Anime & Manga > Digimon > Digimon Adventure
Segui la storia  |       
Autore: Juls18    29/07/2023    0 recensioni
Certe storie sono fatte per essere tramandate, altre per essere mitizzate, altre per servire da insegnamento, altre semplicemente dimenticate... Altre storie invece, vengono fatte dimenticare ma non sempre è possibile cancellarle per l'eternità. Basta un piccolo indizio, un filo sfuggito al buio dell'oblio per farne rivivere il ricordo e per riportarla alla luce... E quando i ricordi riaffiorano, ci sono verità che vanno affrontate, e un destino che deve essere compiuto
(Storia riscritta. In precedenza era "le ali dei ricordi")
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mimi Tachikawa, Yamato Ishida/Matt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1

 

Trovare un inizio preciso a questa storia non è così semplice. Ci sono volte in cui ho come l’impressione che abbia sempre fatto parte di me. Altre, invece, che tutto sia piombato nella mia vita all’improvviso e per puro e semplice caso. In qualunque modo io la voglio vedere, tuttavia, l’unica costante è che il risultato è sempre lo stesso: la mia vita è cambiata per sempre. Non è stato un percorso semplice, anzi, è stato un percorso lungo, complesso e doloroso. Ma ciò che ho trovato lungo la strada è ciò che mi ha reso la donna che sono, la moglie che sono diventata e la mamma che sono oggi. E sono stata portata a scrivere questa storia, in questa notte insonne, da una sensazione. Non lo sto facendo per me, io la storia la conosco dopotutto, avendola vissuta in prima persona, perciò la sto scrivendo per te, che un giorno leggerai di questa folle, assurda ma incredibile avventura. Non so cosa penserai finita la lettura, se mi crederai o se la riterrai un vaneggio di una pazza, ma per me, il risultato che conta, è che questa storia non vada di nuovo perduta. È compito mio scriverla, raccontarla e preservarla. Lo devo fare per me, per mio marito e per loro, che ci hanno illuminato la strada e ci hanno fatto capire tante cose su di noi e sul perché è importante non dimenticare mai.

 

Ma ogni storia ha sempre un principio, dopotutto. E il mio principio, dovendone scegliere uno, è un normale mattino di settembre. Stavo andando a scuola, come ogni mattina, divisa ordinata, capelli sistemati e la mia borsa carica di libri e quaderni pieni di appunti, la maggior parte incomprensibili anche se li avevo presi io stessa. Ero tornata da un paio di mesi a casa, nel mio Giappone, dall’America, e piano piano mi ero riabituata allo stile di vita nipponico, dimenticandomi quasi completamente quello americano. Tuttavia, pur essendo tornata a Tokyo, una cosa non era affatto cambiata rispetto a quando vivevo in America ed era andare a scuola in treno. E io odiavo farlo. Ero obbligata, tutte le mattine a prenderlo, e anche se il sistema ferroviario giapponese era decisamente migliore di quello delle metropolitane di New York, il sovraffollamento mattutino era lo stesso. E io stavo iniziando seriamente ad odiare il forzato contatto fisico con degli estranei, la sensazione di claustrofobia e, soprattutto nei mesi più caldi, l’odore che l’umanità produceva in un ambiente piccolo e sovraffollato. L’unica consolazione era che lungo la mia stessa linea salivano per andare a scuola anche alcuni amici, quindi il percorso molto spesso lo passavo in compagnia. Quella mattina tuttavia, la mattina in cui tutto ebbe inizio, o almeno, il momento che ricordo per primo così vivamente collegato alla vicenda che sto per raccontare, ero sola. Non avevo incontrato nessuno dei miei amici ma, stranamente, ero riuscita a trovare un posto libero, così mi ero seduta tranquilla e aspettavo l’arrivo alla mia stazione di destinazione. Fu durante quel viaggio, seduta su quel sedile scomodo di plastica del treno, che ebbi uno strano episodio, il primo, purtroppo, di una lunga serie che mi stava aspettando. Mi ero trovata a fissare una pubblicità di una mostra che si stava svolgendo a Tokyo, una mostra di ritratti di nobili europei del diciassettesimo e diciottesimo secolo. Era una mostra che stavano pubblicizzando molto in città, e stava anche riscontrando un enorme successo a quanto diceva il notiziario. Se ne parlava così tanto che persino mia madre aveva insistito con mio padre per andare a vederla. E la città era letteralmente tappezzata di cartelloni pubblicitari che la promuovevano. Erano ovunque, persino alla radio era pubblicizzata quasi costantemente ed era impossibile non esserne bombardati durante la giornata. Ed è così che è iniziato tutto, mentre guardavo quella pubblicità, che ancora ricordo perfettamente. Era il ritratto di una famiglia di uno dei pittori più illustri della mostra, un ritratto con lo sfondo tipico della campagna inglese e ricordo di essermi soffermata proprio sul paesaggio, così ricco e verde, un chiaro riferimento alla prosperità della famiglia ritratta nel quadro. Ero così intenta ad osservare quel paesaggio lussureggiante e avvolgente, che, senza rendermene conto, mi ritrovai in mezzo ad una campagna coltivata. Ero in un campo di grano, giallo e maturo, pronto per essere colto, e io mi trovavo su una strada sterrata, unica guida in mezzo a quel mare giallo. La percorsi, sicura della mia direzione, quando ad un tratto mi accorsi di essere seguita. Mi girai, e vidi un uomo in sella ad un cavallo, un bellissimo cavallo nero. L’uomo cavalcava dritto verso di me, e io mi soffermai a vederlo, impaziente. Il mio cuore prese ad accelerare mentre una sensazione di fermento e gioia si insinuava dentro di me, ma prima che riuscissi a vedere chi era il misterioso cavaliere, mi svegliai di colpo, riportata alla realtà dalla fermata del treno e dall’arrivo alla mia stazione. Quando feci per uscire, mi accorsi di avere addosso una strana sensazione. Mi sembrava di percepire l’odore di erba appena tagliata e il rumore di acqua corrente in lontananza, come se scorresse nelle vicinanze un veloce ruscello di campagna. Scossi la testa per allontanare quella sensazione, e diedi la colpa di quello strano fenomeno, come dello strano sogno, al manifesto pubblicitario, e mi affrettai veloce verso la scuola. Ancora non potevo sapere che quell’odore di erba tagliata e il suono del ruscello mi avrebbero accompagnata ancora per molto tempo.

 

Inutile che stia qui a tediarvi su quanto potessero essere noiose le lezioni a scuola, quindi non ho molto da raccontare sulla mia vita scolastica. Era come tutte le altre, fatta di lezioni, compiti e studio  intramezzata da risate con gli amici e pause pranzo in compagnia. Era quella la parte che preferivo della giornata, il pranzo, o meglio, quell’ora e mezza di pace e tranquillità lontana dai libri con i miei amici. Avevamo l’abitudine, infatti, di ritrovarci tutti insieme, io, Sora, Tai, Izzi e Matt ogni giorno a pranzo. Eravamo amici da sempre, anche se la nostra amicizia si era cementata e fortificata durante gli eventi del campeggio estivo dei miei dieci anni. Ma quella è tutta un’altra storia e purtroppo qui non avrei il tempo necessario per parlarne con tutta la calma che anche quella storia merita. Ora, eravamo adolescenti, e come ogni adolescente che si rispetti eravamo convinti di avere capito tutto della vita, credevamo di sapere esattamente cosa fosse la vita e come gestirla e come quasi ogni volta eravamo intenti in quella pausa pranzo, a lamentarci della nostra triste sorte di incompresi e di persone pronte a cambiare il mondo alla prima occasione. In realtà eravamo solo un gruppo di adolescenti, in bilico tra infanzia e vita adulta e spaventati dal futuro nebbioso e incerto. Almeno io lo ero di sicuro. Ero in quell’età, i sedici anni, dove ci si chiede quasi ogni giorno quello che si vorrà fare da grande e il non avere una risposta chiara o precisa di cosa volessi realmente fare, mi rendeva agitata e nervosa, soprattutto a confronto con chi le idee le aveva invece molto chiare. La realtà in cui mi trovavo era quella in cui i miei sogni, in quel momento, erano tutte cose altamente impossibili da realizzare. E ovviamente, non facevo che pensare a quello, a quel tremendo paradosso che credevo di vivere. E durante quella pausa pranzo, in un giorno qualunque della mia vita scolastica, nel mezzo di una routine quotidiana, avvenne il secondo evento che diede il via a tutto. Ero seduta al mio solito posto, in mensa, dove ci sedevamo sempre tutti insieme. Stranamente ero stata la prima ad arrivare, così, mi ero sistemata, e avevo iniziato a mangiare il mio pasto. Il rumore di una sedia di fronte a me che si spostava mi fece alzare gli occhi e io mi trovai a osservare un paio di occhi azzurri, inconfondibili

-Matt. Ciao-

Matt mi diede un semplice cenno con il capo, il massimo del saluto che mi aveva sempre riservato. Sapevo che non parlava molto, almeno non con me, ma questo non mi aveva mai impedito di provare ad avere una conversazione civile con lui. E quel giorno non faceva eccezione

-Solo? Dove sono gli altri? Sora e Tai?-

-Neanche Izzi è qui-

Mi rispose, mentre si mangiava il suo panino. Non feci troppo caso al fatto che avesse risposto ad una mia domanda con una domanda a sua volta, ma il solo fatto che avesse pronunciato più di una parola era per me già un incredibile evento

-Izzi è impegnato con il suo club di informatica. A quanto pare uno ha aperto un file non sicuro e ha infettato uno dei computer-

Matt fece solo un cenno con il capo, di nuovo. Non era affatto un tipo di molte parole. Così rincalzai ancora

-Sora e Tai?-

-Sora aveva una convocazione urgente al club di tennis. Tai è stato convocato in aula inseganti-

-Si è addormentato ancora in classe?-

Matt sorrise e annuì. Io mi limitai ad alzare gli occhi al cielo e a farmi una risata. Questo fu tutto quello che ci dicemmo in quella pausa pranzo, eppure, quell’ora passata in silenzio, insieme, ognuno perso nei propri pensieri, fece cambiare qualcosa nel nostro rapporto. So che sembra una cosa folle e assurda, ma quella risata, quel piccolo momento spensierato, ci fece avvicinare. Anche se ancora non lo sapevamo.

 

I sogni iniziarono ad arrivare poco dopo l’episodio che avevo avuto sul treno. Non ne ebbi una percezione netta all’inizio, ma all’improvviso mi resi conto, di fare sempre lo stesso identico sogno, da più di una settimana. Ogni notte, si ripeteva, uguale e preciso. Era una cosa inquietante e snervante, perché dopo essermi svegliata da quel sogno, non riuscivo più a dormire. Ero incapace di tornare nel mondo dei sogni, tormentata da una sensazione di angoscia e ansia. Il risultato fu che dormivo sempre meno la notte e i segni di questa privazione iniziarono a farsi vedere sul mio viso, soprattutto per l’incremento spropositato delle mie occhiaie.

-Sei sicura di stare bene?-

Mi chiese allarmata una mattina Sora, guardandomi. Eravamo solo in tre quel giorno a mensa, stranamente. Sora e Matt erano arrivati senza Tai, in punizione di nuovo, e Izzi era ancora disperso nel suo mondo cibernetico. Forse fu proprio il fatto che fossimo solo noi, o il fatto che Sora mi conoscesse troppo bene, che non si era lasciata ingannare dallo strato di fondotinta che avevo passato sopra le occhiaie, in un vano e disperato tentativo di coprirle. Sapevo che se ne sarebbe accorta, così mi limitai a fare segno di sì con la testa, anche se, in realtà, di stare poi così bene non ne ero molto convinta

-Non è che hai la febbre?-

Sora, da mamma del gruppo quale era sempre stata, mi si avvicinò e appoggiò la sua mano sulla mia fronte, intenta a sentirmi la temperatura.

-Sora non ho la febbre, sto bene. Ho solo dormito poco, tutto qui-

-Sei così da una settimana-

-È una settimana che faccio fatica a dormire-

-Non è una cosa normale. Forse dovresti andare dal medico e parlarne-

La guardai e mi trovai a fissarla con tutto l’affetto che potevo provare per la mia migliore amica. di slancio mi lanciai tra le sue braccia

-Sora, lo sai che ti voglio bene, vero?-

Lei rispose al mio abbraccio ma il tono preoccupato nella sua voce non era sparito

-Perché non vai in infermeria? Magari la dottoressa può darti qualcosa per farti dormire. Ti accompagnerei io ma devo andare al campo da tennis. Anche se potrei tardare un po’…-

Lei mi guardò con lo sguardo addolorato

-Sora non ho bisogno di andare…-

-L’accompagno io-

Io e Sora ci voltammo di colpo, spaventate e sorprese per quell’improvvisa interruzione nella nostra conversazione. A parlare era stata l’ultima persona che tutti ci saremmo aspettati di sentire parlare. e io mi trovai a guardare spaesata quel paio di occhi azzurri

-Matt sei sicuro?-

Sora, titubante e spiazzata guardò Matt come se gli fosse cresciuta una seconda testa sulla spalla. Matt annuì deciso

-Si, nessun problema. Tanto non ho nulla da fare in questo momento-

Io e Sora guardammo Matt, confuse. Ma Sora, troppo preoccupata per me per preoccuparsi dello strano comportamento di Matt, annuì sollevata

-Matt sei un angelo. Assicurati che arrivi in infermeria e che ci rimanga-

-Ehi, non sono mica una bambina piccola-

Protestai, leggermente offesa

-Lo so, ma sei testarda. Ti devi riposare, ne hai bisogno. Io ora devo scappare, Matt ti devo un favore. Mimi ti passo a prendere appena sono finite le lezioni. Non ti muovere dall’infermeria e aspettami per favore-

Detto questo ci salutò e sparì veloce dalla stanza. Io mi limitai a fissare il vuoto che aveva lasciato, poi spostai lo sguardo su Matt

-Non voglio andare in infermeria, sto bene-

-L’hai sentita. Tu vai in infermeria-

-Ma io…-

-Mimi, non stai bene. Fatti vedere dall’infermiera-

Non so cosa mi convinse, se la stanchezza cronica ormai che mi accompagnava, la preoccupazione di Sora, o quegli occhi azzurri puntati su di me. Ricordo solo di essermi alzata dal tavolo e di essermi incamminata verso l’infermeria. I passi di Matti si affiancarono presto ai miei e insieme ci incamminammo nei corridoi. Non parlammo, non ci scambiammo nemmeno uno sguardo, tuttavia, invece di essere a disagio ero perfettamente tranquilla. Forse era perché ci conoscevamo da quando eravamo bambini, forse era perché conoscevo il carattere di Matt, ma stranamente trovavo la sua compagnia silenziosa molto più piacevole di tante altre. Quando arrivammo in infermeria ricordo poco cosa mi disse precisamente la dottoressa, ricordo solo che mi fu ordinato di mettermi nel letto e di dormire. Mi voltai verso Matt salutandolo ma lui mi guardò scuotendo la testa

-Non me ne vado-

Lo guardai perplesso

-Non vado via finché non ti addormenti-

Mi disse calmo e come se fosse la cosa più normale del mondo. Lo guardai allibita

-Non ce n’è bisogno e poi dovrai andare in classe ormai e..-

Ma Matt mi diede una scrollata di spalle e si sedette su una sedia.

-No, tanto ora dovremmo avere matematica. Non ho bisogno di seguire matematica-

Lo guardai, seduto su quella sedia e mi trovai a sorridere

-Non devi inventarti scuse. Dillo che lo fai perché te lo ha chiesto lei-

Non c’era bisogno che dicessi quel nome, sapevamo entrambi a chi mi stavo riferendo. Ma, con mia sorpresa, lui mi guardò con uno sguardo vagamente stupito

-Non è perché me lo ha chiesto Sora. E poi cosa c’entra lei ora? E non perdere tempo, sdraiati sul letto e dormi-

Obbedii senza esitare, ma mi voltai verso di lui

-Non volevo offenderti è solo che pensavo…-

-Cosa?-

-Voi due siete stati insieme-

Lui mi guardò perplesso

-Alle medie. Ci siamo lasciati due anni fa-

-Si ma da quello che mi dice Sora è come se non fosse cambiato poi molto il vostro rapporto. Cioè uscite lo stesso, se capita anche da soli, vi sentite per messaggio o chiamata. Insomma non è che tu abbia messo un muro tra voi due-

-Perché dovevo mettere un muro tra me e Sora? Rimane comunque una mia amica. Anzi, è sempre rimasta una mia amica. forse non è mai stata più di quello-

-Ma siete stai insieme per due anni, se ricordo bene e…-

-E questi sono fatti nostri, non vedo perché lo dovrei dire a te-

Non risposi, forse perché era vero quello che mi aveva detto. Certo io e Matt eravamo amici, ma non eravamo mai stati come quelli che si dicevano tutto davanti ad una tazza di the. Non avevo il rapporto che avevo con Izzi, con cui parlavamo di qualsiasi cosa e di cui conoscevo ogni singolo aspetto della vita del mio amico maniaco di tecnologia. Con Matt non avevamo mai avuto una conversazione di quel tenore. Quindi mi limitai a stare in silenzio e a non dire niente. Rimanemmo così per qualche minuto. Poi, i ricordi si fanno annebbiati e confusi, credo che, alla fine, il sonno arretrato di quei giorni avesse avuto il sopravvento e io sia sprofondata lentamente nel mondo di morfeo. Ed è per questo che non posso dire, con assoluta certezza, se quello che ricordo poco prima di essermi addormentarmi sia successo veramente o sia solo successo in un sogno. So solo che credo di avere sentito la voce di Matt, bassa e profonda, mormorare qualcosa.

-Non ho bisogno che sia Sora a dirmi di preoccuparmi per te. Mi preoccupo già da solo per te-

 

 

Raccontare il tipo di sogni che iniziarono a tormentarmi non è facile. È come ricordare qualcosa che, di per sé, non è fatto per essere ricordato. I sogni sono tali per il loro senso di vaghezza e fantasia, fatti per rendere la notte meno solitaria. Eppure eccomi qua, a dovere cercare di dare un senso logico a qualcosa che non lo dovrebbe avere. Ma tutto a tempo debito avrà un suo senso, o almeno lo spero. La prima cosa che ricordo distintamente di quel sogno è che sto correndo. Sono in mezzo ad un campo, cammino sopra quella che sembra erba e fango. Ha piovuto, perché ci sono delle pozzanghere d’acqua. Alcune le riesco a saltare, altre, invece, no e sento freddo ai piedi. Sono senza fiato, vorrei fermarmi, ma ho paura e per questo continuo a correre, anche se il vestito che indosso è troppo lungo e pesante. Non mi volto mai indietro, ma sento qualcosa dietro di me. Non sto correndo, realizzo spaventata, sto scappando. Vedo in fondo al campo l’inizio di quello che sembra un bosco. Spero nella salvezza e inizio a correre in mezzo agli alberi. Faccio uno sforzo enorme, corro ancora più veloce, ma ad un tratto, inciampo. Cado per terra e sento dolore. Il ginocchio mi fa male e io sono veramente disperata. Sento una voce che ride alle mie spalle. Mi dice qualcosa, ma io non capisco. Mi volto, ma, stranamente, non riesco a vedere i lineamenti della persona che mi stava inseguendo. Anzi, non lo vedo proprio. È come se fosse una macchia indistinta, ma so che c’è, non me la sto immaginando. Ho paura, tanta. Sento l’uomo davanti a me farsi vicino, anzi, so che è in piedi di fronte a me. Continua a dirmi qualcosa, ma io non capisco niente. so solo che percepisco il pericolo e istintivamente arretro. Il senso di pericolo è così forte che inizio a sentire le lacrime scendermi dagli occhi. Qualcuno ride, non so chi. C’è più di qualcuno attorno a me, realizzo terrorizzata. Sono circondata, credo. Ad un tratto, sento il tronco di un albero dietro la mia schiena. La mia disperata fuga è finita. Sono terrorizzata, ho paura, temo per la mia vita. L’uomo davanti a me si avvicina e mi inizia a toccare la guancia. Sento il suo sguardo addosso, ripugnante e disgustoso, anche se non vedo chi ho davanti, non distinguo i lineamenti. Mi dice ancora qualcosa e ricordo quelle risate, diaboliche che mi fanno tremare. Lo sento venirmi addosso, lo percepisco, il suo corpo che preme contro il mio e le sue mani che mi avvinghiano. Piango ora, tremo disperata, penso sia la fine della mia vita, ma ad un tratto, subentra un altro sentimento, orgoglio. Sto ancora piangendo, sento le lacrime colarmi dagli occhi, ma alzo lo sguardo e guardo l’uomo. Se devo morire, lo farò guardandolo negli occhi. Alzo lo sguardo e in quel preciso momento, sento un rumore diverso. È il suono di un cavallo, lanciato al galoppo, e un uomo che urla. L’uomo davanti a me si volta, e urla qualcosa a sua volta. Poi si sente uno sparo. E io urlo.

 

Devo avere urlato anche nella vita vera, perché sento una voce, lontana che mi chiama, preoccupato

-Mimi-

Il mio nome, produce un effetto istantaneo su di me. Apro gli occhi, di scatto e mi trovo a fissare quelli blu di Matt che mi guardano preoccupato. Senza rendermene conto, mi butto tra le sue braccia, e mi aggrappo a lui, disperata. Sento le sue braccia che mi stringono forti e decise. E in mezzo a quel calore, inizio a piangere. Tutto il terrore e la paura di quella settimana di sogni senza senso e uguali si propaga dentro di me e io piango, sfogando tutta l’ansia e l’angoscia che provavo. Non so per quanto piansi, non so quantificare per quanto tempo mi aggrappai disperatamente alla camicia bianca di Matt in cerca di rifugio e sicurezza, ma ricordo precisamente la sua mano accarezzarmi lentamente la schiena, per farmi calmare e il so respiro regolare, che mi trasmetteva tranquillità e pace. So che ad un tratto smisi di piangere, ma rimasi avvinghiata a lui. Non mi disse niente, ma lentamente mi fece ridistendere sul letto e mi continuò ad abbracciare. Mi riaddormentai e non feci più quel sogno.

 

Quando mi svegliai era pomeriggio inoltrato. Istintivamente allungai una mano in cerca di Matt, ma mi ritrovai sola. Il silenzio che mi circondava mi fece capire che c’ero solo io in quella stanza. Provai un certo senso di abbandono nel sapermi lì in quella stanza da sola, ma dopotutto, Matt non poteva avere saltato tutto il pomeriggio di lezioni per farmi compagnia. Al solo pensiero di quello che aveva fatto mi sentii arrossire profondamente, provando un enorme senso di disagio. Avevo pianto tra le sue braccia e mi ero fatta cullare fino ad addormentarmi. Chissà cosa doveva avere pensato vedendomi in quello stato. Avrei dovuto cercare di dargli una qualche spiegazione, anche se non sapevo bene io stessa come spiegare tutto quello che stavo passando. Ma non feci in tempo a domandarmi ancora per molto come dovermi comportare, che la porta della stanza si spalancò e vidi comparire i miei due migliori amici. Istintivamente sorrisi

-Sora, Izzi-

Sora mi si avvicinò veloce e mi diede una bella squadrata, soddisfatta.

-Stai meglio?-

Io annuì. Mi alzai dal letto e sfoderai uno dei miei sorrisi più convincenti

-Mi sento già molto meglio. Grazie per avermi convinta a dormire un po’-

Sora mi sorrise e mi prese sotto il braccio spingendomi verso la porta e verso Izzi

-Sapevo che ti avrebbe fatto bene. Dovresti ascoltarmi un po’ di più ogni tanto-

-Si sì, certo, mammina-

Sora detestava quando la chiamavo così, ma invece di prendersela mi sorrise soddisfatta.

-Sono contenta di rivederti allegra come sempre-

Era genuinamente contenta di vedermi stare meglio e io mi sentii molto grata ad avere un’amica come lei. Poi però spostai lo sguardo su Izzi che come sempre, quando si trovava da solo in compagnia di sole donne, anche se ci conosceva da sempre, diventata timido e faticava a parlare normalmente

-E tu come mai sei qui? Non hai una qualche crisi cibernetica da risolvere?-

-Ho lasciato il compito a Yolei. E poi qualcuno doveva pure recuperare la tua borsa e le tue cose dalla classe. Così ci ho pensato io-

Izzi mi porse le mie cose e io gliene fui terribilmente grata. Almeno così mi sarei risparmiata il ritorno in aula. Ma il fatto che la mia cartella fosse lì voleva significare solo una cosa

-Ho realmente dormito per tutto il pomeriggio?-

Chiesi perplessa. I due annuirono e io li fissai sbalordita. Ricordo di avere ridacchiato scuotendo la testa, mentre mi incamminavo per il corridoio, con lo zaino in spalla e i miei amici che mi seguivano. Non credevo di potermi addormentare così profondamente a scuola, ma la stanchezza arretrata era decisamente molto più di quella che avevo immaginato se avevo dormito per un intero pomeriggio. E tutto per colpa di quello stupido sogno ricorrente. Tuttavia era la prima volta che mi svegliavo urlando. Anzi, era la prima volta che sognavo qualcuno arrivare in mio aiuto e anche quello sparo. Ero concentrata nel pensare al sogno che non mi ero minimamente accorta che un’altra persona si era unita al gruppo fino a che non sentì una mano afferrarmi bruscamente per il braccio e trascinarmi

-Cosa..-

Bofonchiai stupita e alzando lo sguardo mi trovai a fissare di nuovo per quel giorno, gli occhi azzurri di Matt

-Si può volare solo nei sogni sai?-

Mi disse a metà tra il sarcastico e il preoccupato. Lo guardai perplessa

-Cosa?-

-Stavi per cadere dalle scale-

La voce preoccupata di Sora mi raggiunse che ancora stavo fissando Matt negli occhi.

-Le scale?-

Bofonchia intontita. Matt mi fece voltare e mi trovai così a fissare la rampa di scale della scuola. Ero così sovrappensiero che stavo per fare un bel volo di sotto. Mi allontanai spaventata e preoccupata. Mi portai una mano sul viso

-Scusatemi io… non ci sono molto con la testa oggi a quanto pare-

Mormorai sinceramente dispiaciuta. I miei tre amici mi fissavano spaventati

-Credo sia meglio accompagnarti fino a casa. Non me la sento di lasciarti sola. Solo che il club…-

Sora mi guardò afflitta. Le sorrisi

-Non ti preoccupare. Posso tornare a casa con Izzi, tanto facciamo la stessa strada e prendiamo la stessa linea del treno-

Izzi annuì

-Certo, ti accompagno io-

-Mi unisco a voi-

Tutti ci voltammo sorpresi verso Matt che mi stava guardando, preoccupato.

-Ma tu abiti dall’altra parte della città-

Gli ricordò Izzi, forse con un leggero tono infastidito.

-Ceno con mia madre e mio fratello stasera. Quindi devo comunque prendere la stessa linea del treno che prendereste voi. Non è un problema-

Izzi lo fissò e poi guardò Sora in cerca di aiuto. La rossa tuttavia alzò le spalle

-L’importante è che tu non sia sola-

Disse solo guardandomi. Io annuì e per uscire da quella situazione, presi Sora sotto il braccio

-Andiamo allora. Ti ho già fatto perdere troppo tempo, lascia almeno che ti accompagniamo al tuo club di tennis-

-Ma non devi preoccu…-

-Insisto-

Dissi decisa. Alla fine la mia amica si lasciò accompagnare e noi facemmo il tragitto chiacchierando del più e del meno. Cercavo, fin troppo poco inconsciamente, di distogliere l’attenzione da quello che mi stava capitando quel giorno. Eppure sapevo che sotto i sorrisi di Sora e Izzi si nascondeva ancora il segno della preoccupazione. Matt invece era difficile da decifrare. Non mi aveva nemmeno rivolto uno sguardo da quando ci eravamo incamminati e non partecipava minimamente alla conversazione. Era silenzioso e quasi distaccato, eppure il saperlo lì mi dava un grande senso di sicurezza, mista a imbarazzo. Una volta lasciata Sora al suo allenamento il nostro strano trio si avviò verso la stazione. Io chiacchieravo del più e del meno con Izzi, mentre Matt era sempre in uno stato di religioso silenzio. Sembrava quasi non accorgersi di me o di Izzi, totalmente disinteressato a noi e perso in non so quale tipo di pensiero. Il treno arrivò in perfetto orario e noi ci affrettammo a salire. Il vagone non era troppo affollato, ma fummo comunque costretti a rimanere in piedi, vicini l’uno agli altri. Tuttavia gli strani eventi che si stavano verificando quel giorno non erano ancora finiti. Infatti, ad un tratto, il telefono di Izzi prese a suonare. Vidi lo sguardo preoccupato del mio amico e mi preoccupai anche io

-Qualcuno di inaspettato?-

-Yolei-

Izzi disse solo, prima di rispose prontamente, e la voce urlante di Yolei si propagò in tutto il vagone ferroviario

-E’ UN DISASTRO! TUTTI I COMPUTER SONO IN TILT! IZZI DEVI TORNARE IMMEDIATAMENTE A SCUOLA-

Izzi mi guardò ad occhi sgranati, spaventato e preoccupato

-Yolei, sono già in treno e…-

-NON MI IMPORTA, DOVESSI IMPARARE A VOLARE. SEI IL PRESIDENTE DEL CLUB, DEVI VENIRE SUBITO. RISCHIAMO DI NON AVERLO PIU’ UN CLUB DI INFORMATICA SE NON RISOLVIAMO QUESTO DISASTRO-

Izzi non fece in tempo a rispondere, che Yolei aveva già chiuso il telefono, lasciando Izzi con un’espressione inebetita. Come se fosse tutto quanto orchestrato dal destino, il treno prese a rallentare, segno che ci stavamo avvicinando ad una stazione.

-Faresti meglio a scendere qui e a tornare indietro. Ci penso io a Mimi-

Le parole di Matt produssero in Izzi come una scossa, risvegliandolo da quella specie di trans in cui era caduto dopo la telefonata ricevuta. Izzi lo guardò

-No, sono certo che non sia così grave. E poi ho promesso a Mimi di riaccompagnarla e…-

-Ci penso io a lei. Per te Mimi non è un problema, giusto?-

Mi voltai verso Matt e senza rendermene conto mi ritrovai ad annuire.

-Si certo. Izzi non ti preoccupare, corri da Yolei. Se ti ha chiamato vuol dire che la situazione è veramente urgente. E io tanto abito poco lontano dalla stazione, quindi non ti preoccupare. Appena arrivo a casa ti mando un messaggio, va bene?-

Di fronte al mio sorriso sapevo che Izzi non aveva modo di resistermi. Infatti lo vidi annuire, anche se a malincuore, e non appena le porte della carrozza si aprirono, scese veloce

-Mi raccomando, mandami quel messaggio, o finirò per preoccuparmi sul serio-

-Contaci. Ci vediamo domani-

Lo salutai con la mano e lo vidi ricambiare velocemente, mentre si avviava già lungo le scale diretto a prendere un treno che lo avrebbe riportato indietro. Non appena sparì dalla vista, mi voltai verso Matt

-Sembra proprio che oggi tu sia il mio angelo custode. Ti tocca proprio occuparti di me-

Voleva essere una battuta la mia, ma uscì più come un mio patetico tentativo di chiedergli scusa. Matt mi guardò serio in volto e la sua risposta fu più glaciale di una tormenta di neve

-Se non avessi voluto farlo non l’avrei fatto-

Non riuscii a sostenere il suo sguardo e lo abbassai veloce, imbarazzata. Il treno intanto era ripartito e noi proseguimmo il viaggio in silenzio, poiché ero troppo nervosa per pensare di rivolgergli ancora la parola. Tuttavia ebbi come l’impressione di sentire, ogni tanto, il suo sguardo addosso. Ma ero decisamente troppo imbarazzate per scoprire se era vero o solo frutto della mia fantasia.

 

Il tragitto dalla stazione a casa mia passò esattamente come quello sul treno, in silenzio. Continuavo a non riuscire a guardare negli occhi Matt e per distrarmi, e cercare di calmarmi, mi ritrovai a canticchiare un motivo di una canzone che mi piaceva. Credevo di averlo fatto a bassa voce, ma ad un tratto Matt si fermò e io mi voltai verso di lui, incerta sul da farsi. Matt mi stava guardando in modo strano, quasi sorpreso

-Che c’è?-

Domandai agitata.

-Sai cantare?-

La sua domanda mi lasciò perplessa. Annuì

-Cantare forse è una esagerazione ma…-

-Sei molto intonata-

-Grazie-

Riuscii a dire, incerta se mi stesse facendo un complimento o semplicemente una costatazione. Lui riprese a camminare e io lo segui

-Che canzone stavi cantando?-

-Nessuna, è solo un motivetto così. Ogni tanto canticchiò senza senso, soprattutto se sono nervosa-

-Quindi ora sei nervosa?-

-Come?-

-Hai detto che canticchi soprattutto quando sei nervosa, quindi deduco che tu ora lo sia-

-Se pensi che io sia nervosa credi che questo tuo modo di fare ora possa aiutarmi?-

-Potresti anche non esserlo e quindi le mie domande potrebbero non avere alcun effetto. Però se rispondi così deduco che tu sia veramente nervosa. E allora perdonami, ma sono io a renderti in questo stato o altro?-

Un sorriso divertito spuntò sul volto di Matt e io lo guardai allibita. Si stava prendendo gioco di me, mi stava deliberatamente prendendo in giro. E nel farlo si stava anche divertendo

-Non darti così tante arie. Chi ti credi di essere per pensare di potermi rendere nervosa?-

-Non saprei, dovrei chiederlo a te, visto che lo sei-

-Non ho mai detto di esserlo, soprattutto non ho mai detto di esserlo per te-

-allora per cosa lo sei?-

-Io non sono nervosa! Sono solo…-

Mi bloccai, all’improvviso. Ero assolutamente nervosa e imbarazzata, ma avevo anche una sorta di orgoglio che mi impediva di ammetterlo. Così lo guardai, interdetta e in conflitto con me stessa. Stavo per dire qualcosa, quando Matt sorrise, un vero autentico sorriso, uno di quelli che non faceva quasi mai, e ridacchiò, divertito. Lo fissai sempre più sconvolta, fino a quando non capii quello che stava cercando di fare. Aveva cercato di farmi arrabbiare per farmi passare l’imbarazzo che provavo in quel momento. E ci era riuscito. Mi lascia andare ad un sorriso e gli diedi una leggera spinta sul braccio

-Grazie-

Mormorai, sincera. Matt annuì solamente, ma continuò a sorridere. Arrivammo a casa mia velocemente e io rimasi qualche secondo ferma davanti al cancello di casa mia, a guardarlo. Matt ricambiò il mio sguardo

-Devi dirmi qualcosa?-

-Credo di avere pensato solo adesso ad una cosa-

-Che cosa?-

-Che non ti conosco affatto-

Dissi quella frase in un modo così sincero e diretto che vidi Matt tornare a sorridermi, poi si avviò lentamente per la stessa strada che avevamo appena percorso. Rimasi a guardalo, poi ad un tratto lui si voltò

-Se ti interessa conoscermi, vieni domani a pranzo nell’aula di musica. Ti aspetto-

Non aspettò che gli dessi una risposta,  riprese a camminare, come se niente fosse. Dentro di me, invece, sentivo il cuore battere velocemente. Matt mi aveva appena dato una sorta di appuntamento? Era tutto decisamente così strano quel giorno, so che pensai. Con mille domande mi avviai verso casa, confusa e interdetta. Inutile dire che non feci altro che pensare a quella strana giornata per tutto il tempo, e forse a pensare un po’ troppo al mio amico dagli occhi azzurri come il cielo che non riuscivo per nessun motivo a togliermi dalla testa.

 

L’ora di pranzo di quel giorno segnò forse in modo indelebile tutta questa storia. Per quasi tutta la mattina mi domandai se sarei veramente dovuta andare da Matt o fare invece come sempre, cioè andare in mensa, con tutti gli altri. Continuai a pensare e a ripensare a cosa fare fino all’ultimo, quando mi accorsi di avere deciso come dovermi comportare nel momento stesso in cui Izzi mi si avvicinò all’inizio della pausa

-Sto morendo di fame! Andiamo?-

Mi ritrovai a guardare i suoi occhi dolci e gentili che mi fissavano e potei quasi vedere la punta di disappunto che gli comparve quando gli risposi

-Scusa Izzi, non credo di venire a mensa oggi-

-Come mai? Stai ancora male? Hai bisogno di andare ancora in infermeria?-

Scossi decisa la testa.

-No tranquillo. È solo che devo andare a parlare con la prof di matematica-

La scusa, così platealmente assurda, mi uscì dalla bocca prima che potessi rendermene conto. Izzi mi guardò perplesso

-Dalla professoressa… perché?-

-Devo recuperare un po’ nei voti. Vorrei andare a chiederle di preciso su cosa concentrami per migliorare-

Sapevo che la storia era assurda, eppure, proprio per il suo essere così assurda poteva quasi funzionare. E fu così che le parole mi uscirono dalla bocca, in un modo così naturale che da scusa terribilmente ridicola diventò assolutamente vera e plausibile

-Mia madre vorrebbe che cercassi di migliorare la mia media, sai anche per l’università, in vista dell’esame di ammissione. Se voglio puntare ad andare in un buon posto, devo migliorare in matematica. Ed è meglio iniziare a recuperare ora che non dopo, accumulando sempre più lacune su lacune-

Izzi mi guardò, e sembrò seriamente convinto delle parole che gli avevo detto. Così si ritrovò ad annuire

-Certo, no fai bene. Ma se avevi bisogno potevi venire da me, lo sai che…-

-No Izzi, non posso correre ogni volta da te per qualsiasi cosa. Crescere vuol dire soprattutto cavarsela da sola, e questo direi che è un ottimo modo per iniziare-

Sorrisi convinta e vidi Izzi guardarmi preoccupato, ma convinto da quello che gli avevo appena detto. Tuttavia avevo sottovalutato la sua determinazione

-Almeno permettimi di accompagnarti. Farebbe bene anche a me un ripasso dopotutto e…-

Scossi decisa la testa

-Non ci provare nemmeno. Passi già troppo del tuo tempo davanti ai libri o al tuo computer. Devi mangiare e non posso permetterti di saltare il pranzo oggi. E poi lo sai, l’aula insegnati è da tutta altra parte rispetto alla mensa, ti farei solo perdere tempo. Non ti preoccupare. Ci vediamo più tardi-

Non gli diedi il tempo di replicare, e mi avvia veloce verso l’uscita dell’aula. Immagino mi abbia fissato perplesso, e tentò anche di chiamarmi, ma io non mi voltai. Sapevo che se mi fossi voltata a guardarlo Izzi avrebbe letto sul mio viso il fatto che gli avevo mentito. Dovetti fare di tutto per controllarmi dall’iniziare a correre una volta raggiunto il corridoio. Avevo apertamente mentito al mio migliore amico. Avevo mentito al mio migliore amico per andare ad incontrare Matt. Che poi, mi domandai mentre percorrevo la strada, c’era veramente bisogno di mentire sul fatto che Matt mi avesse chiesto di vederlo nell’aula di musica? Dopotutto noi eravamo amici, che male c’era nel tenerlo nascosto? Non sapevo perché ma avevo la totale certezza che dirlo a Izzi sarebbe stato un disastro. Solo più avanti avrei scoperto quanto il mio sesto senso mi avesse guidato quel giorno e in quella decisione. Arrivai forse fin troppo in fretta davanti all’aula di musica e mi fermai a guardare quella porta, chiusa. Esitai giusto qualche secondo prima di avere il coraggio di aprirla ed entrare. Matt era già in aula. Era seduto per terra, con la chitarra tra le mani e uno spartito ai suoi piedi. Aveva una penna incastrata nell’orecchio e suonava delle note, pizzicando delicatamente le corde dello strumento. Non alzò gli occhi quando sentì la porta aprirsi, ne sembrò accorgersi della mia presenza, tanto era concentrato a suonare. Mi sedetti su una sedia poco lontano da lui e mi misi ad ascoltarlo. Matt aveva un talento naturale per la musica, era veramente ammaliante quando suonava e anche quella volta mi misi ad ascoltarlo, quasi rapita. Stava suonando una melodia che all’inizio non riconobbi, poi, piano piano, mi meravigliai nel sentire quello che stavo sentendo

-E' la melodia che canticchiavo ieri!-

Esclamai sorpresa. Matt a quel punto alzò gli occhi e mi guardò

-più o meno. Mi sono permesso di aggiungere qualche cosa. Ma tutto sommato era una melodia orecchiabile…-

Disse lui, guardandomi. Ero piacevolmente stupita, lo devo ammettere.

-Sei veramente un eccellente musicista… mi hai sentita canticchiare per pochi secondi e ne hai tirato fuori una melodia. Sono impressionata-

Matt mi fissò in silenzio, ma appoggiò la chitarra per terra. Lo guardai perplessa. Il suo sguardo era pesante, e non riuscii a sostenerlo per molto tempo. Mi metteva a disagio stare così con lui, da soli. Non che stessimo facendo qualcosa di sbagliato, ma c’era qualcosa in quel momento, di non detto, che mi stava facendo imbarazzare. Ad un tratto, nel mio campo visivo, vidi spuntare la sua mano, che teneva un panino. Lo guardai perplessa

-Prendi, avrai fame-

Allungai la mano e presi il panino che mi veniva offerto.

-Spero ti piaccia-

Mi disse, quasi timido. Non riuscii a trattenere un sorriso

-Grazie-

Dissi solo, prima di dare un morso. In effetti avevo fame, dopotutto era l’ora di pranzo, e forse, per l’agitazione di quell’incontro non avevo fatto colazione la mattina e in quel momento stavo decisamente morendo di fame. Mangiammo lì, in silenzio. Fu un pranzo piacevole, tutto sommato. Era la prima volta che stavamo da soli, noi due, così, non era mai capitato di trovarci senza nessuno intorno, eppure in quell’aula, sembrava che ci fossimo sempre incontrati e che stessimo facendo qualcosa di terribilmente normale e piacevole. Matt si era preoccupato anche di portare delle bottigliette d’acqua, e così ci gustammo quel pranzo, semplice ma piacevole. Tuttavia, sapevo che non potevamo continuare a stare così e sapevo che se Matt mi aveva chiamato lì quel giorno non era per parlare di lui, come mi aveva detto la sera prima. Doveva avere in mente qualcosa di preciso. Così mi feci coraggio e lo guardai dritto negli occhi

-Allora, in tutta onestà, cosa mi vuoi chiedere?-

Lui mi guardò e vidi un sorriso sarcastico spuntargli sul volto

-Era così ovvio?-

-Era l’unica cosa ragionevole da pensare. Non sei uno che fa le cose a caso, dopotutto-

Matt mi fissò ma questa volta non mi lasciai sopraffare da quel blu intenso e sostenni il suo sguardo.

-Hai ragione, c’è una cosa che ti voglio chiedere. E non capisco perché, ma è una domanda che mi sta facendo impazzire e di cui devo sapere la risposta-

-Che domanda?-

Gli chiesi, diretta. Avevo pensato a mille possibilità sul perché Matt mi avesse chiesto di vederci lì quel giorno, ma niente mi aveva potuto far prevedere ciò che mi avrebbe domandato.

-Chi è Mathew?-

 

 

Fissai Matt con sguardo attonito. Non conoscevo nessuno con quel nome, quindi non capivo il motivo di quella domanda.

-Non so di cosa tu stia parlando-

Gli dissi. Lui mi fissò serio

-Non si direbbe da quello che ho visto-

-Matt non ti sto seguendo-

-Quando stavi piangendo, ieri, non facevi che nominare questo Mathew-

Lo fissai abbastanza interdetta

-Non è possibile Matt sono sicura che magari avrai…-

-So cosa ho sentito-

Mi disse, terribilmente serio. Lo guardai a bocca aperta, perplessa. Non aveva minimamente senso quello che mi stava dicendo, tuttavia il suo sguardo serio mi fece capire che non mi stava prendendo in giro. Era una situazione surreale

-Non ha alcun senso ciò che mi stai dicendo! Non conosco nessuno con quel nome e non vedo come mai avrei dovuto chiamare qualcuno che non conosco per di più mentre stavo piangendo-

-Magari in America? Un fidanzato di cui non abbiamo mai saputo niente?-

Fissai Matt, sconvolta.

-Io non ho un fidanzato-

Fu tutto quello che riuscii a dire, al limite dell’indignazione. Lui mi guardò, sarcastico

-Senti Mimi, il modo in cui lo chiamavi… non c’è niente di male nel fatto che tu abbia qualcuno che ti piaccia e di cui magari senti la mancanza-

Mi sentivo indignata nel sentire quelle parole e risposi forse in modo molto più duro di quanto non avrei dovuto fare

-A me non piace nessuno, chiaro! Ne qui ne in America. Non ho mai nemmeno avuto un fidanzato, e non c’è mai stato nessuno per cui io abbia provato quel tipo di sentimento-

Mi alzai dalla sedia, offesa e ferita. Come si permetteva Matt a dirmi certe cose e con un tono anche quasi accusatorio? Feci per avviarmi verso la porta, quando ad un tratto sentii la sua mano afferrarmi il braccio, bloccandomi. Lo guardai e vidi che aveva uno sguardo dispiaciuto. Mi sentii in colpa per avergli risposto così duramente, perché capì dallo sguardo che mi lanciò che anche lui si sentiva in colpa per quello che mi aveva detto. Sospirai rassegnata

-Non conosco nessuno con quel nome Matt, te lo giuro-

Lui mi fissò e lo vidi annuire

-Ti credo-

Mi disse, sincero. Ci guardammo negli occhi fino a quando non sentii un leggero imbarazzo e distolsi lo sguardo. Matt mi lasciò andare il braccio, quasi si fosse reso conto solo allora di avermi afferrato. Vidi che fece un passo indietro, per allontanarsi da me e lo sentii anche lui sospirare

-Mimi, non volevo offenderti o altro solo che non so cosa sia successo ieri, se devo essere sincero. Ti eri addormentata, ma subito dopo hai iniziato ad agitarti e hai urlato terrorizzata. Poi quel pianto, non era un pianto normale, era un pianto disperato, da cuore infranto. E continuavi a chiamare quel nome, in continuazione come se avessi perso per sempre la persona che amavi. Ti sei avvinghiata così tanto a me che non sapevo veramente cosa fare per consolarti. Sembravi devastata-

Lo avevo ascoltato dirmi quelle parole quasi come fossi in trance. Non aveva minimamente senso il comportamento che diceva avevo avuto ieri. Come potevo disperarmi in quel modo e chiamare qualcuno che nemmeno conoscevo?

-Io non ho mai amato nessuno Matt-

Gli dissi, leggermente spaventata. Mi sembrava di essere piombata in un incubo ad occhi aperti dove la realtà aveva perso ogni senso di razionalità. Quella conversazione era folle e assurda, eppure ero lì, con Matt che mi guardava preoccupato.

-Io ho avuto solo un incubo, lo giuro. Non so chi sia questo Mathew di cui parli, io… era solo un dannato incubo ricorrente Matt, davvero-

Matt mi guardò dritto negli occhi, serio

-Che cosa hai sognato Mimi?-

In quel preciso momento, so di avere dato effettivamente inizio a tutto quanto. Credo di averlo già detto fin troppe volte, ma tutto quanto si è messo in moto così, con noi due, in quell’aula, a parlare come mai avevamo fatto in vita nostra. A posteriori è facile capire quali sono i momenti fondamentali di una vita, e ora, a distanza di molti anni dai fatti di cui sto parlando, so che quello è stato il principio di tutto quanto. Se non fossi andata quel giorno nell’aula di musica, e avessi seguito Izzi e fossi andata a pranzare come sempre, forse ora non sarei qui e forse tutto questo sarebbe rimasto solo un episodio secondario e probabilmente del tutto dimenticabile della mia vita. Invece ero lì, in quel caldo primo pomeriggio di settembre, nell’aula vuota di musica della nostra scuola, con Matt, che mi guardava, preoccupato e incuriosito da tutta questa strana, folle e assurda vicenda che mi stava riguardando. E avrei, forse, ancora potuto avere una vita normale se avessi liquidato semplicemente la cosa per quello che doveva essere, un incubo, uno stupito incubo magari generato dal mio subconscio in un periodo di stress e di cambiamenti radicali della mia vita. Invece non l’ho fatto, non ho chiuso il discorso, perché ci fu qualcosa in tutto quel contesto, che mi urlò di parlare con Matt e di confidarmi con lui. E così feci, l’ho guardato dritto negli occhi e ho scatenato tutto il resto di questa storia con una semplice e sola frase

-Stavo correndo, inseguita da qualcuno, qualcuno che stava cercando di uccidermi-

 

 

 

 

 

**************************************************************************

 

Ciao a tutti.

Non so cosa mi abbia spinto dopo molti anni dal primo capitolo pubblicato di questa storia, a riprendere in mano tutto quanto e a continuare. Forse il fatto che questa storia è stata la prima vera trama di una fanfiction a cui abbia mai pensato. Ovviamente la struttura è un po’ cambiata negli anni, ma i concetti fondamentali non lo sono affatto. E così in questa calda estate, ho deciso di tornare a riscriverla, e a ricondividerla con chiunque voglia leggerla. Io ringrazio chiunque abbia voluto leggere questo capitolo, chiunque abbia voluto dedicare un po’ del suo tempo a questa storia. Ovviamente se volete lasciare una recensione siete sempre i bene accetti, anche per critiche ovviamente, sono sempre contenta di leggere ciò che uno può pensare, perché magari nella mia testa tutto funziona perfettamente, ma poi in prosa no, quindi chiunque mi voglia fare notare difetti o errori, nessun problema e fatevi avanti.

Una piccola nota di precisazione: sto dando per scontato che chi legge questa storia conosca già i personaggi, ecco il motivo per cui non ho fatto una introduzione dei personaggi. Quindi non troverete descrizioni fisiche di personaggi che sono già comparsi nell’anime, ovviamente ci sarà qualcosa, ma credo che darò molte informazioni per scontate. Spero non adiate questa scelta e capiate il senso di questo discorso. Il racconto che fa Mimi è come fosse scritto sotto forma di diario, e in un diario personale, molto spesso si danno molte informazioni per scontate perché chi è destinato a leggere le cose scritte di solito è proprio chi ha scritto nel diario. Quindi questo è lo stesso approccio che ho adottato qui, ma come ho già detto, se questo mio modo fosse decisamente troppo sbagliato, fatemelo sapere e provvederò magari ad integrare delle parti.

Infine, ma non per ultimo, compariranno più o meno tutti i personaggi principali dell’anime, anzi, per alcuni ci sarà un ruolo molto importante nella storia, solo che in questo capitolo non c’era modo di inserirli già tutti.

Io come sempre, ringrazio tutti coloro che sono capitati qui e se vorrete, ci vediamo per il prossimo capitolo. Un bacione, dalla vostra

Juls

 

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Digimon > Digimon Adventure / Vai alla pagina dell'autore: Juls18