorrere alla magia per sottrarlo alle mani di sua madre, durante un loro momenti di distrazione.
Erano passati pochi minuti da quel momento, ora quella nuova Emilie fissava irritata e nervosa quel misero uomo guardarla con aria confusa, la preziosa chiave stretta nelle mani.
 
«Tutto qui? Mi hai liberato solo per aprire questa vecchia cripta?» le domandò, sempre più stupito e a tratti anche inquieto.
«Si, esatto.» gli rispose, guardandosi nervosamente intorno alla ricerca di un qualsiasi segnale di pericolo «Ora sbrigati. Fallo, e poi sarai libero» promise, stringendo i denti e i pugni per la fatica di controllarsi.
 
"Fallo, pezzo di idiota! Zelena potrebbe già essere qui!"
Un vocio sommesso, sempre più vicino. Il cuore perse un battito quando le parve di riconoscere la voce di Belle e, successivamente, realizzò che quella nuova voce che udiva era quella di Bae. Baelfire. Era lì. Abbastanza vicino da sentirlo.
 
«Avanti, miserabile! Apri quella maledetta cripta, o giuro che ti scannerò con le mie mani!» lo minacciò, puntandogli contro il pugnale senza nome.
 
L'ultimo istante di esitazione svanì, e finalmente la cavia obbedì, impugnando la chiave nel modo in cui lei gli aveva mostrato e girandola nella serratura.
Quando le sue grida risuonarono, a Belle e Neal mancava un'ultima manciata di metri, ma non avvertì ancora la presenza di Zelena.
Sorrise, malignamente soddisfatta, quindi si calò il cappuccio sul volto per evitare ulteriori problemi, e dentro di sé sentì esplodere il caos quando, gemendo, la sua vittima chiese.
 
«Che mi succede? Avevi promesso che sarei stato libero, che sarei stato vivo! Ho firmato!»
 
Il ghigno del Coccodrillo apparve sulle sue sottili labbra, seguito dalla sua inconfondibile risata.
 
«Beh, libero lo sei» ghignò «E lo sarai per sempre ora... buon inferno, canaglia. E grazie per il tuo prezioso aiuto.»
 
Poi sparì, in una nuvola di fumo, proprio nel momento in cui il Signore Oscuro iniziava a riemergere dalla cripta, e il resto della sua famiglia sopraggiungeva.
Restò quanto bastava per assicurarsi che tutto "filasse liscio". Senza l'onere di dover proteggere Baelfire, suo padre fu libero di affrontare Zelena, ma come tutti i punti fissi nel tempo il pugnale trovò il modo di finire nella mani della Strega dell'Ovest, e implodendo dentro di sè Emilie si impose di non intervenire quando questa costrinse suo padre a seguirla. Avrebbe voluto evitarlo. Ma non poteva.
Le parole di Kronos ripresero a risuonare nella sua testa nel momento in cui vide quella fatalità accadere.
"Ricordalo, Emilie Gold: i punti fissi nel tempo sono come le costellazioni nel cielo notturno. Sono una guida, non un ostacolo. Non cercare di contrastarli, ti ferirai e i tuoi piani falliranno.
Piuttosto cogline i segni, e il tuo destino si compirà proprio come il tuo cuore spera.
"
Pregò, mentre guardava suo padre soccombere e sua madre e Bae, ancora vivo, arrendersi sbigottiti. Supplicò e infine imprecò bestemmiando dentro di sé i nomi di tutti gli dei che conosceva. Perché? Perché quello doveva essere un punto fisso nel tempo? Ma alla fine, quando grazie all'intervento di Lumiere sua madre e suo fratello riuscirono a scappare, decise che se era inevitabile lei non sarebbe rimasta a guardare, e allora se ne andò, sparendo così com'era arrivata e riapparendo in un punto lontano della foresta, molto lontano, dove nessuno l'avrebbe sentita urlare.
 
***
 
Non fu un grido, ma un ruggito lacerante, straziante, che la scosse dentro, sconquassandola e spaccandola in due. Da una parte la Lucertolina e il suo maestro, dall'altra la piccola, tenera e debole Emilie e suo padre.
E in mezzo lei, persa, forse per sempre.
Non era Zelena a farle rabbia, né quello che sarebbe accaduto. Sapeva che suo padre sarebbe sopravvissuto e avrebbe potuto lottare, vincere anche più di prima ora che Bae era con lui.
No, quel dolore aveva radici più profonde, radici oscure che poté vedere solo quando, mossa da un istinto superiore, con un colpo secco e deciso si strappò il cuore dal petto e riuscì a guardarlo, a fissare quel minuscolo puntino nero che lo macchiava ora irrimediabilmente proprio al centro.
Il segno del patto infranto, del primo passo verso l'oscurità. Il vero prezzo da pagare per la vita di suo fratello.
 
***
 
Passato,
New York
Sobborghi di China Town.

 
Con un boato assordante, il primo petardo esplose nel cielo notturno di New York, riempendo l'oscurità coi suoi mille, sgargianti colori.
La moltitudine variegata che affollava le strade del quartiere iniziò a fermarsi, puntando occhi e naso verso l'alto e restando ad ammirarli a bocca aperta. Ben presto, tutti rimasero immobili a godersi lo spettacolo, tutti tranne due individui, che proseguendo spediti il loro cammino strisciarono dentro un vicolo e da lì s'infilarono prima in un altro vicolo ancora più buio poi su per una rampa di scale antincendio ormai arrugginite.
Appena dentro il sudicio appartamento ormai vuoto, i due si guardarono intorno con circospezione. Fu William Scarlett il primo a parlare, dopo essersi concesso qualche istante per riprendere fiato. Starle dietro era stata un'impresa, stavolta più delle altre.
Più volte le aveva chiesto di rallentare o almeno di dirgli dove stessero andando, ma non aveva ottenuto risposta a nessuna delle due domande.
Ora la guardò, cercando di scorgere la sua espressione da sotto il cappuccio della felpa nera che aveva indossato sotto a un giubbotto di jeans, ma ancora una volta lei evitò il suo sguardo.
 
«Che ci facciamo qui?» domandò «Sembra disabitata. Devi incontrare qualcuno?»
 
Il suo stupore era autentico.
La loro ultima missione era stata un successo, Bae era vivo e Tremotino era riuscito a rientrare in possesso del pugnale, perciò aveva creduto di potersi godere un po' di meritata pace ora, invece Emilie lo aveva trascinato in quella città caotica lontana chilometri da Storybrooke. Perchè?
Aveva provato a chiedergli anche questo, aggiungendo
 
«Tua madre e tuo padre sono salvi, tuo fratello è vivo. Non vuoi andare da loro? Non vuoi assistere al matrimonio?»
 
Ma di nuovo aveva ricevuto in cambio silenzio. In realtà, sembrava non lo avesse neanche sentito, per tutto il tempo; prima in macchina, poi in aereo e in taxi, Emilie Gold non aveva fatto che restarsene zitta, le cuffie nelle orecchie, la musica ad alto volume e un'espressione funerea in volto, accarezzando in continuazione l'anello di suo padre che aveva rimesso al dito. Non aveva chiuso gli occhi neanche una volta, battendo le palpebre per resistere al sonno sempre più pressante. Lo stava facendo anche adesso, ma quando lui le parlò per un istante guardandola gli parve di vederla precipitare dalle nuvole.
Si riscosse, batté un paio di volte le palpebre, poi sospirò nervosa e replicò, seccata.
 
«Non è disabitato, questo posto. È ben lungi dall'esserlo!»
 
L'ultima frase la urlò, quasi. Poi iniziò ad aprire tutte le porte e a perlustrare ogni stanza, lamentandosi dello squallore ogni volta.
 
«È una vergogna!» disse, quando ne rimaneva solo una.
 
Sogghignò impercettibilmente, quindi la spalancò con un calcio e si precipitò al suo interno, restando immobile al centro della sala e concludendo con disprezzo.
 
«Un essere così potente e una casa così orrenda. Di certo non devi preoccuparti che ti crolli sulla testa, vero Dragone?»
 
William Scarlett sgranò gli occhi, precipitandosi nella stanza e rimanendo sbigottito a fissare il vecchio uomo seduto in fondo alla stanza, gambe incrociate su un vecchio futon logoro.
Non appena quegli occhi di drago incrociarono i suoi, per un istante la paura lo paralizzò. Bene.
Ora era solo in una stanza fatiscente in mezzo ai due esseri più terrificanti che conoscesse, il Dragone e la figlia del Signore Oscuro.
Cosa aveva intenzione di fare, ucciderlo? Era già abbastanza sorprendente vederla sfidarlo con tale audacia ben sapendo quale fosse la sua vera forma.
Tuttavia, con sua grande sorpresa e altrettanto sollievo, l'uomo non sembrò affatto colpito da quell'irruenza. Anzi, proprio come Kronos, le rivolse un sorriso divertito e le rispose, calmo.
 
«La vita è già abbastanza complicata, non serve aggiungere ulteriori pesi. Ma tu questo lo sai già, vero Emilie Gold?»
 
Di nuovo, il Fante trattenne il fiato. Guardò Emilie e la vide stringere i pugni, le labbra deformate in una smorfia di disprezzo.
 
«Tu lo conosci?» le chiese.
«Non ho bisogno di farlo!» gli rispose lei «E tu smettila con i tuoi giochetti, e dammi ciò che mi serve.»
 
Con un'irriverenza che infiammò di rabbia le iridi grigie e la pelle pallida della ragazza, il Dragone tornò a rispondere calmo.
 
«Come ben sai, tutta la magia ha un prezzo. Quella a cui ambisci tu ne ha uno particolarmente alto.»
 
Stufo di non capirci più niente, William Scarlett si frappose tra di loro dando le spalle all'uomo e strinse le spalle di Emilie, rigida come un pezzo di marmo.
 
«Milly, che diavolo sta succedendo? Di cosa parla? Come diavolo faccio ad aiutarti se non me lo dici?»
«Non mi serve il tuo aiuto, William» gli rispose però la ragazza, un filo di voce, sibilando a denti stretti «Aspettami fuori.»
 
Quindi, prevenendo altre proteste, usò la magia per rispedirlo fuori dallo stabile, dove fu costretto ad aspettare visto che la porta dal quale avevano avuto accesso era stata chiusa, proprio da lei poco prima.
Sospirò, buttando l'aria dal naso.
 
«Ma certo!» si lamentò «Ovviamente! Perché mi hai trascinato fin qui se non ti servivo? Che accidentaccio ci sono venuto a fare?!»
 
Diede un calcio alla porta, poi s'impose a fatica autocontrollo e si sedette sulle scale ad aspettare, rassegnato, pensando alla sua compagna di viaggio e al suo cambiamento negli ultimi tempi. Non aveva la più pallida idea di cosa fosse successo quella sera che lei era sparita, dopo avergli consegnato l'anello.
Gli aveva detto di aspettarla e non cercarla per nessun motivo, aveva obbedito ma subito dopo averla vista tornare aveva iniziato a pentirsene.
Cupa, gli occhi grigi costantemente lucidi e velati, il comportamento ancora più tenebroso e imprevedibile di prima. Alle volte sembrava davvero un' altra persona, anche se non la conosceva ancora così bene per poterlo affermare con altrettanta certezza. Ma una cosa l'aveva capita: non era una cattiva. Gli era stato chiaro sin da subito che dietro quei modi e quei sorrisi sghembi si nascondeva solo una ragazza che voleva giocare, una persona forse un po' troppo sopra le righe, ma non cattiva. Spericolata, pazza, incontrollabile, testarda, ma non cattiva.
Per questo quella sera, quando l'aveva vista tornare, aveva avuto paura. Perché per un attimo, il breve attimo in cui si erano guardati negli occhi, William Scarlett si era accorto che quella luce buona dentro i suoi occhi era svanita, si era spenta, e un'altra più inquietante aveva iniziato a brillare. Una luce spietata, sinistra. Segno indelebile di una ferita irreparabile.
Non gli aveva fornito alcuna spiegazione, ma lui non aveva insistito per averne, forse per rispetto, forse per paura.
Era durato poco, per fortuna, poi si era lanciata a capofitto nella prossima missione, la solita Emilie era tornata e lui aveva creduto fosse tutto risolto. Nulla di più sbagliato, visto che ora si trovava lì, ad aspettarla sperando che non facesse il solito macello.
Sprofondò le mani nei capelli, scuotendo il capo e ripensando alla promessa fatta a Robin ed Ewan. Quanto avrebbe voluto tornare a Storybrooke e restarci, consegnare loro quella patata bollente e godersi la vita!
 
«Per tutti i diavoli, inizio ad essere stufo!»
 
E mentre lui cercava di non esplodere, Emilie Gold sfidava l'ennesimo drago, ma stavolta da sola e per un motivo diverso.
 
«Quanto oro ti serve? Posso darti tutto quello che vuoi!» gli disse, contenendo a fatica la rabbia che premeva per esplodere.
 
Il vecchio saggio seguitò a guardarla, spegnendo un po' il suo sorriso.
 
«Lo so. Non è l'oro il problema.» le rispose «Ma una parte di te è appena morta. E per riportarla in vita mi serve l'unica cosa che le apparteneva. Il tuo tesoro più prezioso…» concluse, abbassando gli occhi sull'anello proprio nel momento in cui Emilie tornò a stringerlo, portandosi la mano al petto e sgranando gli occhi, terrificata.
 
Un gemito le sfuggì dalle labbra, piegate in una smorfia.
Il Dragone non disse nulla, si limitò ad osservarla per qualche istante ancora con i suoi occhi saggi, scrutandole l'anima, poi sorrise e allungò il palmo aperto verso di lei.
 
«Tre sacchi d'oro e quell'anello.» le disse «Paga il prezzo, e l'oscurità svanirà da te.»
 
Ma stavolta il viso della giovane si fece di cera, e d'improvviso la sua coscienza sembrò tornare a funzionare.
 
«No! Non posso.» esclamò, quasi senza accorgersene, stringendo il pugno chiuso ancor di più verso di sé.
 
"Questa è la mia bussola! È l'ultima cosa che mi resta di papa, riesco a sentirlo ancora, ed è tutto grazie a questo! Non posso farlo! Non posso!"
Sarebbe come ucciderlo per sempre. Come... lasciarlo andare.
Ma il Dragone non ne fu affatto stupito, anzi. Le sorrise, quindi annuì piano.
 
«Capisco…» replicò «In tal caso... credo che dovrai imparare a convivere con la tua oscurità.»
 
Di nuovo, Emilie sembrò ridestarsi. Lo fissò con stupore, gli occhi improvvisamente lucidi. Annuì, lentamente.
 
«È quello che farò.» disse, la voce chiara e sicura «Lo farò senz'altro. E nel frattempo troverò un altro modo per tornare indietro, un modo che non richieda questo.» aggiunse, mostrandogli l'anello, un sorriso sicuro sulle labbra «Del resto, è ciò che so fare meglio: trovare un'altra strada.»
 
***
 
Presente,
Villa Gold.

 
Bastò un istante. Nell'attimo preciso in cui Regina entrò nella sala dove si era consumata la tragedia, guardò la folla, le loro singole reazioni, e ogni cosa del gioco di Emilie Gold le fu chiara, permettendole di vedere la scacchiera completa.
Erano tutte lì, ogni pedina, esattamente dove la ragazza aveva sempre voluto che fossero.
C'erano i cavalli; Ruby, Will, Malefica. Le torri; Cruella, Belle e Robin Hood. E gli alfieri: Ewan, Baelfire e Gideon. Infine c'era lei, Emilie Gold, la regina, e suo padre, Tremotino. Il Re. Ancora una volta al centro di tutto.
Nulla era stato lasciato al caso, ogni pedina, anche la più insignificante, era stata scelta con cura dopo ore, settimane, anni passati ad ascoltare sempre la stessa fiaba della buona notte, ogni notte con un dettaglio in più, ogni volta con qualcosa in più da notare e appuntare.
Riuscì quasi a vederla, quella bambina che ogni sera tornava ad ascoltare la storia dei suoi genitori, chiedendo ora di questo, ora di quel personaggio, cercando di visualizzarlo, di immaginarlo.
Ed ecco che anche l'ultimo tassello andava a posto e l'immagine di quella ragazza a terra tra le braccia del suo amato e di suo padre, implorandolo di usare la sua magia per salvarle la vita, assumeva tutto un altro significato. Certo. Era ovvio.
La regina conduceva il gioco, conosceva bene ogni sua pedina, ma era sacrificabile, come il resto della scacchiera. Tutto pur di non permettere a nessuno di fare scacco matto al Re.
Povero Principe Azzurro, ammutolito dietro di loro, le mani ancora sporche di sangue, gli occhi sgranati.
Poveri loro, vittime inconsapevoli di un gioco che non comprendevano.
Perfino Regina stessa per un istante si sentì smarrita, confusa, stordita all'impatto con la dura realtà. Ma alla fine dovette ammetterlo: con Emilie, Rumplestiltskin si era davvero superato, poco importava di quale sua versione si trattasse. Forse era anche merito di quella mescolanza, di quella fortuita coincidenza, se Emilie era diventata così brava a giocare. Quante ore aveva passato davanti alla scacchiera ad osservare l'ultima partita di suo padre?
Quanto tempo aveva trascorso a valutare tutte le eventuali mosse e contromosse, quelle da ripetere e quelle da cambiare? Non era decisamente da lei, ma ci era riuscita. Oh, se c'era riuscita!
Ricordò i contratti che Gideon aveva trovato nella piccola casina sull'albero, la dovizia di particolari con cui erano stati stilati, la cura dietro ogni sillaba. Non era pura emulazione, era qualcosa di più, un tributo, un arabesco narrante la storia di suo padre intrecciato con creatività e passione all'interno del tessuto stesso del tempo.
Difficile da vedere a colpo d'occhio, ma impossibile da dimenticare.
Senza più fiato, gli occhi improvvisamente lucidi, Regina sorrise guardando la giovane Emilie stringere la mano di Mr. Gold, poi spostò la sua attenzione su Gideon e lo vide perso, nella paura e nel dolore.
Non sarebbe tornato indietro con lei. Non avrebbe più potuto farlo, perché oramai ne era parte anche lui, di quel nuovo, strano futuro. Tutti, indistintamente, perfino lei stessa. Ogni cosa, anche la più insignificante, era stata studiata per non dar loro via di scampo e piegarsi al disegno di quella mente.
Lo seppe nel momento stesso in cui il giovane alzò gli occhi e le rivolse un sorriso addolorato. Lo aveva capito? Anche lui si era accorto del piano di sua sorella? Di sicuro lo aveva fatto il Tremotino di quel tempo, perché seppur addolorato non rifiutò la sua richiesta e, pur conoscendo il prezzo, usò la sua magia per evitarle almeno la morte e le atroci sofferenze fisiche che l'avrebbero altrimenti preceduta.
Subito dopo, mentre Ewan si precipitava fuori tenendola tra le braccia, quella piccola folla gli fece largo, lasciandolo passare e stringendosi attorno ad Emilie come se non fosse stata opera sua quella gigantesca messa in scena che li aveva rapiti alla realtà e trasformati in marionette.
Robin, Geppetto, il Grillo, Granny, perfino il dalmata Pongo si accodò scodinzolando a quella processione accompagnando la ragazza fino all'ambulanza che già attendeva fuori, mentre lo schieramento "nemico" iniziava a sfaldarsi.
Per cominciare, superato lo shock il Principe provò a scusarsi con sua figlia, gli occhi lucidi, sconvolto come non lo aveva mai visto.
 
«Emma, devi credermi. Io non... non so cosa mi sia preso?»
 
La donna annuì, ma non riuscì a risparmiargli uno sguardo d'accusa.
 
«Ne parliamo dopo» disse soltanto, precipitandosi fuori assieme agli altri.
 
Anche Baelfire provò a fermarla, accortosi solo adesso di quanto gli fosse accaduto e profondamente rammaricato. Di essere stato ingannato di nuovo, di essere stato usato per l'ennesima volta.
 
«Emma!» la chiamò, ma lei lo zittì come aveva fatto con suo padre «Non ora, Neal» disse, quindi prese Henry per mano e lo condusse fuori.
 
Proprio in quel momento, nella stanza che continuava a svuotarsi risuonò il grido di Biancaneve.
 
«David!»
 
Aveva il viso rosso dal pianto, tremava, e quando riuscì ad abbracciarlo iniziò a singhiozzare, ma il Principe non riuscì a consolarla stavolta. Sembrava essere tornato il David Nolan di un tempo, quello confuso, spaventato e colpevole, prima che il sortilegio fosse spezzato.
Si strinsero, inquieti. Poco distante Malefica e sua figlia si presero per mano e uscirono dopo essersi scambiate un mutuo cenno d'assenso.
Mentre li seguiva con lo sguardo, Regina vide riapparire sulla porta d'ingresso Mr. Gold e Belle, stretti l'uno all'altra, visibilmente preoccupati.
Lo sguardo che Rumplestiltskin lanciò al Principe quando questi si affrettò a chiamarlo e a raggiungerlo non lasciò spazio ad alcun tipo di dubbio.
Mentre lo ascoltava bofonchiare patetiche parole di scuse e inutili ammissioni di colpa, Mr. Gold strinse quasi convulsamente il manico dorato del bastone da passeggio resistendo per un pelo all'impulso di piantarglielo in mezzo ai denti e farlo tacere una volta per tutte. Fu merito di Belle, che intuendo i suoi pensieri gli sfiorò il braccio stringendosi di più a lui. Regina la vide sussurrargli qualcosa, ma il baccano nella sala era ancora troppo per permetterle di capire.
Seppe che aveva funzionato quando vide il suo maestro sospirare e annuire controvoglia. Prese per mano sua moglie, fece per andarsene, ma d'un tratto si bloccò e tornò a voltarsi verso il Principe e Biancaneve.
 
«So bene…» disse, controllando a fatica la rabbia «Che tutto questo non può essere solo colpa vostra. La magia ha sempre un prezzo, specie quella della penna dell'autore. Mia figlia lo sapeva bene, quando ha deciso di usarla. Tuttavia…» si fermò, indurendo di nuovo il suo sguardo e lasciando la mano di sua moglie per poter puntare contro di loro il suo indice accusatore «La mano che ha mosso quella spada era la tua. La vostra.» ringhiò, tra i denti «Perciò sarà meglio che le conseguenze derivate siano minime e insignificanti, perché in caso contrario voi due…»
«Rumple!» preoccupata e spaventata dall'improvvisa foga del marito, Belle lo interruppe, frapponendosi tra lui e i due eroi.
 
Tremotino la guardò, grave. Poi sospirò, scuotendo il capo e tentando invano di darsi un contegno.
 
«Potrebbero esserci ripercussioni di uguale entità!» risolse, tornando a puntare contro di loro il bastone per poi voltare a tutti e le spalle e dirigersi a grandi passi verso la porta che dava sul corridoio secondario.
 
Belle si scusò con i due, tentò di rassicurarli senza successo, poi affranta si congedò, affrettandosi a seguirlo. Rimasti soli, Biancaneve e il Principe si strinsero, tentando di rassicurarsi a vicenda con il loro solito carico di speranza e baci. Regina sorrise scuotendo il capo e distogliendo lo sguardo, e proprio allora, provvidenziale, Gideon apparve dal fondo della sala, richiamandola e rivolgendole uno sguardo che sapeva già di scuse.
 
«Regina, io…» iniziò.
 
Era scosso, visibilmente scosso, ma cercava di mantenere la lucidità.
 
«Tu non tornerai indietro con me. È questo che vuoi dirmi?» domandò, senza accusarlo, sciogliendosi in un sorriso benevolo.
 
Lui sospirò, scuotendo il capo e tentando di sorriderle grato.
 
«Non posso. Non ancora.» disse «Tornerò, ma... non ora. Ti prego, dammi solo un altro po' di tempo. Sistemerò tutto, Alice e Uncino e tutto il resto. Ma…» prese fiato, accortosi di aver parlato senza neanche respirare.
 
Gonfiò il petto, tornò a fissarla e concluse, implorante.
 
«Dammi solo qualche altro giorno. Non posso lasciarla sola, di nuovo.»
 
Si morse le labbra, mentre lo diceva. E guardandolo Regina rivide prima sua madre, poi suo padre. Ah, quella famiglia! Così impegnati a farsi la guerra, così rapidamente disposti a deporre le armi e salvarsi a vicenda.
Sorrise, annuendo. Poi assunse un'aria falsamente seria, appoggiò una mano sulla sua spalla e lo guardò dritto negli occhi, replicando.
 
«Un mese, hai un mese di tempo. Più una settimana per sistemare le faccende importanti. E quando avrai finito tornerai, e riporterai indietro anche lei.» si sciolse in un sorriso storcendo il naso e scoccandogli un occhiolino «O almeno mi porterai la sua promessa che non causerà ulteriore scompiglio. Abbiamo un accordo?»
 
Grato quasi fino alle lacrime, Gideon annuì, accennando ad un inchino.
 
«Si.» disse «Si, accordato Vostra Altezza.»
 
Dolcemente commossa, Regina lo abbracciò, stringendolo forte e lasciando che il ragazzo facesse lo stesso.
 
«Sta attento.» gli raccomandò, sentendolo annuire.
 
Poi lo lasciò andare, e guardandolo un'ultima volta prima di sparire dietro una nuvola di fumo pensò che di nuovo il suo vecchio maestro aveva avuto ragione: il destino aveva uno strano senso dell'umorismo, alle volte. Specie se si conosce già il futuro.
 
***
 
Di fronte alla villa regnava il caos. Quando Regina, quella del presente, arrivò a bordo della sua vettura dopo essersi ritrovata nel mezzo del suo salotto presidenziale, vide la gente che usciva a frotte, frettolosamente, il più delle volte sostenendosi vicendevolmente. Cercò Henry, ma non lo trovò. Invece la voce di Robin Hood, da dietro le sue spalle, si fece udire.
 
«Regina!»
 
L'abbracciò, lei lo lasciò fare, si baciarono.
 
«Robin! Stai bene?» gli domandò, il cuore in gola, spaventata da quella confusione, fuori e dentro la sua testa, prendendogli il viso tra le mani
 
A differenza di quanto Isaac aveva scritto, Regina non era morta durante gli eventi di Heroes and Villains, bensì aveva trascorso tutto l'arco narrativo attendendo il momento della sua esecuzione, in una cella del Castello, la più isolata e profonda, condividendo con i  nani quel destino.
Era stato orribile, ma non aveva ricordato nulla fino a che non era tutto finito, e la realtà era tornata al suo posto.
Lo sgomento era stato tanto, lo aveva cercato ma poi aveva ricordato che lui era stato invitato alla festa e la semplice paura si era trasformata in angoscioso terrore. Quel bacio, riuscire a stringerlo di nuovo tra le braccia e sentire le sue potenti braccia da arciere che la stringevano di nuovo, riuscì a ridestarla. Lui le sorrise, tranquillo.
 
«Sto bene, Regina. Va tutto bene ora, sta tranquilla» le disse, rassicurante, sfiorandole appena le labbra.
 
Voleva credergli. Ma non ce la fece ad ignorare i troppi indizi, prima fra tutti quella sicurezza strana, come se quella questione neanche lo riguardasse.
Era lei che aveva bisogno di rassicurazioni? E lui, allora? Tutto quello che era accaduto, il fatto che Emilie e suo padre lo avessero usato per chissà quali scopi, come poteva non essere neanche un po' scosso?
Lo lasciò andare, facendo un passo indietro e guardandolo negli occhi domandò, seria.
 
«Tu lo sapevi?»
 
Lui le sorrise, annuendo. E quando lo vide farlo, le mancò il fiato.
 
«Lo sapevo» ammise «Ma prima di ogni altra cosa, Regina, lasciami aggiungere questo. Conosco quella ragazza da molto tempo, molto più di quanto tu possa immaginare. E mi fido di lei.»
«Come puoi farlo?» sbottò a quel punto la donna, sempre più sconvolta «Ti rendi conto di ciò che ha appena fatto? Dov'è adesso?»
 
Ma la risposta che ricevette spense anche l'ultima fiammella di quel fuoco che aveva preso a ribollire nelle sue vene, come una secchiata di acqua fredda.
 
«Ewan l'ha portata in ospedale. David Nolan l'ha trafitta.»
 
Di nuovo smise di respirare per un secondo. E mentre lo faceva si voltò, richiamata da un vocio familiare.
Poco lontano, Mary Margaret, David Nolan e Ruby erano immersi in una conversazione che aveva qualcosa di terribilmente famigliare.
 
«Ruby, come puoi dirlo? Guarda quello che ci ha fatto? Guarda a cosa ha spinto David!» sbottò una sconvolta Biancaneve, stringendo il braccio del suo sposo che faticava a restare concentrato su di loro.
«Capisco che tu sia sconvolta, Bianca» provò a scusarsi la lupa «Ma devi fidarti di me. Emilie non è cattiva, non è stata colpa sua.»
 
La Principessa rimase inebetita a guardarla, la bocca spalancata, gli occhi sgranati.
 
«Stai dicendo che è colpa nostra? È così? Tu davvero la stai difendendo, Ruby?»
 
A quel punto, ritrovando un briciolo di autocontrollo, David le prese la mano e si frappose fra loro due.
 
«Lascia stare, Neve.» le disse, poi lanciò un'ultima occhiata a Ruby e si sforzò di sorriderle «Per favore, fammi sapere quando si sveglierà.»
 
La lupa sorrise a sua volta annuendo, dispiaciuta ma grata che lui avesse compreso la situazione, almeno in apparenza. Poi tornò a guardare Biancaneve e provò ancora una volta a spiegarsi, ma il Principe Azzurro la trascinò via mormorando torvo.
 
«Andiamo.»
«Dove?» le chiese la sua sposa, opponendosi.
«A casa. E poi a cercare di parlare con Emma.» fu la risposta, fredda e diretta, guardandola negli occhi.
 
Quel semplice accenno alla loro figlia sembrò ridestarla. Emma. Certo. Ora era lei l'unica cosa che contava. Doveva capirlo, che erano stati obbligati a mentirle. Per salvarle la vita, per non darle un'ulteriore dolore. Era solo e soltanto per questo che lo avevano fatto.
Regina li osservò defilarsi mentre la folla continuava a restare nel giardino in attesa di un imprecisato qualcosa. Di nuovo, guardandoli Regina si stupì. Erano preoccupati, tutti loro, ma non per sé stessi.
Osservò Pinocchio avvicinarsi a Ruby e scambiare con lei qualche parola, riuscì a catturare il nome di Emilie prima che i due, guardandosi intorno con circospezione e accorgendosi di lei, decidessero di allontanarsi voltandole le spalle.
 
«Robin … cosa sta succedendo?» tornò a chiedere, una leggera nota di irritazione nella voce, riportando l'attenzione sul suo vero amore e osservandolo di nuovo sorriderle «Spiegami cosa centri tu con Emilie, con tutto questo.»
 
L'arciere annuì, le prese la mano e le stampò un bacio sulle labbra.
 
«Te lo spiegherò, Regina. Ma non qui. Non adesso. Andiamo a casa, ti va?» propose con dolcezza, aggiungendo poi, prima che potesse obiettare «È una storia piuttosto lunga e complicata.»
 
E a quel punto lei, sentendo di non poter fare altrimenti, accettò l'invito e lo seguì, in silenzio, cercando nel frattempo di capire lo schema di quella scacchiera prima che qualcos'altro potesse stravolgerlo e travolgerla.
 
***
 
Il Van procedeva spedito nella notte, lungo la strada illuminata solo dai fasci di luce bianca dei fanali. Mentre stringeva il volante e cercava di concentrarsi solo sulla guida, David Nolan si ritrovò assorto nella difficile risoluzione di un rebus che gli si era palesato davanti nel momento in cui la Emilie Medusa era entrata in scena. Nel silenzio teso che avvolgeva l'abitacolo, spostò per un istante l'attenzione su Biancaneve, che fissava a braccia incrociate la strada, palesemente in panico e irritata, e riportò alla mente l'immagine di lei resa di pietra dallo sguardo della Creatura, e la successiva domanda della Lucertolina. "Cosa ti rende diverso da noi, David Nolan? Cosa fa di te un vero eroe?". Mille cose, avrebbe voluto rispondere.
Ma poi si rese conto di non riuscire a trovarne neanche una. L'amore per la sua famiglia? Emilie stava combattendo per la stessa cosa. Lo spirito di sacrificio? La lealtà? Stessa risposta. Eppure, Emilie era palesemente una cattiva, lui un eroe. Ma allora perché si sentiva così in colpa adesso? Per un breve istante credette di capire cosa avesse voluto dire con quella domanda la giovane Gold, ma poi per qualche motivo la risposta gli sfuggì.
Sospirò, rallentando la corsa delle vettura.
 
«Stai bene?» chiese, tornando a concentrarsi sulla sua amata.
 
Biancaneve seguitò a fissare la strada, ma le sue labbra si contrassero.
 
«Non posso credere che anche Ruby si sia lasciata coinvolgere!» sbottò, scuotendo il capo «Lei sta dalla sua parte! Come può farlo?»
 
Pur comprendendo la sua indignazione, ancora una volta non riuscì a mostrarsi comprensivo quanto avrebbe dovuto. Ed era sempre colpa di quel tarlo.
 
«Non pensarci troppo.»  si limitò a mormorare, sentendo di dover aggiungere altro ma non riuscendoci.
 
Sua moglie tornò a fissarlo, il fuoco negli occhi.
 
«Sei serio?» lo incalzò.
 
Lui seguitò a fissare la strada, senza dire o fare nulla. Per un brevissimo istante gli sembrò che stesse per esplodere, poi però con un gesto di stizza la vide tornare a sprofondare il silenzio nel sedile, e si trattenne a stento dal sospirare grato. Rimasero a lungo assorti in quel poco confortante silenzio, come se non riuscissero a fare altro. Rientrarono a casa, Biancaneve scese sbattendo la portiera e si rintanò dentro alla camera da letto, lui scelse il divano senza neanche rendersene conto e, spente le luci, rimasero entrambi a fissare il soffitto per tutta la notte, ignorando gli occhi stanchi, incapaci di catturare anche solo un breve istante di sonno perché, anche se non volevano ammetterlo, i tragici, repentini eventi che li avevano riportati al presente avevano riportato davanti ai loro occhi lo spettro che da tempo giaceva dormiente dentro i loro cuori.
Eroi, o cattivi? Bianco, o nero? Ovvio, non c'era una via di mezzo. Ma allora … perché l'oscurità dentro i loro cuori adesso faceva così male?
 
***
 
Durante il breve tragitto che l'ambulanza fece dalla villa all'ospedale, mentre stringeva forte la mano di Emilie sentendola mai come prima fragile e piccola, Ewan rimase a guardarla assorto in un silenzio carico di ansia e dolore.
Tutto il resto, gli operatori che cercavano di confortarlo e si davano da fare per mantenerla stabile, il bip lento ma costante della macchina per la misurazione cardiaca che indicava il sonno profondo in cui era caduta, il sibilo della maschera per l'ossigeno che l'aiutava a respirare e perfino il lamento della sirena che risuonava chiaro per le strade e anche dentro l'abitacolo, tutto questo neanche lo percepì, trascinato in un turbine di ricordi e angoscia senza fine.
Ogni bacio, ogni battaglia combattuta insieme, ogni sorriso e ogni lacrima, d'improvviso gli parvero insopportabili ma necessari alla sua sopravvivenza.
Trattenne il fiato guardando quel volto da bambina ora pallido e ancora un po' macchiato di sangue, e gli occhi gli si riempirono di lacrime che faticò a trattenere.
Uno dei due medici se ne accorse, gli batté una pacca sulla spalla sussurrandogli qualcosa ma di nuovo le sue orecchie non lo percepirono, non fino a quando la vettura si fermò e i due in camice lo invitarono con fermezza e garbo a farsi da parte.
 
«Stia tranquillo, ci pensiamo noi adesso. È in buone mani.»
 
Strinse i pugni, annuendo ma continuando a seguire la barella fino a che gli fu possibile.
All'entrata della struttura, ad accoglierli trovarono Viktor Frankenstein, impettito nel suo camice e già circondato da persone che chiedevano di lei. C'erano Will Scarlett, Ruby e sua nonna, Geppetto e Gemini Hopper e Gideon, anche lui visibilmente provato.
Non appena li videro entrare si affrettarono ad avvicinarsi, ma Frankenstein lo impedì frapponendosi tra la paziente e loro.
 
«D'accordo, statemi tutti a sentire.» disse cercando di calmare gli animi «Ora è importante che facciate tutti un passo indietro e mi lasciate fare. Se quello che mi avete detto è vero, il grosso del lavoro potrebbe già essere stato fatto, ma non è ancora fuori pericolo.» fece una pausa, per assicurarsi di essere ascoltato e compreso, prima di concludere serio «Prometto che farò di tutto per salvarla. Lo giuro. Ma potrebbe volerci un po'. Tutto quello che potete fare per lei ora è aspettare» e nell'affermarlo, con la massima sincerità e una compassione impropria per uno come lui, guardò Gideon ed Ewan negli occhi, come a scongiurarli di ascoltarlo.
 
Non ebbe bisogno di ulteriore incoraggiamento. Pur comprendendo il significato di quelle parole, l'arciere era così sconvolto da non riuscire più a muoversi. Si limitò ad annuire, lasciando che fosse suo cognato ad aiutarlo nell'impresa di farsi da parte.
Gideon annuì ringraziandolo dal profondo del cuore
 
«Ci fidiamo di te, Viktor.» gli disse, annuendo e accennando un lieve inchino.
 
Quindi lo prese sotto braccio e lo trascinò via, voltando le spalle a lui e a sua sorella.
 
«Vieni.» gli disse, stringendolo «C'è un distributore, più in là. Beviamo qualcosa di caldo mentre aspettiamo.»
 
Abbandonato a quell'abbraccio confortato re Ewan annuì, ma di nuovo non riuscì a parlare o anche solo pensare mentre, voltatosi per un solo istante, guardò la barella scomparire oltre la porta del reparto assieme al dottore e a lei, ancora incosciente, sempre più pallida.
Sospirò, a lungo e stancamente, le gambe sempre più flaccide. L'aveva persa tante volte, ma questa... questa era la prima volta che temeva di doverlo fare per sempre.
 
***
 
Con una brusca frenata il maggiolino giallo si fermò proprio di fronte alla stazione di polizia ed Emma Swan scese di fretta dal sedile del guidatore, mentre suo figlio Henry le rivolgeva un'occhiata confusa e preoccupata da quello del passeggero.
 
«Non dovevamo andare a casa?» le domandò, osservandola raggiungere a grandi falcate la porta dell'edificio.
«Ci vorrà solo un minuto. Aspettami qui, okkey?» gli rispose lei, e dopo averlo visto annuire si fiondò dritta dall'unico abitante di quel posto, almeno al momento.
 
Uncino la attendeva dietro le sbarre, ma non come avrebbe pensato di trovarlo. Era visibilmente confuso, gli occhi irosi e lucidi, la testa tra le mani, seduto sulla branda imprecava sottovoce; non appena la sentì entrare alzò lo sguardò e si sforzò di sorriderle, senza mascherare il sollievo.
 
«Swan!» la chiamò, aggrappandosi alle sbarre «Adesso capisci? Era di questo che parlavo» le disse.
«Tu lo sapevi? Sapevi dell'Autore e di tutto il resto?» lo incalzò, dura.
 
Sorpreso dall'astio dentro al suo tono di voce, il pirata scosse il capo.
 
«No…» mormorò, ribadendo poi con più foga, dopo averla vista alzare gli occhi al cielo e scuotere il capo «Ovviamente no, Swan! Non so nulla dei loro piani, devi credermi io sono solo …» s'interruppe di colpo, portandosi una mano al petto e stringendo i denti.
 
La Salvatrice lo osservò con attenzione, pensierosa.
 
«Solo cosa?» disse, mentre lo guardava tornare a sedersi, improvvisamente stanco «Killian, che ti succede? È opera sua? Di Emilie?»
 
Annuendo rapido, il pirata si distese sulla branda portandosi una mano alla fronte e aggrappandosi con l'altra alla sua collana col teschio.
 
«Per tutti i diavoli, Swan!» gemette «Vuoi uccidermi per caso? Ti ho già detto cosa devi fare!»
 
Ma a quel punto la donna, facendosi seria, si avvicinò alle sbarre e vi si aggrappò, facendosi seria e determinata.
 
«Si…» disse «Si, è vero. Ma …» s'interruppe di colpo, scuotendo il capo.
 
Quel silenzio, la sua espressione. In un istante Uncino capì di averla persa e all'improvviso, ora che il dolore lo aveva lasciato andare, balzò in piedi e corse ad afferrarle le mani.
 
«Emma, no. Per favore, non cascarci. Lei è sua figlia!» le disse, in un ultimo, disperato tentativo di riportarla da lui.
 
La vide annuire.
 
«Si, è vero.» disse «Ma non è soltanto questo. Nessuno in questa città lo è, neanche tu.»
 
Quindi si staccò da lui, compiendo lentamente qualche passo indietro.
 
«Forse è vero, quel gioco era truccato e anche questo lo è. Ma l'ultima volta che ci siamo visti ti ho promesso che avrei ascoltato il mio sesto senso, che avrei cercato la verità. L'ho fatto …» concluse, e prima ancora che potesse finire la frase la risposta era già sul suo volto.
 
Il Pirata la vide scuotere lentamente il capo, e aprirsi in un sorriso triste, come un silente tentativo di scusarsi con lui.
 
«E la verità, Killian, è che Emilie Gold non è cattiva. Forse suo padre lo è, ma non lei. Non lo è mai stata. Anzi, forse … è più simile a me e a te di quanto lei stessa non osi ammettere.» sorrise di nuovo, quasi intenerita nel vedere la disperazione e la rabbia sul suo volto «Non sarà il ritratto dell'eroismo più puro, ma neanche io lo ero quando sono arrivata. Tu non lo sai, ma … tutto ciò che mi ha spinto a Storybrooke è stata la mia famiglia. Henry …» fece un'altra pausa, gli occhi le si riempirono di lacrime «Sono arrivata in città per proteggerlo, proprio come lei.»
 
Killian scosse con vigore il capo. "No, Emma! Ti sbagli! Lei non è come te, non lo sarà mai!" avrebbe voluto dirle, urlarle "Quella Lucertolina è infida, velenosa e cattiva, malvagia fino al midollo, come il Coccodrillo dal quale proviene! Non fare l'errore di sottovalutarla come ho fatto io! Smettila di pensare da eroina e uccidila! Uccidili entrambi prima che sia troppo tardi!"
Fece per aprire bocca, ma prima ancora che riuscisse a emettere un fiato Emma lo fermò di nuovo.
 
«È c'è un'altra cosa che non sai, Killian.» aggiunse «Dal momento in cui Neal è entrato a far parte della mia vita, noi siamo diventati una famiglia. E nella mia famiglia c'è  una specie di motto.» sorrise, commossa «Noi ci siamo sempre, l'uno per l'altro.»
 
Parole che fecero più male di un calcio negli stinchi. Comprendendo di averla ormai persa per sempre, il Capitano scosse il capo e iniziò a mormorare, aggrappandosi alle sbarre e cercando di raggiungerla.
 
«Emma, no. Per favore, Emma! Ascoltami!»
 
Ma lei gli aveva già voltato le spalle, lasciandolo solo nella solitudine della sua rabbia e della sua sete di vendetta, che senza un vero amore a mitigarla si era fatta sempre più insistente, insaziabile. Proprio come il Tremotino del Desiderio, rinchiuso tra sbarre invalicabili senza la sua Belle e senza più un solo buon motivo per avvicinarsi al bene. Peccato che al momento non potesse comprenderlo, e che Emilie Gold non fosse presente per godere di quel momento tanto atteso.
Avrebbe dovuto aspettarselo, in fondo. Era il prezzo della vendetta.
 
***
 
Rientrata in macchina, Swan chiuse lo sportello e si concesse un ultimo istante prima di ripartire, abbandonando la testa sul sedile e lasciandosi andare ad un breve sospiro di sollievo. Era stata una decisione difficile, ma sentiva di aver preso quella giusta e quella sensazione era impagabile. La sensazione di essere in pace con sé stessa. Sorrise, avvertendo un movimento sul sedile del passeggero.
 
«Non dovevi aspettarmi in macchina, ragazzino?» domandò divertita, riaprendo gli occhi e puntandoli su suo figlio, che la guardava con un sorriso contento e fiero, come faceva sempre quando una delle loro missioni andava a buon fine.
«Scusami.» le rispose, non troppo convinto, scuotendo le spalle.
 
Risero entrambi, poi però Henry tornò a chiedere, speranzoso.
 
«Quindi ora che farai con papà? Lo perdonerai?»
 
Emma si scurì un poco, allacciandosi la cintura e mettendo in moto.
 
«Non ho niente da perdonargli.» ammise «Qualsiasi cosa abbiano fatto tuo nonno e tua zia, lui non centra nulla.»
 
Sospirò di nuovo, stavolta però più pesantemente.
 
«Perché non mi sembri convinta, allora?» le chiese il ragazzo, inclinando curiosamente la testa.
 
Tentando di tornare a nascondersi, Emma gli lanciò un sorriso furbo e si concesse un istante per guardare lui invece che la strada.
 
«Sul serio? Mi stai facendo un interrogatorio?»
 
Henry sorrise, ma con una luce triste negli occhi. No, non era questo il problema, ed Emma lo intuì senza avere bisogno di ulteriori spiegazioni. Sospirò ancora, tornando seria a guidare fissando la strada.
 
«Ascolta, Henry…» disse, in quel tono che anticipava uno dei suoi discorsi seri «Io … credo di aver bisogno di un po' di tempo per capire …»
«Come una pausa di riflessione?» le venne incontro il giovane, come al solito un passo avanti a lei.
 
Stupita ma non troppo, lei sgranò gli occhi e lo guardò, aprendo la bocca per parlare ma rinunciandoci immediatamente.
 
«Forse … più o meno …» replicò esitante, arrendendosi all'evidenza.
 
Nel frattempo, la strada si era fatta più familiare e davanti a loro era apparsa la sagoma del loft, non più tanto confortante ora. Le luci all'interno erano accese, ma c'era un silenzio strano tutto interno. Nel guardare al suo interno, la Salvatrice tornò a scurirsi.
Affrontare Uncino era stato più facile del previsto. Ma Neal … all'improvviso sentì di non riuscirci. Sentì di star commettendo un grosso errore, ed ebbe quasi la sensazione di tradirlo, la stessa che aveva avuto appena qualche ora prima, dopo aver desiderato per un istante le labbra di Killian Jones contro le sue.
Era ancora confusa. Molto confusa. Ma lo scontro con Emilie e tutto quello che era successo dopo era stato illuminante. Ora aveva davvero solo bisogno di un po' di tempo per schiarirsi le idee e ragionare a mente fredda sulle scelte da prendere. Sospirò, tirando fuori tutta l'aria ancora presente nei polmoni e riempiendoli con quella fresca e frizzante della notte.
Poi spense il motore, slacciò la cintura e aprì lo sportello.
 
«Forza.» disse, più rivolta a sé stessa che al ragazzo, che comunque propose, comprensivo
«Vuoi che torni a dormire dall'altra mia mamma?»
 
Lei si fermò sul ciglio del marciapiede a guardarlo stranita, quasi cadendo dalle nuvole. Ci rifletté su un istante, poi scosse il capo.
 
«No, non è necessario.» replicò, come fosse ovvio «Davvero, non preoccuparti. Mi arrangerò. Tu puoi restare con papà, tutto il tempo che vuoi.»
 
"Non è giusto lasciarlo solo, non ora. Non è giusto cacciarvi di casa perché io ho bisogno di nuovo di pensare." si disse, ma non lo aggiunse. Piuttosto gli scompigliò i capelli e lo strinse a sé, percorrendo con lui il vialetto fino alla porta d'ingresso, trovandola socchiusa.
Neal era seduto sul divano, un'auricolare nelle orecchie e una bottiglia di birra in mano, assorto in funesti pensieri. Non appena li vide entrare si alzò in piedi, chiamandola per nome e implorandola con lo sguardo.
La Salvatrice guardò Henry, che le sorrise e annuì per poi defilarsi in silenzio, salendo nella sua camera e chiudendosi la porta alle spalle. Bastò questo per permettere all'uomo di capire.
 
«Emma, te lo giuro. Io non ne sapevo nulla!» tentò di difendersi, mascherando a fatica la rabbia che provava per essere stato di nuovo raggirato.
 
Ma lei sorrise, annuendo e addolcendosi un po'.
 
«Lo so, Neal. Non devi spiegarmi niente, ti credo.» rispose sincera.
 
Lo vide sospirare, passandosi una mano tra i capelli. Quei riccioli castani ora brizzolati che sapevano di vento e libertà. Provò ad immaginarseli tra le dita, come quando erano ancora dei ragazzi con nulla da perdere e tutta la vita per loro stessi. Forse era stato questo a fermarla, a contaminare il loro amore. Tutto quel caos, quei segreti, la confusione provocata dalle assurdità di quella cittadina in cui vivevano e per cui erano nati.
 
«Neal …» tornò a chiamarlo, e quando i loro occhi ripresero a fissarsi a vicenda, sentì il cuore battere forte.
 
Strinse i pugni, resistendo alla tentazione di provare a vedere che effetto le avrebbe fatto ora un suo bacio, dopo quello anche solo immaginato con uncino. No, quello non era il modo adatto. Chiodo scaccia chiodo non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione, adesso.
 
«Dovresti andare da lei, ora.» si limitò a dirgli, cercando le parole migliori per iniziare.
 
Lo vide sgranare gli occhi e scuotere il capo.
 
«Dopo quello che ha fatto? Neanche per sogno!» le disse, arrabbiato «Lo sapevo che sarebbe finita così! Me lo sentivo! Lei e papà sono uguali, non avrei dovuto fidarmi!»
 
Ma ancora una volta, pur comprendendolo, la Salvatrice tentò di farlo ragionare.
 
«Ti sbagli, Neal.» disse, e lo vide farsi serio, guardandola negli occhi.
 
Per un istante, dopo aver sentito quella semplice asserzione, Baelfire pensò che stesse scherzando, ma poi guardandola meglio si accorse della verità. Ne era convinta? Emma … gli stava davvero dicendo … di perdonare l'inganno di cui era stata vittima?
 
«Parli sul serio?» chiese, sconvolto «Emma, lei ci ha usato. Tutti noi. Siamo solo pedine, tutto per far felice papà. Per compiacerlo!»
«Non è ciò che ho visto io, Neal …» gli rispose lei, continuando a sorridere e scuotendo piano il capo.
«Era un'illusione! Tutta un'illusione fatta apposta per confonderti. Niente di quello che hai visto era reale!» tento di dissuaderla lui, scaldandosi, ma con una semplice domanda Emma spense quel fuoco in un istante.
«Anche Gideon lo era?» replicò, e a quel punto di colpo lui si zittì.
 
Gideon…
Non riuscì a pensare ad altro. Di colpo, il pensiero si fermò sull'immagine di quel giovane uomo venuto all'improvviso a sconvolgere le cose e risvegliare le menti, e tutto assunse contorni più definiti. Gideon… era reale?
E anche quello che aveva detto loro su Emilie lo era? Tento di convincersi che fosse solo un'altra patetica illusione parte di quel mondo assurdo, ma più lo faceva, più i contorni della sua immagine si facevano solidi, e le sue parole dure come ferro. Fino a che non ricordò ciò che aveva visto appena un'ora prima, quell'uomo sconosciuto che correva verso Emilie gridando il suo nome e prendeva il posto che gli aspettava accanto a suo padre in quella terribile situazione.
Suo padre.
Non il Signore Oscuro, solo … suo padre. Da dove venivano? Perché loro erano così diversi da lui? Così … uniti? Come quando lui aveva ancora un padre, un posto in cui tornare e di cui sentire la mancanza.
Alzò gli occhi e tornò a guardare nuovamente Emma, in silenzio, ascoltandola ripetere con quel sorriso compassionevole, sicura di aver ottenuto la sua attenzione.
 
«Va da loro, Neal. Prenditi il tempo che ti serve per crederci …» gli suggerì, ma il sottotesto di quella frase lo fece nuovamente restare senza fiato.
«E tu?» le chiese, in preda ad un panico quasi folle -Noi?-
 
La Salvatrice scosse le spalle, continuando a mostrarsi serena.
 
«Credo …» disse «Che abbiamo tutti bisogno di un po' di tempo, adesso.»
 
Quindi, trattenendo a fatica le lacrime, gli si avvicinò e gli stampò un dolce, delicato bacio sulla guancia per poi abbracciarlo forte, sorprendendolo.
 
Per un istante lo sentì tremare, ma dopo le sue braccia forti la strinsero a sua volta e in quell'abbraccio dolce e caldo le parve quasi di trovare la risposta che stava cercando.
Calma, serenità, famiglia. Tutto ciò che avevano sempre sperato per loro stessi. Era sufficiente per chiamarlo vero amore?
 
***
 
Giunto all'ospedale dopo aver riflettuto a lungo e aver lasciato che la donna della sua vita tornasse a casa dai suoi, per l'ennesima volta avrebbe osato aggiungere, Baelfire Gold si diresse a passo spedito verso un angolo della sala d'attesa, dove Gideon ed Ewan erano ancora impegnati in una discussione iniziata circa un'ora prima.
Era appena entrata nel vivo in realtà, perché solo adesso l'arciere stava iniziando a riprendersi dallo shock.
Non appena lo videro arrivare, i due si fecero immediatamente preoccupati, e a ragione perché la sua espressione era delle più cupe e sembrava volesse gonfiare di botte entrambi, ma poi non lo fece.
Piuttosto si limitò a restare in piedi di fronte a loro e ad esordire, rivolto a suo cognato.
 
«D'accordo, spiegami una cosa: perché?»
 
Questi batté le palpebre, confuso, cercando di riaversi per capire, ma in realtà non ce ne fu neanche bisogno. Quella domanda aveva già una risposta, ed era stata la stessa Belle a dargliela, quando erano tornati insieme nella foresta incantare. Fu Gideon a capirlo per primo, e sorrise mentre Ewan replicava con un confuso.
 
«Come?»
«Bae …» fece per parlare, ma questi lo precedette puntandogli un dito contro.
«E tu: chi diavolo sei tu in realtà?» sbottò «Dammi una risposta soddisfacente o giuro che non crederò più a una sola parola.»
 
Intenerito, Gideon seguitò a sorridergli inclinando il capo con una gestualità così famigliare per lui da rendere ancora una volta ogni altra risposta superflua.
Rimasero in silenzio, a fissarsi. Poi, abbandonando ogni collera, Neal si sedette ad una delle sedie di fronte a loro e incrociò le mani, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
 
«Come sta?» domandò, occhi bassi, senza fare diretto riferimento a sua sorella.
 
Comunque, non fu necessario. Ewan scosse il capo, tornando a bere dal bicchierino di plastica che stringeva tra le mani, ormai semivuoto.
 
«Viktor ci ha detto di aspettare.» replicò Gideon, indicando con un cenno del capo la porta della sala operatoria «In effetti potrebbe volerci davvero un bel po' prima che si risvegli.» osservò battendo una pacca sulla spalla di Ewan, che parve ignorarlo.
 
Il primogenito di casa Gold si lasciò sfuggire un sorriso amaro e anche un po' sarcastico.
 
«Il dottor Frankenstein. Siamo proprio in buone mani, eh?»
 
Strappando un sorriso anche a Gideon e così facendo lasciandogli intuire che anche lui ne sapesse molto più di quel mondo di quanto i suoi abiti, in puro "stile foresta incantata", facessero intuire.
Lo squadrò con attenzione lanciandogli un'occhiata obbliqua, poi chiese, in maniera forse un po' troppo brusca.
 
«Quindi dove sei nato? Qui, o nella foresta incantata?»
 
Mostrandosi come al solito comprensivo, Gideon non si offese, anzi. Dentro di sé ringraziò il cielo per quella domanda, perché era un passo in avanti verso un rapporto un po' meno complicato. Anche se gli parve strano quando considerò di nuovo di star in realtà parlando con il suo fratello maggiore. Strano ma anche rincuorante in un certo senso. Ora era lui il fratello di mezzo, anche se forse lo era sempre stato. Ed era la prima volta che si parlavano davvero, entrambi consapevoli di farlo.
 
«Qui.» rispose con un sorriso tranquillo e sincero «Ma ci sono rimasto poco, in realtà. Quando avevo circa un anno mamma e papà sono partiti, abbiamo girato il mondo e siamo tornati alla Foresta. A Storybrooke e nel mondo reale ci sono tornato da grande, qualche volta.»
 
L'ultima con Emilie, cercando di persuaderla a non avventurarsi in quello che ormai era diventato un problema di tutti. Eppure ora, guardandolo e guardandosi, non gli dispiacque più non esserci riuscito.
Bae ascoltò con attenzione quelle parole e annuì, in silenzio, con quella che sembrò un po' d'invidia in fondo allo sguardo confuso e ancora lievemente arrabbiato. Lo capiva. Non era facile accettare tutte quelle assurdità. Non era facile sapere di essere stato lasciato indietro, anche se non era colpa di nessuno stavolta. Lo osservò sprofondare sulla sedia e prendere a tormentarsi le mani, incapace di chiedere altro. In realtà, entrambi avrebbero voluto farlo ma rispettarono quel silenzio dandosi il tempo per accettare la presenza reciproca.
 
«Caffè?» chiese invece Gideon, liberandolo da quella conversazione.
 
Annuì.
 
«Si, per favore.» lo ringraziò sospirando nervosamente.
 
Ewan si limitò ad annuire, ancora chino su se stesso e chiuso nel suo silenzio contrito. Li lasciò soli, allontanandosi verso la macchinetta e infilando le mani nelle tasche del pantalone. Mentre li osservava da lontano ignorarsi, con un mezzo sorriso agitato si concesse il lusso di tornare a guardarsi intorno. Ruby era ancora lì, poco lontano da loro, chiacchierava amabilmente con Will Scarlet e per un istante una strana sensazione gli si legò alla bocca dello stomaco.
Era stata il suo angelo custode in Heroes and Villains, e tornati alla realtà era stata la prima a chiedergli come stesse e ad offrirgli quei pochi spiccioli, supporto emotivo e una camera nel B&B di sua nonna, se avesse voluto.
Ora, mentre la osservava, senza accorgersene i suoi occhi tornarono a scrutare quel volto lupesco e quelle labbra rosse con un'intensità tale da spingerla a voltarsi verso di lui e rivolgergli un sorriso, nel momento in cui lo vide avvampare.
Imbarazzato, Gideon ricambiò il gesto e le voltò le spalle, costringendosi a concentrarsi sui maledetti caffè. Non era proprio il momento quello per … per cosa?
 
«Che accidenti mi prende?» bofonchiò, senza riuscire a levarsi dalla testa l'immagine della ragazza lupo e dei suoi denti affilati «Un mese. Un solo mese, Gideon. Non hai tempo per questo.»
 
E mentre lui lottava per tornare ad essere quello con la testa sulle spalle, Bae lo faceva per mostrarsi comprensivo verso quello che in fondo non era altro che un uomo terrificato a morte per la donna della sua vita. Che poi quella donna fosse anche sua sorella, la stessa che lo aveva usato e ingannato faceva poca differenza ora, almeno per Ewan.
Sospirò di nuovo, poi lo risvegliò con un fin troppo piratesco
 
«Hey …»
 
Ewan si riscosse, spostando gli occhi su di lui. Si sforzò di sorridere, ma non ci riuscì.
 
«Mi spiace per prima…» disse «Ero … sconvolto.»
 
L'arciere annuì, continuando a mostrargli pazienza.
 
«Comprensibile.» gli disse, senza trovare la forza per aggiungere altro se non un quasi banale «Non sarebbe facile per nessuno.»
 
Eppure, detto da lui, anche quel luogo comune sembrò carico di affetto. Cassidy tornò a sospirare, quindi annuì e chiese, tentando di nuovo di comprenderlo ma stavolta con più delicatezza.
 
«Quindi … tu e mia sorella … vi conoscete da tanto?»
 
Lo vide sorridere, quasi impietosito da quel misero tentativo, ma poi annuì e spiegò.
 
«Dipende.» disse «Dal tuo punto di vista sono pochi anni, dal suo … forse qualche secolo.»
 
Si concesse un sorriso amaramente divertito prima di proseguire, chiarendo il concetto.
 
«Ci siamo incontrati nel suo passato, poco dopo il tuo incontro con Robin Hood al Castello Oscuro.»
 
Baelfire s'illuminò, lieto di poterci capire finalmente qualcosa.
 
«Oh, ecco dove ti avevo già visto!»
 
Risero, sciogliendosi un po'.
 
«Non fartene una colpa se non mi hai riconosciuto subito. Non sono uno che ama farsi notare.» lo rassicurò, e finalmente nei suoi occhi stanchi tornò un po' di allegria.
«Però lei ti ha notato.» replicò Bae senza pensarci, ma pentendosene subito dopo «Scusa …» si affrettò ad aggiungere, ma di nuovo l'arciere scosse il capo.
«Hai ragione.» gli rispose «Lei lo ha fatto. Credo … credo che fosse destino.»
 
Neal sospirò dal naso.
 
«Destino…» mormorò, pensando poi tra sé "Non mi sorprende che vi siate innamorati. Mi sembra di sentir parlare papà."
 
Ewan intuì i suoi pensieri, erano gli stessi che faceva lui, a volte, quando cercava di capire cosa avesse spinto Emilie tra le sue braccia. Gli stessi che avevano fatto Belle, Gideon e perfino Mr. Gold stesso, dopo averlo conosciuto. Tutti prima o poi arrivavano a quella conclusione, anche se dentro di sè lui, pensandoci più razionalmente, non riusciva a dar loro ragione. Tra i due, era sempre stata lei quella più vicina a suo padre, non viceversa. Forse era stato proprio per questo che si erano scelti, che lei lo aveva scelto. Aveva bisogno di qualcuno che la capisse, qualcuno che non le ricordasse né il padre che aveva perso né quello che cercava di salvare. Qualcuno con cui sentirsi completamente sé stessa, senza alcun tipo di condizionamento o similitudine.
Qualcuno che fosse tutto per sé, con cui poter costruire un futuro tutto nuovo, e in fondo era esattamente quello che cercava anche lui.
 
«Comunque…» concluse, tornando a guardarlo ma parlando di più a se stesso, sull'onda dei ricordi «Innamorarmi di tua sorella è stata la cosa migliore che potesse capitarmi.»
 
Nel dirlo, la voce s'incrinò e gli occhi tornarono lucidi.
Baelfire lo guardò, e s'impensierì tornando a cercare di capirlo.
 
«Riesci a dirlo anche adesso, dopo tutto quello che è successo?» domandò, ma stavolta senza cattiveria, pesando le parole «Scusami, ma... ti ha lasciato indietro per amore di papà. Riesci a sopportarlo?»
 
Ewan lo ascoltò attentamente, e a quella domanda sorrise, scuotendo il capo e rivolgendogli uno sguardo carico di compassione. Come Gideon, ed Emma prima di lui.
Cos'è che avevano visto? Perché sembravano tutti scusarla, anche alla luce degli ultimi eventi?
Alla spasmodica ricerca di una risposta, non si accorse nemmeno che Gideon era tornato con i loro caffè, interrompendo quella conversazione.
Fu proprio lui a rispondergli, rivolgendogli un sorriso tranquillo.
 
«Nostra sorella è come un libro aperto, Bae.» gli disse, porgendogli la tazzina fumante «Uno di quelli che non puoi cercare di capire fermandoti alle prime pagine. Devi leggerlo tutto, con molta attenzione, andare fino in fondo, arrivare all'ultima riga.» poi sorrise, divertito e nostalgico, e aggiunse «Il problema è che le piace da impazzire sconcertare il lettore, specie se è qualcuno che le sta a cuore.»
 
E a quelle parole, Ewan non riuscì più a trattenersi, cedendo nuovamente alla nostalgia e al pianto. Era stanco. Emotivamente provato e fisicamente distrutto.
Per fortuna però, anche e soprattutto grazie ai nuovi fratelli che Emilie era riuscita chissà come a procurargli, non dovette affrontare da solo quel momento.
Il primo a sostenerlo fu Gideon, sedendogli accanto e prendendo dalle sue mani la tazzina prima che gli si rovesciasse addosso.
La appoggiò sul tavolino davanti a loro e lo abbracciò, sussurrandogli parole di incoraggiamento.
Perfino Neal s'intenerì, e alzatosi mise da parte i suoi sentimenti ancora contrastanti e si unì a quell'abbraccio per poi concludere, sciogliendolo.
 
«D'accordo, basta indovinelli per stasera. È tardi, e tu sei distrutto. Vieni a casa mia, hai bisogno di dormire e la Villa non mi sembra il posto adatto ora. Non dopo quello che è successo, con Cruella e Malefica come custodi.»
 
Per la prima volta, Gideon si dichiarò apertamente d'accordo, ma Ewan provò a schermirsi.
 
«A Emma sta bene?» domandò, cercando una scappatoia per poter rimanere.
«Oh, lei non sarà a casa stasera.» fu la risposta vaga «Andiamo, niente scuse. Facciamo un bel pigiama party tra maschi, io, tu ed Henry.» ridacchiò, tentando di mitigare l'imbarazzo «Puoi venire anche tu, se vuoi» aggiunse, rivolto al fratellastro.
 
I due invitati si scambiarono un'occhiata loquace e preoccupata.
 
«Mi spiace…» mormorò in risposta Ewan, ma lui scosse le spalle senza aggiungere altro e ancora una volta Gideon lasciò cadere il discorso dimostrandogli vicinanza con una semplice e calorosa pacca sulla spalla.
 
Infine insieme, tutti e tre, si avviarono verso casa. Henry fu entusiasta di vederli arrivare, e sebbene comprendesse il momento difficile, specie per "zio Ewan", fu lieto di avere l'opportunità di fare la loro conoscenza.
Ordinarono un paio di pizze, confrontandole con quelle insuperabili di New York, qualche birra e una cocacola, e parlarono del più e del meno cercando di alleggerire l'atmosfera con aneddoti divertenti sui loro rispettivi vissuti e sugli argomenti d'interesse più disparati.
A metà serata, tuttavia, benché trovasse piacevole parlare con loro, specie con Henry, Ewan si scusò e si defilò occupando la camera per gli ospiti, ovvero quella che un tempo era stata prima di Emma e poi di Henry.
Gli altri tre restarono a guardare, al piano di sotto, fino a che anche Henry non crollò sul divano davanti alla tv.
A quel punto, senza più nulla da discutere, i due fratelli si ritrovarono sul pianerottolo esterno, l'ultima birra in mani e ancora troppi pensieri per la testa. Restarono a guardare il cielo nero e buio per un bel po', poi finalmente Baelfire si decise a parlare.
 
«Continuo a non capire…» disse, seguitando a fissare le stelle.
 
Gideon lo guardò.
 
«Cosa?» domandò, già pronto a tentare di fornirgli una risposta.
 
Lo vide scuotere le spalle e compiere un ampio gesto circolare con la mano che reggeva la bottiglia.
 
«Tutto.» disse, e per qualche istante sembrò che stesse per aggiungere altro, ma poi rimase in silenzio.
 
A quel punto, Gideon sorrise, attirando su di sé lo sguardo perplesso dell'altro.
 
«Ti faccio ridere?» gli chiese, sorridendo a sua volta.
 
Lui scosse il capo.
 
«È solo che ti capisco.» rivelò, tornando a guardare le stelle «Alle volte neanche io ci capisco niente, ma prima con papà e poi con Emilie, ho imparato a non pensarci troppo.»
 
Neal ridacchiò.
 
«Insegnamelo, ti prego.»
 
Gideon si unì a quel momento di leggerezza ridacchiando a sua volta.
 
«Quanto tempo hai?» domandò, ed entrambi si lasciarono sfuggire l'ennesima risata.
 
Leggeri come palloncini, finalmente i loro cuori riuscirono a tornare calmi, avvolti da quella strana sensazione di cordialità e convivialità. Davvero assurdo, ritrovarsi con un fratello e per giunta più simile di quanto entrambi avrebbero mai potuto sperare. Ma era bello, appagante. E per la prima volta da che quel casino era cominciato, Neal Cassidy sperò che quel momento potesse diventare una piacevole abitudine.
 
***
 
Seduta accanto a lui sul divano, una mano che stringeva un calice di vino e le dite dell'altra intrecciate nelle sue, mentre ascoltava quell'incredibile racconto dalla sua voce calda e vibrante Regina si perse nei dettagli, senza riuscire a farne a meno, fino quasi a dimenticarsi della sua presenza. Era una storia incredibile, Emilie era incredibile!
 
«Ha fatto tutto questo, da sola?» chiese alla fine, sbalordita, mentre lo schema iniziava a delinearsi chiaro in mente.
 
Lo vide annuire, ma era ovvio che non avrebbe potuto essere quella la risposta. Come poteva una ragazza come lei elaborare un piano così macchinoso da sola?!
 
«Credimi, Regina. È stata la cosa più avvincente che mi sia mai capitato di vedere. Ho avuto qualche dubbio all'inizio, quando ho saputo di Cronos…» le rivelò «Ma mi sono dovuto ricredere quando l'ho vista affrontare prima il fiume e poi i rovi.»
 
Ecco, quel dettaglio era interessante.
 
«Hai detto che il suo anello si è illuminato?» chiese, corrucciandosi, come se stesse seguendo un filo nascosto nel discorso.
 
Robin annuì, e a quel punto la vide aprirsi in un sorriso trionfante. "Ma certo!" pensò "Deve essere quello. Tremotino non l'avrebbe mai lasciata sola."
Giunse a quella conclusione quasi senza accorgersene, ma non appena ebbe formulato quel pensiero un altro, più funesto, fece subito capolino. "Certo … lui non l'ha mai lasciata … neanche un istante."
Fu quasi invidiosa. E subito iniziò a chiedersi come avesse fatto. Evidentemente il Signore Oscuro del futuro non aveva mai smesso di farsi domande, e questo lo aveva portato a conoscere altri segreti, come la magia che gli aveva permesso di creare quell'amuleto da regalare a sua figlia. O forse non era accaduto in futuro. Forse anche il Tremotino di quel tempo sapeva come fare, ma aveva tenuto per se quel segreto. Tsh, aveva sempre un asso nella manica, quel tratto di lui non sarebbe mai cambiato, e se da un lato la irritò, dall'altro la confortò saperlo. L'istinto di conservazione del Signore Oscuro … amava quel lato di lui! Era il principale ingrediente dei suoi piani migliori.
 
«Credi che lo abbia visto?» disse, tornando a concentrarsi su Robin «Suo padre. Credi che le sia ancora possibile vederlo?»
 
Robin Hood si stranì un poco di quella domanda.
 
«Non lo so, ma da quello che ho visto è possibile che lo abbia fatto quel giorno.» disse, poi però le sorrise stringendole di più la mano «Cosa hai in mente?»
 
Arrossendo un poco, lei si sciolse a sua volta, scuotendo le spalle.
 
«Niente di preciso…» mentì «Solo … forse lui può aiutarci a sciogliere quell'altro dilemma.» disse, facendogli l'occhiolino.
 
Robin scosse il capo sfiorandole una ciocca di capelli con tenerezza.
 
«Non è necessario, Regina.» disse «Emilie mi ha già detto tutto quello che c'è da sapere.»
 
Lei fece una smorfia contrariata, pensando a quell'ultima parte del racconto. In realtà non ci sarebbe stato neanche bisogno di udirla, aveva letto il contratto e non ci aveva trovato nulla di particolarmente astruso. Più che un contratto sembrava un accordo di collaborazione scritto e firmato da entrambe le parti.
Le voci principali erano poche e coincise
 
  • Emilie Gold s'impegna a preservare il lieto fine di Robin Hood finché le sarà possibile, a patto che questo non interferisca col lieto fine di Tremotino e della sua famiglia.
  • Robin Hood s'impegna nello stesso proposito, sempre nei limiti del possibile, e a proteggere le persone a lei legate per mezzo di amicizia, vero amore o parentela, fatta eccezione che per Peter Pan e La Fata Nera, i quali sono da considerarsi nemici di entrambe le parti.
 
Il resto era un formulario di preamboli legali, necessari ma non ai fini di lettura.
Tutto ciò che Robin doveva fare per sopravvivere gli era stato detto in un secondo momento, poco prima della partenza della ragazza, e tra le altre cose includeva evitare assolutamente di parlarne con Regina.
 
«Mio padre ha bevuto una pozione dell'oblio quando è venuto a conoscenza del suo futuro, e a ragione. Potrebbe rovinare tutto, ma tu devi saperlo per evitare che ti vada male come alla tua versione precedente.» gli aveva detto, aggiungendo poi «Niente aldilà, niente lieto fine. Sei stato cancellato, come se non fossi mai esistito. Vuoi evitare che ti accada? Allora segui queste semplici regole: Sta lontano da Ade e Zelena, a qualsiasi costo, lascia che Regina se la cavi da sola se devi, e tieni gli occhi ben aperti se qualcuno dal tuo passato dovesse riemergere. Ricordati che quella stronza è Perfida di nome e di fatto, non esiterebbe un solo istante a usarti per incasinare la vita di sua sorella. È Regina il tuo vero amore, non permettere a nessun altro di frapporsi tra lei e te, di separarvi.» poi, seriamente rammaricata, aveva concluso «Vorrei davvero dirti di più, ma non posso. Quando arriverai a Storybrooke e ti sembrerà di aver aggiunto il tuo lieto fine con lei, sta in guardia, e considera ogni giorno da quel momento come un giorno totalmente nuovo da vivere.»
 
Erano già arrivati a quel punto? Se lo era chiesto più volte, specie negli ultimi giorni, prima di Heroes and Villains, ma poi si era accorto di non saper trovare una risposta, e i dubbi di Regina, la sua paura per i piani di Mr. Gold, la sua smania di trovare l'autore e ottenere con la forza il loro lieto fine, gli avevano confermato che non era ancora giunto il momento. Per lui forse, ma lei continuava ad avere paura, a non abbassare la guardia. Lo considerava il segno che il tempo dei "giorni nuovi", quelli in cui il destino sarebbe stato tutto da riscrivere, non era ancora arrivato. Le prese entrambe le mani, prima che potesse tornare a obiettare, appoggiando i loro calici sul tavolino e guardandola negli occhi.
 
«Regina …» iniziò, in bilico sul da farsi.
 
Non avrebbe dovuto parlargliene, ma … forse invece si? Sentiva di doverlo fare, e aprì la bocca per iniziare, ma poi sorrise, scosse il capo e la baciò, così intensamente e a lungo da annullare qualsiasi altra resistenza. E quando alla fine la sentì cedere sotto le sue mani da arciere, capì che la scelta migliore era iniziare a vivere da quel momento il presente come se fosse qualcosa di totalmente nuovo. Carpe Diem, specie attimi meravigliosi come quello che stava ancora accadendo.
Era la cosa più importante che Emilie gli aveva insegnato, qualcosa che aveva sempre saputo ma che quella ragazza straordinaria aveva reso ancora più reale e importante: anche senza pozione dell'oblio, l'unico modo per preservare il proprio futuro era vivere appieno il presente senza farsi troppe domande.
 
***
 
Il giorno dopo...
 
Fu una notte difficile da passare, un po' per tutti ma in particolare per chi non aveva ancora imparato a fare i conti con l'oscurità nel proprio cuore.
Per tentare di sopravvivere, ognuno mise in pratica i suoi metodi. Ruby e William Scarlett, sorprendentemente uniti da un'amicizia comune, rimasero ad attendere l'esito in ospedale, addormentandosi l'uno sulla spalla dell'altro in una convivialità fraterna rassicurante; Belle e Tremotino trovarono conforto nella ritrovata fiducia reciproca, e nella forza del loro vero amore; Ewan rimase a fissare le stelle, le uniche che gli avevano fatto compagnia durante i lunghi anni di separazione da lei, che ora era di nuovo in lotta col suo destino; Emma accolse l'invito di Granny e si lasciò consolare da una buona cena e una cioccolata alla cannella, mentre cercava di fare ordine nei pensieri e programmare le prossime mosse. Mary Margaret e suo marito invece, si ritrovarono di nuovo da soli contro sé stessi, impugnando come arma per sconfiggere i propri demoni l'unica che sapessero usare: le loro incrollabile convinzioni.
Sfortunatamente, anche se all'inizio parve funzionare, alla lunga perse la sua efficacia, e alle prime luci dell'alba i due si ritrovarono di nuovo l'uno di fronte all'altra, nel soggiorno di casa. Nessuno dei due aveva chiuso occhi, entrambi per paura di incontrare qualche fantasma in sogno.
La prima a farsi avanti fu lei, restando a fissarlo in piedi di fronte al divano mentre lo guardava cercare le parole adatte.
 
«Bianca, mi spiace …» esordì, e la vide intristirsi scuotendo il capo.
«No, è a me che dispiace.» gli disse, avvicinandosi e abbracciandolo «Mi sono lasciata trasportare dagli eventi, ero sconvolta, e me la sono presa con te quando avrei dovuto starti vicino. Scusami...»
 
Scoppiò a piangere, ancor non del tutto libera dall'angoscia. Il Principe la strinse a sua volta, sprofondando il naso nell'ebano dei suoi capelli che sapevano di foresta e sfiorandole la nuca con tenere carezze. Le ciglia catturarono le prime lacrime, trattenendole, ma non avrebbero potuto farlo a lungo. Scosse il capo, sentendo l'angoscia montare. Aveva pensato a lungo durante la notte. A tutto e a niente, cercando di evitare completamente il discorso Emilie e dimenticare ciò che lo aveva spinto a ferirla. Alla fine aveva trovato un modo per resistere al senso di colpa, una bugia a cui aggrapparsi come a una fune in mezzo al mare in tempesta.
"È come ha detto Tremotino. È stato un incidente, provocato da ciò che lei stessa aveva architettato. E io stavo cercando di difendere la mia famiglia, non ho colpe."
Convincente, ma non quanto avrebbe voluto, perché a farlo ancora vacillare era la domanda posta dalla ragazza stessa poco prima che lui la colpisse: "Cosa fa di te un eroe? Cosa ti rende diverso da noi?
"
Ormai ne sapeva abbastanza di quella famiglia, conosceva gli sforzi fatti da Tremotino per salvare suo figlio e l'amore che li legava. In cosa era diverso da lui? Poteva definirsi un eroe senza vergogna? La risposta più banale fu ancora una volta la sua salvezza: Il Signore Oscuro mente, il Signore Oscuro inganna. Ma un eroe non uccide, mai, per nessun motivo e in nessun caso. E lui lì, in quel mondo fatto di incubi, aveva provato il forte desiderio di farlo e lo aveva fatto. Se fosse stata quella la realtà, Emilie Gold sarebbe già morta, per mano sua.
Ma se era stato tutto solo finzione, come mai lei ora era in coma in ospedale e lui lì a tormentarsi? Se Mr. Gold avesse davvero avuto pietà di lui glielo avrebbe detto, che quell'incidente era l'ungi dall'essere casuale, che la sua smania di voler fare l'eroe si era amplificata a dismisura sotto l'effetto di quella magia corruttiva e lo aveva trasformato in un assassino, spingendolo contro un'ignara Lucertolina che non lo avrebbe mai creduto veramente capace di un simile gesto. Era diventato la versione peggiore di sé stesso, come tutti loro, e prendendo il sopravvento aveva cambiato il finale di quella storia dando vita ad un imprevisto che era costato caro a chi l'aveva pensata e scritta.
Ma conoscendolo, Tremotino aveva voluto prendersi così la sua vendetta. Non c'era incubo peggiore per lui del dover affrontare l'Oscurità dentro sé stesso disarmato e spaurito. Un povero pastorello sprovveduto, proprio come quando lo aveva trovato la seconda volta. Senza deludere le aspettative, era proprio quello che stava accadendo.
Con un impeto disperato la baciò, prendendole il viso tra le mani e inspirando a grandi sorsi il suo profumo. Biancaneve gli rispose con la stessa intensità, segno evidente ch'era impegnata nella stessa identica lotta, ma con un pensiero in più verso di lui, verso chi amava e che sentiva di star perdendo. Odiava quella sensazione. Odiava sentirsi vulnerabile, sentire il terreno cedergli sotto i piedi e il mondo cambiare senza che potesse evitarlo. Odiava quella ragazza per esserci riuscita senza che se ne accorgessero. Loro si erano fidati, e lei li aveva traditi, rivelando ad Emma la verità e mettendo tutti in grave pericolo. Assurdo non si fosse accorta delle troppe, paradossali somiglianze con ciò che lei stessa aveva fatto a Regina anni prima.
Quando il bacio finì, un altro più breve ma di uguale intensità li coinvolse. Poi sorrisero, gli occhi lucidi, ritrovandosi e sospirando come se fino ad allora fossero rimasti ad annaspare in mezzo alla tempesta.
 
«Come stai?» gli chiese dolce lei, posando una mano sul suo cuore.
 
Lui la prese tra la sua e la strinse, sforzandosi di sorridere.
 
«Me la caverò.» le disse, riuscendo quasi per miracolo a non mostrarsi stanco, o vacillante.
 
Lei però dovette accorgersene lo stesso, perché gli rivolse uno sguardo afflitto, e sollevò la mano libera a sfiorargli il mento e lo zigomo, coperto appena da un sottile strato di barba.
Restarono così ancora per qualche minuto, poi lui la sciolse e afferrò la cintura con la pistola e il distintivo abbandonati sul comodino la sera prima.
 
«Devo andare.» le disse «Siamo rimasti troppo a lungo fermi a guardare, per quella faccenda delle fate. Qualcuno deve trovarle.» disse, fallendo miseramente il tentativo di cambiare argomento.
«Ed Emma?» gli chiese sua moglie, continuando a mostrarsi preoccupata.
 
Ancora una volta lui le sorrise, scuotendo le spalle.
 
«Dalle tempo. Capirà.» le rispose, ma stavolta nel sentirlo parlare a quel modo lei non si arrabbio.
 
"Si, capirà." pensò mentre lo guardava uscire di casa e lo salutava con un bacio a stampo sulle labbra.
Capirà, ma cosa? Che siamo noi i cattivi? Perché non lo siamo, non lo siamo mai stati. Mai come allora, era importante che la loro figlia primogenita lo sapesse: erano loro gli eroi, non viceversa. Tremotino li aveva aiutati in passato, si era addirittura sacrificato per salvare la città da Peter Pan, ma rimaneva un cattivo, uno per i quali cambiare richiedeva tempo. Ed Emilie … non era ancora riuscita a capirla, ma la portatrice di tutto quel caos e quelle disgrazie, amica dei cattivi e amante dei loro metodi deviati, non poteva che essere una di loro, tale e quale a suo padre.
Con quelle nuove consapevolezze in testa, Biancaneve guardò partire il suo Principe Azzurro a bordo del furgoncino che gli apparteneva, quindi rientrò in casa, richiuse la porta e si diresse verso la stanza del loro ultimo genito, un figlio maschio nato durante l'attacco di Zelena, a cui l'intervento di Emilie aveva risparmiato molti inutili pericoli, primo fra tutti il diventare parte di un cerchio magico per l'apertura di un portale temporale. Era stata la magia della Strega Perfida a farlo nascere prima del tempo, la Lucertolina lo aveva indirettamente salvato scagliando quella freccia contro quest'ultima.
Avrebbe dovuto chiamarsi Neal, come quel cognato che non sapeva neanche di avere, ma il suo sacrificio da eroe era stato evitato e così, pur amandolo e rispettandolo, non c'era stato bisogno di nessun tributo nei suoi confronti. Avevano quindi deciso di chiamarlo Leopold, come suo padre il re. In punta di piedi la principessa entrò nella nursery, si avvicinò con un sorriso sognante alla culla e lo prese tra le braccia, guardandolo sorridere con tenerezza materna.
 
«Buongiorno, Leo …» sussurrò, lasciando che quella piccola manina paffuta stringesse il suo indice.
 
Era bello. E aveva i suoi occhi. Si chinò a stampargli un bacio sulla fronte che sapeva di latte e sussurrò, di nuovo sicura di sé.
 
«Non preoccuparti. Mamma e papà ti terranno al sicuro, qualunque cosa accada.»
 
***
 
La prima a raggiungere la stazione di polizia fu Emma, il cui sonno fu molto meno agitato di quello dei suoi genitori. Era rimasta sveglia fino a tardi a pensare ad Emilie e a ciò che sapeva di lei, tenendo in considerazione anche le parole di Uncino e ovviamente la questione delle fate. Non poteva più ignorarla, anche se continuava a credere che la ragazza non fosse il nemico.
Se non era cattiva allora, perché le aveva rapite, e dov'erano finite?
Alle prime luci dell'alba era uscita e aveva raggiunto il convento con il suo maggiolino giallo.
In assenza di testimoni aveva deciso di concentrarsi sugli indizi, e tutti le avevano confermato ciò che aveva già compreso: magia.
Le fate erano state portate via dalla magia, un tipo potente e devastante.
Tremotino, forse? Si era sforzata di seguire tutte le piste e di non escludere niente, neanche le ipotesi più strampalate. E se Zelena fosse tornata? Era sparita poco dopo la sua sconfitta, le telecamere della stazione si erano spente e così nessuno aveva mai saputo cosa le fosse accaduto.
Se fosse stata lei a rapirle, per dare inizio a un altro dei suoi piani? E se invece, come le aveva detto uncino, quello fosse un altro tassello nel piano di Emilie e Mr. Gold? Perché avrebbero dovuto farlo? Perché proprio le fate e l'apprendista?
Avrebbe avuto bisogno di interrogarli, ma Emilie non poteva risponderle al momento, e qualcosa le diceva che Gold non aveva alcuna intenzione di parlare e non l'avrebbe avuta in futuro.
Fu allora che il suo sesto senso la guidò verso Ewan, Belle e Gideon, le uniche persone che avrebbero potuto aiutarla a chiarire i punti bui di quella faccenda.
Decise di lasciar perdere i primi due per il momento, troppo coinvolti emotivamente, e concentrarsi su Gideon, che gli era da subito sembrato disponibile e posato.
Gli chiese d'incontrarsi da Granny, e di fronte ad un caffè e una fetta di torta lo aggiornò sugli ultimi eventi.
Come aveva immaginato, non cadde dalle nuvole ma lo vide vacillare abbassando gli occhi, leggermente imbarazzato.
 
«Sto cercando di ritrovarle, Gideon.» gli disse, parlando con la massima onestà «Puoi aiutarmi? So che sei arrivato da poco, ma…»
«Non è questo il problema, Emma.» le disse, saggiando bene ogni singola parola «Purtroppo temo... temo davvero di non sapere cosa dirti.» quindi scosse il capo, dispiaciuto «Il fatto è che questo è un punto fisso nel tempo, uno di quelli che mia sorella non poteva evitare. Non so quanto lo abbia modificato, come ha fatto con Heroes and Villains, ma…» si fermò di nuovo, visibilmente imbarazzato, e sospirò «Devi risolvere da sola la matassa, mi spiace.»
 
Stava mentendo. Non totalmente, aveva soltanto smozzicato la verità, ma glielo lesse negli occhi che lo stava facendo, e guardandolo meglio, leggendo tra le righe di quelle parole, seppe anche perché. Ecco i colpevoli: sua sorella e suo padre. Il movente? Lei doveva mantenere intatta quella specie di scaletta temporale, lui … a cosa avrebbe potuto servirgli la magia delle fate? Cosa stava architettando il Signore Oscuro?
Sospirò, annuendo e poi chinandosi verso il suo interlocutore.
 
«Dammi solo un indizio.» tentò, cercando nella sua reazione la risposta che cercava «Un nome, un dettaglio, qualsiasi cosa va bene. Al resto ci penso io.»
 
Lo vide irrigidirsi, per poi sciogliersi di colpo e scuotere il capo, alzandosi in tutta fretta.
 
«Non posso, Emma. Davvero.» disse «Non voglio contribuire a modificare ulteriormente la linea del tempo.»
 
Quindi fece per andarsene, ma fatto qualche passo si bloccò e si voltò di nuovo a guardarla, lasciandole un'unica, semplice ma concisa frase.
 
«Fidati del tuo istinto. Non ha mai fallito, che io sappia.»
 
La donna sorrise, lasciandolo andare e annuendo grata. Era la risposta che cercava. L'unica che le serviva davvero. Quindi finì il suo caffè, prese qualcosa da portare ai suoi due uomini e si avviò verso casa, già molto più sicura di sé di quando si era allontanata.
Trovò padre e figlio intenti a preparare il tavolo per la colazione. Non appena la videro, entrambi si aprirono in un sorriso.
 
«Mamma!» l'accolse entusiasta Henry, correndo ad abbracciarla «Sei tornata?»
 
Lanciandogli una rapida occhiata, Emma vide che Neal la scrutava speranzoso. Non voleva deluderlo, perciò scosse il capo e gli rivolse uno sguardo dispiaciuto, avvicinandosi comunque ad abbracciarlo. Non ebbe bisogno di chiedere scusa, lui capì e cambiò argomento, seppure con un filo di tristezza negli occhi.
 
«Grazie per il caffè.» disse prendendo in consegna la busta di carta col logo del Granny's Dinner.
 
Lei si voltò ad osservarlo mentre raggiungeva il tavolo e iniziava ad estrarne il contenuto.
 
«Mi aspettavate?» domandò, quando si accorse del posto in più.
«Oh, no.» si affrettò a spiegare Cassidy «Quella è per Ewan. Non sai la fatica che abbiamo dovuto fare per convincerlo a venir via dall'ospedale.»
 
La Salvatrice si fece attenta, guardandosi intorno e lanciando poi un'occhiata alla sua ex camera da letto.
 
«Ha dormito qui?» tornò a chiedere.
«Anche zio Gideon.» rivelò Henry con un sorriso contento.
«Non so se abbia dormito, ma comunque ci ha provato.» replicò Neal, e fece per aggiungere altro quando un rumore dal piano di sopra lo distrasse.
 
Si voltarono tutti e tre. Alle loro spalle, ancora pallido e visibilmente stravolto, era emerso il soggetto della loro discussione, che non appena la vide sembrò arrossire sorpreso.
 
«Buongiorno.» lo accolse lei, in tono amichevole ma anche un po' preoccupato.
 
Indossava ancora gli abiti della sera prima, l'elegante completo blu scuro che Emilie aveva fatto confezionare apposta per lui, ma era scalzo, completamente, aveva tolto la giacca, le cravatta e i gemelli e sbottonato fino a metà la camicia di seta nera, in un attimo in cui l'angoscia era stata così tanta da stringergli il petto in una morsa e spezzargli il fiato. Non indossava mai la canottiera, il che di solito non era un problema con la sua fidanzata, perché lasciava ben in mostra il petto scolpito da anni di tiro con l'arco e la pelle liscia lievemente abbronzata dal sole. Ora però mise in seria difficolta sia Emma che Neal, che non era mai stato geloso ma aveva iniziato ad esserlo un po' dopo gli ultime eventi, prima con Uncino e poi con tutti gli altri. Il folto strato di barbetta incolta e i capelli un po' spettinati non aiutavano di certo, anche se lui non aveva assolutamente nulla da invidiare al suo ora ufficialmente cognato. Ma durante il breve istante in cui si attardò a guardarlo Emma notò quanto questi ultimi dettagli lo facessero assomigliare molto a Graham, sebbene con molte altre differenze nel viso e nella corporatura. In realtà, era la perfetta seppur azzardata fusione tra i due mondi, tra l'indomito cacciatore e il sofisticato gangster di quartiere, e la naturalezza con cui rivestiva simultaneamente quei ruoli la lasciò piacevolmente colpita.
Non sembrava neanche tanto vecchio, nonostante la barba. Quanti anni poteva avere? Trenta? Quaranta? No, non doveva esserci molta differenza di età tra loro due, anche se Milly, probabilmente a causa dei numerosi viaggi nel tempo, sembrava essere rimasta ferma ai suoi diciotto anni. Le fece i complimenti dentro di sé, con un sorriso appena accennato sulle labbra.
Anche Henry lo notò, e non poté neanche non avvertire l'improvviso disagio tra di loro. Dovette percepirlo anche la mente ancora annebbiata dell'uomo, perché di colpo chiese scusa e iniziò ad abbottonarsi la camicia e a darsi una sistemata passandosi una mano tra i capelli e sugli occhi.
 
«Non mi sono ancora abituato alla vita in appartamento.» tentò di spiegarsi «E a Emilie non da fastidio, perciò …» poi si rivolse a Neal, senza un vero motivo «Posso camminare scalzo, vero? Non ho gli stivali, e i mocassini sono assurdamente scomodi.» domandò, arrossendo di nuovo, con uno charm da gentiluomo navigato.
«Già…» bofonchiò in risposta Neal, sciogliendolo dall'imbarazzo ed aprendosi in un sorriso complice «Dovrebbero chiamarli strumenti di tortura, non scarpe.»
 
Quella battuta funzionò, perché riuscì a trascinare tutti in un breve, confortante momento di ilarità che bastò a sciogliere la tensione e restituire a ciascuno la sua fetta di buon umore.
 
«Tranquillo, ti capisco.» gli rispose affabile Neal «Magari dopo colazione ti accompagno alla villa a prendere qualcosa.» si offrì generosamente.
«Grazie, ma … dovrei tornare in ospedale per dare il cambio a Will.» fu l'esitante risposta del cognato, seduto accanto a lui.
«Ci pensa Gideon.» si affrettò ad informarlo Cassidy, battendogli poi una rassicurante pacca sulla spalla «L'hai sentito ieri sera, potrebbe volerci un po' prima che si svegli e se sarai stanco non potrai esserle di nessun aiuto. Sistemati, prima. Stasera ti prometto che ti porterò da lei, se non dovesse svegliarsi prima.»
«Posso venire con voi alla villa?» domandò a quel punto Henry, stupendo gli adulti.
«Davvero? Perché?» gli chiese sua madre, inclinando il capo.
«Nel libro il Castello si animava di notte e tornava ad essere normale di giorno. Voglio vedere se anche le chimere lo fanno.» spiegò il ragazzino, e nonostante l'accenno alla storia di Heroes and Villain riuscì di nuovo a strappar loro un sorriso.
 
Almeno ad Ewan ed Emma, che erano il suo principale obbiettivo. In realtà voleva essere d'aiuto a suo zio, cercare di conoscerlo come aveva fatto con sua zia, e la complicità che trovò negli occhi dell'uomo lo rassicurò. La simpatia era reciproca.
 
«Non mi sembra una buona idea.» replicò tuttavia Neal, preoccupato che Cruella e Malefica potessero essere ancora in giro.
 
Lui ormai c'era abituato, o almeno stava cercando di rassegnarsi e sopportarlo in silenzio, seppur con mille difficoltà. Non voleva però che suo figlio iniziasse a simpatizzare anche per loro, bastavano già due cattivi in famiglia. Non che credesse che Henry potesse diventarlo, ma era inutile e deleterio rischiare inutilmente. Inoltre, Cruella era imprevedibile e tenerlo lontano da lei era l'unico modo che sentiva di avere per proteggerlo. Per fortuna, stavolta ci pensò Ewan a cavarlo dall'impiccio.
 
«Ho un'idea migliore.» disse, chiedendo poi con un sorriso cordiale «Sai tirare con l'arco?»
 
Henry s'illuminò, scuotendo il capo.
 
«Puoi insegnarmi?» domandò eccitato.
 
Emma e Neal si scambiarono un sorriso compiaciuto e sollevato. Ci sapeva fare con i bambini. E anche con gli adulti.
Lo osservarono sciogliersi nel primo vero sorriso della giornata, annuendo divertito.
 
«L'ho insegnato a tua zia, posso farlo anche con te. A patto che tu ci aspetti in macchina e non ti muova da lì. Ci metteremo poco.» promise, poi lanciò un occhiolino a Neal dando prova di aver capito i suoi timori.
 
Si, era decisamente un ottimo diplomatico.
Mentre guardava Neal sciogliersi in un sorriso ed Henry accettare quell'accordo ben volentieri, Emma si concesse il tempo per osservare il suo uomo con affettuosa comprensione. Non l'aveva mai visto così … sereno. Forse non se ne accorgeva ancora, ma lo era. E da quando era tornato dall'Isola che non c'è e aveva deciso di dare una seconda possibilità a suo padre, salvo la breve digressione che li aveva divisi, non faceva che migliorare.
Seduti l'uno affianco all'altro, intenti a finire la colazione, i due cognati si ritrovarono a parlare come se si conoscessero da sempre, scambiandosi rapide battute, cenni d'intesa e anche qualche pensiero profondo ora che Ewan sembrava essere tornato pienamente consapevole di sé stesso. Chissà come ci riusciva? Si chiese, osservando il modo in cui ancora una volta Baelfire aveva gestito la situazione. Con suo padre, con lei, con sua sorella e ora con Ewan. Chiunque fosse, lui aveva un talento speciale per riuscire a strapparlo dai pensieri più cupi e restituire un sorriso a ogni volto.
Era il suo modo di essere, quello per cui lo amava. Il modo che aveva di trasformare qualsiasi posto in Casa. Forse per questo dopo averlo perso la situazione di Tremotino aveva iniziato di nuovo a precipitare. Quasi senza accorgersene, si ritrovò di nuovo a pensare a lui, a quella strana ma resiliente famiglia e al motivo che li aveva spinti fino a lì, a quello che aveva spinto Tremotino a fare tutto ciò che aveva fatto, ogni cosa. E d'un tratto capì che la chiave del mistero stava proprio lì, in mezzo a tutto quell'amore.
Ancora una volta, fu Emilie a fornirle la risposta.
 
«Farò qualsiasi cosa per proteggere la mia famiglia.» le aveva detto, con una sicurezza incrollabile.
 
La stessa di Tremotino, di Gideon e di Belle. La stessa che aveva spinto Neal a rischiare la propria vita per richiamare suo padre dall'oltretomba e avere anche solo un'ultima possibilità di rivederla.
Anche rapire le fate faceva parte di quel "qualsiasi cosa"?
Avrebbe dovuto scoprirlo, e in fretta, perché più ci pensava, più quella storia seguitava a non piacerle.
 
***
 
Aveva bisogno di pensare, di mettere in ordine le idee ed elaborare un piano d'azione, perciò si diresse alla stazione di polizia, l'unico posto che le venne in mente.
Una volta lì si sarebbe aspettata di dover sostenere un'altra conversazione con Killian Jones, ma per fortuna lo trovò impegnato con suo padre, che stava inutilmente cercando di interrogarlo.
Il Principe lo tempestava di domande, ma lui continuava a tacere, disteso sulla sua branda con aria indolente da duro, fissando a tratti il suo uncino, a tratti il soffitto macchiato di muffa.
 
«Non ti dirà nulla neanche se volesse. Non può.» disse, riprendendo posto alla sua scrivania senza neanche salutare.
 
I due uomini si voltarono a guardarla, e il pirata schizzò in piedi, un po' troppo speranzoso.
 
«Swan! Sei tornata!» esclamò.
«Non per te.» lo freddò lei, iniziando quindi a scarabocchiare qualcosa su un blocco appunti.
 
David Nolan si corrucciò.
 
«Come sarebbe che non può?» domandò, cercando di capire.
 
Emma gli lanciò una rapida occhiata, guardandolo avvicinarsi.
 
«Emilie o Mr. Gold... o entrambi... devono avergli fatto una sorta d'incantesimo per farlo stare zitto. Appena prova a parlare, ha un attacco di cuore o qualcosa di simile.»
 
Sbalordito, Nolan guardò il Pirata scuotere le spalle alzando gli occhi e le braccia al cielo, in quella che interpretò come una pessima quanto ipocrita ammissione di colpa.
Sospirò, rivolgendogli un'ultima occhiata scura per poi avvicinarsi a lei e sbirciare il taccuino.
 
«Quindi sospetti di loro?» domandò, cercando al contempo di incrociare il suo sguardo.
 
Non ci riuscì neanche una volta, perché lei seguitò abilmente a evitarlo. Era proprio come sua madre.
 
«Non sospetto di nessuno, sto solo seguendo una pista.» fu la risposta lapidaria e vaga.
«Posso... darti una mano?» si offrì, tentando di nuovo, e quando lei gli rivolse uno sguardo serio carico di astio, lui sorrise mostrandole il tesserino «Sono pur sempre il vice sceriffo.» le sorrise.
 
Ma, più severa di quanto si sarebbe aspettata, lei lo respinse con una lapidaria sentenza.
 
«Hai appena cercato di uccidere uno dei principali indiziati. Non mi sembri il più adatto per quest'incarico.»
 
Lasciandolo basito a fissarla mentre, una rabbia sempre più crescente in corpo, seguitava a cercare di stilare quella maledetta lista.
 
«Limitati a fare la guardia al prigioniero. Faccio da sola.» mormorò dopo qualche istante, notando che il silenzio si era fatto teso e suo padre non la smetteva di fissarla impietrito.
 
Lo sentì sospirare, segno che stava sforzandosi di non cedere ai sentimenti.
 
«Emma…» iniziò, ma lei lo interruppe alzando la cornetta del telefono e ordinando da Granny qualche caffè e un paio di hamburger per pranzo.
 
Mordendosi la lingua e scuotendo esasperato il capo, il Principe Azzurro attese con pazienza che avesse terminato, poi provò di nuovo ad aprir bocca ma sua figlia tornò all'attacco, ordinandogli, senza neanche guardarlo.
 
«Ho bisogno di concentrarmi su questo caso. D'ora in avanti ti occuperai delle chiamate meno urgenti e delle ronde e lascerai a me il resto.»
«Ascolta, capisco che tu sia arrabbiata, ma lascia almeno che ti spieghi.» provò comunque a replicare lui, tutto d'un fiato, approfittando di quella pausa. Ma se ne pentì subito dopo, perché esasperata la Salvatrice colse la palla al balzo ed esplose, senza più mezzi termini.
 
«Spiegare cosa? Che mi avete mentito su Malefica per chi sa quale assurdo motivo? Che ho dovuto affrontare l'unica amica che io abbia mai avuto e ho scoperto che l'unico motivo per cui mi odia a morte e qualcosa che voi avete fatto prima che nascessi per assicurarvi che diventassi un'eroina? Oppure vuoi spiegarmi perché hai cercato di uccidere Emilie, che fino ad allora si era solo limitata a provocarvi?»
 
Lo vide sgranare gli occhi, più sconcertato da quell'ultima domanda che dal resto.
 
«Lei aveva pietrificato tua madre, ci aveva minacciato e stava per ucciderti.» mormorò.
«Non l'avrebbe mai fatto!» si oppose invece lei «E vuoi sapere come lo so?» chiese, ma poi tornò a sbattergli in faccia il suo livore «No che non vuoi, né tu né Mary Margareth volete davvero saperlo, non v'importa. L'importante è essere riuscito a fare l'eroe e uccidere il mostro, vero? Perché è così che agite! Peccato che non funzioni così in questa città, nella vita vera. Ed Emilie viene da lì, dalla vita vera.»
 
La sputò quella frase, talmente tanto rivoluzionaria da risultare assurda anche alle orecchie del più anticonvenzionale Uncino, che restando in silenzio scosse il capo, appoggiandosi alle sbarre e chiudendo gli occhi. Dirle che si stava sbagliando ora sarebbe stato inutile se non deleterio, quindi preferì quel muto cenno di dissenso alle parole, che tuttavia non sfuggì ad Emma. Lo ignorò, ignorò entrambi e tornò al suo schema.
 
Cruella,
Malefica,
Lily,
Robin Hood,
Ewan,
William Scarlett

 
Erano i nomi di coloro che le erano più vicini, coloro i quali l'avevano aiutata fuori e dentro Heroes and Villains. Grande assente in quella farse era Ursula, che sembrava essere sparita anche da Storybrooke ora. Un'idea si fece largo rapida nella sua mente.
 
«Killian…» disse, riottenendo la sua attenzione «Cosa voleva Ursula da te?»
 
Si voltò a guardarlo, e lo vide scurirsi come colto in flagranza di reato. Aveva toccato un nervo scoperto, e qualcosa le diceva che non c'erano tabù in merito a questo argomento. Il Capitano sospirò, scuotendo la testa svogliatamente e sfoggiando il suo miglior sorriso sornione.
 
«Senti, tesoro …» iniziò, ma lei alzò gli occhi al cielo, si alzò e lo raggiunse interrompendolo
«Hai due opzioni, o mi dici la verità adesso, con le buone, oppure userò le cattive per tirartela fuori a forza.»
 
Ma lui non cedette, continuando giocare all'infallibile seduttore.
 
«Oh, e quale sarebbero le cattive?» chiese ammiccando.
 
E attirando su di se le ire del Principe.
 
«Hey, pirata!» esclamò infatti, gonfiando il petto e facendo per avventarglisi contro, ma Emma si frappose tra di loro.
«Papà, ti ho detto di starne fuori.» ripetè decisa, e a malincuore lui dovette cedere.
 
Salvatrice e Capitano tornarono a guardarsi negli occhi.
 
«Hai detto che non centri nulla con Emilie, che non puoi parlare e che devo seguire il mio istinto per scoprire il resto.» tornò a ripetere Swan, seria «Sto cercando di farlo, quindi rispondimi: cosa voleva Ursula da te?» concluse, lentamente e continuando a rimanere concentrata sulla sua reazione.
 
Visibilmente a disagio, l'uomo tentò un ultimo disperato salvataggio.
 
«Lei non centra nulla con le fate.» disse, scuotendo il capo «E in ogni caso ora che ha avuto la sua vendetta ha lasciato Storybrooke.»
 
Non era la risposta che aspettava, ma almeno era la verità.
 
«Per dove? Di quale vendetta parli?» lo incalzò, e finalmente riuscì ad aprire quel guscio ostinato.
«Su di me, Swan.» lo vide sbottare, irrigidendo la mascella «Non l'hai capito? Tutto questo è stato tutto una grossa montatura per permetterle di vendicarsi senza che nessuno potesse opporsi.»
 
S'interruppe, e rapidamente la sua espressione cambiò, diventando più cupa, furente.
 
«Quel dannato Coccodrillo e la sua maledetta Lucertolina hanno giocato di nuovo con me.» soggiunse tra i denti «Stanno continuando a farlo anche adesso e tu stai qui a chiederti dove sia andata Ursula.»
 
Ma non ebbe neanche il tempo di finire la frase che una fitta più forte delle altre lo lasciò senza fiato, gettandolo in ginocchio sul freddo pavimento della cella, spingendolo ad aggrapparsi alle sbarre e a digrignare i denti.
 
«Killian! Che ti succede? Di nuovo? Killian!»
 
La voce di Emma gli giunse ovattata, sentì che anche David cercava di aiutare, ma le sue indicazioni gli risultavano incomprensibili. La vista appannata, i sensi intorpiditi, l'ultima cosa che sentì prima di cadere al suolo e chiudere gli occhi fu il rumore delle chiavi nella serratura della cella e, ma questo fu sicuro di esserselo immaginato, la risata della Lucertolina in sottofondo che si confondeva con lo stridio dei cardini arrugginiti.
Svenne, e per rianimarlo Emma e suo padre furono costretti ad usare il defibrillatore in dotazione alla centrale. Ci volle un po' comunque, prima che riuscisse a riaprire gli occhi. Nel frattempo, padre e figlia colsero l'occasione per spiegarsi e spiegare. Emma gli raccontò ciò che aveva saputo in merito ad Emilie ed Uncino, gli rivelò di Gideon e di quanto aveva appreso sulla ragazza, del motivo che l'aveva spinta a schierarsi dalla sua parte, ma solo dopo che il Principe si fu scusato per quella menzogna ed ebbe cercato di spiegare la difficile posizione in cui erano venuti a trovarsi lui e sua madre e i motivi che li avevano spinti ad agire in quel modo.
 
«Credimi, io e tua madre ce ne siamo pentiti amaramente, abbiamo rimpianto quella scelta ogni giorno delle nostre vite, ma non potevamo far altro che andare avanti.»
«Come avete potuto pensare che fosse giusto?» aveva chiesto allora lei, gli occhi lucidi pieni di pietà per quella neonata che aveva vissuto una vita forse anche peggiore della sua.
«Non lo era.» concordò David Nolan «Non lo sarà mai, hai ragione. Ma avevamo paura, Emma. Abbiamo avuto paura di perderti, perché accade sempre, prima o poi, a chi cede all'oscurità. E noi non potevamo lasciare che accadesse. Siamo stati avventati e codardi, è vero. Ma lo abbiamo fatto per proteggerti, perché abbiamo pensato che fosse la scelta migliore fino a quando non abbiamo capito che quella creatura nell'uovo non era un mostro, ma una bambina. Ma quando l'abbiamo vista era già troppo tardi per tornare indietro.»
 
Emma Swan si era sentita all'improvviso persa, aveva sorriso e per un po', un bel po', non aveva più parlato se non per rispondere alle sue domande con frasi quasi telegrafiche. Quando infine Uncino aveva riaperto gli occhi sussurrando il suo nome, non aveva trovato lei ad accoglierlo ma suo padre, che lo aveva accolto con un secco.
 
«Lei non c'è. È andata a interrogare qualche sospettato.»
 
Aveva provato ad alzarsi, ma si era sentito troppo debole per farlo.
 
«Posso avere dell'acqua?» aveva chiesto con un filo di voce, la gola riarsa.
«Acqua? Pensavo preferissi il rum.» era stata la risposta sarcastica, e lui aveva sorriso, intuendo l'astio ma senza avere la forza per replicare con la stessa veemenza.
 
Con tutta calma il Principe prese una bottiglia d'acqua da uno degli armadietti nella stanza, la aprì e gli usò la cortesia di portargliela fin dentro la cella, porgendogliela ma rovesciandogliene parte addosso quando fece per prenderla.
 
«Ma che accidenti stai facendo?!» sbottò, riavendosi e mettendosi a sedere.
 
Il Principe gli rivolse un lungo sguardo accusatorio.
 
«Stammi a sentire, pirata. Tu non mi piaci, e non mi piacerai mai. Mia figlia ora è felice, ha un uomo che la ama e un figlio che li adora entrambi. Prova anche solo a pensare di rovinare tutto e metterti in mezzo, e farò qualsiasi cosa in mio poter per fartene pentire.»
 
Killian Jones sorrise, stancamente, prese la bottiglia dalle sue mani e bevve tutto d'un sorso l'intero contenuto, alzandola come avrebbe fatto con un boccale di birra prima di gettarla a terra.
 
«Non ne avrai bisogno.» disse, aggiungendo poi, amaro «Ci ha già pensato la Lucertolina a farmi una promessa simile.» poi, leggendo lo sconcerto più totale nella sua faccia sbigottita «A quanto pare volete la stessa cosa, tu e lei. Forse tua figlia non ha poi tutti i torti.»
 
***
 
A villa Gold, tutto sembrava essere rimasto come lo avevano lasciato poco dopo la festa. Le chimere era tornate di pietra, ma al loro passaggio si rianimarono e compirono di nuovo l'inchino che Henry si aspettava di vedere; nel giardino, immerso nella luce tranquilla del mattino, le pantere sonnecchiavano appollaiate sui rami dell'unica, robusta quercia presente, fatta eccezione per una sola di esse, che si era distesa proprio di fronte al grande portone d'ingresso, dove le due armature continuavano a fare la ronda. Non appena li videro avvicinarsi si voltarono e parvero guardarli, come se ci fosse davvero qualcuno dietro le strette fessure degli elmi, all'altezza degli occhi.
Non appena li riconobbero, accennarono ad un inchino e li fecero passare. L'interno era stato spazzato e rinfrescato a dovere, erano ancora presenti gli specchi, ma ogni traccia evidente della festa era stata cancellata, perfino le macchie di sangue sul pregiato parquet, e rimanevano solo gli strani domestici, spolverini, piccole ramazze e qualche appendiabiti, a ricordarne la folle, fiabesca atmosfera.
 
«Le piace davvero tanto quel film, eh?» commentò a mezza bocca Baelfire, contrariato, osservandoli tirare laboriosamente a lucido l'ampio salone principale.
 
Ewan sorrise.
 
«Le piace qualsiasi cosa riguardi i suoi genitori.» gli rispose, superando l'accesso al salone per dirigersi verso l'ampio, elegante corridoio poco più in là.
«Già, me ne sono accorto.» fu la replica seccata di Baelfire «Non la trovi eccessiva?» chiese poi, senza preoccuparsi troppo di risultare sgarbato.
 
L'arciere seguitò a sorridere, scuotendo il capo e facendo eco alle parole di Gideon della sera prima.
 
«Le piace lasciare un segno.» replicò «Distinguersi. A volte può sembrare esagerata, ma …» s'interruppe, facendosi triste «Credo sia l'unico modo che conosce per farsi ascoltare.» quindi si fermò di fronte a una porta chiusa, a metà corridoio, appoggiò una mano sulla maniglia e con l'altra indicò i dintorni «Pensaci, Bae.» gli disse «Questo è tutto ciò che ha. Anche adesso … non ti sembra che stia urlando?»
 
Di colpo, risvegliato da quella domanda a bruciapelo, Neal Cassidy si guardò intorno e tutto gli apparve diverso, meno fastidioso, perfino la luce abbagliante delle lampade a muro in stile neogotico, poste a intervalli regolari sulle colonne lungo tutto il corridoio.
Al di là dei forti richiami a Tremotino e alle sue più varie, fiabesche quanto esagerate reinterpretazioni, oltre la minacciosa e improbabile presenza di guardiani armatura in ogni angolo del corridoio e di esotici animali feroci vaganti tra le ombre del giardino, all'improvviso un forte senso di paura e disperazione lo raggiunse, e finalmente capì.
Era questo ciò che lo disturbava? Tutto quel caos … quello splendore accecante … servivano a nascondere questo? La paura, l'insicurezza, la solitudine. Per la prima volta dopo tanto tempo, il suo pensiero tornò agli anni passati da solo in una caverna nel cuore dell'isola che non c'è, e d'improvviso qualcosa si riaccese. Ricordi, sopiti da tempo chissà per quale motivo, attimi a cui aveva cercato di non pensare più e che adesso tornarono prepotenti a scuoterlo.
Tremò, facendosi profondamente serio, mentre Ewan gli rivolgeva un sorriso comprensivo. A differenza sua, lui aveva letto il diario di Emilie, era stato tra i primi a saperlo e perciò sapeva, che non era sempre stato da solo sull'isola che non c'è, che lei aveva fatto molto di più che scrivergli un messaggio pur di evitare che la disperazione lo consegnasse nelle mani di Peter Pan. C'era stato un periodo, breve per lui ma insopportabilmente lungo per sua sorella, in cui un'altra bimba perduta gli aveva fatto compagnia. Non era la Emilie che lo aveva trovato a Londra, né quella che lo aveva poi salvato. Ma aveva condiviso la solitudine con lui, facendosi carico di quel peso quando aveva iniziato ad essere troppo per una sola persona. Aveva l'aspetto di una ragazzina con due treccine bionde, due occhi grandi di un azzurro intenso, e gli aveva detto di chiamarsi Molly, di venire da molto lontano e di essere lì per ritrovare suo fratello e riportarlo a casa, perché suo padre era morto ed era tutto ciò che gli era rimasto. Tutta la sua famiglia. Ora, finalmente capì.
 
«Molly …» mormorò, gli occhi improvvisamente lucidi e l'animo pesante «Era lei. Era sempre lei …»
 
Ewan gli sorrise, battendogli una mano sulla spalla e annuendo, le lacrime intrappolate tra le ciglia.
 
«Avrebbe potuto andarsene in qualsiasi momento da quell'isola. Ma ha scelto di restare, di diventare … una bimba perduta. Perché ne avevi bisogno. Tutti e due ne avevate bisogno.» mormorò, concludendo poi, amaro «Solo che, ora lo vedi anche tu … lei da quell'isola non è mai davvero tornata.»
 
Un moto di sconcerto, rabbia e vergogna lo colse. Ricordava bene ogni singolo giorno con Molly. Le risa, il calore familiare, i giochi. Nonostante la minaccia di Peter Pan e lo sconforto dovuto all'abbandono, grazie a lei era riuscito a non crollare, e per un brevissimo lasso di tempo l'Isola che non c'è era tornata ad essere ciò che avrebbe dovuto, un posto di sogni, di giochi e spensieratezza. Poi tutto era precipitato, Peter Pan aveva cercato in tutti i modi di dividerli e alla fine ci era riuscito. Ma la speranza che quella bambina dalle bionde trecce gli aveva lasciato, il coraggio che era stata capace di infondergli, quelle non era riuscito a strappargliele, ed erano ciò che gli aveva permesso di sopravvivere. Speranza, coraggio. Se n'era privata per darle a lui, e si sentì profondamente in debito, una sensazione che lo mise fortemente a disagio, perché più ne sapeva, più quella cifra simbolica aumentava. Ora non era più solo una questione tra lei e suo padre, non era più soltanto per far felice quell'ingombrante genitore.
Quanto aveva sacrificato per salvare lui, Baelfire, suo fratello? Per non lasciare che la disperazione lo divorasse e la morte lo cancellasse per sempre dalle loro vite? Guardò Ewan negli occhi, tristi e innamorati, e lo seppe. Tutto.
Aprì la bocca per parlare, ma all'improvviso una voce l'interruppe.
 
«Ah, siete voi.»
 
Lilith, la figlia di Malefica, era in piedi a pochi passi da loro, vestita di nero, accompagnata dalla fedele saggina maggiordomo.
 
«Questo tizio ha voluto che lo seguissi.» spiegò, poi lo congedò con un cenno del capo e uno sbrigativo «Grazie.» e infine tornò a rivolgersi a loro, chiedendo seria «Emilie si è svegliata?»
 
Ewan scosse il capo, tristemente, ingoiando a fatica le lacrime. La giovane donna parve partecipare a quel dolore, abbassò gli occhi e fece una smorfia.
 
«Spero lo faccia presto.» disse, poi scosse il capo e tornò a domandare «Potete avvisarmi quando lo farà? Devo ancora ringraziarla.»
 
Sorrise, pur rimanendo quasi inespressiva.
Ewan annui, ma fu Baelfire a parlare.
 
«Ringraziarla per cosa?» domandò corrucciandosi.
 
La donna lo fissò stranita per qualche istante, lanciò un'occhiata a Ewan e lo vide annuire di nuovo, come a volerla rassicurare. Quindi si decise, e spiegò, solenne.
 
«Mia madre. È stata lei ad aiutarmi a trovarla, ma ha fatto molto di più. Mi ha dato una ragione per continuare a vivere, una famiglia, e ora anche una casa.»
 
***
 
Primo pomeriggio.
Il campanile sopra la biblioteca aveva appena rintoccato le due quando Archibald Hopper attraversò trafelato le porte a vetro dell'ospedale, e si diresse a piedi su per le scale, fino al primo piano.
Appoggiò il suo mazzo di fiori assieme a tutti gli altri, fece un passo indietro e guardò quella gioiosa marea di petali e bigliettini con sorpresa e un sorriso commosso. Poi alzò lo sguardo oltre la porta della terapia intensiva, osservando con tenerezza la ragazza addormentata nel primo dei tre letti. Appena un'ora prima, Ruby Lucas lo aveva raggiunto nel suo studio con una lettera per lui. Non era lei ad averla scritta e non era lui il destinatario. Era stata Emilie a lasciarla alla ragazza lupo, prima che il suo piano si compisse.
 
«Perchè la stai dando a me?» le aveva chiesto.
 
Cappuccetto aveva sorriso.
 
«Emilie non è cattiva.» era stata la risposta «Solo... persa. Quando abbiamo corso insieme, l'altra sera, sotto la luna, ho avuto come l'impressione che stesse cercando un modo per nascondersi. Da se stessa forse, o da un dolore troppo grande. Vorrei aiutarla, ma non so come» aveva concluso, intristendosi.
 
Perciò era andata da lui. Il grillo parlante. La buona coscienza. Era il suo ruolo, quello che la fata turchina gli aveva assegnato. Negli anni lo era stato per molti, non soltanto per Geppetto e Pinocchio. Avrebbe potuto fare lo stesso per quella ragazza? Seguitò a guardarla, cercando di trovare una risposta. Avrebbe voluto. Ma non era facile essere la coscienza di qualcuno che non sapeva neanche chi fosse. Di qualcuno così perso nel mezzo di tante storie diverse da aver dimenticato la propria.
 
«Sai una cosa, Archie?»
 
La voce di Viktor Frankenstein lo riscosse. Se lo ritrovò accanto, sorseggiava un caffè e guardava la ragazza corrucciato, scuotendo il capo.
 
«Da quando è arrivata all'ospedale ho visto accadere una cosa che non credevo fosse possibile in questa città: tutti, cattivi ed eroi, si sono riuniti attorno al suo capezzale con la speranza che si svegli presto.
Perfino alcuni bimbi sperduti sono venuti a vedere come stava, e ho visto Trilly andarsene, poco fa. Quella ragazza... non so come abbia fatto, ma è riuscita a riunirli tutti sotto un'unica causa.»
 
Quelle parole sembrarono illuminare gli occhi del grillo di una luce nuova, intensa e piena di speranza. Lo guardò, sorrise e mormorò, dando voce ai propri pensieri.
 
«Un vero miracolo... dovremmo tutti fare qualcosa per ringraziarla, allora.»
 
***
 
La sontuosa camera da letto era avvolta dalla semioscurità, pregna dell'odore del fumo delle sigarette e invasa dal suono di un charleston proveniente da un giradischi vecchio stile, posto accanto alle grandi finestre coperte dalle tende di pesante broccato rosso e nero. In mezzo ad essa, gli occhi avidi puntati sulla preda, Cruella si ergeva in tutto il suo decadente splendore, la pelliccia abbandonata ai suoi piedi e il lungo tubino di paiette nere già parzialmente slacciato sulla schiena e un sogghigno cattivo sulle labbra, coperte da un pesante strato di rossetto rosso sangue.
 
«Bene, bene cagnolino. Siamo di nuovo soli.» sussurrò seducentemente «Sei stato molto cattivo l'ultima volta, mi hai fatto molto male, quindi ora sarai severamente punito…» ghignò, pregustando il piacere.
 
Dall'altra parte della stanza, i polsi stretti da un paio di manette e ancorati alla testiera dell'imponente letto a baldacchino ricoperto da preziosi tessuti, Isaac si agitò cercando di liberarsi o in alternativa di urlare, ma non riuscì a fare né l'una né l'altra cosa, perchè subito dopo averlo tramortito con una dose massiccia di cloroformio, lei lo aveva trascinato lì, legato al letto e perfettamente imbavagliato con un fazzoletto di velluto rosso.
Quando aveva firmato quel maledetto contratto, non si sarebbe mai aspettato che quella sarebbe stata la sua sorte ultima. E non poteva neanche protestare, perché non era colpa di nessuno se il destino gli aveva assegnato Cruella de Vil come Vero Amore. Un amore malato, folle, spaventoso, ma pur sempre amore.
Senza che loro due lo sapessero, aveva fatto a entrambi la stessa promessa:  ricchezza, amore e un lieto fine come si deve.
Cruella lo ricordava molto bene quel giorno, quello in cui aveva deciso di firmare, e stava pensando proprio a questo quando quel suo patetico tentativo di sfuggirle la risvegliò.
 
«Tu sei una cattiva, Cruella. È vero.» erano state le parole della Lucertolina -Ma anche i cattivi ambiscono a un lieto fine, e può sembrare strano, ma il tuo è il più classico di tutti. Vuoi l'uomo che ami, una bella casa, feste lussuose e Gin come se piovesse. Sbaglio? Io posso darti queste cose, e molto altro. E posso fare in modo che duri a lungo, molto più a lungo dell'ultima volta.-
 
Il ghigno su quelle labbra sottili l'aveva intrigata e spinta ad ascoltarla. C'era qualcosa di letale, in quella ragazza. Qualcosa di pericolosamente affascinante, e lei amava cose di quel genere. Esattamente come amava Isaac. Un'arma a doppio taglio. Dopo tutto, non era forse questa la definizione di amore?
Finalmente era venuto il momento di riscuotere, e non ci sarebbe stata Salvatrice in grado di impedirglielo. Si, Emilie l'aveva messa al corrente anche di quel dettaglio. Non avrebbe commesso due volte lo stesso errore. Ridacchiò, svogliatamente, gettando all'indietro la testa e iniziando ad avanzare verso di lui. Il cuore dell'autore perse un colpo. Per cosa doveva essere punito? Per aver pensato di tradire Tremotino? Non era un po' troppo severa quella orrenda fine?
 
«Sta tranquillo, tesoro.» la sentì mormorare, e rabbrividì talmente tanto da iniziare a tremare «Ho aspettato a lungo questo momento. Ho intenzione di godermelo tutto, fino in fondo.»
 
Poi quelle lunghe unghie smaltate di nero afferrarono i suoi zigomi e lo costrinsero a guardarla negli occhi. Quegli occhi folli, spaventosamente attraenti, incorniciato da quella folta schiera di ciglia spesse e nere. La vide ridere di nuovo, più cupamente, mostrando i denti bianchi e aguzzi, e seppe di essere spacciato.
Ora che il suo lieto fine le brillava tra le mani, niente e nessuno glielo avrebbe più portato via.
 
***
 
A: Mr. Gold (Storybrooke)
Da: Tremotino (Hyperion Hights)
 
Se stai leggendo questa lettera, probabilmente ciò che pensavo non sarebbe mai accaduto è successo, il destino ha giocato ancora una volta le sue carte e mia figlia è riuscita a sorprendermi ancora. Nostra figlia.
È per lei che ti scrivo, perché se è riuscita a raggiungerti, tu potresti essere l'unico in grado di fare qualcosa per lei, qualcosa di concreto, che le impedisca di perdersi ulteriormente e le permetta di ritrovarsi. Nessuno può farlo meglio di te. Come sappiamo molto bene entrambi, il vero amore ha diverse forme e quello che ci lega a lei lo è, l'amore di un padre per i propri figli e di una figlia per il proprio padre, più forte di qualunque avversità, di qualsiasi scherzo del destino.
Emilie ci ama profondamente, talmente tanto da essere disposta a perdersi pur di ritrovarci. Avrei voluto avere più tempo, ma qualcosa ci ha divisi all'improvviso. Ora io sono qui, e lei spero sia tornata a casa come le avevo chiesto, ma qualcosa mi dice che non è così, che la prova più grande di tutte è già iniziata. Tremo ogni volta che ci penso, quando provo ad immaginare cosa sia …
Sento di essere arrivato alla fine della mia storia, mentre lei è solo all'inizio, perciò ho chiesto a Regina e Gideon di prendersi cura di lei, qualsiasi cosa accada. Il loro aiuto però servirà a poco, se ciò che penso si realizzerà, e a proposito di questo c'è una cosa che devi sapere, qualcosa che potrai verificare tu stesso, ora che lei è lì con te.
Nostra figlia ha sempre avuto un solo desiderio: riavvolgere il tempo. Sin da piccola, è sempre stata diversa dal resto degli altri bambini, da tutti noi. Riavvolgeva i nastri dei filmini di famiglia, si perdeva nei vecchi album pieni di foto dei nostri viaggi e dei nostri momenti, riascoltava sempre la stessa storia ma da punti differenti di vista, faceva domande che gli altri non si sarebbero mai sognati di fare e ipotesi che agli occhi di tutti, perfino ai miei, sembravano solo fantasticherie. Seguiva minuziosamente ogni mio gesto, ogni passo, e custodiva nel suo piccolo cuore, con la speranza segreta di poterle un giorno rileggere, pagine di vita che ormai mi ero già lasciato alle spalle, non le importava quanto brutte o dolorose fossero. E più il tempo passava, più quel desiderio cresceva, spingendola a diventare ciò che è ora. Le ho sempre detto che vivere nel passato le avrebbe impedito di vivere il suo futuro, e ne ero convinto fino a che un giorno, poco prima che tutto cambiasse e ci costringesse a partire, senza dirle nulla provai a guardare nel suo futuro seguendo un'intuizione.
Ciò che vidi … fu il mio passato. Non lei, ma me stesso. E te. E allora capii che lei era nata per rompere gli schemi, per dissolvere le mie certezze. E che il suo futuro era nel mio passato. Per questo scelsi di accettare che mi accompagnasse, perché volevo proteggerla da quel destino assurdo e difficile. Ma me ne sono pentito subito, e continua farlo. Niente può impedire al destino di avverarsi, niente può impedire al futuro di accadere. Stupidamente, esattamente come la prima volta, ho commesso l'errore di pensare di poter cambiare il futuro senza conoscerlo davvero e così facendo gli ho dato invece inizio. Non sono riuscito a proteggerla, ma spero che tutto ciò che le ho dato possa farlo al posto mio.
E se stai leggendo questa lettera, significa che in qualche modo ho avuto ancora una volta ragione.
Non ho bisogno di dirti nient'altro, solo t'imploro: proteggi il cuore di nostra figlia, e tutto andrà bene. Lei è più importante di qualsiasi forma di vendetta, di qualsiasi tipo di potere, di qualunque lieto fine. Ora che il destino ci ha concesso una seconda possibilità, non sprecarla, e forse un giorno non lontano, quando lei sarà arrivata alla fine del suo viaggio o anche prima di quel momento, riusciremo a rivederci, quando il vero amore avrà vinto su ogni altra cosa, e ognuno avrà imparato ad accettare l'oscurità dentro al proprio cuore.
Proteggila fino alla fine, a qualsiasi costo. È la mia unica, e ultima richiesta. E amala come continuerò a fare io, dovunque questa strada mi condurrà. Lei si fida di te, e anche io. So che farai la scelta giusta, perché è già successo e può accadere di nuovo, in qualunque momento.
Solo se lo vorrai davvero, con tutto il tuo cuore.
Buona vita.

 
Detective Weaver
 
***
 
Era da poco passato il tramonto, e il cielo sopra Storybrooke andava via via scurendosi, divorato dalla notte.
Solo, nella semi oscurità e nel silenzio quasi assoluto del retrobottega del suo banco dei pegni, Mr. Gold fissava con aria assorta e torva i cinque oggetti disposti ordinatamente sul tavolo da lavoro di fronte a sé, la mente brulicante di pensieri.
Il cappello del mago e il pugnale alla sua destra, la lettera ricevuta dal sé stesso del futuro e il diario di Emilie alla sua sinistra. Al centro, sfavillante e pregno di potente energia magica, l'occhio di Kronos.
Era stata Regina a consegnargli quella missiva, non la Regina che conosceva, ma quella che Weaver aveva mandato da lui col preciso scopo di avvisarlo. Ovviamente tutte le informazioni che quella lettera conteneva non le erano state rivelate, e la sua versione futura non le aveva neanche parlato dei suoi sospetti e della visione che aveva avuto sul futuro della ragazza. Nessuno lo aveva saputo, neanche Emilie stessa, che nel suo diario e in ogni altro discorso aveva sempre sostenuto di non sapere cosa le riservasse il futuro, perché suo padre le aveva detto di non aver visto niente. Ovviamente le aveva mentito, naturalmente per proteggerla e forse anche un po' per paura di peggiorare le cose. Sospirò, appoggiando entrambe la mani al bancone e sospirando pesantemente. A quel punto della storia, avrebbe dovuto senza esitazione usare il cappello per liberarsi dal pugnale mantenendo intatto il potere, mandando all'inferno le fate, l'apprendista e Uncino.
Ma quel presente non esisteva più, e il futuro era già cambiato. Quel diario... lo fissò, ripensando all'ultima sconvolgente sorpresa.
Tra tutti i disegni con cui Emilie lo aveva decorato, ce n'era uno che non le apparteneva, un carboncino su un vecchio pezzo di pergamena. Era suo, un suo disegno di Baelfire, lo stesso che lo aveva accompagnato durante tutti quegli anni bui in cui aveva cercato un modo per ritrovarlo. L'unica immagine che aveva di suo figlio da bambino, e da ciò che aveva potuto comprendere dalle pagine di quel racconto, anche l'unica immagine che Emilie aveva di suo fratello, il suo "Angelo Custode". Era nata lo stesso giorno dello stesso mese, lo aveva considerato un segno, e si era assunta il compito di prendere in consegna da lui il testimone e diventare per il Tremotino del futuro quello che Bae era stato per lui nel passato. Il custode del suo cuore, della luce in esso. Solo quando lo aveva perso per sempre, cosa che non sarebbe più potuta accadere in quella nuova realtà temporale, Tremotino aveva iniziato a cambiare davvero.
Poi erano arrivati Gideon ed Emilie, e la speranza era rinata.
Era di questo che parlava il Tremotino della lettera? La pagina di vita che aveva imparato a lasciarsi alle spalle grazie a loro?
L'intuito gli diceva di sì, e questo fu in grado di spiegargli anche l'inevitabile incidente che l'aveva colpita.
Una vita per una vita, c'era sempre un prezzo da pagare per ogni tipo di magia, anche quella in grado di cambiare la storia e il tempo.
Nel momento stesso in cui Emilie aveva deciso di sacrificare un perfetto sconosciuto al posto di Baelfire aveva venduto un pezzo del proprio cuore all'oscurità e cambiato per sempre non soltanto il loro futuro, ma quello di tutta Storybrooke.
Tutto ciò che era accaduto dopo era stato opera di quella scelta, e ciò che sarebbe accaduto da quel momento in poi sarebbe stato solo e soltanto merito del caso e delle loro azioni.  Non c'era più alcun vincolo, nessun punto fisso da rispettare. Era tutto in mano al caos ora, ed Emilie ne era l'artefice. Pur di cambiare il futuro di quel padre tanto amato, aveva mandato all'aria il lieto fine di tutti gli altri, proprio come aveva fatto lui tempo addietro per mezzo del sortilegio Oscuro.
Tornò a guardare il cappello, la galassia oscura che vorticava al suo interno, poi prese tra le mani il pugnale e lentamente ne sfiorò con la punta delle dita la lama con su inciso il suo nome.
"Mi serve la tua magia, papa." era stata la sua ultima richiesta, prima di addormentarsi.
La richiesta di una bambina che aveva imparato a conoscere suo padre meglio di quanto non lo avesse fatto con sé stessa. Ecco perché, assieme ad essa, gli aveva sussurrato un sincero "per favore", rivolgendogli una lunga, intensa occhiata dispiaciuta.
Le parole della lettera tornarono a risuonare nella sua mente, e tutto gli fu chiaro.
"Proteggila, a qualsiasi costo. Lei vale molto più di qualsiasi forma di potere, di qualunque lieto fine." e ancora "So che farai la scelta giusta, solo se lo vorrai davvero, con tutto il cuore."
E dopo un breve istante di esitazione abbandonò il pugnale e ogni altro proposito per concentrarsi su di lei, l'unica cosa che importava ora. Non si sarebbe svegliata senza il suo aiuto. Senza la sua magia. Doveva scegliere a cosa dare la priorità, se al potere o al bene di sua figlia.
Sospirò, scuotendo il capo. Sempre la stessa scelta, ripetuta all'infinito. Rimise il pugnale al suo posto e tornò a rinchiudere il cappello nello scrigno, stringendolo tra le mani assieme all'occhio di Kronos.
Stava ancora riflettendo sul  da farsi, quando la campanella posta sopra la porta d'ingresso lo richiamò.
Pochi istanti dopo, la voce di Gideon si fece udire.
 
«Papà! Sei qui?» domandò.
 
Sorrise, sciogliendosi un po'. Rimise i due artefatti nel loro nascondiglio deputato e lasciando il diario e la lettera dove si trovavano afferrò il suo bastone da passeggio e uscì allo scoperto, apparendo dalla tenda dietro il bancone e sorprendendolo ad osservare con la sua stessa cura gli oggetti esposti, sfiorandone ogni tanto qualcuno con un sorriso nostalgico.
 
«Benvenuto. O forse dovrei dire bentornato» lo accolse.
 
Gideon sorrise divertito.
 
«È tutto così assurdo» disse «L'ultima volta che siamo stati qui insieme, io ed Emilie…» s'interruppe, facendosi triste e un po' a disagio «Era molto diverso.»
 
Mr. Gold lo osservò tentare di non incrociare il suo sguardo, allo stesso modo con cui Emilie lo faceva quando, parlando con lui, gli capitava di ricordare quel futuro nel quale lo aveva perso per sempre.
 
«Posso immaginare…» si limitò a rispondere, annuendo e avvicinandosi a lui.
 
Era vero. Appena qualche settimana prima non si sarebbe mai neanche soffermato a pensare a come sarebbe stato il mondo dopo di lui, ma poi era arrivata Emilie, e la sua visione delle cose era totalmente cambiata.
Quel futuro, sbiadito, triste, spento. Lo avrebbero cambiato insieme, come le aveva promesso. Le luci di quel banco dei pegni non si sarebbero mai spente definitivamente e la polvere non avrebbe mai coperto ogni cosa fino a quasi annullarla. Lui non se ne sarebbe mai andato, era questo il desiderio di Emilie. Che la luce dorata di Tremotino non smettesse mai di brillare, che non lo facessero neanche le loro. Un sogno impossibile, folle, come tutti i sogni ad occhi aperti dei bambini, perché in fondo al cuore dopo averlo perso lei era rimasta tale. Una bambina sperduta, alla ricerca di una nuova felicità da raggiungere insieme.
 
«Sono stato da lei…» mormorò Gideon, riportandolo al presente.
 
Si fece attento, annuendo.
 
«Come sta?» domandò, anche se sapeva già la risposta.
 
Il ragazzo sospirò, scuotendo il capo.
 
«Credi... credi che si sveglierà?» domandò, la voce improvvisamente incrinata, tornando a guardarlo negli occhi con disperazione.
 
Per un attimo, Rumplestiltskin pensò che forse avrebbe dovuto dirglielo, della lettera e della scelta da compiere per permetterle di tornare da loro. Ma poi sorrise, gli batté una pacca sulla spalla e annuì.
 
«Lo farà» disse soltanto, limitandosi a dargli speranza «È una ragazza forte, come sua madre.»
 
Strappando a entrambi un sorriso. Infine, confortato, Gideon lo abbraccio e lui lo accolse, stringendolo forte.
"Farò la cosa giusta." si disse, mentre in silenzio lo ascoltava trattenere le lacrime. "Non perderò l'occasione, stavolta."
 
***
 
Un'ora dopo, le luci della biblioteca si spensero, e mentre Storybrooke si preparava ad un'altra laconica notte, Belle French richiuse a chiave la porta dell'ingresso principale, stringendosi nell'elegante cappotto blu di Prussia e avviandosi a piedi verso il centro città, diretta all'ospedale.
Non aveva smesso di pensare neanche un istante a sua figlia, a ciò che aveva fatto per loro e che Ewan le aveva raccontato. E ci aveva pensato così tanto da finire per cercarla prima nei gesti di suo padre, comprendendone appieno la preoccupazione e il turbamento successivo all'incidente, perché di questo si era trattato, e poi nelle pagine dei libri che la circondavano, ricordando ciò che aveva letto nel diario che Tremotino le aveva mostrato quella sera stessa.
Fogli ingialliti sui quali, con calligrafia a volte arzigogolata e precisa, altre più incerta e confusa, aveva inciso i momenti più significativi del suo viaggio. Lettere d'inchiostro nero, che iniziavano sempre allo stesso modo: "Caro papa...".
All'inizio c'erano solo loro a narrare quella strana, emozionante e per certi versi terrificante avventura, corredate da un paio di foto che la giovane aveva sottratto a qualche album di famiglia. In una, la Belle e il Tremotino del futuro sorridevano insieme stretti in un romantico abbraccio, rifulgendo nella luce dorata del sole del tramonto, nell'altra Gideon portava in braccio una Emilie bimba, di circa sei anni, o forse qualcuno in più, e le stampava un bacio sulla guancia mentre lei rideva forte, gli occhietti strizzati e la boccuccia spalancata a cui mancavano due dentini, i capelli legati in due treccioline castane sbarazzine.
Poi, quasi a metà, il racconto subì una brusca frenata, le parti scritte diminuirono e si aggiunsero altre immagini, disegni a carboncino che divennero mano a mano sempre più dettagliati, spesso corredati da una breve didascalia.
Il primo disegno era quello di due bambini stretti in un abbraccio dentro una scura caverna. Ci mise poco a capire chi fossero. La bimba era Emilie, ma bionda. Il maschio, più grande e protettivo, Baelfire. E quella era l'isola che non c'è.
La data riportata era quella del primo arrivo del ragazzo sull'isola.
"Caro papa, oggi ho rivisto Bae. Sta bene. Vorrei che lo sapessi... che il te stesso di questo tempo lo sapesse. Ma lo saprai, a tempo debito. Nel frattempo... forse posso fermarmi un po'. È così buio qui... così tetro... e lui è così solo... forse in due la paura lascerà il posto alla speranza."
Si era commossa, e ancor più lo aveva fatto scorrendo avida quel racconto. Peter Pan, la lotta per sfuggirgli, la rabbia, la paura, il dolore. Una cosa la colpì, spingendola quasi alle lacrime. In uno dei disegni era raffigurato con dovizia di particolari l'anello che Tremotino portava al dito, e nella pagina al fianco c'era lui, sempre lui, la sua versione futura, il sorriso dolce e gli occhi sinceri e sicuri, saggi. Sotto una semplice didascalia, il tratto incerto e ricalcato più volte, come se fosse ritornata a scrutare quel ritratto più e più volte in quei mesi difficili aggrappandosi a quel sentimento per non perdere il filo.
"Mi manchi tanto, papa."
E sotto l'anello un'altra didascalia ugualmente ingarbugliata: "Non dimenticare."
Ricalcata talmente tante volte da aver quasi bucato la pagina.
Guardandolo, Belle aveva visto avverarsi il desiderio più grande del suo cuore, ed era stata così commossa e felice da essere costretta a fermarsi per piangere, accorgendosi dalle pieghe a forma di goccia che solcavano quei fogli che lo aveva fatto anche Emilie, a suo tempo.
Poi la fuga, e le missioni successive. Trovarla, proteggerla da Ursula, Malefica e Cruella, salvare Bae, e la lista di cose da vedere e da cambiare, mescolate senza un'apparente ordine logico.
 
  • Milah
  • Uncino
  • Il Coccodrillo (*_*)
  • Mamma e papà da giovani (❤️❤)
  • Zelena
  • Eroi e cattivi (non vedo l'ora)
  • New York (alta priorità!!)
  • Storybrooke
  • Mangiare le lasagne da Granny e controllare se fanno davvero così schifo.
  • Il banco dei pegni (❤️)
  • Villa di Merlino (idea!)
  • Sistemare la memoria di Gideon (ci divento matta!)
  • Ruby :3
  • Un giro sulla De Vil con Cruella (🤟👅)
  • Robin Hood
 
Era una prima parte della lista, il resto era sparso qua e là, sotto la dicitura pt.2, pt.3 e via dicendo, come se temesse di dimenticarsi qualcosa. C'erano altri disegni, attimi di quel viaggio che aveva voluto fermare con quel metodo ormai collaudato.
In uno riconobbe sé stessa e il corvo che Emilie aveva usato per incontrarla senza farsi riconoscere, sorrise intenerita e divertita e si soffermò ad ammirare la dolcezza con cui era stata ritratta.
La didascalia recitava soltanto "Mammina dolce", e dava inizio ad un'altra parte scritta che raccontava uno per uno i giorni passati a spiarli in quella forma, di giorno corvo, di notte ragazza.
Lettere appassionate, tenere e a volte anche argute, umoristiche. Come lo era il Tremotino della foresta incantata, lo stesso di cui Belle si era innamorata.
L'intensità dell'animo della ragazza rendeva la sua voce vivida e penetrante e il racconto accattivante, i disegni si arricchivano di dettagli che riguardavano notizie inedite, insignificanti per loro ma succose per lei, come la miscela per ricreare il profumo che indossava suo padre o i cibi preferiti di sua madre; la luce perfetta per ammirare i colori dei loro abiti, le sfumature dei loro occhi e dei loro capelli. Tuttavia, il racconto tornò ad interrompersi e incupirsi quasi bruscamente subito dopo quella fase, e bastò una sola parola per capire.
Zelena. Esattamente come  era stato per Tremotino, anche Emilie aveva vissuto quel periodo in preda a una profonda angoscia e una disperazione struggente, culminate con una sentenza che l'aveva inquietata non poco.
"Addio, stronza. Stavolta non ci avrai." e subito dopo una data, quella del loro matrimonio, con scritto "Ritenta e morirai." seguita da un più allegro e dolce "Auguri mamma e papà. E vissero felici e contenti.❤️❤️❤️❤️".
Non un accenno a come avesse fatto a salvare Bae o sconfiggere Zelena. Tutto era riassunto con un semplice "È fatta, papa." seguito da un altro cuore, stavolta nero, e dall'icona stilizzata di un coccodrillo. Aveva tremato, e allora si era ricordata del racconto di Ewan, del Tremotino del Desiderio, di cui il diario non faceva menzione, e del cadavere dell'uomo che avevano trovato accanto alla cripta quando Tremotino era tornato. Tutto le era stato chiaro, anche il prezzo che aveva dovuto pagare. Aveva ucciso un uomo per salvare Bae. Una vita per ottenerne due in cambio. Astuta, ma così facendo aveva macchiato il suo cuore.
Ecco perché quel silenzio, e tutta quella rabbia, quella tristezza. Era stato il Tremotino del Desiderio a insegnarglielo? Aveva ceduto al suo richiamo, alla fine? Quello rimaneva un segreto tra lei e la voce della sua coscienza.
Il quaderno era finito e Bae era salvo, la sua famiglia era unita e lei ancora viva, ma il suo cuore? Era a quel punto che ci aveva pensato. Quel diario era come un capitolo ormai chiuso della sua vita. Il primo forse, sicuramente il più difficile. Ma non era la fine della sua storia. Era l'ungi dall'esserlo, proprio come lo era per suo padre. Il futuro era ancora tutto da scrivere.
Così aveva chiuso prima, e si era diretta verso il centro alla ricerca di qualcosa che potesse farglielo capire, ridarle speranza.
Un quaderno nuovo, pieno di pagine bianche da riempire. Lo aveva trovato su uno degli scaffali di una piccola cartoleria proprio a pochi passi dall'ospedale. Un bel quaderno con la copertina in finta pelle pitonata color verde oliva, che le aveva ricordato sia lei che suo padre. 200 pagine in carta riciclata, gialle e ruvide come quelle di una pergamena, senza alcun tipo di rigatura o margine per permetterle di esprimere quella creatività dirompente in tutta libertà.
E prima di farselo incartare, carta gialla e fiocco blu, con la penna che aveva in borsa le scrisse sulla prima pagina una dedica e una lista da cose da fare.
 
"Un nuovo diario, da dedicare a chi vuoi. Per scrivere il tuo futuro.

La mamma
"
 
"Pt. 1
 
  • Sposare Ewan.
  • Disegnare.
  • Cantare.
  • Ballare.
  • Amare.
  • Vivere." 

 
***
 
Quando arrivò all'ospedale l'orario delle visite era da poco passato, ma Viktor Frankenstein la fece comunque passare, e si attardò a rispondere alle sue domande.
 
«Credi che le ci vorrà tanto per svegliarsi?» fu la prima, e invece di risponderle subito lui le sorrise, ammirato e anche un po' invidioso.
«Sei la prima che me lo chiede.» le spiegò «Tutti gli altri mi hanno chiesto se fosse davvero in grado di farlo, ma tu sei talmente sicura che la magia di tuo marito funzionerà da darlo per certo.»
 
Belle sorrise.
 
«Lo sono…» ammise, annuendo «Non dovrei?» tornò a chiedere, strappandogli un altro sorriso
«Tremotino ha vinto ancora.»  le rispose, con una certa difficoltà nel doverlo ammettere per la seconda volta «Le ho fatto tutti i controlli necessari, non ci sono danni gravi, ma ha subito un brutto colpo. Credo sia per questo che non si sveglia. Ci vuole tempo…» concluse, poi indicò Ewan, seduto al suo capezzale.
 
Era arrivato due ore prima, ma era talmente stanco che aveva fino per cedere al sonno, stringendole la mano e appoggiando il capo sul bordo spesso del materasso.
 
«Credo che ora sia più lui ad aver bisogno di una mano.»
 
Belle sorrise, inclinando il capo e piegando le labbra con un'espressione intenerita. Si congedò, ringraziandolo con profonda gratitudine e avviandosi verso sua figlia.
Era pallida, più magra di quanto ricordasse, ma sembrava serena, anche se forse un po' troppo seria.
Era l'unica ospite della terapia intensiva, la tv di fronte al suo letto era accesa e trasmetteva un famoso cartone animato la cui storia era fin troppo famigliare: La Bella e La Bestia.
Era stato Ewan a volerlo per lei, ma Belle ignara si limitò a notarne la coincidenza e sorridere di nuovo, dolcemente divertita, osservandone qualche scena prima di decidersi a risvegliarlo, sfiorandogli le spalle con una carezza.
Ewan si riscosse, il suo primo pensiero fu per Emilie ma quando vide che nulla era cambiato si guardò intorno e nel trovare lei si sciolse in un sospiro.
 
«Belle…» mormorò, la voce impastata e gli occhi ancora socchiusi.
 
La donna lo accolse con un sorriso.
 
«Ho parlato con Viktor, dice che va tutto bene.» lo informò con tenerezza «Perchè non vai a casa a riposare?» lo incoraggiò quindi, gentile.
 
Lo vide scuotere il capo, e non si stupì della sua risposta.
 
«No, non posso. Devo essere qui quando lo farà. Comunque non riuscirei a dormire, in ogni caso.»
 
Belle gli si sedette accanto, accarezzandogli materna la schiena.
 
«Hai almeno mangiato?» domandò «Vuoi che ti porti qualcosa?»
 
Lo vide scuotere il capo.
 
«Bae mi ha offerto un hamburger, da Granny» disse, poi però qualcosa si ruppe e lui, di colpo, proruppe in lacrime senza riuscire più a trattenersi, lasciando che lei lo stringesse in un confortante abbraccio e singhiozzando, mentre cercava di spiegarsi.
 
Non ne ebbe bisogno. Belle conosceva fin troppo bene quel dolore, l'aveva provato quando con un gesto eroico Tremotino si era sacrificato per salvarli, uccidendo Peter Pan e trascinandolo con sé nell'aldilà.
Per questo non le fu difficile trovare le parole per confortarlo, i gesti adatti a fargli sentire la sua vicinanza.
 
«La amo, la amo così tanto!» lo sentì lamentarsi, prendendo fiato con un ampio respiro strozzato.
«Anche lei ti ama molto» gli disse, ricordando i disegni e i brani nel diario che parlavano di lui.
 
"Caro papa,
oggi ho incontrato il mio vero amore. Lo so perchè ho avuto paura, proprio come te. E come te sento già che dovrò lasciarlo andare presto. Ma non voglio. Non vorrei mai farlo... ma devo. Perchè se lo guardo un'altra volta in quegli occhi, rischio di non ripartire più."

Accanto, un primo piano dello sguardo del ragazzo.
"Caro papa,
oggi ti ho rivisto. Ed è stato tutto merito di Ewan. È stato un attimo, ma mi è sembrata un'eternità. Aveva i tuoi stessi occhi, il tuo stesso sorriso, e mi ha chiamata Principessa.
Come faceva a saperlo?
"
Appena sotto, due cuori incoronati e sotto ognuno le loro iniziali, due E maiuscole puntate.
"L'ho lasciato andare, papa. O forse è lui che ha lasciato andare me. Sono passate solo poche ore, ma ne sento la mancanza come mi mancherebbe respirare, e so che tutto il tempo del mondo non basterebbe a dimenticarlo. Ma devo andare avanti (o indietro, a seconda dei punti di vista), perchè ho ancora molto da fare.
Vorrei presentartelo, vorrei che tu e la mamma foste ancora qui per conoscerlo. E lo sarete. Un giorno o l'altro, alla fine del tempo, riuscirò a presentarvelo.
"
E poi, come ultimo messaggio e la data di appena una settimana addietro:
"Caro papa... cosa devo fare con lui? Non posso farlo soffrire ancora... mi si stringe il cuore, ma non posso tornare indietro. Non adesso. L'amore è un fardello davvero pesante da portare..."
Ed un suo ritratto, l'immagine dell'uomo che era diventato.
Sorrise, stringendolo più forte. Era felice che il cuore di sua figlia fosse in mano a un uomo così. Non avrebbe saputo chiedere di meglio per lei. Attese di sentire i singhiozzi spegnersi, poi lo lasciò andare e lo sentì schermirsi, profondamente in imbarazzo.
 
«Scusami. Non so cosa mi sia preso. Perdonami, davvero.» disse, seguitando a inchinarsi versi di lei, una mano sul cuore.
«Non devi scusarti.» lo tranquillizzo, regalandogli un altro sorriso.
«Le avevo appena chiesto di sposarmi.» le rivelò, gli occhi ancora troppo lucidi.
«Vi sposerete.» cercò di rassicurarlo la donna, ma lo vide scuotere il capo con fin troppa certezza.
«Non credo sia quello che vuole.» lo udì risponderle «Non ora almeno. Non fino a che voi…» s'interruppe, passandosi una mano sugli occhi e stropicciandosi le palpebre, scuotendo il capo.
 
Di nuovo, Belle trovò il modo di confortarlo.
 
«Voi due dovete sposarvi.» gli disse, chinandosi a guardarlo negli occhi «È a questo che serve il vero amore, me lo hai ricordato tu. Anche con Tremotino è stato difficile, lo è tutt'ora, ma non dobbiamo arrenderci. Sei tutto ciò di cui Emilie ha bisogno nella sua vita. Devi farglielo capire.»
 
Ewan tacque, un sorriso appena accennato sulle labbra, gli occhi sempre meno confusi e velati, ricordando le parole che il Signore Oscuro gli aveva rivolto quando erano ancora Re e Cavaliere, in Heroes and Villains.
 
«Non ti chiedo di fermarla, piuttosto di esercitare su di lei quel potere che sai di avere…» gli aveva caldamente suggerito, e non poté non notare ora la forte assonanza con ciò che Belle gli aveva appena detto.
 
Poteva considerarlo la loro benedizione per le nozze?
Annuì, rivolgendo un ultimo lungo sguardo prima a lei, poi a sua figlia, tornando a prendere con dolcezza quella mano tra le sue.
 
«Lo farò.» mormorò, accarezzando gli zigomi dolci della ragazza addormentata «Lo giuro, lo farò.»
 
E finalmente, ritrovata un po' di serenità, si sciolse in un sorriso.
 
«Grazie, Belle.» le disse «E ringrazia anche Tremotino da parte mia. Digli... che farò quello che gli ho promesso. Lo farò perchè la amo più della mia stessa vita.»

(fonte: pinterest)

"Se lo guardo un'altra volta in quegli occhi, rischio di non ripartire più."
 
***
 
L'orologio a pendolo dentro al salone da ballo aveva appena finito di battere le quattro del mattino, quando la magia si compì, ed Emilie riaprì gli occhi.
Non era stato casuale. Lo seppe nell'istante stesso in cui il suo cuore tornò a battere e i suoi occhi si riaprirono, e guardandosi intorno cercò il responsabile di quel miracolo, ma non lo trovò. Ewan era tornato a casa, incoraggiato da Belle, per potersi concedere almeno qualche ora di sonno almeno decente, e in quel momento nel reparto non c'era nessuno. Si mise a sedere, levandosi dalle braccia i tubi che la collegavano alla flebo quasi a metà, e la fermò con l'apposita rotella. Sospirò, chiudendo gli occhi quando un capogiro la scosse. Si sentiva stanca, ma era viva. L'anello ancora al suo dito brillava. Sorrise, gli occhi lucidi.
 
«Grazie…» sospirò sottovoce, prima di toglierlo e riporlo sul comodino.
 
Solo allora si accorse del piccolo pacchetto lasciato da sua madre. Lesse il biglietto, il cuore tremò nel riconoscere la calligrafia.
 
"Ti voglio bene. La mamma."
 
Lo prese tra le mani, ma non lo scartò. Piuttosto usò la magia per metterlo al sicuro, quindi si alzò e con calma, un passo alla volta, le braccia semiaperte per mantenere l'equilibrio, si avviò verso l'uscita. Appena oltre la porta a vetro un intenso profumo di fiori la raggiunse, avvolgendola come in un abbraccio. Le bastò voltarsi per vedere la moltitudine di omaggi che gli abitanti di Storybrooke avevano lasciato per lei.
Ortensie blu e viola, mughetto, violetta, narcisi gialli, campanule, genziane, papaveri e rose, gialle, bianche, rosse e rosa ognuno simbolo di amicizia, speranza, ammirazione e augurio di pronta guarigione.
Si fermò a guardarle, si concesse qualche istante per leggere e raccogliere tutti i biglietti allegati e sorridere ad ogni messaggio. Alcuni nomi la sorpresero non poco: Geppetto, Granny, Archibald Hopper, Lily e sua madre Malefica, perfino Cruella si era disturbata a portarle qualcosa. Uno era di Emma ed Henry, ma il nome di Baelfire non c'era. Un altro apparteneva a Gideon, ed erano margherite, il suo fiore preferito. Ma il dono più bello fu quel gigantesco mazzo di rose avvolto in carta lucida color oro, legato insieme da due nastri, uno verde e uno viola. Sfiorò con le dita i petali di velluto di ciascuna delle rose regalatale da Ewan. 11 rosso cremisi, 9 rosso fuoco, 7 viola. Nel linguaggio dei fiori, che lei conosceva molto bene grazie ai suoi genitori, specialmente grazie a sua madre, quella lettera silenziosa diceva più o meno questo: "Ti amo da impazzire, dal profondo del mio cuore. Il nostro amore è vero, puro ed eterno. Sei la cosa più preziosa che ho, sarò soltanto tuo per il resto dei miei giorni."
Si era impegnato. Qualcosa le diceva che avesse chiesto aiuto anche a suo padre o a sua madre. Sfilò una rosa rossa dal mazzo, si voltò verso la telecamera di sicurezza e ne ispirò il fragrante profumo, sciogliendosi infine in un sorriso commosso e lanciando un bacio all'occhio elettronico, portandosi una mano sul cuore. Quindi si voltò e scomparve, avvolta da una spessa coltre violacea.
   
 
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