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Autore: Yssis    04/11/2023    0 recensioni
-Quello che voglio dire è… Siamo cresciuti in questi anni, e sono successe molte cose, ma tu sei sempre rimasto. Per me. In me. I-Intendo che sei importante. Ecco. Ho sempre pensato che fossimo semplicemente piccoli, e beh sono cose che capitano no?, ma ora tu sei qui e rivederti è stato davvero stupendo e io. Lo penso ancora. Dovevo dirtelo. Sì.-
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Nella vita di Kidou Yuuto ci sono sempre state molte incertezze, ma un fatto è sempre rimasto incrollabile: la sua crush per Gouenji Shuuya. Durante gli anni delle scuole superiori, Kidou "ci mette una pietra sopra", Gouenji non è più così irrimediabilmente eterosessuale, Haruna e Fudou si divertono a loro spese e, fra una cosa e l'altra, Yuuka ottiene un cucciolo.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Axel/Shuuya, Caleb/Akio, Jude/Yuuto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Kidou era seduto su una panchina adiacente il campo da calcio della scuola, punto di incontro stabilito con Gouenji per condividere la pausa pranzo dopo le lezioni. La sua postura rigida e distaccata tradiva la sua agitazione, ma solo allo sguardo svogliato e distratto di alcuni studenti che passavano di là, in disastroso ritardo oppure largamente in anticipo. Teneva appoggiato sulle gambe un giornalino sportivo, di cui studiava le immagini per intuire il testo scritto. Insomma, era lì da un paio di settimane, ma la lingua tedesca gli risultava ancora completamente oscura. Era stata davvero una pessima idea, come poteva pensare che sarebbe servito a qualcosa? Sì insomma… Rivedere Gouenji era stato bellissimo e poter passare tutto quel tempo con lui… Da soli… O meglio, da soli senza i loro soliti compagni di squadra . Gouenji, pur trovandosi dall’altra parte del mondo, era rimasto lo stesso: taciturno ma popolare, introverso eppure vanitoso, riservato e dannatamente, irrimediabilmente, terribilmente affascinante. E consapevole di esserlo, dannazione! Si era subito fatto degli amici, frequentava delle ragazze carine, usciva la sera, parlava così serenamente un’altra lingua… Sembrava così… A suo agio, così lontano da casa, così lontano dalle sue abitudini, da tutto quello che avevano condiviso…

Gouenji, dopo essere tornati da Liocott Island con il trofeo ed essersi diplomati, era partito per la Germania, come d’accordo con suo padre. Avrebbe svolto lì i tre anni di scuole superiori, preparatori per i corsi universitari di medicina. Era passato un anno e mezzo da allora e i ragazzi non avevano più avuto occasioni di vedersi; finché Kidou, in concomitanza con le vacanze invernali del suo secondo anno di scuole superiori, non aveva convinto suo padre a permettergli di passare l’ultimo trimestre dell’anno all’estero. Per potenziare le lingue straniere, chiaramente… Anche se il motivo per cui Yuuto aveva scelto proprio la Germania era…

Kidou, vergognoso a causa dei suoi stessi pensieri, arrossì, grato della protezione che gli occhialini gli garantivano, almeno in parte. La sua espressione, essendo lievemente nascosta, rimaneva alquanto indecifrabile e lui poteva giocare su quell’ambiguità per negare. Negare eh…? “ Non hai fatto altro che negare per tutta la vita, Yuuto, smettila! Per una volta sii onesto con te stesso, cazzo!” Perché ora gli tornavano in mente le parole di Fudou, accidenti? Lui non negava niente, anzi. Era venuto apposta in Germania per… La voce di Gouenji che chiamava il suo nome lo destò di colpo dal flusso dei suoi pensieri.

Si alzò subito in piedi, girandosi verso di lui e guardandolo arrivare. Indossava la divisa scolastica, un completo maschile dal taglio piuttosto formale e dai colori scuri, che facevano splendidamente risultare il biondo dei suoi capelli. Aveva deciso di lasciarli crescere, così alcune ciocche chiare adesso ricadevano sul suo collo e sulle spalle, conferendo al suo sguardo un’aria ancora più calda e seducente. Kidou non poteva credere che quel ragazzo stesse proprio camminando nella sua direzione, che i suoi occhi così netti e brillanti fossero su di lui, con tutte le altre meraviglie del mondo su cui potevano appoggiarsi. Era un vero miracolo. E forse doveva accontentarsi di quello, sì, di avere nella sua vita una così bella e carismatica persona…

-This is Kidou, a close Japanese friend of mine. Be kind, he came here ‘cause he want to improve his English for university. So no German language, take it as a training for you too, you need it eheh – mosse un passo in avanti verso di lui, come per accoglierlo, e gli dedicò un sorriso tenue e incoraggiante. Gouenji era davvero gentile, faceva in modo di presentare Yuuto a chiunque incontravano e si assicurava che nessuno fosse ostile o facesse domande scomode. In effetti erano amici, grandi amici … Per Endou avrebbe fatto lo stesso. Eh già.

In ogni caso avevano dei momenti dove erano effettivamente da soli, senza questi suoi nuovi amici che parlavano in maniera tanto veloce e caotica. Quando capitava e tornavano a rivolgersi l’uno all’altro nella loro lingua madre, Yuuto si sentiva davvero in pace. Il piacere che traeva dal raccontarsi a Gouenji, scherzare con lui, studiare come la sua espressione si addolciva quando parlava di temi che gli stavano a cuore e si infiammava quando invece il tema del discorso andava a stuzzicare il suo animo idealista, erano cose che Kidou avrebbe fatto per ore e ore, in loop, senza fermarsi mai. Avrebbe vissuto così, passeggiando con Gouenji al tramonto, guardandolo addentare un bretzel e osservare, fingendo di non darci importanza, come alcune briciole di cibo gli rimanevano impigliate alla stoffa della sciarpa. Semplicemente meraviglioso. Quando erano da lui guardavano le partite sintonizzati sui canali giapponesi, gli faceva assaggiare cibo locale e ricette tipiche, andavano per locali ad ascoltare musica, comprare dischi di artisti europei e ovviamente andavano alle partite che disputava Gouenji. In tutto quello spesso c’erano altri suoi amici, era vero. Ma a Kidou non importava, lui era insieme a Gouenji e anche in mezzo alla mischia poteva incontrare quegli occhi ipnotici e perdersi nelle loro ombre, sapendo che stavano guardando proprio lui.

Un giorno accade però una cosa del tutto inaspettata. Erano in un parco dopo le lezioni, chi seduto per terra, chi contro un albero, chi su un albero, chi comodamente stravaccato su una panchina e passavano così il tempo, godendosi il sole che, seppur pallido, non si era visto per alcuni giorni. Dicevano sciocchezze, commentavano le partite viste la domenica, alludevano a rispettive madri o sorelle o qualcosa del genere, Kidou non ci dava molta importanza. Era tutto intento a leggere un messaggio che gli aveva scritto Sakuma in merito ad una problematica che era sorta nel vicinato a causa del cane di sua zia – decisamente una rogna, ma perché doveva essere un problema di Sakuma? –, quando ad un tratto sentì distintamente Markus, un amico di Gouenji, chiamare il nome del suo amico con un tono molto strano. Kidou si voltò in tempo per assistere ad una scena a dir poco bizzarra. Non capiva cosa si stessero dicendo, fra loro avevano preso a punzecchiarsi in tedesco, ma era evidente che Markus stesse sfidando Gouenji in qualche tipo di cosa; essendo più alto del biondo, stava con la schiena leggermente reclinata in avanti, come a troneggiare su di lui, con un sorrisetto di sfida piuttosto divertito dipinto sul volto. Kidou stava per intervenire – anche se in effetti non aveva la più pallida idea di quello che si stavano dicendo e rischiava di fare una gran brutta figura –, ma Gouenji reagì in un modo da farlo pietrificare sul posto. Abbassò per un secondo lo sguardo, si morse il labbro e poi scattò in avanti, spingendolo contro l’albero e lasciandogli un bacio a stampo sulle labbra. A Markus. Un uomo . Kidou ringraziò l’anima di Kageyama per avergli donato quegli occhialini molti anni addietro: i suoi occhi erano completamente sbarrati dalla sorpresa e il motivo di tanto turbamento sarebbe stato a dir poco imbarazzante. Tutti intorno i ragazzi sghignazzavano, dandosi pacche sulle spalle, mentre i due, rimasti per un momento di troppo contro il tronco dell’albero spoglio, si ritraevano. Gouenji aveva le gote gonfie e uno sguardo a dir poco soddisfatto. Ma anche Markus sembrava divertito e sì, molto appagato.

Kidou non riusciva davvero a capacitarsene. Si allontanò fingendo una chiamata urgente da casa, cosa che gli permise di allontanarsi sufficientemente dal parco per fare mente locale. All’incirca cinque o sei isolati più avanti, continuava a camminare, senza meta, sbattendo le palpebre come uno che avesse appena visto un fantasma. Gouenji. Aveva baciato un ragazzo. Un maschio. Gouenji. Un ragazzo della sua età. Aveva baciato. Eh sì, davanti a lui. L’aveva proprio visto. Ed era stato lui. Magari era una scommessa? Un gioco, sì, uno scherzo. Decisamente. Non poteva essere altrimenti. Gouenji. Possibile? Eppure…

Questo non se lo aspettava nessuno. Proprio nessuno, nemmeno Fudou. Probabilmente. Al diavolo Fudou, maledetto lui e la sua folle idea di questo viaggio in Germania! E adesso? Che cosa avrebbe dovuto fare? Chiamarlo? Oh no, non ci pensava neanche a farsi sentire così agitato da Fudou, l’avrebbe preso in giro a vita… Ma Sakuma? Si sarebbe preoccupato… E poi l’avrebbe assillato tutti i giorni per avere aggiornamenti. No… Doveva pensare da solo. Doveva solo mantenere la calma. Non era mica successa una cosa così grave. O traumatica. Aveva solo visto Gouenji baciare un uomo. Gouenji. Baciare un altro uomo. Così, di getto. Sorridente. Con quel suo dannato sorriso magnetico, con quei suoi occhi scuri… Diamine! Perché si sentiva le ginocchia così tremanti adesso? E perché gli si appannavano gli occhialini? No, doveva mantenere la calma. C’era senz’altro una spiegazione ragionevole a tutto quello… E poi… In fondo era una bella notizia… o no? Una parte di lui era terrorizzata all’idea di chiedere spiegazioni a Gouenji, l’altra parte però era in fibrillazione all’idea… Alla sola idea… Che Gouenji… Potesse…

-Ehi Kidou! Sei qui, ti cerco da ore. Perché non rispondi al telefono?-

Kidou alzò lo sguardo, in preda alla confusione. Gouenji aveva accostato la macchina sul marciapiede dove stava camminando e aveva abbassato il finestrino del passeggero per attirare la sua attenzione. Era lì… Per lui?

-Mi hai… seguito?- barcollò Kidou, completamente disorientato. Poi guardandosi attorno realizzò di non avere la più pallida idea di dove stesse andando, in realtà. Gouenji accennò un sorriso, eppure il suo sguardo appariva corrucciato, serio.

-Pensavo che dopo la chiamata con tuo padre saresti tornato, visto che tardavi ho provato a telefonarti, ma non rispondevi… Così ho preso la macchina. – E rimase in silenzio, a fissarlo, lasciando in sospeso il resto della frase “si può sapere che diamine ti è preso?”, ma non lo disse. Rimase a guardarlo e basta. Kidou non sapeva cosa dire, si sentiva di colpo incredibilmente stupido. Perché se n’era andato così, senza salutare? Lui…

-Dai, sali. Ti riaccompagno a casa.- Non se lo fece ripetere e aprì la portiera, sedendosi così al posto del passeggero, al suo fianco. Rimase seduto piuttosto teso, quasi trattenendo il fiato. Gli sembrava che dentro l’abitacolo l’aria bruciasse. Perché aveva accettato il passaggio?

-I ragazzi hanno detto qualcosa che ti ha turbato? – chiese dopo un po’ Gouenji. Kidou scattò come una molla verso di lui, come sbloccato da un incantesimo. -Oh no! Figurati, sono tutti gentili con me! Con te-Come te! Insomma… Come dici tu, Gouenji…-

-Mh? Ti senti bene, Kidou?-

No, non si sentiva affatto bene. Aveva camminato per chilometri in preda ad uno stato di shock causato dal fatto di aver visto la sua crush di una vita, che aveva sempre creduto perdutamente e irrimediabilmente eterosessuale e perciò inavvicinabile da quel punto di vista, baciare un ragazzo. Di fronte a lui. Ignaro di tutto. Aveva dolore alle gambe, crampi alla bocca dello stomaco, un martellare furioso alle tempie e la gola secca dalla tensione e dallo sforzo. No, non stava bene.

-Sì io… Non ti preoccupare. – si lasciò sfuggire un risolino stanco dalle labbra – Questa città è strana, mi confonde.-

-Ti ostini a non prendere i mezzi… Sei proprio incorreggibile, Kidou. – il tono affettuoso con cui pronunciò il suo nome mozzò il fiato a Kidou, che deglutì a vuoto e cominciò a tossire in maniera incontrollata. Gouenji gli fece cenno, indicandogli una bottiglietta d’acqua, e Yuuto prese a bere, grato. Mentre si idratava, sentì Gouenji parlare:

-Fra me e Markus non c’è niente di serio, eh. Mi scoccia quando fanno così, glielo dico sempre che quando ci sei anche tu devono parlare in inglese, con il tedesco sembra che ti vogliamo escludere e.. egh, non ci far caso, okay?, sono proprio degli scemi. Non lo fanno apposta, stai simpatico a tutti, ma proprio non ci arrivano.-

Kidou si prese più tempo del necessario per bere; tenendo le labbra sul collo della bottiglietta di plastica poteva evitare di dover rispondere. Seppur volesse tranquillizzare Gouenji in merito al fatto che era davvero l’ultimo dei suoi problemi, il fatto che a volte parlassero tedesco in sua presenza, ora non sapeva proprio come interromperlo. Come in sogno lo ascoltò parlare di Markus, di come lo avesse portato per la prima volta in un gay bar, di come avesse assecondato la curiosità che era sorta in Gouenji, di come si fossero già baciati, “solo una volta prima di questa eh”, una sola, e che insomma, “era interessante” ma non erano impegnati in nessun modo, lui sì che con Fudou aveva avuto una storia, aveva avuto “delle esperienze”… Spezzoni di frasi, completamente slegate, che Kidou sentiva e non sentiva, come in trance. “… Ma ti ha tradito per caso?”. Si ritrovò improvvisamente davanti al suo alloggio, Gouenji aveva nuovamente accostato la macchina e adesso lo guardava, in silenzio, come se spettasse a lui rispondere.

-Eheh ecco allora io… Grazie per il passaggio, Gouenji. Buonanotte, ci vediamo domani.- Aprì la portiera, sperando che Gouenji lo afferrasse per un polso, lo trattenesse dentro l’auto per guardarlo con i suoi grandi occhi scuri, dirgli che era lui che avrebbe voluto spingere contro quel tronco, non Markus, e poi baciarlo con foga. Gouenji non fece nulla di tutto questo, gli augurò a sua volta la buonanotte e gli rammentò di prendere la metro quando era stanco, di non avventurarsi da solo per le strade. Lo fece scendere e ripartì, semplicemente.

Kidou salì in camera sua, buttò la borsa e le scarpe all’ingresso e si lasciò cadere sul letto. “ Fra me e Markus non c’è niente di serio, eh.” Fanculo Markus, fanculo tutti.

*

Gouenji iniziò a risorgere dalle lenzuola stropicciate ed umide del suo letto a mattinata inoltrata. Sentiva la bocca impastata ed amara, i muscoli doloranti e un mal di testa acuto pulsare dietro agli occhi. La luce entrava a malapena dalle tapparelle abbassate, ma bastò a metterlo di pessimo umore, come se fosse stato svegliato da un trapano.

Si trascinò in bagno con un grugnito, dandosi un momento per sentire la nausea assestarsi nel suo stomaco. Sensazionale. Gouenji non beveva spesso e questo era esattamente il motivo per cui non lo faceva: svegliarsi in questo modo non sarebbe valso nessuna serata divertente. E, anche se era dall’altra parte del mondo, riusciva quasi a sentire lo sguardo di disapprovazione di suo padre e il suo commento pungente sui danni dell’alcol, a maggior ragione negli sportivi. Al diavolo.

Aprì l’acqua fredda con uno scatto di stizza e gettò la testa sotto al flusso, lasciandosi scappare un altro sottile lamento. Allo specchio, il suo riflesso ricambiò il suo sguardo torvo: aveva gli occhi gonfi, circondati da occhiaie violacee, e una striscia di eyeliner sbavato sulla guancia. Noncurante dell’acqua che dalle punte dei suoi capelli gocciolava sul suo petto nudo, si infilò dei pantaloni della tuta e si diresse in cucina, a cercare dell’acqua e una colazione che gli mettesse a posto lo stomaco.

Solo mentre le uova stavano sfrigolando sulla padella e, di umore leggermente migliore, si apprestava a tostare il pane, gli tornarono alla mente gli avvenimenti della sera prima. Kidou l’aveva portato a casa, ricordava chiaramente, incespicando nel chiamare un taxi in tedesco; le luci ritmiche della città mentre Gouenji stava con la tempia appoggiata al finestrino fresco dell'auto; la voce decisa di Kidou che gli intimava di non addormentarsi e di avvisarlo se si stava sentendo male. Si sentiva arrossire a ripensarci, nonostante non avesse fatto nulla di così imbarazzante. Non gli sarebbe importato di farsi riportare a casa da Someoka o Endou, tuttavia il ricordo dello sguardo attento e impensierito di Kidou lo faceva avvampare. Mentre inseguiva questa corrente di pensiero, realizzò di essere entrato in casa insieme a Kidou ma di non averlo sentito uscire.

Spense in fretta il fuoco e si affacciò in salotto, immerso nel buio a parte per la luce che veniva dalla cucina adiacente. Kidou era seduto sul suo divano, rigido ed elegante se non fosse per il viso piegato sulla spalla, gli occhialini abbandonati intorno al suo collo, profondamente addormentato. Gouenji sentiva male al collo solo a guardarlo e un discreto senso di colpa per essere crollato addormentato senza neanche preoccuparsi di come e dove avrebbe dormito Kidou.

Lo scosse gentilmente per la spalla, chiamandolo per nome. Kidou sobbalzò comunque nonostante i suoi tentativi di svegliarlo dolcemente e spalancò subito gli occhi appena lo mise a fuoco.

-Ho preparato la colazione. Vieni.-

Kidou lo seguì in cucina stropicciandosi gli occhi e si sedette guardandosi intorno come ad assicurarsi di essere ancora sveglio. Sembrava così piccolo, si ritrovò a pensare Gouenji: la sua camicia bianca era stropicciata dalla notte sul divano, diversi dreads erano scivolati via dalla coda e aveva qualche ditata sulle lenti degli occhialini. Gli mise davanti la colazione che aveva preparato per sé, era il minimo che potesse fare.

-Scusami per ieri notte, sono stato pessimo.- Dichiarò senza guardarlo negli occhi, versando l’acqua dal bollitore in una tazza. Kidou odiava il caffè, si ritrovò a ricordare senza sforzo dalle lunghe trasferte fatte con la squadra. Le bustine di tè che aveva in casa erano molto più scadenti di quelle a cui Kidou era abituato, ma supponeva che il pensiero bastasse. Kidou guardò per qualche momento l’acqua tingersi di scuro nella tazza fra le sue mani, poi spostò di nuovo lo sguardo su di lui. Non aveva ancora parlato e sembrava teso, quasi sofferente. Gouenji lo conosceva da anni e c’erano ancora momenti come questo dove lo trovava imperscrutabile e non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa. Mescolò l’acqua rimasta con il caffè solubile e si premette due dita sugli occhi, cercando di placare il dolore. Si sentiva uno straccio.

-Non è stato un problema.- La risposta di Kidou arrivò un po’ in ritardo, mormorata appena, -Come ti senti?-. Lo stava guardando in maniera un po’ troppo fissa rispetto al solito e, se Gouenji non fosse stato troppo impegnato ad odiare ogni fonte di luce e di rumore, si sarebbe forse potuto rendere conto del motivo.

-Uno schifo. Non voglio bere mai più.- Brontolò, mordendo di malavoglia un pezzo di pane tostato.

Vista da fuori, quella situazione aveva una nota profondamente domestica. La casa di Gouenji era vuota e silenziosa, le loro scarpe e le loro giacche erano abbandonate vicine all’ingresso; Gouenji era ancora a petto nudo, i capelli disordinati e umidi lasciati sciolti senza cura e gli occhi gonfi dal sonno. La colazione fumava sul piatto di Kidou e Gouenji realizzò solo più tardi che era la prima volta che cucinava qualcosa per l’altro ragazzo. Si erano visti appena svegli molto spesso, durante i viaggi per il Giappone e a Liocott, ma questa era la prima volta che erano da soli, in una situazione così confidenziale ed intima, e Gouenji riusciva a sentire una certa tensione nell’aria. Bevve un sorso di caffè. Rimasero in silenzio qualche istante, glorioso per il mal di testa di Gouenji. Poi Kidou raddrizzò la schiena, come riempiendosi di risolutezza, e allungò le dita sottili sui lati della tazza, tamburellando i polpastrelli.

-Gouenji. C’è una cosa che devo dirti.-

Che tono serio. Gouenji inarcò le sopracciglia, indicandogli con un cenno del capo di parlare e appoggiandosi al bancone della cucina.

-Noi siamo amici da tanto tempo. E non credo… di averti mai davvero detto quello che. Penso. Provo. Di—per te. È dal primo giorno che ci siamo incontrati che io… ti ammiro, molto. Sei una delle persone più autentiche che abbia mai conosciuto. La squadra non è più stata la stessa da quando sei partito. Ho… abbiamo sentito tanto la tua mancanza.-

Gouenji teneva mollemente la tazza di caffè fumante fra le mani e lo guardava, confuso e concentrato. Kidou era un suo caro amico, proprio come Endou, ma non c’era mai stato bisogno di esprimerlo così. Perché sentiva il bisogno di dirglielo adesso? Il suo sguardo intenso sembrava star mettendo Kidou sotto pressione, le sue guance diventavano sempre più rosse man mano che continuava a parlare.

-Quello che voglio dire è… Siamo cresciuti in questi anni, e sono successe molte cose, ma tu sei sempre rimasto. Per me. In me. I-Intendo che sei importante. Ecco. Ho sempre pensato che fossimo semplicemente piccoli, e beh sono cose che capitano no?, ma ora tu sei qui e rivederti è stato davvero stupendo e io. Lo penso ancora. Dovevo dirtelo. Sì.-

Kidou si fermò di colpo, dando l’impressione di star trattenendo il fiato. Gouenji continuava a fissarlo senza proferire parola: la testa gli pulsava e aveva ancora nausea, il caffè era stata una pessima idea. Non capiva dove Kidou stesse andando a parare, né perché ora lo stesse guardando come se stesse aspettando una risposta. I postumi della sera prima rendevano i suoi pensieri più lenti e confusionari del solito, e a dire la verità non avrebbe affatto voluto pensare in questo istante, né cercare di dare un senso alle parole di Kidou. Ma ovviamente quella testa in fibrillazione era pronta anche in una mattinata del genere a discorsi complessi, si ritrovò a pensare con affetto. Oh sì, anche lui aveva sempre ammirato Kidou profondamente.

Il suo silenzio doveva essersi protratto troppo a lungo, perché Kidou abbassò lo sguardo e si alzò di scatto come se si fosse bruciato. Aveva le guance rosse come dopo un allenamento intenso; con una pelle chiara e delicata come la sua, ogni arrossamento risaltava come su una tela bianca. Biascicò qualcosa riguardo al doversene andare, all’avere una lezione o un corso o qualche altro impegno, e andò all’ingresso a recuperare le sue cose praticamente di corsa. Gouenji fece giusto in tempo ad affacciarsi in cucina ed ricordargli stupito che non aveva un mezzo per tornare che rimase solo con il rumore della porta sbattuta dietro a Kidou. Probabilmente non aveva neanche preso il tempo di mettersi le scarpe come si deve. Gouenji rimase in piedi in mezzo al corridoio, spostando stupidamente lo sguardo dalla porta chiusa, al divano vuoto, al piatto della colazione ormai raffreddata e non toccata lasciata sul tavolo. Questo era davvero strano. Cosa diavolo era successo?

-Fanculo, Kidou.- Borbottò fra sé, lasciandosi cadere sulla sedia in cucina al suo posto e aggredendo la colazione avanzata.

Aveva mal di testa e la bocca impastata, sentiva la pelle appiccicosa per il sudore della sera prima che gli si era asciugato addosso e una stretta scomoda alla bocca dello stomaco. Se Kidou voleva essere strano, beh, chi era lui per impedirglielo. Kidou conosceva poco o nulla il tedesco e Gouenji non era certo che sapesse ritrovare la strada per il suo alloggio. Gli avrebbe telefonato fra un po’ per sapere se si era perso. In questo momento, l’unica preoccupazione che occupava la sua testa era la deliziosa doccia che lo stava aspettando.

*

Gouenji non pensò più allo strano discorso di Kidou di quella mattina. Verificò con un messaggio che l’altro ragazzo fosse arrivato a casa senza difficoltà e andò serenamente avanti con la sua giornata. Si fece una doccia lunga e rigenerante, cambiò le lenzuola e lavò i piatti (sentendo un certo dispiacere mentre svuotava la tazza di tè ormai freddo nel lavandino, chissà perché), indossò i vestiti più comodi che aveva e passò il resto della giornata a finire una relazione che avrebbe dovuto consegnare a breve per un corso, con la televisione accesa di sottofondo, sintonizzata sui canali sportivi giapponesi.

Furono i giorni successivi ad impensierirlo. Kidou sarebbe rimasto in Germania ancora per poco più di una settimana; avevano passato quei tre mesi attaccati uno al fianco dell’altro, vedendosi praticamente tutti i giorni, eppure nei giorni prima della partenza di Kidou riuscì a incrociarlo appena una manciata di volte. Il ragazzo sembrava tutto d’un tratto inaccessibile; Gouenji non era un ragazzo particolarmente appiccicoso, neanche con i suoi più cari amici, ma il contrasto con il resto della permanenza di Kidou era troppo netto per lasciarlo indifferente.

La goccia che fece traboccare il vaso fu il giorno della partenza di Kidou. Si erano salutati la sera prima, andando a cena insieme per la prima volta dopo quella notte al locale insieme. Tutto era sembrato tornato come al solito, avevano parlato e scherzato e Gouenji aveva realizzato quanto Kidou gli sarebbe mancato. Si trovava bene in Germania e aveva incontrato dei buoni amici, ma non provava con nessuno la confidenza e la tranquillità che sentiva insieme all’altro ragazzo. Aveva pensato ai lunghi pomeriggi al campo da calcio della scuola, a quella intesa di gioco che può nascere solo da anni nella stessa squadra, e poi alle passeggiate nel tramonto freddo di Berlino verso l’alloggio di Kidou, perché all’inizio Gouenji era certo che si sarebbe perso andandoci da solo e poi era diventata un’abitudine non detta. Non c’era nessuno con cui condividesse i silenzi con tanta comodità come con Kidou. Adorava Endou e Someoka, ma non c’era mai quiete con loro; stava spesso in silenzio con Fubuki, ma riusciva sempre a sentire il nervosismo di Shirou nel rimanere troppo a lungo in balia dei suoi pensieri e delle sue impressioni. Kidou era diverso. Non c’era nulla di performativo in sua compagnia, potevano entrambi semplicemente stare traendo reciproca tranquillità dalla presenza dell’altro.

Così si era svegliato di buon’ora, era passato a comprare dei dolci nella sua pasticceria preferita e si era diretto verso l’alloggio di Kidou. Era sicuro di trovarlo con le valigie già pronte, a ricontrollare per l’ennesima volta i cassetti perfettamente svuotati per essere certo di non essersi dimenticato nulla, e il pensiero di fare un’ultima colazione insieme lo riempiva di buon umore. Ma quando era arrivato il campanello aveva suonato a vuoto una, due, tre volte. Passati venti minuti aveva realizzato che probabilmente Kidou era già in aeroporto, senza avergli comunicato l’ora precisa del suo volo. Non avrebbe dovuto rimanerci così male, dopotutto si erano già salutati e questa sorpresa era stata un’idea all’ultimo minuto, tuttavia non poteva negare il peso della delusione sul suo petto e un nervosismo bizzarro per quella che sembrava, per qualche motivo, un’ultima occasione sprecata. Si ritrovò ad varcare i cancelli scolastici nella nebbia mattutina e a tirare pallonate dentro alla porta vuota in completa solitudine, fino a che non iniziarono ad arrivare i primi studenti più mattinieri e, infastidito dai loro sguardi curiosi, si ritirò negli spogliatoi deserti.

Era ora di pranzo quando ricevette la telefonata di Someoka. Lo stava aspettando: da quando si era trasferito in Germania, l’amico gli aveva fatto giurare di non sparire come suo solito e lo aveva costretto a fare voto di continuare a sentirsi. In qualche settimana avevano trovato un equilibrio fra il fuso orario e i reciproci impegni; Gouenji teneva le sue pause pranzo per Someoka, che a sua volta faceva in modo di finire gli allenamenti fra le sette e le otto di sera.

Rispose al telefono e il suono familiare della sua lingua madre lo fece subito sentire meglio. I tedeschi tendevano ad orbitare lontano da lui quando parlava giapponese e più di una volta era stato grato di questo effetto collaterale. Iniziarono a parlare del più e del meno, ma non ci volle molto perché Someoka si accorgesse del suo fastidio latente. Gouenji avrebbe volentieri spiegato all’amico cosa lo aveva irritato tanto, ma faceva fatica a capirlo lui stesso.

-Oggi Kidou è tornato a casa.- Disse semplicemente a mo’ di spiegazione.

-Lo so, Endou non fa che ripeterlo da giorni. Sei incazzato per questo?-

-Non sono incazzato.- Gouenji si alzò dal punto nel cortile dove si era seduto, infastidito dal gruppetto di ragazzi che si era messo a fumare poco distante. -È solo che… Kidou è stato strano. In questi giorni, intendo. Volevo capire cosa avesse ma non mi ha neanche detto a che ora se ne sarebbe andato.-

-Tu sei l’ultimo che può lamentarsi per una cosa del genere.-

-Ti riattacco il telefono, Someoka.-

La risata rumorosa e sgraziata dell’amico risuonò dall’altro capo della telefonata, facendogli roteare gli occhi.

-D’accordo, d’accordo. Come sei permaloso, cazzo. Che diavolo ti ha fatto Kidou?-

-Magari mi avesse fatto qualcosa, non sono neanche riuscito a vederlo questa settimana. Sembrava mi stesse evitando.- Gouenji aveva cominciato a passeggiare mentre parlava, faticava a stare fermo troppo a lungo. Conosceva Someoka tanto bene da non preoccuparsi di sembrare petulante. Mentre rifletteva ad alta voce, ripercorse gli eventi delle ultime settimane e che cosa avrebbe potuto far cambiare l’atteggiamento di Kidou in quel modo. -Ha cominciato… sì, ha cominciato dopo che l’ho portato una sera in un gay club.-

-Aspetta, aspetta, tu cosa ? Hai portato Kidou Yuuto, il nostro Kidou Yuuto, in un gay club e non mi hai detto nulla?!-

Il tono sconcertato di Someoka lo fece sghignazzare. -Non credevo ti interessassero queste cose, hai cambiato gusti?-

-Cazzo, Gouenji, deve essere stato uno spettacolo epico! Perché non hai fatto nessun video?-

-Te lo concedo, è stato divertente. Era imbarazzato a morte, non credo di averlo mai visto così fuor d'acqua.- Stava sorridendo ripensando agli eventi di quella sera, anche se Someoka non poteva vederlo: l’aria imbarazzata di Kidou sulla soglia di casa mentre aspettava che Gouenji lo venisse a prendere, il suo sconcerto nel vedere coppie di uomini fuori dal locale che si tenevano per mano, la sua postura controllata così fuori luogo in un posto pensato per ballare e sciogliere le inibizioni. Era stata davvero una bella serata. -Però non c’entra niente, quando si è ambientato si è divertito anche lui. Ho anche controllato che non gli si avvicinasse nessuno di poco raccomandabile. Cazzo, dopo quello che è successo con Fudou ci mancava solo che qualcuno glielo appoggiasse in discoteca. No, la serata è andata bene, l’unica cosa…- Fece una smorfia di imbarazzo ripensando con più attenzione a quella sera. -Markus e gli altri hanno offerto dei giri di shottini e ho bevuto più del solito. Kidou mi ha riportato a casa, e lo sai come sono quando mi ubriaco, neanche mi sono accorto di nulla fino alla mattina dopo. Si è fermato a dormire da me, comunque. Poi quando mi sono svegliato mi sono sentito in colpa e gli ho preparato la colazione per scusarmi. Allora Kidou ha cominciato a dire un sacco di cose strane, e, uh, poi se n’è andato. Così, senza neanche mangiare quello che gli avevo preparato.-

Silenzio totale dall’altro capo del telefono.

-Someoka? Ci sei?-

-Fammi capire, Gouenji. Ti sei fatto Kidou?-

-Cosa? Ma non dire stronzate!-

Sentì Someoka sghignazzare. -Oh, non so. Vai in un gay club con lui, alzi il gomito, ti fai portare a casa, rimane a dormire da te e gli prepari la colazione. Non sono un esperto di corteggiamento fra uomini, ma per quel che ne so questi sono gli step di una notte di sesso fra ubriachi.-

-Fai il serio per un momento, diavolo. Mi fai pentire di raccontarti queste cose.- Gouenji sbuffò leggermente. -E non era una cosa così fraintendibile, stai travisando la situazione. Pure tu hai dormito da me dopo una festa una volta.-

-Certo, ma poi abbiamo mangiato patatine avanzate sul fondo di una busta e gatorade e abbiamo giocato a calcio in mutande di nascosto sul retro per non farci vedere dalla tua vicina. Mi hai descritto una situazione un po’ diversa.-

-Mh.- Someoka non aveva tutti i torti, vedendo la situazione in questo modo.

-Che cose strane ha detto Kidou?-

-Mah, qualcosa tipo che mi ammira e tiene a me e che manco alla squadra.- Gouenji si passò una mano fra i capelli. Si stava sentendo abbastanza un idiota e ora più di prima avrebbe voluto poter rivedere Kidou per chiarire questa faccenda. Non poteva certo chiamarlo o scrivergli per parlare di queste cose, dopotutto. -Non ci ho capito molto, mi sembrava confuso.-

-Il tuo fascino lo ha steso, dovresti esserci abituato.- Scherzò Someoka.

-Seh, come no. Piuttosto, sei riuscito a perfezionare quella tecnica?-

Parlarono d’altro per il resto della telefonata, fino a che la campanella che annunciava la ripresa delle lezioni non li interruppe. Gouenji tornò alla sua aula e alla sua routine, ma si ritrovò a pensare a Kidou sempre più spesso. Per tutti i mesi che passarono, riceveva notizie dell'altro ragazzo dal gruppo che condividevano con tutti i membri della squadra; pensò spesso di scrivergli, o di telefonargli, ma non gli sembrava il modo adeguato, non gli sembrava giusto. Tutti i membri dell’Inazuma gli mancavano, ma Kidou, scoprì, gli mancava particolarmente. E ovviamente dovette subire le prese in giro di Someoka, che non smise più di rinfacciargli il trattamento da principessa che aveva riservato al loro compagno.

E in mezzo allo scherzo, piano piano, il pensiero di farlo per davvero cominciò a non risultargli più così bizzarro…



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Grazie a chiunque leggerà, ogni commento è ben accetto <3
Avevo fisico bisogno di scrivere qualcosa su questa coppia. Seguo Inazuma Eleven da quando avevo dodici anni e questa storia sarà l'unione di tutti gli headcanon che ho costruito negli anni. Mi sono divertita moltissimo a scriverla e spero anche voi a leggerla.
E sì, sarà imbarazzante esattamente come sembra. Sono due adorabili disastri.
  
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