Capitolo
1
Trovare un inizio preciso a questa storia non è così semplice.
Ci sono volte in cui ho come l’impressione che abbia sempre fatto parte di me.
Altre, invece, che tutto sia piombato nella mia vita all’improvviso e per puro
e semplice caso. In qualunque modo io la voglio vedere, tuttavia, l’unica
costante è che il risultato è sempre lo stesso: la mia vita è cambiata per
sempre. Non è stato un percorso semplice, anzi, è stato un percorso lungo,
complesso e doloroso. Ma ciò che ho trovato lungo la strada è ciò che mi ha
reso la donna che sono, la moglie che sono diventata e la mamma che sono oggi.
E sono stata portata a scrivere questa storia, in questa notte insonne, da una
sensazione. Non lo sto facendo per me, io la storia la conosco dopotutto,
avendola vissuta in prima persona, perciò la sto scrivendo per te, che un
giorno leggerai di questa folle, assurda ma incredibile avventura. Non so cosa
penserai finita la lettura, se mi crederai o se la riterrai un vaneggio di una
pazza, ma per me, il risultato che conta, è che questa storia non vada di nuovo
perduta. È compito mio scriverla, raccontarla e preservarla. Lo devo fare per
me, per mio marito e per loro, che ci hanno illuminato la strada e ci hanno
fatto capire tante cose su di noi e sul perché è importante non dimenticare
mai.
Ma ogni storia ha sempre un principio, dopotutto. E il
mio principio, dovendone scegliere uno, è un normale mattino di settembre.
Stavo andando a scuola, come ogni mattina, divisa ordinata, capelli sistemati e
la mia borsa carica di libri e quaderni pieni di appunti, la maggior parte
incomprensibili anche se li avevo presi io stessa. Ero tornata da un paio di
mesi a casa, nel mio Giappone, dall’America, e piano piano mi ero riabituata
allo stile di vita nipponico, dimenticandomi quasi completamente quello
americano. Tuttavia, pur essendo tornata a Tokyo, una cosa non era affatto
cambiata rispetto a quando vivevo in America ed era andare a scuola in treno. E
io odiavo farlo. Ero obbligata, tutte le mattine a prenderlo, e anche se il
sistema ferroviario giapponese era decisamente migliore di quello delle
metropolitane di New York, il sovraffollamento mattutino era lo stesso. E io
stavo iniziando seriamente ad odiare il forzato contatto fisico con degli
estranei, la sensazione di claustrofobia e, soprattutto nei mesi più caldi,
l’odore che l’umanità produceva in un ambiente piccolo e sovraffollato. L’unica
consolazione era che lungo la mia stessa linea salivano per andare a scuola
anche alcuni amici, quindi il percorso molto spesso lo passavo in compagnia.
Quella mattina tuttavia, la mattina in cui tutto ebbe inizio, o almeno, il
momento che ricordo per primo così vivamente collegato alla vicenda che sto per
raccontare, ero sola. Non avevo incontrato nessuno dei miei amici ma,
stranamente, ero riuscita a trovare un posto libero, così mi ero seduta
tranquilla e aspettavo l’arrivo alla mia stazione di destinazione. Fu durante
quel viaggio, seduta su quel sedile scomodo di plastica del treno, che ebbi uno
strano episodio, il primo, purtroppo, di una lunga serie che mi stava
aspettando. Mi ero trovata a fissare una pubblicità di una mostra che si stava
svolgendo a Tokyo, una mostra di ritratti di nobili europei del diciassettesimo
e diciottesimo secolo. Era una mostra che stavano pubblicizzando molto in
città, e stava anche riscontrando un enorme successo a quanto diceva il
notiziario. Se ne parlava così tanto che persino mia madre aveva insistito con
mio padre per andare a vederla. E la città era letteralmente tappezzata di
cartelloni pubblicitari che la promuovevano. Erano ovunque, persino alla radio era
pubblicizzata quasi costantemente ed era impossibile non esserne bombardati
durante la giornata. Ed è così che è iniziato tutto, mentre guardavo quella
pubblicità, che ancora ricordo perfettamente. Era il ritratto di una famiglia
di uno dei pittori più illustri della mostra, un ritratto con lo sfondo tipico
della campagna inglese e ricordo di essermi soffermata proprio sul paesaggio, così
ricco e verde, un chiaro riferimento alla prosperità della famiglia ritratta
nel quadro. Ero così intenta ad osservare quel paesaggio lussureggiante e
avvolgente, che, senza rendermene conto, mi ritrovai in mezzo ad una campagna
coltivata. Ero in un campo di grano, giallo e maturo, pronto per essere colto,
e io mi trovavo su una strada sterrata, unica guida in mezzo a quel mare
giallo. La percorsi, sicura della mia direzione, quando ad un tratto mi accorsi
di essere seguita. Mi girai, e vidi un uomo in sella ad un cavallo, un
bellissimo cavallo nero. L’uomo cavalcava dritto verso di me, e io mi soffermai
a vederlo, impaziente. Il mio cuore prese ad accelerare mentre una sensazione
di fermento e gioia si insinuava dentro di me, ma prima che riuscissi a vedere
chi era il misterioso cavaliere, mi svegliai di colpo, riportata alla realtà
dalla fermata del treno e dall’arrivo alla mia stazione. Quando feci per
uscire, mi accorsi di avere addosso una strana sensazione. Mi sembrava di
percepire l’odore di erba appena tagliata e il rumore di acqua corrente in
lontananza, come se scorresse nelle vicinanze un veloce ruscello di campagna.
Scossi la testa per allontanare quella sensazione, e diedi la colpa di quello
strano fenomeno, come dello strano sogno, al manifesto pubblicitario, e mi
affrettai veloce verso la scuola. Ancora non potevo sapere che quell’odore di
erba tagliata e il suono del ruscello mi avrebbero accompagnata ancora per molto
tempo.
Inutile che stia qui a tediarvi su quanto potessero
essere noiose le lezioni a scuola, quindi non ho molto da raccontare sulla mia
vita scolastica. Era come tutte le altre, fatta di lezioni, compiti e studio intramezzata da risate con gli amici e pause
pranzo in compagnia. Era quella la parte che preferivo della giornata, il
pranzo, o meglio, quell’ora e mezza di pace e tranquillità lontana dai libri
con i miei amici. Avevamo l’abitudine, infatti, di ritrovarci tutti insieme,
io, Sora, Tai, Izzi e Matt ogni giorno a pranzo. Eravamo
amici da sempre, anche se la nostra amicizia si era cementata e fortificata
durante gli eventi del campeggio estivo dei miei dieci anni. Ma quella è tutta
un’altra storia e purtroppo qui non avrei il tempo necessario per parlarne con
tutta la calma che anche quella storia merita. Ora, eravamo adolescenti, e come
ogni adolescente che si rispetti eravamo convinti di avere capito tutto della
vita, credevamo di sapere esattamente cosa fosse la vita e come gestirla e come
quasi ogni volta eravamo intenti in quella pausa pranzo, a lamentarci della
nostra triste sorte di incompresi e di persone pronte a cambiare il mondo alla
prima occasione. In realtà eravamo solo un gruppo di adolescenti, in bilico tra
infanzia e vita adulta e spaventati dal futuro nebbioso e incerto. Almeno io lo
ero di sicuro. Ero in quell’età, i sedici anni, dove ci si chiede quasi ogni
giorno quello che si vorrà fare da grande e il non avere una risposta chiara o
precisa di cosa volessi realmente fare, mi rendeva agitata e nervosa,
soprattutto a confronto con chi le idee le aveva invece molto chiare. La realtà
in cui mi trovavo era quella in cui i miei sogni, in quel momento, erano tutte
cose altamente impossibili da realizzare. E ovviamente, non facevo che pensare
a quello, a quel tremendo paradosso che credevo di vivere. E durante quella pausa
pranzo, in un giorno qualunque della mia vita scolastica, nel mezzo di una
routine quotidiana, avvenne il secondo evento che diede il via a tutto. Ero
seduta al mio solito posto, in mensa, dove ci sedevamo sempre tutti insieme.
Stranamente ero stata la prima ad arrivare, così, mi ero sistemata, e avevo
iniziato a mangiare il mio pasto. Il rumore di una sedia di fronte a me che si
spostava mi fece alzare gli occhi e io mi trovai a osservare un paio di occhi
azzurri, inconfondibili
-Matt. Ciao-
Matt mi diede un semplice cenno con il capo, il
massimo del saluto che mi aveva sempre riservato. Sapevo che non parlava molto,
almeno non con me, ma questo non mi aveva mai impedito di provare ad avere una
conversazione civile con lui. E quel giorno non faceva eccezione
-Solo? Dove sono gli altri? Sora e Tai?-
-Neanche Izzi è qui-
Mi rispose, mentre si mangiava il suo panino. Non feci
troppo caso al fatto che avesse risposto ad una mia domanda con una domanda a
sua volta, ma il solo fatto che avesse pronunciato più di una parola era per me
già un incredibile evento
-Izzi è impegnato con il suo club di informatica. A
quanto pare uno ha aperto un file non sicuro e ha infettato uno dei computer-
Matt fece solo un cenno con il capo, di nuovo. Non era
affatto un tipo di molte parole. Così rincalzai ancora
-Sora e Tai?-
-Sora aveva una convocazione urgente al club di
tennis. Tai è stato convocato in aula inseganti-
-Si è addormentato ancora in classe?-
Matt sorrise e annuì. Io mi limitai ad alzare gli
occhi al cielo e a farmi una risata. Questo fu tutto quello che ci dicemmo in
quella pausa pranzo, eppure, quell’ora passata in silenzio, insieme, ognuno
perso nei propri pensieri, fece cambiare qualcosa nel nostro rapporto. So che
sembra una cosa folle e assurda, ma quella risata, quel piccolo momento
spensierato, ci fece avvicinare. Anche se ancora non lo sapevamo.
I sogni iniziarono ad arrivare poco dopo l’episodio che
avevo avuto sul treno. Non ne ebbi una percezione netta all’inizio, ma
all’improvviso mi resi conto, di fare sempre lo stesso identico sogno, da più
di una settimana. Ogni notte, si ripeteva, uguale e preciso. Era una cosa
inquietante e snervante, perché dopo essermi svegliata da quel sogno, non
riuscivo più a dormire. Ero incapace di tornare nel mondo dei sogni, tormentata
da una sensazione di angoscia e ansia. Il risultato fu che dormivo sempre meno la
notte e i segni di questa privazione iniziarono a farsi vedere sul mio viso,
soprattutto per l’incremento spropositato delle mie occhiaie.
-Sei sicura di stare bene?-
Mi chiese allarmata una mattina Sora, guardandomi. Eravamo
solo in tre quel giorno a mensa, stranamente. Sora e Matt erano arrivati senza Tai, in punizione di nuovo, e Izzi era ancora disperso nel
suo mondo cibernetico. Forse fu proprio il fatto che fossimo solo noi, o il
fatto che Sora mi conoscesse troppo bene, che non si era lasciata ingannare
dallo strato di fondotinta che avevo passato sopra le occhiaie, in un vano e
disperato tentativo di coprirle. Sapevo che se ne sarebbe accorta, così mi
limitai a fare segno di sì con la testa, anche se, in realtà, di stare poi così
bene non ne ero molto convinta
-Non è che hai la febbre?-
Sora, da mamma del gruppo quale era sempre stata, mi
si avvicinò e appoggiò la sua mano sulla mia fronte, intenta a sentirmi la
temperatura.
-Sora non ho la febbre, sto bene. Ho solo dormito
poco, tutto qui-
-Sei così da una settimana-
-È una settimana che faccio fatica a dormire-
-Non è una cosa normale. Forse dovresti andare dal
medico e parlarne-
La guardai e mi trovai a fissarla con tutto l’affetto
che potevo provare per la mia migliore amica. di slancio mi lanciai tra le sue
braccia
-Sora, lo sai che ti voglio bene, vero?-
Lei rispose al mio abbraccio ma il tono preoccupato
nella sua voce non era sparito
-Perché non vai in infermeria? Magari la dottoressa
può darti qualcosa per farti dormire. Ti accompagnerei io ma devo andare al campo
da tennis. Anche se potrei tardare un po’…-
Lei mi guardò con lo sguardo addolorato
-Sora non ho bisogno di andare…-
-L’accompagno io-
Io e Sora ci voltammo di colpo, spaventate e sorprese
per quell’improvvisa interruzione nella nostra conversazione. A parlare era
stata l’ultima persona che tutti ci saremmo aspettati di sentire parlare. e io
mi trovai a guardare spaesata quel paio di occhi azzurri
-Matt sei sicuro?-
Sora, titubante e spiazzata guardò Matt come se gli
fosse cresciuta una seconda testa sulla spalla. Matt annuì deciso
-Si, nessun problema. Tanto non ho nulla da fare in
questo momento-
Io e Sora guardammo Matt, confuse. Ma Sora, troppo
preoccupata per me per preoccuparsi dello strano comportamento di Matt, annuì
sollevata
-Matt sei un angelo. Assicurati che arrivi in
infermeria e che ci rimanga-
-Ehi, non sono mica una bambina piccola-
Protestai, leggermente offesa
-Lo so, ma sei testarda. Ti devi riposare, ne hai
bisogno. Io ora devo scappare, Matt ti devo un favore. Mimi ti passo a prendere
appena sono finite le lezioni. Non ti muovere dall’infermeria e aspettami per
favore-
Detto questo ci salutò e sparì veloce dalla stanza. Io
mi limitai a fissare il vuoto che aveva lasciato, poi spostai lo sguardo su
Matt
-Non voglio andare in infermeria, sto bene-
-L’hai sentita. Tu vai in infermeria-
-Ma io…-
-Mimi, non stai bene. Fatti vedere dall’infermiera-
Non so cosa mi convinse, se la stanchezza cronica
ormai che mi accompagnava, la preoccupazione di Sora, o quegli occhi azzurri
puntati su di me. Ricordo solo di essermi alzata dal tavolo e di essermi
incamminata verso l’infermeria. I passi di Matti si affiancarono presto ai miei
e insieme ci incamminammo nei corridoi. Non parlammo, non ci scambiammo nemmeno
uno sguardo, tuttavia, invece di essere a disagio ero perfettamente tranquilla.
Forse era perché ci conoscevamo da quando eravamo bambini, forse era perché
conoscevo il carattere di Matt, ma stranamente trovavo la sua compagnia
silenziosa molto più piacevole di tante altre. Quando arrivammo in infermeria
ricordo poco cosa mi disse precisamente la dottoressa, ricordo solo che mi fu
ordinato di mettermi nel letto e di dormire. Mi voltai verso Matt salutandolo
ma lui mi guardò scuotendo la testa
-Non me ne vado-
Lo guardai perplesso
-Non vado via finché non ti addormenti-
Mi disse calmo e come se fosse la cosa più normale del
mondo. Lo guardai allibita
-Non ce n’è bisogno e poi dovrai andare in classe
ormai e..-
Ma Matt mi diede una scrollata di spalle e si sedette
su una sedia.
-No, tanto ora dovremmo avere matematica. Non ho
bisogno di seguire matematica-
Lo guardai, seduto su quella sedia e mi trovai a
sorridere
-Non devi inventarti scuse. Dillo che lo fai perché te
lo ha chiesto lei-
Non c’era bisogno che dicessi quel nome, sapevamo
entrambi a chi mi stavo riferendo. Ma, con mia sorpresa, lui mi guardò con uno
sguardo vagamente stupito
-Non è perché me lo ha chiesto Sora. E poi cosa
c’entra lei ora? E non perdere tempo, sdraiati sul letto e dormi-
Obbedii senza esitare, ma mi voltai verso di lui
-Non volevo offenderti è solo che pensavo…-
-Cosa?-
-Voi due siete stati insieme-
Lui mi guardò perplesso
-Alle medie. Ci siamo lasciati due anni fa-
-Si ma da quello che mi dice Sora è come se non fosse
cambiato poi molto il vostro rapporto. Cioè uscite lo stesso, se capita anche
da soli, vi sentite per messaggio o chiamata. Insomma non è che tu abbia messo
un muro tra voi due-
-Perché dovevo mettere un muro tra me e Sora? Rimane
comunque una mia amica. Anzi, è sempre rimasta una mia amica. forse non è mai
stata più di quello-
-Ma siete stai insieme per due anni, se ricordo bene
e…-
-E questi sono fatti nostri, non vedo perché lo dovrei
dire a te-
Non risposi, forse perché era vero quello che mi aveva
detto. Certo io e Matt eravamo amici, ma non eravamo mai stati come quelli che
si dicevano tutto davanti ad una tazza di the. Non avevo il rapporto che avevo
con Izzi, con cui parlavamo di qualsiasi cosa e di cui conoscevo ogni singolo
aspetto della vita del mio amico maniaco di tecnologia. Con Matt non avevamo
mai avuto una conversazione di quel tenore. Quindi mi limitai a stare in
silenzio e a non dire niente. Rimanemmo così per qualche minuto. Poi, i ricordi
si fanno annebbiati e confusi, credo che, alla fine, il sonno arretrato di quei
giorni avesse avuto il sopravvento e io sia sprofondata lentamente nel mondo di
morfeo. Ed è per questo che non posso dire, con assoluta certezza, se quello
che ricordo poco prima di essermi addormentarmi sia successo veramente o sia
solo successo in un sogno. So solo che credo di avere sentito la voce di Matt,
bassa e profonda, mormorare qualcosa.
-Non ho bisogno che sia Sora a dirmi di preoccuparmi
per te. Mi preoccupo già da solo per te-
Raccontare il tipo di sogni che iniziarono a
tormentarmi non è facile. È come ricordare qualcosa che, di per sé, non è fatto
per essere ricordato. I sogni sono tali per il loro senso di vaghezza e
fantasia, fatti per rendere la notte meno solitaria. Eppure eccomi qua, a
dovere cercare di dare un senso logico a qualcosa che non lo dovrebbe avere. Ma
tutto a tempo debito avrà un suo senso, o almeno lo spero. La prima cosa che
ricordo distintamente di quel sogno è che sto correndo. Sono in mezzo ad un
campo, cammino sopra quella che sembra erba e fango. Ha piovuto, perché ci sono
delle pozzanghere d’acqua. Alcune le riesco a saltare, altre, invece, no e
sento freddo ai piedi. Sono senza fiato, vorrei fermarmi, ma ho paura e per
questo continuo a correre, anche se il vestito che indosso è troppo lungo e
pesante. Non mi volto mai indietro, ma sento qualcosa dietro di me. Non sto
correndo, realizzo spaventata, sto scappando. Vedo in fondo al campo l’inizio
di quello che sembra un bosco. Spero nella salvezza e inizio a correre in mezzo
agli alberi. Faccio uno sforzo enorme, corro ancora più veloce, ma ad un
tratto, inciampo. Cado per terra e sento dolore. Il ginocchio mi fa male e io
sono veramente disperata. Sento una voce che ride alle mie spalle. Mi dice
qualcosa, ma io non capisco. Mi volto, ma, stranamente, non riesco a vedere i
lineamenti della persona che mi stava inseguendo. Anzi, non lo vedo proprio. È
come se fosse una macchia indistinta, ma so che c’è, non me la sto immaginando.
Ho paura, tanta. Sento l’uomo davanti a me farsi vicino, anzi, so che è in
piedi di fronte a me. Continua a dirmi qualcosa, ma io non capisco niente. so
solo che percepisco il pericolo e istintivamente arretro. Il senso di pericolo
è così forte che inizio a sentire le lacrime scendermi dagli occhi. Qualcuno
ride, non so chi. C’è più di qualcuno attorno a me, realizzo terrorizzata. Sono
circondata, credo. Ad un tratto, sento il tronco di un albero dietro la mia
schiena. La mia disperata fuga è finita. Sono terrorizzata, ho paura, temo per
la mia vita. L’uomo davanti a me si avvicina e mi inizia a toccare la guancia.
Sento il suo sguardo addosso, ripugnante e disgustoso, anche se non vedo chi ho
davanti, non distinguo i lineamenti. Mi dice ancora qualcosa e ricordo quelle
risate, diaboliche che mi fanno tremare. Lo sento venirmi addosso, lo
percepisco, il suo corpo che preme contro il mio e le sue mani che mi
avvinghiano. Piango ora, tremo disperata, penso sia la fine della mia vita, ma
ad un tratto, subentra un altro sentimento, orgoglio. Sto ancora piangendo,
sento le lacrime colarmi dagli occhi, ma alzo lo sguardo e guardo l’uomo. Se
devo morire, lo farò guardandolo negli occhi. Alzo lo sguardo e in quel preciso
momento, sento un rumore diverso. È il suono di un cavallo, lanciato al galoppo,
e un uomo che urla. L’uomo davanti a me si volta, e urla qualcosa a sua volta.
Poi si sente uno sparo. E io urlo.
Devo avere urlato anche nella vita vera, perché sento
una voce, lontana che mi chiama, preoccupato
-Mimi-
Il mio nome, produce un effetto istantaneo su di me.
Apro gli occhi, di scatto e mi trovo a fissare quelli blu di Matt che mi
guardano preoccupato. Senza rendermene conto, mi butto tra le sue braccia, e mi
aggrappo a lui, disperata. Sento le sue braccia che mi stringono forti e
decise. E in mezzo a quel calore, inizio a piangere. Tutto il terrore e la
paura di quella settimana di sogni senza senso e uguali si propaga dentro di me
e io piango, sfogando tutta l’ansia e l’angoscia che provavo. Non so per quanto
piansi, non so quantificare per quanto tempo mi aggrappai disperatamente alla
camicia bianca di Matt in cerca di rifugio e sicurezza, ma ricordo precisamente
la sua mano accarezzarmi lentamente la schiena, per farmi calmare e il so
respiro regolare, che mi trasmetteva tranquillità e pace. So che ad un tratto
smisi di piangere, ma rimasi avvinghiata a lui. Non mi disse niente, ma
lentamente mi fece ridistendere sul letto e mi continuò ad abbracciare. Mi
riaddormentai e non feci più quel sogno.
Quando mi svegliai era pomeriggio inoltrato. Istintivamente
allungai una mano in cerca di Matt, ma mi ritrovai sola. Il silenzio che mi
circondava mi fece capire che c’ero solo io in quella stanza. Provai un certo
senso di abbandono nel sapermi lì in quella stanza da sola, ma dopotutto, Matt
non poteva avere saltato tutto il pomeriggio di lezioni per farmi compagnia. Al
solo pensiero di quello che aveva fatto mi sentii arrossire profondamente,
provando un enorme senso di disagio. Avevo pianto tra le sue braccia e mi ero
fatta cullare fino ad addormentarmi. Chissà cosa doveva avere pensato vedendomi
in quello stato. Avrei dovuto cercare di dargli una qualche spiegazione, anche
se non sapevo bene io stessa come spiegare tutto quello che stavo passando. Ma
non feci in tempo a domandarmi ancora per molto come dovermi comportare, che la
porta della stanza si spalancò e vidi comparire i miei due migliori amici. Istintivamente
sorrisi
-Sora, Izzi-
Sora mi si avvicinò veloce e mi diede una bella
squadrata, soddisfatta.
-Stai meglio?-
Io annuì. Mi alzai dal letto e sfoderai uno dei miei
sorrisi più convincenti
-Mi sento già molto meglio. Grazie per avermi convinta
a dormire un po’-
Sora mi sorrise e mi prese sotto il braccio
spingendomi verso la porta e verso Izzi
-Sapevo che ti avrebbe fatto bene. Dovresti ascoltarmi
un po’ di più ogni tanto-
-Si sì, certo, mammina-
Sora detestava quando la chiamavo così, ma invece di
prendersela mi sorrise soddisfatta.
-Sono contenta di rivederti allegra come sempre-
Era genuinamente contenta di vedermi stare meglio e io
mi sentii molto grata ad avere un’amica come lei. Poi però spostai lo sguardo
su Izzi che come sempre, quando si trovava da solo in compagnia di sole donne,
anche se ci conosceva da sempre, diventata timido e faticava a parlare
normalmente
-E tu come mai sei qui? Non hai una qualche crisi
cibernetica da risolvere?-
-Ho lasciato il compito a Yolei.
E poi qualcuno doveva pure recuperare la tua borsa e le tue cose dalla classe.
Così ci ho pensato io-
Izzi mi porse le mie cose e io gliene fui
terribilmente grata. Almeno così mi sarei risparmiata il ritorno in aula. Ma il
fatto che la mia cartella fosse lì voleva significare solo una cosa
-Ho realmente dormito per tutto il pomeriggio?-
Chiesi perplessa. I due annuirono e io li fissai
sbalordita. Ricordo di avere ridacchiato scuotendo la testa, mentre mi
incamminavo per il corridoio, con lo zaino in spalla e i miei amici che mi
seguivano. Non credevo di potermi addormentare così profondamente a scuola, ma
la stanchezza arretrata era decisamente molto più di quella che avevo
immaginato se avevo dormito per un intero pomeriggio. E tutto per colpa di
quello stupido sogno ricorrente. Tuttavia era la prima volta che mi svegliavo
urlando. Anzi, era la prima volta che sognavo qualcuno arrivare in mio aiuto e
anche quello sparo. Ero concentrata nel pensare al sogno che non mi ero minimamente
accorta che un’altra persona si era unita al gruppo fino a che non sentì una
mano afferrarmi bruscamente per il braccio e trascinarmi
-Cosa..-
Bofonchiai stupita e alzando lo sguardo mi trovai a
fissare di nuovo per quel giorno, gli occhi azzurri di Matt
-Si può volare solo nei sogni sai?-
Mi disse a metà tra il sarcastico e il preoccupato. Lo
guardai perplessa
-Cosa?-
-Stavi per cadere dalle scale-
La voce preoccupata di Sora mi raggiunse che ancora
stavo fissando Matt negli occhi.
-Le scale?-
Bofonchia intontita. Matt mi fece voltare e mi trovai
così a fissare la rampa di scale della scuola. Ero così sovrappensiero che
stavo per fare un bel volo di sotto. Mi allontanai spaventata e preoccupata. Mi
portai una mano sul viso
-Scusatemi io… non ci sono molto con la testa oggi a
quanto pare-
Mormorai sinceramente dispiaciuta. I miei tre amici mi
fissavano spaventati
-Credo sia meglio accompagnarti fino a casa. Non me la
sento di lasciarti sola. Solo che il club…-
Sora mi guardò afflitta. Le sorrisi
-Non ti preoccupare. Posso tornare a casa con Izzi,
tanto facciamo la stessa strada e prendiamo la stessa linea del treno-
Izzi annuì
-Certo, ti accompagno io-
-Mi unisco a voi-
Tutti ci voltammo sorpresi verso Matt che mi stava
guardando, preoccupato.
-Ma tu abiti dall’altra parte della città-
Gli ricordò Izzi, forse con un leggero tono
infastidito.
-Ceno con mia madre e mio fratello stasera. Quindi
devo comunque prendere la stessa linea del treno che prendereste voi. Non è un
problema-
Izzi lo fissò e poi guardò Sora in cerca di aiuto. La
rossa tuttavia alzò le spalle
-L’importante è che tu non sia sola-
Disse solo guardandomi. Io annuì e per uscire da
quella situazione, presi Sora sotto il braccio
-Andiamo allora. Ti ho già fatto perdere troppo tempo,
lascia almeno che ti accompagniamo al tuo club di tennis-
-Ma non devi preoccu…-
-Insisto-
Dissi decisa. Alla fine la mia amica si lasciò
accompagnare e noi facemmo il tragitto chiacchierando del più e del meno.
Cercavo, fin troppo poco inconsciamente, di distogliere l’attenzione da quello
che mi stava capitando quel giorno. Eppure sapevo che sotto i sorrisi di Sora e
Izzi si nascondeva ancora il segno della preoccupazione. Matt invece era
difficile da decifrare. Non mi aveva nemmeno rivolto uno sguardo da quando ci
eravamo incamminati e non partecipava minimamente alla conversazione. Era
silenzioso e quasi distaccato, eppure il saperlo lì mi dava un grande senso di
sicurezza, mista a imbarazzo. Una volta lasciata Sora al suo allenamento il
nostro strano trio si avviò verso la stazione. Io chiacchieravo del più e del
meno con Izzi, mentre Matt era sempre in uno stato di religioso silenzio. Sembrava
quasi non accorgersi di me o di Izzi, totalmente disinteressato a noi e perso
in non so quale tipo di pensiero. Il treno arrivò in perfetto orario e noi ci
affrettammo a salire. Il vagone non era troppo affollato, ma fummo comunque
costretti a rimanere in piedi, vicini l’uno agli altri. Tuttavia gli strani
eventi che si stavano verificando quel giorno non erano ancora finiti. Infatti,
ad un tratto, il telefono di Izzi prese a suonare. Vidi lo sguardo preoccupato
del mio amico e mi preoccupai anche io
-Qualcuno di inaspettato?-
-Yolei-
Izzi disse solo, prima di rispose prontamente, e la
voce urlante di Yolei si propagò in tutto il vagone
ferroviario
-E’ UN DISASTRO! TUTTI I COMPUTER SONO IN TILT! IZZI
DEVI TORNARE IMMEDIATAMENTE A SCUOLA-
Izzi mi guardò ad occhi sgranati, spaventato e
preoccupato
-Yolei, sono già in treno
e…-
-NON MI IMPORTA, DOVESSI IMPARARE A VOLARE. SEI IL
PRESIDENTE DEL CLUB, DEVI VENIRE SUBITO. RISCHIAMO DI NON AVERLO PIU’ UN CLUB
DI INFORMATICA SE NON RISOLVIAMO QUESTO DISASTRO-
Izzi non fece in tempo a rispondere, che Yolei aveva già chiuso il telefono, lasciando Izzi con
un’espressione inebetita. Come se fosse tutto quanto orchestrato dal destino,
il treno prese a rallentare, segno che ci stavamo avvicinando ad una stazione.
-Faresti meglio a scendere qui e a tornare indietro.
Ci penso io a Mimi-
Le parole di Matt produssero in Izzi come una scossa,
risvegliandolo da quella specie di trans in cui era caduto dopo la telefonata
ricevuta. Izzi lo guardò
-No, sono certo che non sia così grave. E poi ho
promesso a Mimi di riaccompagnarla e…-
-Ci penso io a lei. Per te Mimi non è un problema,
giusto?-
Mi voltai verso Matt e senza rendermene conto mi
ritrovai ad annuire.
-Si certo. Izzi non ti preoccupare, corri da Yolei. Se ti ha chiamato vuol dire che la situazione è
veramente urgente. E io tanto abito poco lontano dalla stazione, quindi non ti
preoccupare. Appena arrivo a casa ti mando un messaggio, va bene?-
Di fronte al mio sorriso sapevo che Izzi non aveva
modo di resistermi. Infatti lo vidi annuire, anche se a malincuore, e non
appena le porte della carrozza si aprirono, scese veloce
-Mi raccomando, mandami quel messaggio, o finirò per
preoccuparmi sul serio-
-Contaci. Ci vediamo domani-
Lo salutai con la mano e lo vidi ricambiare
velocemente, mentre si avviava già lungo le scale diretto a prendere un treno
che lo avrebbe riportato indietro. Non appena sparì dalla vista, mi voltai
verso Matt
-Sembra proprio che oggi tu sia il mio angelo custode.
Ti tocca proprio occuparti di me-
Voleva essere una battuta la mia, ma uscì più come un
mio patetico tentativo di chiedergli scusa. Matt mi guardò serio in volto e la
sua risposta fu più glaciale di una tormenta di neve
-Se non avessi voluto farlo non l’avrei fatto-
Non riuscii a sostenere il suo sguardo e lo abbassai
veloce, imbarazzata. Il treno intanto era ripartito e noi proseguimmo il
viaggio in silenzio, poiché ero troppo nervosa per pensare di rivolgergli
ancora la parola. Tuttavia ebbi come l’impressione di sentire, ogni tanto, il
suo sguardo addosso. Ma ero decisamente troppo imbarazzate per scoprire se era
vero o solo frutto della mia fantasia.
Il tragitto dalla stazione a casa mia passò
esattamente come quello sul treno, in silenzio. Continuavo a non riuscire a
guardare negli occhi Matt e per distrarmi, e cercare di calmarmi, mi ritrovai a
canticchiare un motivo di una canzone che mi piaceva. Credevo di averlo fatto a
bassa voce, ma ad un tratto Matt si fermò e io mi voltai verso di lui, incerta
sul da farsi. Matt mi stava guardando in modo strano, quasi sorpreso
-Che c’è?-
Domandai agitata.
-Sai cantare?-
La sua domanda mi lasciò perplessa. Annuì
-Cantare forse è una esagerazione ma…-
-Sei molto intonata-
-Grazie-
Riuscii a dire, incerta se mi stesse facendo un
complimento o semplicemente una costatazione. Lui riprese a camminare e io lo
segui
-Che canzone stavi cantando?-
-Nessuna, è solo un motivetto così. Ogni tanto
canticchiò senza senso, soprattutto se sono nervosa-
-Quindi ora sei nervosa?-
-Come?-
-Hai detto che canticchi soprattutto quando sei
nervosa, quindi deduco che tu ora lo sia-
-Se pensi che io sia nervosa credi che questo tuo modo
di fare ora possa aiutarmi?-
-Potresti anche non esserlo e quindi le mie domande
potrebbero non avere alcun effetto. Però se rispondi così deduco che tu sia veramente
nervosa. E allora perdonami, ma sono io a renderti in questo stato o altro?-
Un sorriso divertito spuntò sul volto di Matt e io lo
guardai allibita. Si stava prendendo gioco di me, mi stava deliberatamente
prendendo in giro. E nel farlo si stava anche divertendo
-Non darti così tante arie. Chi ti credi di essere per
pensare di potermi rendere nervosa?-
-Non saprei, dovrei chiederlo a te, visto che lo sei-
-Non ho mai detto di esserlo, soprattutto non ho mai
detto di esserlo per te-
-allora per cosa lo sei?-
-Io non sono nervosa! Sono solo…-
Mi bloccai, all’improvviso. Ero assolutamente nervosa
e imbarazzata, ma avevo anche una sorta di orgoglio che mi impediva di
ammetterlo. Così lo guardai, interdetta e in conflitto con me stessa. Stavo per
dire qualcosa, quando Matt sorrise, un vero autentico sorriso, uno di quelli
che non faceva quasi mai, e ridacchiò, divertito. Lo fissai sempre più sconvolta,
fino a quando non capii quello che stava cercando di fare. Aveva cercato di
farmi arrabbiare per farmi passare l’imbarazzo che provavo in quel momento. E
ci era riuscito. Mi lascia andare ad un sorriso e gli diedi una leggera spinta
sul braccio
-Grazie-
Mormorai, sincera. Matt annuì solamente, ma continuò a
sorridere. Arrivammo a casa mia velocemente e io rimasi qualche secondo ferma
davanti al cancello di casa mia, a guardarlo. Matt ricambiò il mio sguardo
-Devi dirmi qualcosa?-
-Credo di avere pensato solo adesso ad una cosa-
-Che cosa?-
-Che non ti conosco affatto-
Dissi quella frase in un modo così sincero e diretto
che vidi Matt tornare a sorridermi, poi si avviò lentamente per la stessa
strada che avevamo appena percorso. Rimasi a guardalo, poi ad un tratto lui si
voltò
-Se ti interessa conoscermi, vieni domani a pranzo
nell’aula di musica. Ti aspetto-
Non aspettò che gli dessi una risposta, riprese a camminare, come se niente fosse.
Dentro di me, invece, sentivo il cuore battere velocemente. Matt mi aveva
appena dato una sorta di appuntamento? Era tutto decisamente così strano quel
giorno, so che pensai. Con mille domande mi avviai verso casa, confusa e
interdetta. Inutile dire che non feci altro che pensare a quella strana
giornata per tutto il tempo, e forse a pensare un po’ troppo al mio amico dagli
occhi azzurri come il cielo che non riuscivo per nessun motivo a togliermi
dalla testa.
L’ora di pranzo di quel giorno segnò forse in modo
indelebile tutta questa storia. Per quasi tutta la mattina mi domandai se sarei
veramente dovuta andare da Matt o fare invece come sempre, cioè andare in
mensa, con tutti gli altri. Continuai a pensare e a ripensare a cosa fare fino
all’ultimo, quando mi accorsi di avere deciso come dovermi comportare nel
momento stesso in cui Izzi mi si avvicinò all’inizio della pausa
-Sto morendo di fame! Andiamo?-
Mi ritrovai a guardare i suoi occhi dolci e gentili
che mi fissavano e potei quasi vedere la punta di disappunto che gli comparve
quando gli risposi
-Scusa Izzi, non credo di venire a mensa oggi-
-Come mai? Stai ancora male? Hai bisogno di andare
ancora in infermeria?-
Scossi decisa la testa.
-No tranquillo. È solo che devo andare a parlare con
la prof di matematica-
La scusa, così platealmente assurda, mi uscì dalla bocca
prima che potessi rendermene conto. Izzi mi guardò perplesso
-Dalla professoressa… perché?-
-Devo recuperare un po’ nei voti. Vorrei andare a
chiederle di preciso su cosa concentrami per migliorare-
Sapevo che la storia era assurda, eppure, proprio per
il suo essere così assurda poteva quasi funzionare. E fu così che le parole mi
uscirono dalla bocca, in un modo così naturale che da scusa terribilmente
ridicola diventò assolutamente vera e plausibile
-Mia madre vorrebbe che cercassi di migliorare la mia
media, sai anche per l’università, in vista dell’esame di ammissione. Se voglio
puntare ad andare in un buon posto, devo migliorare in matematica. Ed è meglio
iniziare a recuperare ora che non dopo, accumulando sempre più lacune su
lacune-
Izzi mi guardò, e sembrò seriamente convinto delle
parole che gli avevo detto. Così si ritrovò ad annuire
-Certo, no fai bene. Ma se avevi bisogno potevi venire
da me, lo sai che…-
-No Izzi, non posso correre ogni volta da te per
qualsiasi cosa. Crescere vuol dire soprattutto cavarsela da sola, e questo direi
che è un ottimo modo per iniziare-
Sorrisi convinta e vidi Izzi guardarmi preoccupato, ma
convinto da quello che gli avevo appena detto. Tuttavia avevo sottovalutato la
sua determinazione
-Almeno permettimi di accompagnarti. Farebbe bene
anche a me un ripasso dopotutto e…-
Scossi decisa la testa
-Non ci provare nemmeno. Passi già troppo del tuo
tempo davanti ai libri o al tuo computer. Devi mangiare e non posso permetterti
di saltare il pranzo oggi. E poi lo sai, l’aula insegnati è da tutta altra
parte rispetto alla mensa, ti farei solo perdere tempo. Non ti preoccupare. Ci
vediamo più tardi-
Non gli diedi il tempo di replicare, e mi avvia veloce
verso l’uscita dell’aula. Immagino mi abbia fissato perplesso, e tentò anche di
chiamarmi, ma io non mi voltai. Sapevo che se mi fossi voltata a guardarlo Izzi
avrebbe letto sul mio viso il fatto che gli avevo mentito. Dovetti fare di tutto
per controllarmi dall’iniziare a correre una volta raggiunto il corridoio.
Avevo apertamente mentito al mio migliore amico. Avevo mentito al mio migliore
amico per andare ad incontrare Matt. Che poi, mi domandai mentre percorrevo la
strada, c’era veramente bisogno di mentire sul fatto che Matt mi avesse chiesto
di vederlo nell’aula di musica? Dopotutto noi eravamo amici, che male c’era nel
tenerlo nascosto? Non sapevo perché ma avevo la totale certezza che dirlo a
Izzi sarebbe stato un disastro. Solo più avanti avrei scoperto quanto il mio
sesto senso mi avesse guidato quel giorno e in quella decisione. Arrivai forse
fin troppo in fretta davanti all’aula di musica e mi fermai a guardare quella
porta, chiusa. Esitai giusto qualche secondo prima di avere il coraggio di
aprirla ed entrare. Matt era già in aula. Era seduto per terra, con la chitarra
tra le mani e uno spartito ai suoi piedi. Aveva una penna incastrata
nell’orecchio e suonava delle note, pizzicando delicatamente le corde dello
strumento. Non alzò gli occhi quando sentì la porta aprirsi, ne sembrò
accorgersi della mia presenza, tanto era concentrato a suonare. Mi sedetti su
una sedia poco lontano da lui e mi misi ad ascoltarlo. Matt aveva un talento
naturale per la musica, era veramente ammaliante quando suonava e anche quella
volta mi misi ad ascoltarlo, quasi rapita. Stava suonando una melodia che
all’inizio non riconobbi, poi, piano piano, mi meravigliai nel sentire quello
che stavo sentendo
-E' la melodia che canticchiavo ieri!-
Esclamai sorpresa. Matt a quel punto alzò gli occhi e
mi guardò
-più o meno. Mi sono permesso di aggiungere qualche
cosa. Ma tutto sommato era una melodia orecchiabile…-
Disse lui, guardandomi. Ero piacevolmente stupita, lo
devo ammettere.
-Sei veramente un eccellente musicista… mi hai sentita
canticchiare per pochi secondi e ne hai tirato fuori una melodia. Sono
impressionata-
Matt mi fissò in silenzio, ma appoggiò la chitarra per
terra. Lo guardai perplessa. Il suo sguardo era pesante, e non riuscii a
sostenerlo per molto tempo. Mi metteva a disagio stare così con lui, da soli.
Non che stessimo facendo qualcosa di sbagliato, ma c’era qualcosa in quel
momento, di non detto, che mi stava facendo imbarazzare. Ad un tratto, nel mio
campo visivo, vidi spuntare la sua mano, che teneva un panino. Lo guardai
perplessa
-Prendi, avrai fame-
Allungai la mano e presi il panino che mi veniva
offerto.
-Spero ti piaccia-
Mi disse, quasi timido. Non riuscii a trattenere un
sorriso
-Grazie-
Dissi solo, prima di dare un morso. In effetti avevo
fame, dopotutto era l’ora di pranzo, e forse, per l’agitazione di quell’incontro
non avevo fatto colazione la mattina e in quel momento stavo decisamente
morendo di fame. Mangiammo lì, in silenzio. Fu un pranzo piacevole, tutto
sommato. Era la prima volta che stavamo da soli, noi due, così, non era mai
capitato di trovarci senza nessuno intorno, eppure in quell’aula, sembrava che
ci fossimo sempre incontrati e che stessimo facendo qualcosa di terribilmente
normale e piacevole. Matt si era preoccupato anche di portare delle
bottigliette d’acqua, e così ci gustammo quel pranzo, semplice ma piacevole.
Tuttavia, sapevo che non potevamo continuare a stare così e sapevo che se Matt
mi aveva chiamato lì quel giorno non era per parlare di lui, come mi aveva
detto la sera prima. Doveva avere in mente qualcosa di preciso. Così mi feci
coraggio e lo guardai dritto negli occhi
-Allora, in tutta onestà, cosa mi vuoi chiedere?-
Lui mi guardò e vidi un sorriso sarcastico spuntargli
sul volto
-Era così ovvio?-
-Era l’unica cosa ragionevole da pensare. Non sei uno
che fa le cose a caso, dopotutto-
Matt mi fissò ma questa volta non mi lasciai
sopraffare da quel blu intenso e sostenni il suo sguardo.
-Hai ragione, c’è una cosa che ti voglio chiedere. E
non capisco perché, ma è una domanda che mi sta facendo impazzire e di cui devo
sapere la risposta-
-Che domanda?-
Gli chiesi, diretta. Avevo pensato a mille possibilità
sul perché Matt mi avesse chiesto di vederci lì quel giorno, ma niente mi aveva
potuto far prevedere ciò che mi avrebbe domandato.
-Chi è Mathew?-
Fissai Matt con sguardo attonito. Non conoscevo
nessuno con quel nome, quindi non capivo il motivo di quella domanda.
-Non so di cosa tu stia parlando-
Gli dissi. Lui mi fissò serio
-Non si direbbe da quello che ho visto-
-Matt non ti sto seguendo-
-Quando stavi piangendo, ieri, non facevi che nominare
questo Mathew-
Lo fissai abbastanza interdetta
-Non è possibile Matt sono sicura che magari avrai…-
-So cosa ho sentito-
Mi disse, terribilmente serio. Lo guardai a bocca
aperta, perplessa. Non aveva minimamente senso quello che mi stava dicendo,
tuttavia il suo sguardo serio mi fece capire che non mi stava prendendo in
giro. Era una situazione surreale
-Non ha alcun senso ciò che mi stai dicendo! Non
conosco nessuno con quel nome e non vedo come mai avrei dovuto chiamare
qualcuno che non conosco per di più mentre stavo piangendo-
-Magari in America? Un fidanzato di cui non abbiamo
mai saputo niente?-
Fissai Matt, sconvolta.
-Io non ho un fidanzato-
Fu tutto quello che riuscii a dire, al limite
dell’indignazione. Lui mi guardò, sarcastico
-Senti Mimi, il modo in cui lo chiamavi… non c’è
niente di male nel fatto che tu abbia qualcuno che ti piaccia e di cui magari
senti la mancanza-
Mi sentivo indignata nel sentire quelle parole e
risposi forse in modo molto più duro di quanto non avrei dovuto fare
-A me non piace nessuno, chiaro! Ne qui ne in America. Non ho mai nemmeno avuto un fidanzato, e non
c’è mai stato nessuno per cui io abbia provato quel tipo di sentimento-
Mi alzai dalla sedia, offesa e ferita. Come si
permetteva Matt a dirmi certe cose e con un tono anche quasi accusatorio? Feci
per avviarmi verso la porta, quando ad un tratto sentii la sua mano afferrarmi
il braccio, bloccandomi. Lo guardai e vidi che aveva uno sguardo dispiaciuto. Mi
sentii in colpa per avergli risposto così duramente, perché capì dallo sguardo
che mi lanciò che anche lui si sentiva in colpa per quello che mi aveva detto.
Sospirai rassegnata
-Non conosco nessuno con quel nome Matt, te lo giuro-
Lui mi fissò e lo vidi annuire
-Ti credo-
Mi disse, sincero. Ci guardammo negli occhi fino a
quando non sentii un leggero imbarazzo e distolsi lo sguardo. Matt mi lasciò
andare il braccio, quasi si fosse reso conto solo allora di avermi afferrato.
Vidi che fece un passo indietro, per allontanarsi da me e lo sentii anche lui
sospirare
-Mimi, non volevo offenderti o altro solo che non so
cosa sia successo ieri, se devo essere sincero. Ti eri addormentata, ma subito
dopo hai iniziato ad agitarti e hai urlato terrorizzata. Poi quel pianto, non era
un pianto normale, era un pianto disperato, da cuore infranto. E continuavi a
chiamare quel nome, in continuazione come se avessi perso per sempre la persona
che amavi. Ti sei avvinghiata così tanto a me che non sapevo veramente cosa
fare per consolarti. Sembravi devastata-
Lo avevo ascoltato dirmi quelle parole quasi come
fossi in trance. Non aveva minimamente senso il comportamento che diceva avevo
avuto ieri. Come potevo disperarmi in quel modo e chiamare qualcuno che nemmeno
conoscevo?
-Io non ho mai amato nessuno Matt-
Gli dissi, leggermente spaventata. Mi sembrava di
essere piombata in un incubo ad occhi aperti dove la realtà aveva perso ogni
senso di razionalità. Quella conversazione era folle e assurda, eppure ero lì,
con Matt che mi guardava preoccupato.
-Io ho avuto solo un incubo, lo giuro. Non so chi sia
questo Mathew di cui parli, io… era solo un dannato incubo
ricorrente Matt, davvero-
Matt mi guardò dritto negli occhi, serio
-Che cosa hai sognato Mimi?-
In quel preciso momento, so di avere dato
effettivamente inizio a tutto quanto. Credo di averlo già detto fin troppe
volte, ma tutto quanto si è messo in moto così, con noi due, in quell’aula, a
parlare come mai avevamo fatto in vita nostra. A posteriori è facile capire
quali sono i momenti fondamentali di una vita, e ora, a distanza di molti anni
dai fatti di cui sto parlando, so che quello è stato il principio di tutto
quanto. Se non fossi andata quel giorno nell’aula di musica, e avessi seguito
Izzi e fossi andata a pranzare come sempre, forse ora non sarei qui e forse
tutto questo sarebbe rimasto solo un episodio secondario e probabilmente del
tutto dimenticabile della mia vita. Invece ero lì, in quel caldo primo
pomeriggio di settembre, nell’aula vuota di musica della nostra scuola, con
Matt, che mi guardava, preoccupato e incuriosito da tutta questa strana, folle e
assurda vicenda che mi stava riguardando. E avrei, forse, ancora potuto avere
una vita normale se avessi liquidato semplicemente la cosa per quello che
doveva essere, un incubo, uno stupito incubo magari generato dal mio subconscio
in un periodo di stress e di cambiamenti radicali della mia vita. Invece non
l’ho fatto, non ho chiuso il discorso, perché ci fu qualcosa in tutto quel
contesto, che mi urlò di parlare con Matt e di confidarmi con lui. E così feci,
l’ho guardato dritto negli occhi e ho scatenato tutto il resto di questa storia
con una semplice e sola frase
-Stavo correndo, inseguita da qualcuno, qualcuno che
stava cercando di uccidermi-
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Ciao a tutti.
Non so cosa mi abbia spinto dopo molti anni dal primo
capitolo pubblicato di questa storia, a riprendere in mano tutto quanto e a
continuare. Forse il fatto che questa storia è stata la prima vera trama di una
fanfiction a cui abbia mai pensato. Ovviamente la struttura è un po’ cambiata
negli anni, ma i concetti fondamentali non lo sono affatto. E così in questa
calda estate, ho deciso di tornare a riscriverla, e a ricondividerla
con chiunque voglia leggerla. Io ringrazio chiunque abbia voluto leggere questo
capitolo, chiunque abbia voluto dedicare un po’ del suo tempo a questa storia.
Ovviamente se volete lasciare una recensione siete sempre i bene accetti, anche
per critiche ovviamente, sono sempre contenta di leggere ciò che uno può
pensare, perché magari nella mia testa tutto funziona perfettamente, ma poi in
prosa no, quindi chiunque mi voglia fare notare difetti o errori, nessun
problema e fatevi avanti.
Una piccola nota di precisazione: sto dando per
scontato che chi legge questa storia conosca già i personaggi, ecco il motivo
per cui non ho fatto una introduzione dei personaggi. Quindi non troverete
descrizioni fisiche di personaggi che sono già comparsi nell’anime, ovviamente
ci sarà qualcosa, ma credo che darò molte informazioni per scontate. Spero non
adiate questa scelta e capiate il senso di questo discorso. Il racconto che fa
Mimi è come fosse scritto sotto forma di diario, e in un diario personale,
molto spesso si danno molte informazioni per scontate perché chi è destinato a
leggere le cose scritte di solito è proprio chi ha scritto nel diario. Quindi
questo è lo stesso approccio che ho adottato qui, ma come ho già detto, se
questo mio modo fosse decisamente troppo sbagliato, fatemelo sapere e
provvederò magari ad integrare delle parti.
Infine, ma non per ultimo, compariranno più o meno
tutti i personaggi principali dell’anime, anzi, per alcuni ci sarà un ruolo
molto importante nella storia, solo che in questo capitolo non c’era modo di
inserirli già tutti.
Io come sempre, ringrazio tutti coloro che sono
capitati qui e se vorrete, ci vediamo per il prossimo capitolo. Un bacione,
dalla vostra
Juls