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Autore: EmmaJTurner    23/08/2023    2 recensioni
Anja, botanica che sopravvive con la sua arte raccogliendo e vendendo erbe ai clienti più disparati nella regione fantastica di Zolden, stavolta ha scelto una missione pericolosa: raccogliere fiori di sambuco durante la luna piena. Anja assume quindi Riven, di professione ammazzamostri, per proteggerla dai licantropi.
Anja e Riven, all’inizio concentrati nel loro quieto vagabondare in splendidi boschi traboccanti di specie botaniche e creature fatate, capiranno presto di condividere un raro legale di sangue che per il loro bene - e quello di tutti - deve essere spezzato.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Soulmate!AU | Avvertimenti: nessuno
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Aconito

Orion Delacourt era un mago molto magro, pelato, con un corto pizzetto bianco e occhi gentili. La prima impressione che ne ebbe Anja fu positiva. Lo conosceva di fama, ovviamente, ma non era mai stato un suo cliente diretto: a volte, per richieste specifiche, era stato Zachary a fare da tramite tra loro due. Anja gli diede una sessantina d’anni, ma probabilmente erano molti di più. Indossava una tunica verde e blu lunga fino a terra e un mantello bordato di pelliccia che strisciava sui tappeti e sul pavimento di pietra. 

Dopo i leciti convenevoli, Orion si disse molto sorpreso nell'apprendere che Thalia non aveva preso un abbaglio: lei e Riv erano davvero un anomalo caso interrazziale di draghi predestinati. “In tutta onestà” ammise “ero convinto che Nathalia si fosse sbagliata. E invece eccovi qui, in carne ed ossa, un caso magico che non avrei mai immaginato di incontrare in tutta la mia vita”.

L’ospitalità di Delacourt fu spiccia ma gradevole. Anja fece appena in tempo a registrare gli interni spogli e rigidi del castello, che il mago li condusse nel suo studio, una stanza squadrata con un’enorme scrivania in mezzo e una mole di attrezzatura degna di un laboratorio di chimica. Li fece accomodare e si sedette su una poltrona imbottita al di là della scrivania, da dove li studiò con occhi attenti. Anja riconobbe perspicacia e intelligenza fuori dal comune in quelle fessure azzurre.

“Orbene. Nathalia mi ha spiegato che vi siete incontrati per caso e che, come un improbabile scherzo del destino, è scattato il legame magico. E siete qui per capire come risolvere la cosa. Ditemi quindi: come vorreste procedere?”.

Anja, sentendosi molto uno scherzo del destino, rispose: "Speravamo che ce lo dicesse lei, signore. Thalia ci ha detto che avere questo legame è pericoloso a causa di… magie? Che si potrebbero fare con il sangue di due draghi predestinati. Noi non vogliamo rogne, quindi vorremmo spezzare il legame.”

Anja vide Orion allargare gli occhi per la sorpresa, e subito riprendere controllo di sé.  “Spezzarlo? Oh. Ok. E chi dei due vuole morire?”

Riven sollevò un sopracciglio. Anja sbatté gli occhi. “... nessuno?”.

“Ah. Bè, questo complica le cose”.

Li stava prendendo in giro? Anja non ne era certa.

Il mago si rilassò contro lo schienale della sedia imbottita, unì i polpastrelli delle due mani e posò gli indici davanti alla bocca. “Mmm. D’altronde, non essendo il legame attivo tra due draghi di sangue puro, forse… potrebbe essere fattibile. Mi serviranno un giorno o due per fare le opportune ricerche. È comunque mio dovere avvisarvi che potrebbe trattarsi di una procedura lunga e difficile. Possibilmente dolorosa. Sicuramente estenuante. E non ci sono garanzie di successo. Volete comunque procedere?”.

Anja e Riven si lanciarono un’occhiata. Un effluvio di pace tranquillizzò la ragazza. “Va bene. Procediamo”

“D’accordo allora. Vi avviserò non appena avrò raccolto tutte le informazioni necessarie. Nel frattempo, siete benvenuti a passare la notte qui”.

***

A quella altitudine anche le notti di giugno erano gelide. Anja si strinse nella sua coperta di pelliccia, incapace di prendere sonno. Era nervosa. E sola.

A lei e Riven erano state assegnate due stanze separate al secondo piano, ma la forza invisibile che la attraeva a lui non le dava tregua. E sapeva che, con solo due porte e un corridoio a separarli, non avrebbe resistito molto. 

Rossa in viso, si ritrovò a bussare alla sua porta. Quando Riven le aprì, Anja fu certa che nemmeno lui aveva chiuso occhio. Il suo sguardo era fosco dietro le iridi verdi, e i capelli grigi scompigliati come se si fosse rigirato troppo sul cuscino. Anja pensò che fosse bellissimo. Voleva baciarlo di nuovo. Era una tortura.

Gli disse che non riusciva a dormire. Lui la fece entrare senza fare domande. Anja si appoggiò al cornicione della finestra e guardò fuori. Era una notte fredda e limpida: la luna calante illuminava le poche nuvole e i picchi bianchissimi in lontananza; i fiori candidi di stramonio punteggiavano il prato sotto di loro, quasi fluorescenti nell’oscurità.

Riven, anche lui attratto dalla stessa forza invisibile, si appoggiò alla finestra accanto a lei e le accarezzò distrattamente la mano posata sul cornicione. Parlarono dell’incontro appena avvenuto, concordando sul fatto di essere in buone mani e condividendo la speranza che tutto sarebbe finito presto. Anja ingoiò la sua preoccupazione e fissò le loro mani unite.

“E cosa farai… dopo?” gli chiese lei.

“Tornerò a casa, suppongo”.

“Al tuo tesoro”.

“Al mio tesoro”.

Lei sentì una punta di tristezza. Ma si disse che era un sentimento falso e immaginario, dovuto alla loro condizione fuori dall’ordinario, e di cui presto si sarebbero liberati.

Questo non le impedì di aggiungere: “Puoi abbracciarmi?”.

Riven eseguì senza esitare. Si spostò dietro di lei e la abbracciò da dietro, petto contro schiena. Anja si sentì sciogliere e, ormai senza remore, strusciò la testa contro il suo collo. “Perché è così maledettamente bello?”.

Sentì Riven ridere sui suoi capelli. “È questo il punto. Deve essere bello. Meraviglioso. Irripetibile”.

“E noi lo stiamo per distruggere”.

“Per il bene di entrambi. Sappiamo che è pericoloso. Niente ripensamenti, Anja”.

“Hai ragione. Maledizione, perché devono avere tutti ragione tranne me?”.

Riven rise di nuovo, un suono basso e dolce contro la sua tempia. “Preferiresti che ti rapissi e ti rinchiudessi per sempre nel mio antro dentro la montagna?”.

“Mm. Suona molto molto bene, in realtà”.

“Smettila” disse, baciandole la tempia “di provocarmi”.

“Non sto facendo niente”.

“Ah no? Chi è venuto a bussare alla mia porta nel cuore della notte?”.

Anja si morse un labbro. “È molto difficile resistere”.

Riven si irrigidì appena. “Lo so”.

Anja si voltò verso di lui. “Dovremmo…?”.

Gli occhi di Riven erano verdi e serissimi. “Non dovremmo”.

“Lo faremo lo stesso?”.

“Probabilmente sì”. Riven abbassò il viso su di lei e la baciò.

Anja non aspettava altro. Ricambiò con irruenza, lanciandogli le braccia al collo e facendo aderire il torace a quello di lui. La stanza attorno a loro vorticò e smise di esistere mentre labbra morbide prima, e lingue impertinenti poi, si esploravano con dolcezza. Annegata nell’estasi di quel bacio fuori dal tempo e dallo spazio, confusa, ansimante e con le vertigini, Anja si staccò un istante per riprendere fiato. Riven aveva le braccia agganciate attorno alla sua vita e la guardava con occhi appannati da un sentimento a cui era impossibile dare un nome. Il respiro rapido e spezzato contro le sue labbra le confermò che era su di giri quanto lei. Era incredibile. Era pazzesco. 

Era una sfiga indecente.

Anja si rigettò nel bacio. E tutto sparì di nuovo.

***

Il giorno seguente non parlarono del fatto che quella notte avevano di nuovo dormito abbracciati come due ragazzini innamorati. Era tutto assolutamente ridicolo, e bellissimo, e disgraziato. E presto, auspicabilmente, sarebbe finito.

Anja tornò nella sua stanza per vestirsi. Una volta pronta bloccò Riven nel corridoio e gli porse un pugno chiuso. 

“Da oggi” gli disse con un sorriso incoraggiante “non ti servirà più sapere dove sono”. Aprì le dita: sul palmo giaceva la sua catenina d’oro. Con espressione accigliata, Riv prese la collana e scese le scale che portavano alla sala principale.

Lei lo seguì giù per le scale e lungo il corridoio male illuminato. Il castello di Delacour era buio e spoglio, soprattutto se confrontato con il caldo e stipatissimo arredamento della torre di Zachary. Pochi oggetti sobri e funzionali, qualche candelabro, qualche tappeto di lana intrecciata, le pareti di nuda pietra gelide al tatto. Era chiaro che a Orion Delacourt non interessava fare colpo sugli ospiti. Il che, ragionò Anja, aveva perfettamente senso: dopotutto, viveva in un eremo a quasi duemila metri. Un ottimo modo per evitare la gente nella sua interezza.

Orion li attendeva sul lungo tavolo da pranzo. La colazione era pronta, calda e abbondante. Il mago fece loro un gran sorriso.

“Siamo pronti?”.

***

Anja fissava l’aconito sulla credenza. Gli splendidi fiori a grappolo erano stati posati distrattamente su una mensola. Senza vaso né acqua ormai pendevano flosci, ma erano ancora di un viola intenso.

Anja sapeva che bastavano sei grammi di aconito per uccidere un uomo adulto. L’ingestione di una qualsiasi parte della pianta causava perdita di sensibilità, senso di angoscia, rallentamento della respirazione, indebolimento cardiaco, formicolio al viso, ronzio alle orecchie, disturbi della vista. Poteva anche causare contrazioni della gola e, come sgradevole effetto collaterale, portare alla morte per asfissia.

Anja pensò, in un guizzo di isteria, che le sembrava di avere tutti i sintomi.

Non era vero, ovviamente. Guardò il mago seduto sulla scrivania di fronte a lei. Erano passati due giorni, e da Orion Delacourt si erano subito sentiti i benvenuti. Avevano dormito e mangiato secondo le sacre regole dell’ospitalità. E molti chimici e maghi tenevano l’aconito nella loro dispensa, in quanto utile in diverse preparazioni. Non tutte legali, certo; ma tant’è. 

Anja tornò a concentrarsi su quello che il mago stava dicendo.

“...il problema sta nel sangue, quindi sul sangue bisogna agire. Partiremo con un incantesimo per rivelare il gene del sangue colpevole di questo legame - il gene del drago” fece un cenno verso Riven. “E poi ritrovare lo stesso gene - o antigene - nel tuo sangue, ragazzina” concluse, guardandola.

Anja incassò il “ragazzina” con un moto di stizza, ma non disse nulla.

“Credo che nessun mago al mondo possa fare molto sul sangue puro di un drago. Per questo motivo cercheremo di spezzare l’incantesimo dalla tua parte…”

“Anja”.

“...Anja. Una volta individuati i due geni gemelli, potremmo effettuare un incantesimo di mutazione e poi eliminarli dal tuo flusso sanguigno con un buon salasso alla vecchia maniera. La procedura sarà possibile tramite il macchinario che vedete qui” indicò con un gesto una scatola di ottone con tre rotelle dentate. “E sarà forse necessario assumere delle erbe miorilassanti per evitare contrazioni involontarie durante l’operazione”.

Seguì un silenzio imbarazzante.

“Non credo di aver capito bene. Lei vorrebbe… cambiare il mio sangue?”

“Quasi. Si tratterebbe di individuare gli elementi magici e di tentare di… smorzarli”

Anja deglutì. “E questo cosa comporterebbe?”

“Difficile da prevedere con certezza, ma oserei dire che non ci saranno effetti collaterali a lungo termine. O funziona, e il legame di spezza, o non funziona, e tutto resterà esattamente come è ora. Ovviamente, sarà un incanto complesso, lungo e doloroso, come tutte le magie di mutazione. E, che io sappia, mai eseguito prima per questo caso specifico: non ci sono quindi garanzie di successo. Volete comunque procedere?”.

Niente ripensamenti. Anja annuì. Il suo sguardo corse però ai fiori viola sulla mensola. Ad Orion la cosa non sfuggì. “Aconito, eh? L’ho raccolto proprio ieri. Uno dei veleni più tossici presenti in natura, come immagino ben saprai. Potremmo contrapporlo al sangue di drago, che è invece una delle cure più potenti”.

Delacourt si alzò e sollevò il misterioso marchingegno quadrato che aveva posato sulla scrivania. Nello stesso momento, un fiore di aconito si staccò dal gambo floscio e volò a terra.

“Molto bene. Seguitemi”.

***

In linea teorica, ad Anja stava bene tutto. In pratica, quando scesero la ripida scala a chiocciola e sbucarono nel laboratorio sotterraneo del mago, si sentì molto meno convinta della sua decisione.

Il laboratorio era una bassa stanza di pietra affollata di strumenti e macchinari dall’aria sinistra. Un calderone sobbolliva nel camino emettendo una pulsante luce violetta. Orion rianimò le fiamme con un guizzo delle dita e la stanza si fece più luminosa. Due lettini con legacci di cuoio erano stati preparati ai lati di un tavolo su cui era stesa una stuoia di pinze, bisturi, aghi e coltelli. 

Orion li fece accomodare sui due diversi lettini e, con la stessa procedura che avevano visto da Thalia, praticò l’estrazione di sangue prima a Riven, poi a lei. Anja osservò ansiosamente il sangue scorrere nella cannula trasparente fino a colare dentro al preposto contenitore di vetro. Due fiale furono riempite molto velocemente. 

Tenendo un pezzo di garza nell'incavo del braccio per fermare l'emorragia, Anja scrutò le due boccette affiancate sul tavolo. Parevano identiche, con lo stesso liquido rosso intrappolato immobile nel vetro. Era tutto lì, il loro problema; la sfiga cosmica; lo scherzo del destino. Due maledette fiale di vetro.

Orion afferrò la fiala con il sangue di Riven e ne versò due gocce in una voluminosa ampolla piena di vapore bianco. Il vapore divenne oro con uno sfrigolio. Prese poi la fiala di Anja e fece lo stesso in una seconda ampolla; il vapore sfrigolò allo stesso modo, ma si tinse dapprima di un giallo pallido, e poi di rosa intenso.

“La conferma” mormorò il mago, guardando fisso entrambe le ampolle vaporose. Stringeva ancora in mano la fiala con il suo sangue. Anja notò che ticchettava nervosamente con il pollice sul tappo.

“Possiamo procedere. Stenditi qui” disse ad Anja. Lei si allungò sul lettino. Il mago prelevò un ago d’argento dalla stuoia sul tavolo. “Ora ti inietterò un miorilassante. Poi procederò con l’incantesimo di rilevazione” le spiegò, gentile. 

Anja annuì. Cercò rassicurazione da Riven, ma gli occhi dell’uomo erano fissi sull’ago che le stava bucando di nuovo l’avambraccio. Il mago afferrò uno strumento tubolare in vetro e metallo con una vite e un liquido viola all’interno, lo agganciò all’ago e cominciò a far ruotare la vite tramite una farfalla. Era un sistema a pistone, capì Anja, che premeva il liquido dallo strumento di vetro verso l’ago d’argento, e da lì dentro il suo corpo. Si sforzò di interessarsi alla meccanica della cosa per non pensare con inquietudine al liquido misterioso che veniva pompato dentro di lei.

Si sentì molto flaccida molto in fretta. Delacourt borbottava tra sé. Riven non parlava, ma Anja percepiva il suo sguardo preoccupato.

L’ago venne rimosso. “Ora, l’incantesimo di rilevazione” disse Orion. “Non dovrebbe essere doloroso, ma potrebbe darti fastidio”. Sollevò entrambe le mani e le avvicinò al suo viso, senza toccarlo. I palmi si illuminarono di azzurro e Anja percepì un pizzicore partire da in mezzo agli occhi e diffondersi sulla fronte, sulle guance, su tutto il cuoio capelluto. Con lo spostarsi delle mani del mago sopra il suo corpo, il pizzicore si spostò lungo il collo, le spalle, il petto. Anja gemette quando arrivò alla ferita. Bruciava.

“Ferita magica?” chiese il mago. Anja annuì. Orion proseguì la sua analisi su tutto il corpo. Anche quando la luce azzurra si spense, ai piedi di Anja, il pizzicore rimase intenso e fastidioso. Le sembrava di avere centinaia di formiche che le camminavano sottopelle.

“Bene. La rilevazione è chiara. Ora dovrò procedere con la mutazione. Questo… potrebbe fare male” disse Orion. Afferrò le cinghie di cuoio e iniziò a legarle i polsi ai lati del lettino. Quando passò a tapparle la bocca con un canovaccio, Riven si allarmò. “È proprio necessario?” 

“È per il suo bene” confermò Delacourt.

Legata, imbavagliata, con le membra flaccide e mille formiche immaginarie addosso, Anja stava cominciando a preoccuparsi.

Orion Delacourt disegnò un intricato gesto con entrambe le mani. “Pronta?”

Anja guardò Riven; le diede quel poco di coraggio che le mancava. Annuì. 

Il dolore le schiacciò i polmoni e le tolse il fiato. Il pizzicore diventò un bruciore feroce, denso come lava nelle sue vene straziate. La vista si fece opaca, e un rumore continuo e rombante le riempì le orecchie. Anja urlò e urlò, la voce soffocata nella stoffa del bavaglio. Durò un’eternità.

Poi Orion abbassò le mani e il dolore si prosciugò, lasciandola svuotata e ansante.

“Molto bene” sentì dire.

Ci fu un trafficare di oggetti di vetro e metallo. Sentì due aghi bucarle di nuovo la pelle, uno per ogni braccio. Due cannula trasparenti vennero collegate ad un macchinario con tre rotelle dentate e una sacca a imbuto.

Anja sentì che stava entrando nel panico. Sull’orlo delle lacrime, guardò Riv. Riven ricambiò il suo sguardo preoccupato.

In una serie di sbuffi e scricchiolii di ingranaggi, la macchina entrò in azione. Le cannule trasparenti cominciarono a risucchiare il sangue dalle vene. La sacca a imbuto divenne verde, poi rossa, poi viola. 

Anja sentì le forze abbandonarla. Cercò di parlare, ma lo straccio glielo impediva. 

Le mani del mago crearono di nuovo un simbolo arcano. Anja roteò gli occhi dentro la testa e urlò il suo strazio nel bavaglio intriso di bava. 

La seconda sessione, se possibile, durò più della prima. Quando il dolore si spense, Anja pensò di galleggiare in una bolla di acqua tiepida, senza suono, senza peso. Non capiva più niente.

Nel girare delle rotelle dentate, le cannule continuavano a succhiare. “Troppo sangue” mormorò Riv. “Sta togliendo troppo sangue” disse al mago. Anja percepì il timore nella sua voce. Le si stavano chiudendo gli occhi. Il sangue si era fatto acqua gelida nelle sue vene.

“È solo parte drago” disse il mago. “Probabilmente, perché funzioni…” Orion le si avvicinò e la fissò con quei suoi intelligenti occhi azzurri. Anja ormai non sentiva quasi più nulla. 

“...dovremo dissanguarla”.

Anja intravide il baluginio di un coltello e un nuovo dolore la colpì sul polso destro. Le cinghie tirarono e si spaccarono sotto la ferocia di unghie affilate. La macchina si fermò in un baccano di fischi e ingranaggi spaccati. 

Orion urlò: “Fermo! Così rovinerai tutto!”

“Non erano questi gli accordi!” ruggì più forte Riven.

Anja si sentì strattonare e sollevare. Ora occhi verdi la fissavano. “Stai con me. Stai con me, Anja”. Nel dolore, nel freddo e nel vuoto, Anja si sentì di nuovo leggera.

In un battito di ciglia, Riv non era più lì. Al suo posto c’era un enorme drago grigio, che abbatté il soffitto di pietra e con un ruggito spiccò il volo.

   
 
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