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Autore: Ariadirose    12/12/2023    2 recensioni
Oscar stette in silenzio, con gli occhi chiusi, perché così si lasciava andare quando non era lei al galoppo, e si faceva condurre in carrozza. Assorta, come cogliendo il pretesto per potersi distendere o rifugiare in qualcosa, almeno in quei momenti. E ripensava a quanto avvenuto tempo addietro, rievocato dalla frase di André. Lei non sapeva nulla dell’amore provato da lui... e chissà se allora già lo nutriva. Ad ogni modo non si rendeva conto del perché erano legati: però era vero, avrebbe preferito farsi uccidere piuttosto che lasciar morire il suo attendente.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Licenza poetica

Era rimasta immobile, sentendo che il pericolo era passato, insieme alle grida del popolo che si allontanava dalle strade. Fissava il chiarore proveniente dall’alto, come sentisse da cosa proveniva quella luce. Da lui: quella luce proveniva da lui. Là, poco distante, così come dentro al suo cuore; sempre rimasto al buio, fino ad allora. Oscar aveva bisogno di riprendersi ancora, di insorgere e guardare verso quella direzione, quel silenzio. Si avviò poi rapida a cercarlo, sapendo che anche lui l’avrebbe fatto. Ma stavolta voleva giungere lei a trovarlo per prima…

Uscita fuori dall’angolo, approdata al livello della strada, lo vide ancora seduto, non molto lontano rispetto al riparo dove l’aveva lasciata il conte.

“Cosa ti hanno fatto André?”, disse Oscar raggiungendolo nella piazza.

“Oscar”, la chiamava lui vedendola arrivare.

Era ancora scosso, piuttosto malconcio per le botte ricevute, mentre provava a far leva sulle gambe semiaperte.

“Ti hanno legato… Dio mio, ma ti avrebbero impiccato!”: lei posò gli occhi sul laccio, ancora penzolante, dall’asta del lampione, e si fiondava su di lui, a terra, con le braccia serrate dietro la schiena. “Vieni, faccio io…”, tentava di rompere quei nodi di duro spago che bloccavano le mani del suo soldato.

“Tu stai bene, Oscar?”, replicò di nuovo il suo nome, reclinando un po’ la testa indietro, verso di lei: “Non ti hanno fatto del male, vero?”.

Proprio mentre poneva quella domanda, lei riuscì a sciogliere le braccia di André e, liberati i polsi, le venne istintivo inginocchiarsi di fronte a lui, e massaggiare quelle giunture tanto sacrificate. “André, è tutto a posto”, lo rassicurò passando a guardargli dalle mani il volto, così come lui l’aveva seguita nei suoi movimenti.

Poi proseguì con tono pacato: “Sono stata risucchiata da quella folla, ho perso la spada… o forse me la hanno portata via”.

“Temevo potessero capire che sei una donna… e io, qui, non potevo proteggerti, difenderti in alcun modo…”.

Lei ritirò le mani dai polsi di lui, come rendendosi conto d’un tratto di un incontro prolungato, esibito, dichiarato nella sua manifesta vulnerabilità. Restò invece ipnotizzata dal suo occhio verde: ardente, vivissimo, aperto su di lei. Forse acceso di più da quel dolce contatto spontaneo. Ed Oscar si sentì morire, perché André aveva rischiato molto di più, e come sempre si preoccupava prima di tutto per lei.

Non riusciva a non pensare che se il conte non fosse sopraggiunto per tempo...

“Fersen era qui, e dopo avermi portato in disparte, gli ho detto che eri in pericolo: è stato lui a impedirmi di venirti a cercare, dicendomi che ti avrebbe salvato. Ho avuto paura per ciò che poteva accaderti”.

“Si è trascinato via tutti: sono corsi tutti dietro al suo cavallo al galoppo, un fiume in piena...”.

“E se tornassero? Se qualcuno si rendesse conto dell’impossibilità di raggiungerlo? Via, andiamo via di qua”.

“Sta arrivando qualcuno, in effetti…”.

Non fecero nemmeno in tempo a dirlo e a sollevarsi, che André si sentì chiamare da una voce maschile che giungeva a cavallo… Non era il conte di Fersen, come si poteva ipotizzare. Si trattava invece di Alain che, seguito dal compagno Gerard Lasalle, era venuto a controllare la situazione: informato dal loro quartiere generale della sommossa, e preoccupato del trasporto a Parigi di André e del comandante con la carrozza nobiliare della famiglia di lei.

“Soussons, Lasalle: siete voi”, disse Oscar, mentre André la aiutava a sollevarsi.

Confortato dall’averli trovati vicini, anche se ammaccati, come non era la prima volta, Alain scese da cavallo e si mise a scherzare: “Ma come, noi eravamo così in pena per voi, e vi troviamo qui, sottobraccio, al chiaro di luna?”.

“Non è proprio il momento, sai Alain!? Stavano per mettermi un cappio al collo!”.

“Accipicchia André, ti hanno conciato per benino…”, e poi, più da vicino: “Amico, lo sai che ogni momento può essere giusto”. Tornando poi più serio per tutti: “Era la vostra carrozza che hanno assalito, non è vero? Capita di frequente, in questo periodo. Non è da voi commettere simili imprudenze, comandante”.

“Hai ragione Alain. É evidente, ormai, che questa città giorno dopo giorno cambia il suo volto, presentando nuove insidie. André rischiava di essere impiccato, se non fosse stato per il colonnello Fersen che ci ha salvato, trascinandosi dietro la folla”.

“Via, comandante, l’importante adesso è che si sia risolto tutto per il meglio”, aggiunse Lasalle, lieto di vedere entrambi fuori pericolo.

“Ora vi riportiamo noi a palazzo Jarjayes… Anzi: ho un’idea migliore”, puntualizzò Alain: “André, pensi di essere in grado di condurre il cavallo e provvedere al comandante, riportandola a casa?”.

“Sì, certo”.

“Allora facciamo così: ti presto il mio cavallo. Ritorno con Lasalle in caserma, ma prima io e lui facciamo un sopralluogo. E vediamo se c’è traccia delle vostre armi, anche se la vedo difficile. Quando vi avranno assalito, una volta fatto caso alle uniformi, sicuramente ci saranno andati a nozze, perché i parigini fanno di tutto per armarsi”.

“Già”, riprese Oscar. “È meglio che noi andiamo via, André. Avrai bisogno di alcuni giorni per ristabilirti e resterai con me, a casa. Penserò io a mandare un messaggio al generale Bouille. Quanto a voi due, soldati, avrete diritto a godere di una licenza come ricompensa per la volontaria collaborazione. A questo proposito, Alain, potrai aggiungerla a quella da te richiesta per motivi familiari. Se fosse possibile, vi chiedo di rintracciare notizie del nostro cocchiere. Ad ogni modo passate pure da me domani per gli aggiornamenti sulla vicenda”.

“State tranquilla, comandante”, si misero sull’attenti facendo il saluto militare, mentre Oscar si sistemava sul cavallo e, in forma composta, si appoggiava tuttavia alla schiena del soldato che la scortava.

“Sarebbe meglio mi prestiate comunque un fucile”, disse André.

“Ecco, ti do il mio”, provvedé Gerard: “stavolta me ne privo per una buona causa, sperando comunque che non ne abbiate bisogno. Potrai restituirmelo domani, quando verremo a fare rapporto”.

“Mi spiace dobbiate stare un po’ stretti, comandante, ma è il solo mezzo che abbiamo per consentirvi di giungere a casa, adesso. E senza postiglioni e stemmi nobiliari, non penso corriate altri pericoli, per cui andate senza fretta, che siete tutti indolenziti”, si raccomandava Alain, strizzando l’occhio all’amico. “Se dovessimo incontrare il conte di Fersen, riferiremo che siete sani e salvi, e che il comandante si trova in buone mani”, aggiunse inoltre con risolino malizioso.

“A domani”, rispondeva serio André, in quale, cercando di non ridere allo sfrontato appoggio spiattellato dal compagno, scandiva nettamente, ma solo col labiale, la parola “idiota”.

“Hai capito, il comandante, come si stringe il soldato Grandier”, commentava Alain, accentuando volutamente forse più di quel che vedeva. “Sarebbe bello, per lui, se la sua Oscar la licenza me l’avesse concessa per questo, anziché perlustrare la zona!”, pensava a voce alta, vedendoli dirigersi verso la strada di Versailles.

“Hai detto qualcosa Alain?”, domandava Gerard che si guardava intorno furtivo.

“No, niente soldato, non preoccuparti, io parlo da solo ogni tanto, non te ne eri mai accorto? Vediamo se c’è traccia dei cavalli... Chissà che fine avrà fatto quel cocchiere, poveraccio. Fersen, col cavolo che si è preoccupato di lui! Se non troviamo niente, mi fermo direttamente a Parigi: vado a dormire a casa”.

“Ma come, non avevi detto che tornavi insieme con me in caserma?”.

“Ah, smettila. Di’ un po’: ma tu hai i capelli biondi per caso?”.

“No, Alain”.

“E saresti mica una damigella?”.

“No di certo”.

“Allora te lo scordi, Lasalle, che divido la sella con te”.

“E se il comandante se ne accorge?”.

“Che vuoi che ti dica, speriamo che abbia altro per la testa, buon per noi… e pure per qualcun altro. Dai su, qui non c’è niente, andiamo, che ti offro da bere”, si strinse le spalle, girando all’angolo dell’isolato. “Il comandante ha di meglio a cui pensare, te lo dico io, amico”.

 

 

   
 
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