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Autore: DarkYuna    01/12/2023    1 recensioni
"Se amarla è una condanna... allora che io sia dannato.".
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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"Nell'oscurità dell'anima,
l'amore può diventare una catena
che ci tiene prigionieri,
una maledizione che non possiamo sfuggire."
- Mary Shelley
 
 
 
 
 
 
1.
 
 
 
 
Se amarla è una condanna… allora che io sia dannato.
 
 
 
 
 
 
 
Nessuno lo nota mai, un giorno qualunque obbligata a sopravvivere, intanto che il sole rifulge, il cicaleccio è solo un vocio di fondo insopportabile e il mondo una prigione priva di fughe, semplicemente ti fermi e ti rompi irreparabilmente.
Inizi, in quel terrificante e preciso istante, a morire.
Le stelle cadranno e i desideri si scialacqueranno, i sorrisi vincolati camufferanno ambizioni di trapasso, la mezzanotte calerà eterna in un cuore d’inverno.
C’è solo un filo invisibile che tiene unita una cucitura malamente lacerata, ed impedisce all’imbottitura di paglia di uscire. Vacillo maldestra su una fune strappata, ubriaca di veleno, ebbra di passato e percorro ad occhi chiusi un tragitto travagliato, schivando per sfortuna le voragini, fin quando ci salterò dentro di mia spontanea volontà. 
 
 
Nessuna malinconia è realmente nuova: le più recenti permettono a quelle più antiche di svelarsi sotto altre forme lancinanti, ma l’essenza è medesima, uguale, identica.
 
 
Semino inquietudine e raccolgo rimpianti, intanto ho indossato un’altra maschera, una della mia non invidiabile collezione di maschere di porcellana e mi accingo a simulare di essere un manichino di cera tra gli altri manichini di cera.
E poi di nuovo daccapo, ancora una volta, l’ultima che sarà sempre la prossima e mai questa. La vita racchiusa in un paio di valige anonime, trascinati alla rinfusa nel bagagliaio della macchina ed un’altra meta, che presto calzerà stretta e dopo la seguente, fin quando non vi sarà più spazio su questa terra dove stanziarsi.
 
 
Aprile è bollente nella punta estrema nel sud-ovest del Regno Unito, un’estate scialba è deflagrata irruente e soffocante, il pianeta si ribella al trattamento d’infamia che persevera indefesso, una richiesta d’aiuto che gli umani superficiali scelgono non accogliere.
Pagheremo tutti, gli errori di molti.
Il navigatore elettronico punzona la meta finale, cinque minuti di strada di un pittoresco borgo marittimo colmo di turisti fuori stagione: Coralba.
 
 
<< È un bel posto. >>, stormisce mesta, mia madre Thalassa.
Osservo di sfuggita il pallido profilo aristocratico, scruta accigliata il paesaggio che scorre indolente al di là del finestrino abbassato. Il corvino della chioma appuntata è svigorito, il viso troppo cereo, l’espressione troppo triste. Non è più lei da tanto.
La postura resta elitaria, seppur infiacchita e debilitata dal lungo viaggio.
Oramai un luogo vale l’altro, non m’affeziono mai, presto ci trasferiremo ancora, un Uroboro imperituro, è un cammino che non avrà mai fine. Mi adeguo, muoio un frammento alla volta e mi perdo nel cielo a mezzanotte.
 
 
Mugugno d’assenso.
<< Saremo il pettegolezzo di domani. >>, blatero distratta, occupata a seguire il tratto. Avvezza ad essere l’argomento preferito di bocche sconosciute, invenzioni fantasiose, chiacchiere insensate. Le streghe destano curiosità, ci siamo abituate. << Speriamo che questi zotici gretti si siano evoluti al secolo corrente e non siano rimasti al 1600. Non ho voglia di finire sul rogo. >>. Osservo con occhio critico Coralba, le strade acciottolate, i numerosi edifici storici, il faro vecchio di almeno cento anni. Adoro i luoghi intrisi di passato, molto meno gli abitanti che ragionano allo stesso modo. 
 
 
<< Hespera! >>, esclama lei a mo’ di rimprovero. << Cosa sono questi preconcetti crudeli? Non sono da te. >>.
 
 
Mi stringo nelle spalle, il rimprovero non sortisce l’effetto sperato.
<< Se non sono io, saranno loro. Preferisco partire prevenuta e ravvedermi, che non concedere il beneficio e restare delusa. >>, replico metallica.
 
 
Mia madre allontana lo sguardo dal panorama, sono al centro dei suoi pensieri adesso.
<< La nostra maledizione non è una scusante per erigere un muro tra noi e loro. Chiudere tutte le porte non è la giusta soluzione. >>.
 
 
Inarco un sopracciglio sarcastica.
<< Non esiste una “giusta soluzione”! La gente muore per colpa nostra, abbiamo le mani sporche di sangue. Trattarli di merda è proprio la cosa migliore che possano augurarsi, per non finire tre metri sotto terra. >>, mi infiammo coinvolta, mentre lei resta calma, distaccata, vuota. Il dolore ha consumato il suo fuoco. 
 
 
<< Sei piena di rabbia, lo so, lo capisco. Stai ancora cercando un modo, ma non sprecare tutta la tua vita per questo… per quanto il fine sia nobile, gli anni passano anche per noi streghe e non torneranno mai più. Vivi al meglio, vivi come puoi, però vivi Hespera. >>. Se ci fosse stata una soluzione, lei ci sarebbe arrivata prima di me, le nostre antenate l’avrebbero scovata molti secoli e secoli fa, e non saremmo sopraggiunti al Tartaro.  
 
 
Le rivolgo un’occhiataccia in cagnesco.
<< Non riprendere questo discorso, per favore: non sono in vena. Non lascerò che nessun uomo mi si avvicini, non voglio che faccia la fine di papà o peggio! >>. E non voglio fare la fine di mia madre che non ha mai davvero superato il lutto, ha smesso di vivere ed è solo un perdurare fino a quando toccherà a lei. << Vivere con il terrore della morte, non è vita. >>.
 
 
<< Non puoi impedire il destino. >>, continua placida. È qui, anche se non del tutto.
Le sue parole giungono come una sfida che non intendo perdere.
 
 
<< Invece sì, posso. >>. Il discorso si chiude brusco, lascia un retrogusto d’amara angoscia nell’abitacolo, un’antica ferita mai cicatrizzata che ci trasciniamo dietro da generazione in generazione, una condanna di atroce sofferenza imbastita nella carne, consumata in una terribile caligo.
 
 
Abbandoniamo il centro di Coralba per dirigerci in una porzione isolata rispetto al nucleo del paesello. Situata su una collina sopraelevata e con una vasta panoramica sul mare, si erige il maniero della famiglia Duskmire.
È la prima volta che vengo qui, ultimo baluardo di una malandata fiducia.
La casa è una struttura a due piani con una progettazione tradizionale. La parte anteriore è adornata da colonne in tocco greco che conferiscono un’impronta di maestosità e magnificenza. L'ingresso principale guarnito con dettagli in ferro battuto. Il tetto è a due falde, rivestito da tegole rosse che aggiungono una sfumatura di folclore.
Il cortile antistante è ampio e ben curato. Ci sono giardini sbocciati con una varietà di piante e fiori, tra cui rose nere naturali, ed arbusti secolari.
Per quanto il sole rischiari questa zona, c’è come un’ombra che aleggia incombente, una tenebra ossuta che non intende dissolversi alla luce del giorno.  
 
 
<< Credevo che nessuno venisse qui da anni? >>, chiedo disinteressata, parcheggiando il SUV all’interno della proprietà privata. Chiaramente qualcuno amministra il maniero in assenza dei suoi legittimi proprietari.
 
 
Mia madre annuisce appena, intanto che si slaccia la cintura e scende dalla macchina.
<< Il custode e suo figlio vengono saltuariamente. >>.
 
 
<< Umani? >>. È la prima volta che permettiamo a degli umani non invischiati direttamente con noi, di avvicinarsi così tanto al nostro mondo.
 
 
<< Non hanno accesso alla casa, possono solo occuparsi del vivaio. Lo fanno da anni oramai. >>.
 
 
Storco il naso, non bado più di tanto a tale dettaglio, gli umani sono solo insignificante rumore bianco sul fondo del barile, il cervello è ottenebrato da altre necessità ed urgenze.
 
 
Gli interni del maniero sono costituiti da molteplici stanze ampie, ciascuna con una funzione distinta. C'è una cucina accogliente con tavolo da pranzo in legno robusto, la grande sala da pranzo abbellita da tende di pizzo bianche e un caminetto spento, la sala centrale possiede un largo tappeto persiano e comodi divani.
In una camera dedicata, è collocato l'altare, un luogo sacro dove vengono condotti i rituali. Ubicato dinanzi ad una finestra con vista sul mare, permettendo l'interazione con le energie naturali durante i riti.
La biblioteca è uno spazio significativo, piena di scaffali che accolgono antichi tomi di stregoneria remota, testi magici e pergamene di originale pelle di pecora con incantesimi. Le pareti sono decorate con simboli magici oscuri e quadri che raffigurano streghe leggendarie della famiglia.
 
 
È da qui che inizierà (e continuerà) la mia ricerca.
 
 
L'atmosfera all'interno della casa è un equilibrio tra il passato e il magico. Le pareti impreziosite da tappezzerie ricche di colori e motivi che raffigurano paesaggi marini.
La luce filtrante attraverso le finestre forgia riverberi affascinanti, il pulviscolo danza leggiadro, mentre il profumo di erbe aromatiche riempie l'aria.
È mentre perlustro la dimora che resto affascinata da un vano in particolare.
Le pareti della stanza sono state dipinte di un colore blu notte profondo, evocando l'immagine del cielo stellato. Sui muri sono appesi drappi e quadri sporchi.
Una grande finestra offre una vista spettacolare sull’intera baia. La spalanco d’istinto per consentire all'aria salina di fluire nella stanza ed alleggerire l’atmosfera pesante di solitudine e polvere.
Il letto, un sontuoso baldacchino con tende indaco, è il fulcro della stanza. Tessuti pregiati, tra cui seta e velluto, fregiano il tutto. Le coperte sono riccamente decorate con fronzoli dorati, elargendo un tocco di lusso.
Di fronte ci sono specchi originari incorniciati con rifiniture auree.
Devono essere passate tante streghe in questa casa, c’è storia palpabile nei mobili di inizio ‘800, episodi che non conosco spirano attorno a me, avverto la magia nella forma più pura: è ovunque.
 
 
Scelgo dove pernottare per le prossime settimane, è questione di poco, non ci fermeremo molto, non possiamo. Meno restiamo, meno legami indugiamo.
La giornata tediosa trascorre come altri mille inizi in precedenza. Scarichiamo i bagagli, ci sistemiamo, prendiamo dimestichezza con la novità che ben presto diverrà consuetudine.
Lo abbiamo già fatto, non è un mutamento, i nostri cambiamenti non portano niente di buono, al contrario ci tolgono. Tolgono la normalità di una vita tranquilla, le radici che non mettiamo mai da nessuna parte, ed un futuro che non prende forma.
Siamo sospese in un bianco limbo dal tempo immutabile, in attesa della sentenza che non si decide a giungere.
 
 
Nelle settimane successive non c’è altro. Davvero.
 
 
Non ho amici, neppure frequento le altre streghe, né quelle di famiglia, né altre. C’è una voragine, poi ci sono tutti gli altri, ma intanto mi tengo stretta la mia prigione, non perché sono in pericolo, proteggo le persone da me stessa.
Il mostro della favola gotica sono io.
Studio zelante i testi antichi presenti nella casa in cerca di un dettaglio, un indizio, un appiglio, qualsiasi cosa che possa essere uno spunto razionale per spezzare la maledizione. È da quasi dieci anni che ci provo, parecchi rituali falliti, leggende artefatte, dicerie infondate tramandate.
Ricostruisco gli avvenimenti dinastici per comprendere dove tutto ha avuto inizio.
Da una parte ci siamo noi, le streghe più potenti ed influenti esistenti sul pianeta, dall’altra un patimento di morte di cui nessuno sa, ma che ci vincola all’eremo.
 
 
L’ultima vittima, di un’interminabile lista di sangue, mio padre.
Ho provato fino all’ultimo a sottrarlo dall’inevitabile, dal famoso destino alla quale mia madre si è rassegnata, mentre io no. Nonostante la devastante sconfitta, so che ancora l’ultima carta del mazzo è nella mia mano e che la partita non è conclusa, fino a quando non sarò io a decretarlo.
Ben presto riprendo la routine stabile, i giorni si susseguono rapidi, si trasformano in settimane infruttuose e i primi due mesi volano via in una disfatta insopportabile, conducendomi ad una noiosissima e vuota estate opprimente.
 
 
Soffoco uno sbadiglio rumoroso, stropiccio gli occhi gonfi e tiro su il naso dall’ennesimo libro dalla pagine ingiallite.
Il cielo s’affresca di uno slavato azzurro all'alba, l'aria è fresca e salmastra. Il sole si erge a rilento all'orizzonte, diffonde una venatura ambrata sul mare calmo, le acque balenano, riversano i raggi caldi.
Il molo è costruito in legno e ha un aspetto rustico ed affascinante. Ci sono diverse imbarcazioni ormeggiate lungo la banchina, alcune delle quali hanno appena terminato la pesca notturna, mentre altre sono in attesa di salpare. Le reti da pesca sono stese al sole per asciugarsi, c'è un'atmosfera di attività frenetica intanto che i pescatori lavorano per scaricare il pesce fresco.
Le barche sono colorate e spesso portano nomi personalizzati, aggiungendo un tocco di carattere al porto. I gabbiani si librano nell'aria, pronti a scendere per un possibile bottino.
L'odore del mare, il suono delle onde che si infrangono sul molo e il canto degli uccelli plasmano un'atmosfera quieta e suggestiva.
 
 
Mi rifugio in questo squarcio di mondo ogni volta che ne ho voglia, a contatto con il mare il fardello sulle spalle si presenta meno oneroso, per un po’ sono normale anche io, una ragazza come tante, non una strega, non funesta, non sola.
Siedo su una delle poche panchine intatte, prendo una pausa da una spasmodica analisi, stiracchio gli arti anchilosati ed un particolare attira l’assonnata attenzione.
 
 
Da una delle imbarcazioni si levano leggere risate maschili, vi sono un paio di giovani pescatori che ridono e scherzano tra di loro, le voci sono mescolate, non metto a fuoco i discorsi. In realtà non presto davvero interesse alle fattezze, ho smesso di interessarmi agli uomini molti anni fa… almeno era quello che credevo.
Siamo sempre alle solite, è la convinzione che mi fotte ogni volta, costruisco muri su muri di cemento, vado in guerra armata fino ai denti, pronta ad affrontare il peggiore dei nemici e poi sono un paio di occhi di mogano ad intrufolarsi nell’unica fenditura nelle difese, e radono al suolo ogni cosa.
È un uomo sui trenta, massimo trentacinque anni, presenza rassicurante e genuina. La pelle è abbronzata dalla costante esposizione al sole del mare, alcune leggere cicatrici sulle mani e sulle braccia, testimonianza delle fatiche del lavoro.
I capelli neri e ricci cadono umidi in modo disordinato sulla fronte, fin sotto le orecchie, danno un tocco di genuinità alle sembianze decise. La ricrescita visibile della barba incornicia il viso, accentuando l’aspetto maturo.
Indossa abiti da lavoro, un grembiule e guanti, sporchi a causa della pesca appena terminata. Nonostante l’innegabile aspetto attraente, gli occhi marroni sono il tratto più caratteristico, caldi e dolci, e quando sorride, lo fa con un'eccitazione sincera, come un bambino che scopre il mondo.
Ha un'aura affabile e un atteggiamento gentile verso gli altri. La figura è atletica, slanciata, snella, però forte.
Nel polso sinistro è ancorato un braccialetto intrecciato fatto a mano con fili colorati sgargianti, è un semplice tocco di brio che si distingue dal vestiario neutro.
 
 
D’un tratto alza lo sguardo timido fino a me e m’inchioda il cuore. È uno strappo inaspettato, un colpo basso, un’eventualità a tradimento.
È  una fitta penetrante al centro del torace, imprevista, confusa, come quando ti pungi con la punta di un ago nascosto alla vista e ti ritrai d’istinto per appurare il danno. Guardi stizzita il foro che sanguina e provi rabbia per esserti fatta stupidamente male, un po’ ti biasimi e un po’ ti commiseri.
Il dolore però dura un attimo, metti il disinfettate, un cerotto e dimentichi in fretta.
Il dolore che m’investe ora infuria durevole, è coercitivo, autocratico, più lo guerreggio e più rischia di trucidare empio, squarcia fuori il cuore dalla gabbia toracica e lo stringe fino a farne polvere. I nodi nell’anima vengono falciati uno ad uno, le priorità sradicate, la mia missione perde d’importanza, le sofferenze smarriscono nerbo, non rammento neppure perché sono qui, che senso ha ogni cosa attorno a me o chi sono. Dal cumulo reciso tuttavia, perviene un filo scintillante spoglio da legature, si distacca dalla mia oscurità per imbattersi a metà strada con il filo scaturito dal petto dello sconosciuto sulla barca, concependo infine un vincolo indissolubile.
 
 
Sorride ad uno dei suoi amici che gli parla, lo fa per cortesia, la sua testa è impegnata e distratta e assente, prosegue a smistare il pesce in un riflesso meccanico, e di nuovo le iridi terrigne è me che esaminano. Rammenta un bosco d’autunno dopo un temporale violento, odore fresco di corteccia ruvida, un falò crepitante nella notte alla quale vorrei fermarmi a riscaldare, un cavallo selvaggio che corre libero in una radura all’imbrunire.
Così terreno, così virile, così umano.
 
 
È in quel preciso istante che un altro pezzo si frammenta, divengo un puzzle che si dissolve, un ammasso di avanzi sfigurati.  
 
 
Azzarda un’occhiata in più, una di troppo, ed un’altra ancora. Conosco quello sguardo, la luce del desiderio che brilla in lui accecandolo, la porta che intende sfondare se non impedisco sul nascere qualsiasi accesso alla follia.
Conosco anche la mia di reazione, il cuore brucia tormento, la speranza che arde nel buio, una brama straziante che si dibatte feroce nell’anima.
Ho detto a mia madre che non mi sarei mai sottomessa al destino, che lo avrei combattuto con ogni cellula del mio essere, invece l’ho già fatto, sono in ginocchio, prostrata ai piedi di una sorte che deride crudele. E non posso fare altro che arrendermi ad esso.
 
 
Raccatto stizzita i libri, devo essere razionale, non è più tempo di sogni e speranze, e, sotto una combinazione di sorpresa, delusione e confusione dell’uomo, vado via piccata senza mai voltarmi indietro.










Note: 
Ultimamente la Musa Ispiratrice è benevola, forse quest'anno è stata più fruttuosa che in tutta la mia vita, quindi ne approfitto fino a quando posso e quindi ecchice qui con una nuova long. 
Inizio già io con l'essere super critica, perché forse avrei potuto impegnarmi un pochettino di più, ma la storia è venuta fuori così, quindi niente boh, spero che possa piacere a qualcuno. 

La stesura della storia è già completa, quindi, salvo imprevisti, pubblicherò come mio solito un capitolo a settimana fino alla fine. 


I posti ed i personaggi sono completamente inventati da me e nulla di quello che ho scritto è vero.


 

Non accetto insulti, commenti idioti, critiche gratuite senza un vero motivo logico. Non verranno accettate nemmeno le critiche pesanti, con i "non ti offendere", sperando che io non mi offenda. Verranno segnalate al sito e poi cancellate. Se non vi piace, nessuno vi obbliga a leggere e soprattutto a commentare.


La storia può presentare errori ortografici, dato che preferisco non sottoporre le mie storie a nessuna Beta.

 

Un abbraccio.
DarkYuna. 


 
  
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