Crossover
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Autore: Registe    19/11/2023    3 recensioni
Quarta storia della serie "Il Ramingo e lo Stregone".
La guerra tra l'Impero Galattico e la famiglia demoniaca si è conclusa, ma non senza un costo. Vi è una cicatrice profonda che attraversa mondi e persone, le cambia, rimane indelebile a marchiare i frammenti di tutti coloro che hanno la fortuna di essere ancora vivi. Qualcuno decide che è il momento giusto per partire, cercare di recuperare qualcuno che si è perso. Qualcuno decide di dimenticare tutto e lasciarsi il passato alle spalle.
Qualcun altro decide invece di raccogliere i frammenti di una vita intera e metterli di nuovo insieme, forse nella speranza che lo specchio rifletta qualcosa di diverso.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Film, Libri, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Ramingo e lo Stregone'
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Capitolo 28 - Qualcosa va lasciato indietro







Neos








La temperatura della Slave I aumentò in pochi istanti quando si spinse contro gli scudi della Guivre. Boba forzò al massimo i motori, con gli schermi del sistema di comando che si illuminarono di tutte le spie disponibili. Nessuna nave di piccola o media taglia sarebbe potuta entrare nei sistemi di difesa di un incrociatore, men che mai di uno pensato per difendere la figlia del Governatore Tarkin, ma Boba non si era fatto un nome tra i cacciatori di taglie senza motivo. I sistemi di raffreddamento entrarono in azione, impedendo alla nave di bloccarsi e perdere quota; gli scudi stessi della Slave si attivarono per impedire alle scariche plasmatiche della Guivre di sovraccaricare il veicolo, ma Boba sapeva che sarebbero bastati pochi secondi di troppo dentro quel campo plasmatico per morire.
Iniziò a sudare copiosamente anche sotto l’armatura, con gli occhi puntati sia al quadro comandi che ai cannoni dell’incrociatore: dalla nave non era partita nemmeno una scarica di turbolaser, ed anche adesso che l’ingresso della Slave non poteva essere passato inosservato nessun fuoco di difesa era stato mosso contro di lui, né i caccia TIE di stanza erano stati sguinzagliati contro di lui.
Qualunque cosa stesse succedendo a bordo della nave, doveva arrivare in tempo.
L’ultimo tratto di difesa si trasformò in un’esplosione di scintille: gli allarmi presero a suonare da ogni parte e per un attimo la sua visuale si fece bianca. I sensori dell’elmo si oscurarono per impedirgli un danno alla retina, ma la pelle sembrò andargli a fuoco lo stesso.
Quando riaprì gli occhi, la scia dei vapori di raffreddamento stava già ricoprendo il visore anteriore, ma lo scafo della Guivre era ancora a soli pochi metri da lui e nessun cannone era stato attivato. Ringraziando la sorte, si levò l’elmo e riprese a governare la nave soltanto con la propria vista. La consolle rispose ai suoi comandi nonostante la scarica subita, e Boba impostò i codici di apertura dell’hangar dell’incrociatore forniti da Tarkin: in meno di una manciata di secondi il ventre della nave si aprì per farlo passare, e il cacciatore di taglie si intrufolò senza nemmeno aspettare l’apertura completa del portellone.
Dal casco una vibrazione lo avvisò della comunicazione in arrivo e lo infilò. “Sono dentro”
“Grazie, amico mio”.
La voce di Tarkin giunse distorta dalle scariche, ma anche così non riuscì a nascondere la preoccupazione dietro il tono glaciale.
Boba controllò la cotta, lo zaino e le armi prima di uscire. I suoi parametri vitali erano controllati dall’armatura mandaloriana e sarebbero giunti al pad di Tarkin in tempo reale. “Nessun comitato d’accoglienza, al momento. Cosa pensi sia successo?”
“Se lo sapessi, avrei trovato una soluzione diversa dal mandarti alla cieca lì dentro”.
L’hangar era deserto.
I vari cacciatori TIE erano tutti alle loro postazioni, perfettamente ancorati alle piattaforme di partenza e con i cavi di posizionamento ancora inseriti. Le luci laterali dell’hangar erano in stato ottimale, come se non vi fossero stati segnali di emergenza, cortocircuiti o tentativi di sabotaggio dei quadri principali della nave. Lungo lo scafo delle piccole navi da guerra erano disposti un paio di droidi astromeccanici, spenti come da protocollo. Il cacciatore di taglie osservò frettolosamente tutto l’ambiente, illuminando il soffitto, ma nessun segno di colluttazione o spari era presente: chiunque avesse preso il controllo della Guivre, o aveva agito di sorpresa, o non era passato nell’hangar. L’unico rumore che si sentiva era il motore dell’attivazione dell’iperguida ed i suoi passi sul pavimento.
“Boba …”
La voce di Tarkin lo riportò subito all’attenzione.
“I tuoi sensori. Non levare il casco per nessun motivo”.
L’uomo attivò subito il sistema di riconoscimento aereo. Nella luce debole dell’ambiente non si era nemmeno accorto del dettaglio, protetto come sempre dalla sua cotta, ma all’avvertimento del suo amico si accorse della strana densità dell’aria che aveva probabilmente imputato soltanto allo stress subito dall’armatura durante l’ingresso. “Hanno rilasciato il dioxis, Tarkin!”
“Come è potuto succedere?”
“Potrebbe essere stato un incidente?”
“Un incidente sulla nave di MIA figlia?”
Boba imprecò tra i denti. Uno dei sistemi di difesa più estremi delle navi principali dell’Impero era il rilascio del dioxis, una variante non incendiaria -ma non per questo meno letale- del gas tibanna. Era pensato per difendersi da invasioni improvvise, e tutti i membri dell’equipaggio erano sempre dotati di un casco isolante ed un respiratore autonomo proprio per combattere anche in questa situazione. Ma, almeno nell’hangar in questione, non vi era alcun segno di combattimento o attacco che potesse far pensare all’attivazione difensiva delle scorte di dioxis.
“Merda!”
I corpi degli assaltatori erano accasciati in un angolo. Due di loro si trovavano accanto al portellone che avrebbe condotto ai livelli superiori, un terzo era seminascosto dall’ombra di un TIE. Boba corse nella loro direzione, sfoderando entrambi i blaster, e quando furono a portata osservò un dettaglio inquietante: tutti e tre gli uomini avevano il visore dei caschi saltato, come se delle cariche di blaster avessero puntato solo e soltanto le loro facce. Si ritrovò a fissare tre volti congestionati, le bocche tutte semi aperte come in un ultimo tentativo di recuperare dell’aria; la sclera degli occhi aveva assunto il colore violastro tipico dell’inalazione mortale di dioxis, e gli angoli della bocca e le labbra erano attraversate da rivoli rossastri delle minuscole ferite che si erano espanse lungo la pelle. Lasciò andare i corpi con un gesto di stizza, aprendo il portellone e lanciandosi nel corridoio.
Le superfici bianche degli interni della nave lo accolsero nella loro imperiale perfezione, rivelando dopo qualche istante almeno una dozzina di corpi nelle medesime condizioni, alcuni soldati con l’elmo distrutto ed alcuni cadetti privi di protezioni respiratorie che forse erano semplicemente morti sul colpo.
“Tarkin …”
“SONO IO IL RESPONSABILE DELLA SICUREZZA DELLA NAVE DI SHANDRA!”
Non ebbe il coraggio di rispondergli. O controbattere.
Avrebbe voluto che Maul fosse lì con loro, ma l’iridoniano era senza dubbio a caccia dei maghi per tutto il palazzo e forse per mezzo distretto. Il pensiero lo colpì come un fulmine. “L’attacco al palazzo che Maul ha visto nella testa di quel Tolgerias … era vero. Ma era solo una distrazione. Non eri tu il bersaglio, Tarkin!”
“CHI È CHE OSA ATTACCARE MIA FIGLIA?”
Boba trattenne il fiato.
Che non fossero i Ribelli, quello era scontato. Persino gli attivisti più operativi come Mon Mothma non avrebbero mai, mai preso di mira una bambina. Ed i nemici di Tarkin erano praticamente innumerevoli, ma al cacciatore di taglie non venne in mente nessuno che avrebbe avuto anche solo l’idea -o l’ardire- di pensare ad una cosa del genere. E nonostante Saruman e Dooku avessero ogni tanto cercato di mettere loro i bastoni tra le ruote, avrebbero piuttosto intasato di dioxis le stanze di Tarkin. Per quanto quell’Alba Cremisi fosse stata intraprendente anche solo a pensare di assaltare l’edificio più protetto della capitale galattica, l’avvicinarsi a Shandra sembrava una mossa davvero insolita per un cartello criminale così giovane, specie quando Tarkin per questioni di sicurezza aveva limitato quasi del tutto le apparizioni della bambina in pubblico proprio per evitare che potesse diventare un bersaglio.
Il cuore di Boba prese a battere con insistenza.
Digitò ordini a distanza alla Slave I, rilasciando dei codici forniti da Tarkin per l’emergenza. Il salto nell’iperspazio non sarebbe stato intercettabile se non prendendo il controllo della sala operativa, ma le frequenze della sua nave sarebbero state sufficienti a guadagnare qualche minuto prima che la Guivre potesse tentare il salto. L’incrociatore era stato costruito e disegnato proprio per poter effettuare salti in breve tempo, ed i punti nevralgici per la gestione dell’iperguida erano sulla plancia principale, verso la quale Boba si diresse.
Ovunque si voltasse, i cadaveri riempivano i ponti. I tassi di concentrazione del gas riportati dalla sua armatura segnalavano livelli critici e non compatibili con la maggior parte delle forme di vita umanoidi. Si costrinse a svoltare ogni bivio con cura, con l’idea che chiunque avesse distrutto gli elmi dei soldati avrebbe puntato per prima cosa a rimuovere anche il suo.
Quando mise piede lungo la plancia di comando, la prima cosa che vide -e sentì- fu la figura di Shandra.
La bambina era stata bloccata ad una delle sedie degli operatori con delle cinghie di fortuna. Il cacciatore di taglie la riconobbe soprattutto dalla voce e dal modo energico con cui gridava di essere liberata immediatamente, perché il capo era coperta dall’elmo di un assaltatore chiaramente troppo grande per lei. L’aria artificiale era satura di gas, ma il respiratore incorporato e la visiera sana permettevano alla piccola di gridare a pieni polmoni e cercare di scivolare tra una stretta e l’altra delle cinghie. La figura in piedi davanti ai comandi dell’iperguida, al contrario, non mostrava alcun cenno di fretta.
Boba puntò il blaster nella sua direzione. “Esigo una spiegazione, AL”
Il metallo chiaro del droide aveva assunto una colorazione tendente al violaceo a causa dell’esposizione al gas, e in esso riusciva a riflettere lo schermo principale dell’incrociatore in cui si rifletteva la nuova tempistica del salto dell’iperguida. Gli occhi artificiali erano accesi, ed al suono della sua voce il droide ritirò immediatamente le connessioni con il computer principale.
“Le possibilità che lei potesse intervenire erano del 9,7 %, Governatore Fett. Potrebbe rimuovere l’interferenza al salto della Guivre?”
“No” ringhiò “Ma posso farti esplodere quella testa di latta e farti riprogrammare dal primo hacker dei bassifondi. Vedi tu”.
Fece qualche passo verso Shandra senza smettere di prendere di mira il bersaglio. “Anzi, facciamo che io prendo la bambina, me ne vado, e tu puoi accendere l’iperguida e andartene al diavolo, che ne dici?”
“Impossibile”.
L’essere artificiale lo anticipò, portandosi davanti alla sua prigioniera, e uno schermo azzurro intorno al suo corpo segnalò l’attivazione di uno scudo deflettore. Il vano del petto si aprì, rivelando due fulminatori di calibro pesante luminosi e carichi che impugnò con entrambe le mani. “La signorina Shandra appartiene all’Alba Cremisi”.
Boba fissò lo schermo alle loro spalle.
Sette minuti al lancio.
“Tarkin, dovevi proprio armare il droide balia di tua figlia?”
Un’imprecazione arrivò da dentro il comunicatore. “Ha un programma difensivo e offensivo di un droide classe IG-88”
“Il migliore. Finché non ti spara contro”.
La raffica di laser arrivò tutta insieme. Come prevedibile l’avversario mirò alla sua testa, ma Boba si spostò. Una seconda raffica lo inseguì, disegnando cerchi di metallo bruciato alle sue spalle, e l’uomo rispose all’attacco scaricando la propria arma contro il deflettore di AL nell’intenzione di scaricarlo. L’aria tra di loro si caricò di scintille, segno che il dioxis stava reagendo alle scariche plasmatiche.
AL si muoveva con precisione. Spostava continuamente il proprio corpo tra Boba e la bambina, talvolta coprendo anche la distanza che la separava dal pannello di controllo. La forma degli arti tipica dei droidi protocollari -più spesse e meno equilibrate dei droidi da battaglia o dei veri classe IG- rendevano gli spostamenti leggermente meno equilibrati e veloci della media, e l’uomo contemplò l’idea di usare il lazo da caccia per impacciarne i movimenti, liberare la bambina e scappare. Digitò i comandi lungo la cotta per preparare l’azione, ma nell’esatto istante in cui lo sportello laterale si aprì per liberare il cavo, una raffica laser sparata dal palmo del droide si trasformò in un mare di scintille lungo il suo braccio mettendo fuori uso il meccanismo.
“Possibilità di utilizzo dei sistemi primari mandaloriani, 75,9%” decretò AL, spostando la sedia su cui era legata la bambina direttamente contro la plancia. “I suoi sistemi operativi di combattimento sono stati controllati ed analizzati, governatore Fett”.
Il cacciatore di taglie si ritrasse giusto in tempo per evitare una seconda scarica. La traiettoria laser disegnò un semicerchio perfetto intorno al droide ed a Shandra, e l’assenza di punti strategici dove difendersi o nascondersi lo rendeva decisamente vulnerabile in caso non fosse stato in grado di dare un assalto decisivo.
Attivò il livello di deflettori della cotta giusto in tempo per attutire l’impatto di una mina elettroplasmica lanciata direttamente contro di lui, e il campo per un attimo si illuminò di verde alterando la sua intera visuale.
“Ehi, AL, che stai facendo a Shandra?”
Per poco Boba non cadde all’indietro per sporgersi verso la stessa porta da cui era entrato, e non si ritrovò la testa staccata di netto soltanto perché anche il droide si voltò verso la figura che era apparsa. Con ancora uno dei suoi pupazzi preferiti tra le braccia, Neos li fissava da davanti al portellone spalancato.
Assolutamente a suo agio tra i fumi del dioxis senza alcun respiratore.
“Shandra, perché AL ti ha legata?”
La bambina mandò un verso da sotto il casco, ma le sue parole si persero nel nulla.
“Signorino Neos, lei dovrebbe essere morto al 100%. La sua sopravvivenza non era considerata necessaria per l’Alba Cremisi”.
Sul volto del bambino comparve un’espressione indescrivibile. Uno sguardo che Boba aveva visto mille altre volte, ma delineato nella bellezza dei lineamenti di sua madre.
Lo stesso modo di imbronciarsi che di solito preannunciava l’arrivo di una tempesta e uno spargimento di sangue, ma che sul viso di un bambino così piccolo sembrava solo così incredibilmente fuori posto. Da dentro il casco la voce di Tarkin ringhiò, resa forse ancora più minacciosa dalle scariche statiche causate dall’interferenza del deflettore. “Ci vuole ben più di un gas per buttare giù un clawdita. Non pensavo che anche Neos lo avesse ereditato, non è neanche …”
AL reagì prima che il cacciatore di taglie potesse sentire la fine del discorso. Un set di luci rossastre si aprì dal compartimento anteriore all’altezza del torso, e riconobbe subito l’estremità cremisi al centro dei detonatori in fase di lancio. Il sistema di puntamento laser dell’avversaria tornò di nuovo lungo la sua figura, ovvio segno che il bambino non fosse una minaccia per lei.
“Brutto droide, tu non devi fare queste cose a mia sorella, sai?”
Le parole di Neos si persero nei click che precedettero in rapida sequenza lo sgancio dei detonatori incendiari.
L’uomo saltò all’indietro, disattivando lo scudo deflettore per dare energia ai dissipatori idrici impiantati all’altezza laterale dello zaino a razzo, ma quello che vide prima ancora di riuscire ad estinguere parte del danno dei siluri lo lasciò senza fiato. Le scintille degli esplosivi nel suo campo visivo furono interamente avvolte da una fiammata così intensa che mandò i rilevatori termici dell’armatura oltre il limite della sicurezza e lo costrinsero ad appiattirsi contro una parete. Una sensazione ardente gli attraversò la pelle, e se non avesse avuto la cotta mandaloriana sarebbe probabilmente bruciato vivo sul posto. Nel punto in cui poco fa la minuscola forma di Neos era entrata in scena, un volatile fiammeggiante dal piumaggio rosso sbatteva le ali in maniera agitata; una seconda ondata di fuoco, intensa quanto la precedente, si scaricò contro il pavimento della Guivre, annerendo il duracciaio senza però bersagliare alcun nemico.
Le ali della fenice si mossero in maniera nervosa, priva di qualunque gesto aggraziato, un turbine di fiamme che si irradiavano dalla sua figura potenzialmente in grado di ucciderli tutti.
“Tarkin, non si era mai trasformato prima … vero?”
“Credi che avrei omesso un dettaglio di questa portata, Boba? Non aveva mai mutato prima”
Per un istante lo sguardo di Zam gli balenò nella testa, il modo di sorridere che destinava solo e soltanto al suo bambino.
La fenice era poco più piccola di lui, ma le fiamme erano incredibilmente alte, ben più di quanto Zam le mantenesse durante i combattimenti. Scosse la testa in maniera nervosa, e con un frullare di piume si portò sul soffitto della Guivre, rendendolo incandescente col solo impatto. L’attimo dopo aveva abbassato la quota, muovendosi nella direzione di AL con uno strano giro.
Era chiaro persino a lui che il bambino non avesse il controllo.
Il che, considerato in cosa il suo istinto lo avesse trasformato, poteva portarli tutti, Shandra inclusa, a morte certissima.
Zam aveva impiegato secoli a dominare le sue trasformazioni, a muoversi con corpi che non le appartenevano. Quando era bambino le aveva chiesto migliaia di volte come avesse imparato a volare, e lei gli rispondeva sempre che non era mai stata forte con i numeri, e per questo aveva perso il conto delle volte che si era trovata in una tanica di bacta per essere rimessa in sesto.
Che un bambino di nemmeno sei anni potesse gestire un volo e calibrare le fiamme della fenice faceva sembrare più probabile il vedere l’Imperatore ed il Grande Satana seduti insieme a discutere di termini di pace.
AL diresse i suoi sistemi di puntamento verso il nuovo avversario, e per Boba fu l’istante di cui aveva bisogno. Premette sul comando di accelerazione, e la spinta magnetica dell’armatura lo fece scattare verso la sedia a cui Shandra era legata.
“Non levarti il casco per nessun motivo” disse, facendole sentire la propria voce e mettendole una mano sulla spalla. Con un solo colpo di vibrolama la liberò, per poi spingerla di corsa dietro di sé prima che il droide decidesse di voltarsi di nuovo.
Sotto il verso stridulo di battaglia emesso da Neos, la Guivre rollò su se stessa.
In qualunque stato fosse la plancia dei comandi, a breve l’iperguida si sarebbe riattivata.
Shandra, la cui testa era resa ancora più grande dal casco protettivo, lo prese per mano. “Che è successo a Neos? E perché AL fa così?”
“Credo che AL sia stata manomessa dai nemici di tuo padre” fece Boba, frapponendosi tra lei e una cascata di scintille del quadro di guida. “Ma dobbiamo approfittarne intanto che Neos distrae AL. Se la nave salta con noi dentro ci troveremo in una trappola”.
“Neos viene con noi?”
L’urlo della fenice diede forma a mille risposte possibili. La creatura, chiaramente innervosita dal droide e dai suoi colpi, stava cercando di portarsi più in alto possibile. I suoi movimenti assolutamente privi di coordinazione erano forse il suo unico punto forza, perché era chiaro che AL fosse programmata per sparare ad un obiettivo dai movimenti più prevedibili. Il metallo che ricopriva il droide era passato da bianco lucido ad un nero tetro, rendendo la sua figura ancora più sinistra. Si portò indietro per prendere meglio la mira ed abbattere la fenice, ma nel farlo i suoi sensori notarono l’assenza della bambina.
Si voltò verso di loro quando ancora tutto il tronco e le armi erano concentrate nel rispondere al fuoco di Neos, e il cacciatore di taglie fu costretto a prendere una decisione. “Neos la terrà occupata. Il salto avverrà tra pochi minuti”.
“Ma non possiamo portarlo con noi?”
Boba si morse il labbro. Lo sguardo di Zam sembrava il più reale dei fantasmi. “No … non facciamo in tempo a fermare AL tutti insieme e scappare. Devo portarti in salvo”.
E devo farlo ora.
Sott i suoi piedi, il ponte riprese violentemente a rollare. Fissò la fenice per un’ultima volta, sentendo su di sé lo sguardo di furia di lei.
Se Zam fosse stata lì …
Ma non era lì.
E Shandra aveva qualunque priorità.
Spinse la bambina oltre la porta della sala comandi, e quando l’ennesima raffica laser si abbatté su di loro le fece da scudo, sacrificando tutto ciò che rimaneva dell’energia dei deflettori per assorbire i colpi e correre verso l’hangar. Attraversò i corridoi prendendola in braccio, e per quanto temesse di sentire passi metallici e spari alle proprie spalle, tutto ciò che riuscì a sentire furono una serie di esplosioni e i versi striduli della fenice. Attraversò lo scafo con tutta la forza che aveva in corpo, osservando furi dalle vetrate la familiare luce che indicava l’avvento alla velocità subluce.
Quando arrivò alla Slave caricò la bambina e premette i pulsanti del decollo sentendo che, ovunque fosse il suo spirito, la donna che un tempo aveva amato stava gridando di dolore.
  
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