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Autore: Winterwings    30/12/2023    1 recensioni
Può la scomparsa di una persona cara cambiare interamente la realtà di chi resta? Emanuela è solo una ragazzina, almeno fino alla morte di sua sorella. Questa terribile perdita la porta non solo a crescere improvvisamente, ma anche a maturare una malsana e pericolosa ossessione: lei deve trovare chi ha ucciso Sarah e fargliela pagare a ogni costo e senza sconti. Con una serie di espedienti e un valido aiuto riesce ad assumere una nuova identità e a inserirsi perfettamente nel mondo fatto di ricchezza e sfarzo che tanto disdegna, non calcolando però un imprevisto... Alessandro. È possibile amare qualcuno che crede di odiare con tutto il cuore? Lo scopre a un carissimo prezzo, lui non è come gli altri, è un uomo con cui riesce finalmente a sentire una parvenza di legame... Ma lei non può assolutamente tralasciare chi è davvero.
***
La presente storia contiene riferimenti a droga, alcolismo, prostituzione e depressione, seppur trattati in maniera leggera. Ogni riferimento a persone realmente esistenti, vive o defunte è puramente casuale.
É possibile trovare la storia anche sulla piattaforma Wattpad.
©️Tutti i diritti sono riservati.
Genere: Dark, Noir, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Emanuela, 2018

Dolore. Lo sentivo espandersi lentamente per tutto il mio corpo attaccando le mie membra da cima a fondo rendendomi inesorabilmente schiava;
Paura. Essa invece riuscivo quasi a sentirla scorrere nelle vene, disciolta nel mio stesso sangue: l'ebrezza dei pochi momenti in cui mi sentivo per la prima volta libera e svincolata da tutto veniva abilmente sostituita rendendomi talmente vuota da far male;
Caos. C'è poco da dire sul caos, esso lo sentivo divorarmi dall'interno, rendendomi ceca e sorda, rendendomi nulla, paralizzando la mia mente e consentendo al dolore e alla paura di agire indisturbati prendendo interamente possesso di me. Il caos era in grado di distruggere qualunque cosa sfiorasse, io ero in grado di distruggere qualunque cosa sfiorassi.
Strinsi convulsamente i miei capelli fin dall'attaccatura, tremavo, un gelido vento imperversava dentro di me facendomi perdere il controllo delle mie azioni oltre che del mio corpo.
Sfiorare i punti di pressione non era servito proprio a nulla e neanche contare innumerevoli cifre o ancora elencare ciò che avevo intorno aveva migliorato il mio stato, l'attacco di panico stava avendo la meglio. Ultimamente le mie crisi erano aumentate e nonostante gli innumerevoli farmaci che mi erano stati prescritti continuavano a presentarsi sempre più forti e prepotenti;
Non riuscivo a respirare, i polmoni bruciavano da matti e nessun suono fuoriusciva dalle mie labbra, mentre i miei occhi non riuscivano a distinguere nulla oltre che il buio più totale.
Stringevo, stringevo fino a farmi male sperando di potermi risvegliare da quello stato di apparente ma dolorosa trance, anche se alla fine sapevo bene che nessun dolore avrebbe mai sovrastato quel tipo di crisi. Il mio cuore batteva talmente forte da sembrare in procinto di esplodere, sentivo il suo eco fin dentro il cervello mentre la consapevolezza di non esser poi così forte come volevo far credere avanzava, d'altronde non lo sarei mai stata, non se avessi continuato ad essere Emanuela, chiaramente.
Qualche lacrima disperata solcò il mio viso, odiavo essere schiava di quella maledetta forza che mi costringeva a prostrarmi in ginocchio di fronte a uno scherzo della mia mente, così debole e fragile di fronte a essa, la paura che contenevo nei meandri del mio e ormai a detta di tutti, malato cervello. Quel maledetto seme si era instillato a forza dentro di me come un invadente parassita. Il mio cuore perse un battito e un filo d'aria raggiunse i miei polmoni alleviando il bruciore e permettendomi di ricominciare a respirare. Era stata una crisi molto feroce e per niente breve, non credo che riuscirò mai a dimenticare quel tipo di dolore, come non potrò mai dimenticare ciò che i miei occhi credettero di vedere: tenevo una pistola fra le mani, le mie mani così affusolate e curate che non sembravano neanche appartenermi, unghie appuntite e laccate di rosso che mai avevo avuto e mai di certo avrei pensato di poter avere al di fuori di quella bizzarra idea. Un paio d'occhi verdi con riflesso il mio volto mi scrutavano terrorizzati, mi erano fin troppo familiari, erano tristi, sofferenti, occhi che avrei riconosciuto ovunque e fra mille. All’improvviso non fu più mia sorella Sarah a trovarsi davanti a me, ma Lorenzo, con la mia pistola puntata fermamente in fronte. I suoi occhi anch'essi verdi, troppo simili a quelli di mia sorella ma talmente tetri da mettere i brividi mi scrutavano senza timore e con innata superbia, non aveva paura né di me né della morte... lui stesso era stato portatore di morte, come poteva aver paura di me? Immaginai di premere il grilletto e la mia mente riprodusse il sonoro rumore di uno sparo, lui non c'era più ma sul mio volto c'era un distorto sorriso, qualcosa che in quel momento non mi piacque affatto e probabilmente fu in quel momento che il mio ultimo briciolo di umanità scomparve. Tornai seppur affannosamente a respirare, il dolore si stava affievolendo portando con sé tutto ciò che di buono era rimasto. Da quel momento, non lo sapevo ancora, sarei stata in grado di provare solo odio, il sentimento anticristiano per eccellenza. In qualche modo avevo appena venduto la mia anima a qualcosa di molto, molto pericoloso che per molto tempo mi avrebbe garantito fortuna e occasioni valide. Lasciai di scatto la presa sui miei capelli, finalmente in grado di sentire il dolore che mi ero autoinflitta. Tracce di sangue e innumerevoli fili dorati adornavano le mie mani come macabre decorazioni rosso e oro. Col dorso della mano mi asciugai il viso dalle lacrime, le ultime, giurai letteralmente a me stessa. Quella notte, in qualche perverso modo nacque una prima bozza di Eleonora e io non ebbi mai più una sola crisi per tutto il resto della mia vita. Presto mi sarei tramutata in una specie di mostro, lo stesso tipo di essere da cui Sarah amava proteggermi e che aveva finito per ucciderla, un mostro senza scrupoli e coscienza, un mostro che doveva eliminarne un altro. Ormai era tutto scritto oltre che deciso, sarei stata un essere dannato con due anime distinte e separate, la prima di cui non sarebbe rimasto neanche un corpo mentre la seconda, pronta anche a uccidere, si sarebbe presa tutto, dal primo all'ultimo pezzo di me. Forse stavo diventando psicotica, non saprei dirlo... mi feci addirittura pena con quel discorso interiore che stavo intavolando con me stessa, stavo solo molto male ed ero come sempre da quando Sarah non c'era più, sola, sola con me e la mia mente.
Il mio sguardo ricadde nuovamente sulle mie mani, mani così diverse adesso che le guardavo con altri occhi, diverse come lo ero io.
Forse fu uno scherzo del destino visto come andarono le cose, eppure quella breve e illogica visione mi aveva mostrato la strada, la stessa strada che avrei inconsapevolmente intrapreso portando me stessa all'autodistruzione. Io sarei diventata presto il caos che tanto avevo temuto, avrei distrutto tutto ciò che mi circondava con un solo tocco... oh se solo l'avessi saputo;
Mi avviai in bagno verso lo specchio, erano le tre di notte circa ma era tutto talmente chiaro e lucido per me. Fu così che presi in mano un paio di forbici e iniziai convulsamente e senza ritegno a tagliare i miei lunghi capelli color oro come fossi in trance. Ero senza espressione, vitrea e vuota come un pezzo di ghiaccio, allo specchio sembrava proprio che qualcos'altro avesse preso possesso di me. Ero diversa, così diversa che neanche i miei occhi sembravano più appartenermi. Sarei diventata una figura sensuale ed elegante, un po' come mi ero appena immaginata stregata dalla crisi ma per i miei capelli biondi non c'era spazio... essi li avevo immaginati neri, neri come la pece e corti come mai avevo osato fare, forse, talmente corti a causa del ricordo dei miei frequenti attacchi di panico e forse, neri come il mio caos. Il mio volto da ragazzina era improvvisamente scomparso indurendosi e sembrando istantaneamente più maturo. Sarei cambiata, sarei stata sempre in ordine... sarei diventata una splendida donna, sicura di me, vuota e sola ma con la vendetta in pugno, cosa avrei potuto desiderare di più? Oltre che la testa di quell’aguzzino su un piatto d'argento ovviamente! Mi guardai dritta negli occhi e l'impeto di rompere lo specchio fu forte ma l'inutilità di quel gesto non mi avrebbe portato proprio da nessuna parte; era del tutto inutile rinnegare la mia immagine, ero stata debole, in quel momento sembravo invece una pazza uscita da chissà quale manicomio... ma presto sarei stata completamente diversa dalle precedenti e imbarazzanti versioni di me;
Poggiai le mani sul lavabo osservando le ciocche bionde che giacevano sull'immacolata porcellana, alcune macchie di sangue lo adornavano come un monito, il cambiamento necessitava di un sacrificio.

- Cos'hai fatto?!

Udì lo sgomento alterare la voce alle mie spalle. Non mi voltai neanche immaginando il suo volto stanco e stremato, stremato da me che non ero la figlia perfetta né tantomeno la preferita. Per lei ero sempre stata la figlia problematica, ero semplicemente la secondogenita.

- Ho avuto l'ennesima crisi.

Presi un respiro.

- E tu non c'eri.

Confessai con un filo di voce. Ero stanca, veramente stanca e la mia voce risultò quasi come una supplica, nient'affatto il mio intento.

- Stavo riposando, Emanuela, cosa che avresti dovuto fare anche tu. Avresti potuto chiamarmi, dopotutto.

Aprì il rubinetto non prima di aver lasciato cadere le ciocche per terra, l'acqua ghiacciata cancellò le tracce di sangue fresco sia dalle mie mani che dal lavandino raffreddando a fondo anche il mio animo.

- Come posso chiamarti se mi manca il fiato? Eh?

Strinsi un pugno e le mie nocche divennero bianche. Ira. L'ultimo sentimento che in quel momento lambiva la mia anima era proprio l'ira, uno dei sette peccati capitali e forse il più grave che aveva sfiorato il mio essere quella notte, uno dei due che contribuì a forgiare il mio futuro e pessimo carattere.

- Pretendi forse che smetta anche di dormire per sorvegliarti? Non ti sembra di esagerare ora?

Un pizzico di fastidio cambiò la glaciale voce di mia madre. Anche lei era esausta, lo eravamo entrambe, ma lei tendeva davvero a minimizzare tutto ciò che mi orbitava attorno.

- Scusa se disturbo il tuo riposo con le mie crisi, almeno fra le due tu riesci anche a dormire.

Mi voltai agguantando un asciugamano e osservando il suo volto in penombra.

- Smettila di fare la melodrammatica. Credi forse che a me tua sorella non manchi? Non mi laceri l'anima sapere che non esiste più?

Puntai i miei occhi nei suoi talmente uguali ai miei ma così glaciali e privi di emozione nei miei riguardi. Io i miei occhi azzurri li avevo ereditati proprio da lei mentre Sarah probabilmente aveva ereditato i suoi occhi verde smeraldo da nostro padre, anche lui, a quanto pare, fuggito appena in tempo da nostra madre.

- Lo so che avresti preferito riavere lei, l'avrei voluto anch'io... e invece? Invece ti è toccata la psic...

La sua mano impattò istantaneamente sulla mia guancia sinistra, il bruciore arrivò immediatamente e il suo schiaffo ferì ciò che restava del mio orgoglio frantumandolo in pezzi. Immaginai che probabilmente il carattere dovevo averlo ereditato da mio padre, ogni mia frase suscitava in lei un fastidio ben più profondo, radicato in qualcosa di antico e perduto che io mai avrei potuto scoprire. Il rancore sembrava divorarle l'anima quando si trattava di me, l'unico essere vivente in grado di risvegliare quel genere di reazione.

- Smettila, non voglio più sentirti. Va a dormire e piantala con queste sciocchezze. È tutto dentro il tuo cervello, prendi quelle dannate pillole e dormi. Dormi e tutto passerà prima di ciò che credi!

Lo disse con un tono talmente distaccato e alterato da gelarmi sul posto. Mi lasciò così, sbattendo la porta della sua camera e sola con un vistoso segno rosso sul viso. Poco dopo tornai in camera con le idee più chiare che mai, buttai innanzitutto tutte quelle inutili pillole dopodiché presi una valigia da sotto il mio letto, ci scaraventai dentro quanti più vestiti possibili, mi vestì e senza lasciare neanche un biglietto uscì. Vagai con una meta ben precisa, ritrovandomi davanti alla porta di Bryan, che non fu poi così sorpreso di vedermi nonostante fossero ormai quasi le cinque. I suoi occhi si sgranarono alla vista dei miei capelli rovinati e della valigia.

- Ti preparo una camomilla, mh? Sta tranquilla, io sono qui, sono qui con te.

Mi disse stringendomi gelosamente al suo petto e immaginando già cosa fosse accaduto. Il pungente odore di fumo riempiva già la stanza, segno che anche lui fosse già sveglio da un po'. Immaginavo per certo che anche lui la notte fosse tormentato almeno quanto me.

- No, non serve. Ho solo bisogno di dormire e di poter contare su qualcuno.

Mi accarezzò il viso nel punto in cui la mano di mia madre si era schiantata contro la pelle, la stanchezza iniziava a farsi sentire e gli occhi mi bruciavano da matti, fu così che chiusi le palpebre terribilmente stanche e gonfi.

- Tu potrai sempre contare su di me.

Mi accarezzò il viso, passando poi le mani fra ciò che restava dei miei capelli. Avvicinò le labbra alla mia fronte lasciando un tenero bacio su di essa. Istantaneamente mi rilassai.

- Perché?

Disse dispiaciuto oltre che quasi sofferente, sapevo bene quanto gli piacessero i miei capelli.

- Li ho tirati talmente forte da odiarli, odiarne la lunghezza, il colore, detestandoli perché nonostante li stessi tirando a sangue in quel momento non riuscivo a sentire neanche dolore. Non fanno più per me, questo corpo non fa più per me.

Dissi sottovoce mentre lui mi stringeva ancora al suo petto.
- Andiamo.

Mi accompagnò dolcemente. Mi stesi al suo fianco, il letto era troppo grande solo per il ragazzo, ma perfetto per entrambi eppure, nonostante ciò, decisi di stringerlo a me come un'ancora, come se non ci fosse abbastanza spazio per entrambi, come se potesse dissolversi e sparire improvvisamente anche lui. Lo immaginai così, a vegliare su di me e sul mio sonno, mentre crollavo cullata dal suo respiro con la testa sul suo petto. In qualche inconsapevole modo avevo iniziato a distruggere anche lui tirandolo nel baratro giù con me; mi avrebbe seguito ovunque, anche all'inferno se solo glielo avessi chiesto.

   
 
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