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Autore: EmmaJTurner    14/08/2023    4 recensioni
Anja, botanica che sopravvive con la sua arte raccogliendo e vendendo erbe ai clienti più disparati nella regione fantastica di Zolden, stavolta ha scelto una missione pericolosa: raccogliere fiori di sambuco durante la luna piena. Anja assume quindi Riven, di professione ammazzamostri, per proteggerla dai licantropi.
Anja e Riven, all’inizio concentrati nel loro quieto vagabondare in splendidi boschi traboccanti di specie botaniche e creature fatate, capiranno presto di condividere un raro legale di sangue che per il loro bene - e quello di tutti - deve essere spezzato.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Verbena 

Anja si era rimessa in fretta e Thalia, rassicurata ormai che la sua amica non sarebbe schiattata da un momento all’altro, era tornata a essere la maga silenziosa e affaccendata di sempre. Passava le giornate a borbottare sul suo calderone e a curare l’orto, a dipingere quadri di dubbio gusto e a scrivere chissà cosa in uno dei suoi mille taccuini rilegati di pelle.

Esattamente quattro giorno dopo l’imprevisto - come le piaceva chiamarlo -, Anja si presentò davanti alla strega con un foglio di pergamena in pugno e un’espressione truffaldina negli occhi.

“Thalia. Tu sai che giorno è oggi”.

La strega non alzò il naso dal suo libro. “Lo so”.

“Devi lasciarmi andare. È la vigilia di Litha. La mia ferita è praticamente guarita. E so per certo che hai finito la verbena, perché è scritta proprio qui nella mia lista”. Anja sventolò il pezzo di carta incriminato. “Devi lasciarmi andare”.

Thalia si impegnò a mantenere un’espressione indifferente. “Non ti sei ancora rimessa del tutto. È un miracolo che la ferita sia guarita così in fretta, ma questo non significa che tu possa camminare per ore per i boschi così presto. Stavi per morire, accidentaccio a te”.

“Thalia. È Lithe. Il solstizio. La verbena del solstizio”.

La strega si morse un labbro. Stava cedendo, Anja lo sapeva. Giocò la sua carta vincente.

“Riven verrà con me”.

“D’accordo!” cedette la strega, chiudendo il libro di scatto. “D’accordo. Ma non farmene pentire”.

Anja fece un verso di vittoria, disse che avrebbe preso le rose dalla serra e corse a informare Riven. Si sarebbero mossi al tramonto; non c’era tempo da perdere.

***

Anja e Riven camminavano da ormai due ore. Le stelle brillavano alte sopra di loro, disinteressate, e un profumo di pini e di estate riempiva loro le narici. Anja, esaltata di essere finalmente libera, ciarlava senza freni.

“I maghi e le streghe, sai, a causa dei loro poteri eccezionali, spesso non sono benvoluti nelle celebrazioni del piccolo popolo” stava dicendo “per questioni di interferenze magiche, pare. Ma fanno un’eccezione per gli umani - e non”. Buttò lì. “Tu…” Anja fece una pausa. “Non sei un mago”. 

“No”.

Gli lasciò una pausa incoraggiante per aggiungere altro, ma quando si trascinò fino a diventare imbarazzante, Anja fece finta di niente. 

“Gli umani possono osservare i riti - non parteciparvi attivamente, ovvio - se portano un dono gradito al piccolo popolo” continuò. Porse a Riven una delle due rose che teneva in mano, quella bianca. “Le fate sono vanitose e amano le cose belle”. Riven osservò i petali candidi davanti al suo naso e afferrò con cautela il gambo spinato. “Questo è il tuo dono per loro” gli spiegò.

Anja tornò a recitare il passo del libro di botanica che ormai aveva imparato a memoria. “I riti del piccolo popolo si tengono durante i sabbat dell’anno pagano in luoghi specifici che si caricano di energia. Per questo motivo, le erbe officinali raccolte in seguito a questi eventi possiedono poteri magici e curativi in misura maggiore, garantendo al mago o alla strega che le utilizzerà incanti di eccezionale efficacia”.

Anja si bloccò in mezzo al sentiero, guardò a sinistra, e si incamminò sicura tra gli alberi. Riven la seguì.

 “Ah, e potresti sentirti strano quando tutto sarà finito. È normale, e gli effetti non durano molto” aggiunse Anja.

“Di che effetti stiamo parlando?”.

“Lo scoprirai”. Anja si concesse di essere lei, per una volta, quella enigmatica. “Tu non toccare niente, non dire niente, e fai quello che faccio io”.

Arrivarono ad una piccola radura ricoperta di trifoglio. Al centro spiccava una quercia nana, le lucenti foglie lobate color del verde chiaro, sul cui tronco ricurvo si arrampicava uno splendido roseto in fiore. L’albero era circondato da un perfetto anello di rocce piatte. 

“Siamo arrivati” disse Anja.

Si sentiva un’energia diversa, in quel luogo. Anja, seppur umana, la percepiva come una tenue corrente calda sui peli delle braccia.

Indicò le rocce. “Qualunque cosa succeda, non entrare nel cerchio” lo avvertì in un sussurro. Riven stava per replicare, quando il primo colpo riecheggiò nel bosco.

“È ora” disse Anja, sedendosi. “Silenzio”.

Seguì una lunga pausa, poi un secondo colpo riverberò da sotto di loro, dal manto di trifogli, dalla terra stessa.

Lentamente, lucciole gialle e verdi si mossero verso la piccola quercia. Un soffio di vento accarezzò la chioma dell’albero, che parve muoversi di vita ultraterrena. La cascata di rose bianche perve, per un attimo, l’abito di una dea dei boschi, una dea fatta di foglie e legno vivente.

Il tempo parve fremere e stirarsi, assottigliarsi, allungandosi in infiniti minuti e ore millenarie. Terzo colpo. Anja fremette di anticipazione.

Infine comparvero le fate. Erano piccole creature vestite di fiori con ali di farfalla, alte meno di un palmo, con guance rosa e nasini all’insù. La loro pelle emanava un alone di luce dorata. Le fate si salutarono, fecero la riverenza, risero e si abbracciarono. 

Anja si alzò, fece un inchino e posò la rosa a terra, fuori dal cerchio di pietre. Quando due fatine smisero di ridere dietro le manine e ricambiarono l’inchino, Anja si portò una mano sul cuore e si sedette di nuovo. Con la coda dell’occhio vide Riven fare lo stesso.

Le fatine, tutte sorrisi e risate dorate, si lisciarono i vestitini di petali e si presero per mano. Le lucciole si posarono sulla quercia sacra al centro del cerchio; una melodia di flauti e campanelle d’argento risalì dagli alberi. 

E le fate cominciarono a danzare.

Anja lo sentì subito alla testa, come quando beveva troppo vino troppo in fretta: una sorta di sbandamento, di debolezza piacevole e sgradevole insieme. Scivolò lentamente in uno stato di quieta euforia.

Le fate girarono, tenendosi per mano, lungo il sentiero di pietra; i loro piedini ripetevano lo stesso movimento da migliaia di anni, marchiando la roccia viva di rune incantate. Una catena di luce illuminava ora la piccola radura, e la quercia sacra, vestita di rose, parve distendere i rami verso il cielo.

La musica ondeggiò e crebbe, la danza si fece più ammaliante e veloce. Anja non riusciva più a muoversi, rapita, intontita, in estasi.

La musica si innalzò in un crescendo inadatto a orecchie umane; in un trillo che faceva fischiare le orecchie, le fate vorticarono in un ultimo folle giro di ali e leggerezza, un riverbero di risate e di luce ultraterrena. 

E poi, tutto fu buio.

Anja si riscosse dopo quelli che sembrarono pochi minuti e un’eternità. Riven, accanto a lei, dormiva.

Era l’alba. La radura luccicava di rugiada. Le fatine, sorridenti e ubriache, dormivano sotto i funghi e dentro le corolle dei fiori.

Anja si alzò. Era l’ora precisa per raccogliere le piante della radura, traboccanti di straordinario potere magico. Con i muscoli indolenziti e un sorriso inebetito in faccia, Anja raccolse i lunghi steli di verbena, facendo attenzione utilizzare solo la mano destra. Lavorò con lentezza, il cervello annegato in un dolce torpore. A lungo si godette la serenità di quel momento di solitudine; il fruscio dei fiori sulla gonna; i colori dell’alba sopra le chiome.

“Riven, svegliati. Abbiamo finito” gli sussurrò, sfiorandogli la spalla.

Riven aprì gli occhi. 

Anja, stremata dal recente effluvio di potere magico di quel luogo, fu scossa dal suo sguardo fin dentro l’anima. Boccheggiò e barcollò, cadendo seduta. Si mise a ridere. Lui rise con lei. In quello stato di intorpidimento e ubriachezza, Anja pensò di volerlo baciare. 

Tornarono a casa con la ridarella e addosso un senso di lenta euforia. Anja depositò la verbena sul tavolo in cucina e, ancora con le mani sulla bocca per celare il rumore delle risate, crollò a letto.

***

Si svegliò in una piacevole sensazione di calore. Con la mente annebbiata, Anja registrò che non era sola nel suo letto; era abbracciata contro la schiena di qualcuno, il viso posato proprio in mezzo alle scapole. Con un lentissimo, faticosissimo sforzo mentale, capì che quel qualcuno era Riven. Il suo cervello piatto non registrò nessun problema al riguardo. Si strinse di più a lui, allargando le mani sul suo petto.

Riven, destato, si districò dall’abbraccio e si voltò. Di nuovo, il potere dei suoi occhi fu un colpo difficile da assorbire. 

Lui la guardò a lungo, disorientato. 

Era vicino, troppo vicino, pensò Anja. Allo stesso tempo, non lo era abbastanza. Sollevò il viso in una domanda silenziosa, ma lui si ritrasse e si alzò dal letto. Il suo viso era turbato.

Separata dal suo sguardo e dal suo tocco, la realtà colpì Anja come un secchio di acqua gelata. Deglutì e arrossì. Lo aveva appena molestato? 

“Io… ehm… scusami, non…”.

Riven si passò una mano sulla faccia e tra i capelli. Una crescente consapevolezza si stava facendo strada nella sua espressione.

“Non dire niente” la interruppe, costernato. 

Thalia scelse quel momento per bussare alla porta della camera.

“Avanti” dissero Riven e Anja all’unisono.

Thalia entrò e si bloccò; aveva percepito l’atmosfera della stanza. Non era una strega mica per niente.

Riven, con una nota di ansia nella voce, fece un passo verso di lei: “Strega. Posso parlarti un momento?” 

Thalia, le sopracciglia rosse sollevate, annuì.

Anja, confusa, curiosa e gelosa, li guardò dalla finestra uscire dal cottage. Di cosa dovevano parlare, così tutt'a un tratto? Doveva origliare? Voleva origliare? No, non poteva. Infilò la testa sotto la trapunta e affogò nel suo imbarazzo.
   
 
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