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Autore: Opalix    16/09/2009    13 recensioni
PARADOSSO DI KIERKEGAARD: Se ti sposi, te ne pentirai. Se non ti sposi, te ne pentirai lo stesso.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Draco/Ginny
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 9: BYE BYE BABY

“Story of my life, I always get the fuzzy end of the lollipop.”
From “Some like it hot” (movie, 1959)

Domenica mattina.

Ron passeggiava avanti e indietro con quei maledetti stivali con le borchie che erano tremendi sulle assi del pavimento della cucina, le davano sempre il mal di testa. Hermione le aveva chiesto di sedersi sul divano, si era assicurata che fosse comoda, e adesso, mentre parlava, le teneva le mani.
Avrebbe dovuto capire che quello che seguiva non le sarebbe piaciuto.
Nel senso che avrebbe potuto capirlo anche se Hermione non se ne fosse uscita con la classica frase “quello che sto per dirti non ti piacerà”.

Aveva fatto scivolare via le mani dalla stretta della cognata, silenziosamente, per poi intrecciare le dita tra le pieghe della sottana. Lo sguardo che non era uno sguardo era fisso nel nulla, più del solito, come se, in effetti, cercasse di guardare al di là del buio che l’accompagnava ogni momento.
“Ginny, mi dispiace. Non hai idea, davvero, di quanto avremmo voluto evitarti tutto questo…”
Ginny la interruppe, con una voce piatta e inespressiva che non le apparteneva.
“Si, lo immagino.”
Hermione guardò Ron come per chiedere aiuto, e lui si avvicinò, appoggiandosi allo schienale del divano.
“Gin-Gin, ci dispiace davvero tanto, ma non potevano permettere che…”
“Ti ho detto mille volte di non chiamarmi Gin-Gin. Non lo sopporto.”
“Ok. Ginny. Capisci che non potevamo lasciare che le cose andassero avanti? Tra l’altro non riesco proprio a capire come Neville non l’abbia riconosciuto… hai detto che la prima volta che l’hai incontrato eri con lui, no?”
“Nemmeno io l’ho riconosciuto,” fece Ginny. Sembrava soprappensiero, come se in realtà quello che le stavano dicendo non la riguardasse più di tanto, e avesse ben altro per la testa, quindi perché non si levavano dalle palle, per cortesia?
“Ma Ginny, nessuno te ne sta facendo una colpa!” disse Hermione, abbracciandola con fare materno, “è ovvio che tu non potevi farci nulla. È stato lui a raccontarti un sacco di balle, senza alcun riguardo per la tua condizione.”
La sua condizione.
Certo.

Ginny si liberò dall’abbraccio con gentilezza e si alzò in piedi. Incespicò più volte, fece cadere una sedia che spaventò a morte Grattastinchi, poi finalmente riuscì a imboccare le scale e sparì nella sua stanza.
Ron la seguì con uno sguardo truce; Hermione sospirò.
“Credi che sia molto scossa?”
“Certo che è scossa,” fece Ron, spettinandosi i capelli con una mano, “non hai visto quanto inciampava?”
Maledetto Malfoy. Era tutta colpa sua.

“Bye bye baby,
Remember you are my baby…”
From “Gentlemen prefer blondes” (movie, 1943)

Qualche ora dopo, al 47 di Diagon Alley.

Ginny uscì dal camino e attese, immobile.
Draco si avvicinò per prenderle la mano, come faceva sempre ma, non appena le sue dita sfiorarono quelle di lei, Ginny si scostò come se qualcosa di bollente le fosse stato appena versato sulla mano. Nel movimento brusco inciampò nel gradino dietro di lei e sarebbe caduta nel camino, se Draco non fosse corso a sostenerla. Le mani di Ginny sulle braccia di lui tremarono, mentre ritrovava un appoggio sicuro, e poi si staccarono, restando sospese a mezz’aria.
“Non toccarmi,” mormorò, “per favore.”
Draco la lasciò con attenzione e si allontanò di un passo.
“Ieri mi hai detto che ti fidavi di me.”
“Ieri ti chiamavo Dan… non Draco Malfoy."
“Deduco che tuo fratello ti abbia rivelato il grande mistero.”
“L’ironia mi sembra fuori luogo…” protestò debolmente Ginny.
“Si, hai ragione…”

Lo scomodo silenzio che scese tra di loro pesava come un macigno. Draco la osservò con attenzione – forse perché concentrarsi su quel clinico interesse che aveva contraddistinto le prime fasi della loro relazione gli impediva di sentire quanto l’aria gli stesse cominciando a mancare.
Quante volte si era chiesto come sarebbe apparsa la rabbia su quel viso così mobile ed espressivo, come si sarebbe deformato per il disprezzo ed il dolore… beh, a pensarci avrebbe dovuto essere ovvio. Il viso di Ginny non era deformato per niente, la sua fronte era liscia come sempre, le labbra distese, le palpebre rilassate sugli occhi ciechi, ma la vita era scomparsa da quel viso: ogni espressione… andata. Era diventata una maschera, fredda e bianca; attorno agli occhi vuoti anche le lentiggini parevano sparite.
“Perché sei venuta?”
Perché “volevi vedere con i tuoi occhi”… è così che si dice?
“Non lo so,” mormorò Ginny, “volevo sentirtelo dire, forse.”
“Che cosa? Io sono Draco Malfoy?
“Forse.”
O forse no.
Ti amo, Ginny.

“Oppure vuoi che mi giustifichi?”
“Dan…”
Draco” la corresse, con stizza, “non sopportavo più che mi chiamassi con quel nome.”
“Sei stato tu a inventarlo, non io.”
“Già…” Draco si riavviò i capelli con le dita, come per tenerle occupate, perché la voglia di abbracciarla e schiaffeggiarla allo stesso tempo era troppo forte. “Allora, vuoi che mi giustifichi, vuoi che ti dica perché, vuoi che implori perdono… cosa? Cosa vuoi da me?”
La sua voce doveva suonare così aggressiva che Ginny fece un passo indietro; Draco sentì chiudersi una morsa gelata, a mezza via tra il cuore e la gola.
“Scusami,” disse, cercando di mettere nel proprio tono di voce tutta la sincerità possibile.
Ginny scosse la testa, e Draco si avvicinò di nuovo.
“Sono spiacente per averti mentito, Ginny… davvero,” le sfiorò il viso con le dita, una lieve carezza.
“Sapevo che mi stavi mentendo. In fondo, lo sapevo.”
Draco annuì e si schiarì la gola; quando riuscì a parlare nella sua voce c’era un’amarezza quasi tangibile.
“Si, beh…” mormorò, “e pensare che forse sei stata la persona con cui sono stato più sincero in vita mia.”

Dopo qualche secondo Ginny cercò l’entrata del camino con le mani tese.
“Puoi aiutarmi?” chiese.
Draco la prese per mano per guidarla nel caminetto e la guardò sparire, come aveva fatto il giorno prima, con un macigno sul cuore e la sensazione di essersi fatto molto più male di quanto ne aveva fatto a lei.

“…so, if I wished, I could just follow you,
tasting the blood and ocean of your tears. I’ll wait instead,
here, in my private place, and soon I’ll put a candle
in the window, love, to light your way back home.”
Neil Gaiman
“The Hidden Chamber”

Lunedì, il giorno dell’udienza (finalmente).

Hermione lo aspettava appoggiata alla scrivania, le braccia conserte, e le dita che picchiettavano nervosamente sulla manica del tailleur. Draco saltò fuori dal camino con un balzo, rassettandosi con noncuranza i capelli. Era vestito da gran signore, come sempre del resto, con quelle camicie e giacche che sembravano aver scritto “sono fatta su misura per Draco Malfoy” sul retro di ogni cucitura; la cravatta grigia, la sua preferita, quella che accendeva di riflessi argentei i suoi occhi grigi, era annodata con gusto impeccabile sotto il colletto bianco. Si gettò il mantello sulla spalla e si rivolse ad Hermione, il viso atteggiato nella consueta espressione di noia totale.
“Granger…”
Hermione lo squadrò da capo a piedi.
Si. Sbruffone ed arrogante come sempre.
Ma non era difficile notare che stava evitando di guardarla negli occhi.

“Alla buonora, Malfoy. Stavo per mandare una squadra di Auror a prelevarti.”
Draco alzò gli occhi al cielo.
“Tutta questa acidità è richiesta dalla tua professione, o è un trattamento speciale nei miei riguardi?”
“Tu che cosa credi?” fece lei, assicurandosi di avere tutto il materiale necessario nella sua ventiquattrore.
“Oh, secondo me stai mascherando l’attrazione animalesca che senti per me…”
Hermione prese la passaporta dalla scrivania e gliela porse, incenerendolo con lo sguardo.
“Sto per vomitare.”
Draco spalancò gli occhi esageratamente.
“Nausea? Sei incinta, Granger? Eppure non ho mai avito l’onore…”
“Malfoy!” strillò Hermione, sbattendogli in mano il fermacarte, “siamo in ritardo! Non hai più voglia di divorziare o ti diverti solo a farmi perdere la pazienza?!”
Le ultime sillabe si persero nello strappo della passaporta che li catapultava dentro il Ministero, proprio davanti all’aula di tribunale in cui si sarebbe tenuta l’udienza.

“Comunque era solo una domanda…” brontolò Draco a mezza voce, appoggiandosi al muro per non cadere, mentre si risistemava (ancora) i capelli. Hermione lo scrutò per dieci secondi buoni e poi la luce della comprensione si fece strada nel suo cervello.
“Tu,” sibilò incredula,“tu… Malfoy, tu sei ubriaco!”
Draco le agitò un dito teso sotto il naso.
“Mi pare come minimo dovuto,” le disse, sempre evitando di guardarla negli occhi, “non si festeggia un giorno speciale come questo senza una buona bottiglia.”
“Oh, per Merlino!” Hermione schiaffeggiò la mano di Malfoy e lo tirò da parte trascinandolo per una manica. Proprio in quel momento la delegazione di sette maghi del Wizengamot che avrebbe presieduto l’udienza stava attraversando il corridoio per entrare in aula.
“Malfoy, li vedi? Il caso sarà sottoposto al giudizio di quella delegazione, lo sapevi questo? Come cavolo ti è venuto in mente di ubriacarti prima dell’udienza?! Che impressione pensi di dare al giudice, mentre io e tua madre abbiamo lavorato come pazze per farti passare per il marito perfetto?!”
“Beh? E non sono perfetto? Non trovi che questa giacca mi renda estremamente serio e affascinante?”
Il fatto che mentre lo diceva stesse girando su se stesso, pavoneggiandosi come una drag queen… beh, non era esattamente rassicurante. Hermione si trattenne a stento dal mettersi le dita tra i capelli e tirare forte. Agguantò invece la cravatta di Draco, incurante del fatto che la seta si stropiccia con una facilità impressionante, e lo costrinse ad abbassarsi in modo da guardarlo finalmente negli occhi.
“Ascoltami bene, Malfoy. Ora tu vai a lavarti la faccia, e bada bene che l’acqua sia bella fredda. Poi mi raggiungi in aula, ti siedi, e mi fai il favore di stare fermo e zitto per tutta la durata del processo. Fermo e zitto, sono stata chiara? Fai il morto, chiudi gli occhi e pensa all’Inghilterra, non mi interessa. Quello che ti pare purchè tu non valuti nemmeno lontanamente la possibilità di aprire bocca, ok?”
“Sai Granger, ogni tanto mi ricordi mia madre…”
“Che meraviglia…” borbottò Hermione, voltandosi per entrare in aula, “vai a lavarti la faccia, subito.
“Granger!” la richiamò Draco.
Hermione si voltò: questa volta gli occhi di Draco cercarono i suoi e sembrava avere un’espressione un po’ più intelligente.
“Come sta Ginny?” chiese Draco sottovoce.
Hermione inclinò la testa con uno sguardo indecifrabile.
“Non sono affari tuoi, non credi, Draco Malfoy? Pensa al tuo divorzio adesso. Oppure hai cambiato idea?”
Draco le restituì un’espressione profondamente disgustata. Avrebbe potuto essere il pensiero di Pansy, oppure il suo fegato che stava dichiarando disfatta, difficile dirlo. Ad ogni modo Draco si voltò e se ne andò alla ricerca di una toilette.
In ogni altra situazione Hermione gli avrebbe augurato di tutto cuore di inciampare, cadere di testa dentro un cesso ed affogarsi, facendo, in definitiva, un grosso favore a tutti quanti. Nel caso specifico si limitò a sperare che l’acqua fosse particolarmente gelida e che lui ritrovasse la strada per l’aula di tribunale in tempo per il verdetto.

“Say one thing about our marriage: if there is such a thing as an un-jackpot, I’ve hit it.”
From “We are not married” (movie, 1952)

Draco osservò la propria immagine, riflessa nello specchio macchiato del bagno del Ministero. Il viso diventava via via più nitido, mano a mano che l’acqua fredda faceva il suo effetto e gli rendeva più facile concentrarsi.
Divorziare.
Era qui per divorziare.
E poi avrebbe potuto lanciare quel maledetto anello nelle fogne di Nocturn Alley dove, con un po’ di fortuna, sarebbe finito in pasto ai topi, esattamente dove meritava di stare.

La Granger gli avrebbe fatto tenere la casa, la villa e tutto quanto... ne era certo. D’altra parte si era alleata con sua madre, e non s’era mai visto, a memoria di mago, che una femmina di pura razza Black non ottenesse precisamente quello che voleva. Era una vera fortuna che Narcissa non avesse mai voluto le sue palle su un piatto d’argento… finora.
Ok, ora doveva solo aspettare. E sperare che tutto fosse il più breve e indolore (per lui) possibile.
Aspettare e starsene zitto: quello probabilmente era in grado di farlo, erano anni che lo faceva, aveva un buon allenamento. E poi sarebbe stato libero.
Il viso di Ginny sembrò apparire per un istante di fianco al suo: pallido, con quegli occhi scuri che guardavano il nulla… o forse guardavano verso quel debole ma luminoso legame, quella fiducia che aveva avuto in lui e che era stata spezzata, prima ancora che lui potesse provare – solo provare – a dirle la verità.
Ma se la sarebbe ripresa.
Ne era convinto. O magari ne era convinto il vino che aveva bevuto, ma non aveva importanza: ci avrebbe fatto i conti a divorzio avvenuto. Col vino e con Ginny.

Entrò nell’aula, faticando a mettere a fuoco le pochissime persone presenti: la discrezione era fondamentale, soprattutto considerata la piega che avevano preso gli eventi, per cui c’erano soltanto pochi eletti ad assistere alla disfatta… di Pansy o di Draco che fosse.
Sua madre mancava, sarebbe arrivata più tardi, adorava le entrate da gran diva.
C’era la Granger, seduta sull’orlo della panca, intenta a risistemare le sue carte. Alcuni riccioli scuri erano sfuggiti dallo chignon legato stretto sulla nuca, ma lei era troppo concentrata per accorgersene.
C’era Thed. L’infame. Non era concentrato, non avrebbe mai permesso al proprio avversario di pensare che lui provasse anche solo un briciolo di apprensione per il processo che stava per svolgersi. Stravaccato sulla panca, l’aria rilassata al limite della strafottenza, osservava la Granger da lontano... ma qualcosa lo preoccupava: Draco, che lo conosceva da anni, poteva intuirlo senza sforzo. Era palese, un terremoto interiore che vibrava appena sotto quella finta pigrizia con cui socchiudeva gli occhi assonnati.
E poi c’era lei.
La zoccola d’alto bordo. La cortigiana che si aggirava per le sale dell’alta società, con l’aria angelica di una novella Principessa Anna di ritorno dalle sue vacanze romane. Lei, che della falsità aveva fatto un’arte e del tradimento un gioco d’azzardo. Lei, che sull’apparenza aveva costruito una vita per entrambi, calpestando tutto ciò che avevano di vero, tranne i diamanti. Lei, sua moglie. Ancora per poco.
Pansy voltò la testa e lo guardò.
Buffo come alla fine delle cose, si ripensa sempre all’inizio… a quando Pansy era tutto ciò che aveva sempre voluto in una moglie. Ora, tutto quello che voleva era togliersela dai piedi.
Le rivolse un cenno della testa, un inchino appena accennato, così cortese e beffardo da costituire un insulto peggiore di uno sputo in faccia.
Addio, cara… non aspettarmi per cena.
Pansy non mostrò di cogliere la provocazione; gli voltò le spalle, e posò la mano sinistra sulla manica di Thed, che sedeva al suo fianco. Poteva sembrare un gesto casuale, ma Pansy mosse le vezzosamente dita, come per attirare l’attenzione di Draco – e di tutti i presenti – sul fatto che su quel anulare non splendeva il solito diamante.
A Draco prudevano le mani dalla tentazione di farle vedere a sua volta un dito. Il medio.
Purtroppo la Granger sembrava leggergli nel pensiero quel giorno, perché si voltò e lo fulminò con lo sguardo, indicando, con un gesto perentorio della mano, la panca al proprio fianco. Draco si avviò in silenzio, ricordando a se stesso - anzi ripetendoselo un po’ come un mantra - che era un serpente e, come tale, doveva saper aspettare.
A pensarci bene, cara, non aspettarmi proprio.

************

NdA. I film citati hanno tutti Marilyn Monroe come protagonista.

Lo so che è cortino, ma ho fatto dei cambiamenti all’ultimo momento nello schema e ho pensato di mettere tutto il processo nel prossimo capitolo, che spero di riuscire a pubblicare presto!
Grazie a vegani, chandelora, seven, Nymph, Saty (ti adoro piccola cara, hai trovato vestitini adeguati per l’inverno?), Summer_Black, kpotter (Grazie mille, proprio una bella recensione! Harry? Ma no perché?!?… Harry porta sfiga, non ce lo voglio!), Guenevere (beh, se alla mia veneranda età e con tutte le fanfiction che ho scritto ancora non sapessi usare il verbo avere come la lingua italiana richiede sarei proprio da buttare a mare! Comunque mi hanno fatto piacere i tuoi complimenti, grazie mille!).

   
 
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