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Autore: La Fra    20/01/2024    0 recensioni
1972, Los Angeles. La senatrice repubblicana Erzebet Bathory ha vinto le elezioni o, almeno, questo è quello che tutti credono. Il giovane Rick Belmont dovrà superare i traumi del suo passato per gettare luce sui segreti e i misteri di una città spietata. Ad aiutarlo, nuove e vecchie conoscenze. (Moder AU / Castlevania: Nocturne)
L'idea per questo AU è nata per caso. A dire il vero, da un errore di battitura in un articolo che parlava della serie "Castlevania: Nocturne" secondo il quale la Rivoluzione Francese si sarebbe svolta nel 1972
Genere: Commedia, Satirico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Richter e Mary erano come fratelli. Negli ultimi dieci anni, avevano condiviso un appartamento in un quartiere periferico attraversato da uno snodo autostradale. Il traffico disturbava la quiete e le luci delle automobili proiettavano ombre psichedeliche attraverso le tende di perline.

Richter non se ne lamentava. Quel luogo era riuscito a essere una casa nel momento peggiore della sua vita e lo era rimasta così a lungo da fargli imparare a memoria l'odore dei fumi dei ristoranti sotto casa a seconda del giorno della settimana e riuscire a comprendere che ora fosse solo guardando i palazzi della Downtown, oltre il cavalcavia. Al mattino bastava contare quanti piani fossero illuminata dal sole. Alla sera, quante luci fossero ancora accese.

Però, non poteva negarlo, la prima notte che aveva trascorso lì era stata terribile. Si era ritrovato a nove anni, da solo, su un taxi con uno zainetto in spalla e gli occhi ancora gonfi per il funerale della mamma. Appena sceso dall'automobile, era finito tra le braccia di una sconosciuta (perché la zia Tera non era che un'estranea all'epoca e, a dirla tutta, non era nemmeno sua zia) che puzzava di cipolle.

Il condominio nel quale avrebbe dovuto trascorrere il resto della sua infanzia, a confronto della villa di famiglia, era tetro e decadente.

Tera lo aveva fatto salire una serie di rampe di scale fino a quando Richter non aveva quasi collassato in un bagno di sudore. Il calore estivo si annidava all'ultimo piano. La lampadina sulla soglia dell'appartamento aveva tremolato e la zia Tera le aveva dato una pacca per rinvigorirla. L'interno, c'era solo una lampada accesa, una nebbiolina insolita e un odore che Richter non era riuscito a identificare, ma che gli aveva stretto lo stomaco. Aveva rifiutato la zuppa riscaldata. Voleva solo andare a letto.

Richter era piombato lì senza preavviso e Tera aveva dovuto arrangiare il suo studio, ammucchiando tutte le cose su un lato e raffazzonando un letto. Se ci ripensava ora, sorrideva, ma, da bambino, quella stanza piena di ombre e scatoloni gli era sembrata una prigione.

Aveva dovuto rifiutare per ben due volte un bicchiere di latte e miele prima di rimanere finalmente da solo. Si era allora appallottolato sul letto con le gambe strette in petto, ma era balzato di nuovo in piedi quando aveva visto una figura che lo guardava da oltre la porta accostata.

Una bambina, con una vestaglia bianca e i piedi scalzi, lo aveva fissato con occhi stralunati. «Alla TV parlano di tua mamma. Dicono che l'hanno ammazzata.» Era entrata tendendo un braccio sul quale era appollaiato quello che, nella mente traumatizzata di Richter, sembrò un demone dagli occhi gialli. «Giochi un po' con noi?»

«And the wind, it cries,» aveva cantato il mostro, «Mary!» Richter aveva urlato a squarciagola ed era scoppiato a piangere.

Aveva creduto davvero che quel posto non sarebbe mai diventato casa sua, ma, con la stessa facilità con la quale la villa Belmont aveva smesso di esserlo con i lampeggianti delle volanti e le transenne, anche quell'appartamento si era trasformato, da un giorno all'altro, in qualcosa di completamente diverso. Al suo risveglio, Richter aveva scoperto che la stanza, illuminata dal sole, era piena di luce e colori. Cristalli di diverse forme e dimensioni riempivano ogni scaffale e ripiano, acchiappasogni pendevano dal soffitto e maschere voodoo adornavano i muri. Gli odori che aveva sentito la sera precedente erano essenze di sali ed erbe aromatiche riposti in barattoli di vetro.
Dalla cucina, provenivano delle risate. Quando Richter aveva svoltato l'angolo della stanza, era stato accolto da un sorriso gentile, un bacio sulla fronte e pancakes. Si era seduto accanto a Mary e il pappagallo dalle piume rosse e blu, sul suo trespolo, era sembrato molto meno inquietante di quando non fosse stato la sera prima. Persino la sua canzone ora sembrava un motivetto allegro.

Richter aveva capito solo allora quale fosse il potere dell'oscurità; si serviva delle paure delle persone, entrava nelle loro menti nei momenti più bui e cercava di mettervi radice. Da quel giorno, si era ripromesso di guardare le cose, almeno quelle importanti, solo in piena luce. E la sua vita era andata meglio. Molto meglio. Ma c'erano ancora delle volte nelle quali chiudeva gli occhi e quel buio strisciava dentro di lui e lo riportava indietro a quando non c'era luce, calore nè speranza...

Dieci anni dopo, si considerava, tutto sommato, fortunato: nella vita aveva trovato due volte una casa, due volte una madre e, quando meno se lo aspettava, una sorella. Quest'ultima aveva anche i suoi inconvenienti. Specialmente, se aveva sedici anni e viveva con lui.

«Pronto? Ma chi è?» Quando Richter entrò dalla porta, trovò Mary all'ingresso con il cappello floscio, gli occhiali da sole e un dito avvolto intorno al filo del telefono. «Non sento niente, ma si può sapere chi parla?» Mary sbarrò gli occhi verso Richter, che alzò le spalle. Allontanò allora la cornetta e ci strillò dentro. «Ascolta, maniaco, se chiami ancora una volta per startene lì ad ansimare, giuro che ti denuncio. Mio fratello sta nell'FBI! Stronzo.» Riagganciò. «Questa settimana è la terza volta. Non ne posso più.»

«Hai un ammiratore segreto?» Richter si levò la giacca e cercò un posto sull'appendiabiti strapieno.

«I clienti non ne fanno niente di una telefonata.» Mary fece schioccare il chewing-gum contro il palato e si sistemò il rossetto sbavato nell'angolo della bocca allo specchio. «Se mi vogliono incontrare o hanno bisogno qualcosa vengono direttamente qui.» Prese le chiavi di casa e le infilò in una borsa di tela. «Guarda che siamo uscendo.»

Richter si stava già levando le scarpe. «Ho bisogno di farmi una dormita e una doccia.»

«Sono io quella che lavora di notte.» Mary si abbassò gli occhiali e lo guardò da oltre le lenti scure, masticando rumorosamente. «Non sei rientrato nemmeno stasera, è la seconda di fila. Da quando Bathory è stata eletta, ti comporti in modo strano.» Poi, fece un sorriso malizioso. «Non è che sei stato da Anne anche stanotte? Voglio sapere tutto quello che è successo, per filo e per segno.»

«Beh, ecco, non che ci sia molto da...»

«And the wind, it cries,» lo interruppe una voce dall'altra stanza, «Mary!»

«Oh, mi sono dimenticata di dare da mangiare a Jimi Hendrix.» Mary tornò in cucina e rovistò sui piani fino a quando non trovò la scatola di mangime. Cosparse una striscia di semi sul tavolo e il pappagallo volò dal suo trespolo. «Mary!»

«Non volevi insegnarli qualche altra frase?» Richter si appoggiò allo stipite della porta con le braccia incrociate.

«Gli ho fatto sentire tutte le canzoni di Jimi Hendrix, cioè, di quello vero, intendo, ma continua a ripetere solo questa. Ama il mio nome, non è vero, Jimi?» Mary grattò il pappagallo dietro la testa. «Allora, Richie, dov'eri rimasto?»

Richter fece un broncio. «In realtà, stavi dicendo tutto da sola.»

«Senti, adesso siamo di fretta.»
Di fretta, la domenica mattina?
Mary tornò all'ingresso per specchiarsi, tirò fuori la camicia dai pantaloncini di jeans e la annodò sullo stomaco. «Mi racconti tutto mentre mangiamo qualcosa, okay?»

Mary insisteva sempre per fare colazione in un locale ai margini del parco chiamato "Café Liberté". Era un posto per niente economico, ma aveva buona musica al volume giusto, profumo di fragole e caffè e divanetti rossi disposti lungo la vetrata. Fungeva da punto di ritrovo per le famiglie che frequentavano il parco per via della posizione e della vista: oltre la strada poco trafficata e la pista ciclabile, un parco si apriva in un laghetto artificiale. Le anatre increspavano il riflesso della chiesa, un edificio imponete di marmo bianco che sembrava osservarli attraverso il rosone.

«Il bello di essere emigrati è scoprire le abitudini di un altro paese. È un po' come vivere due vite.»

Richter prese un sorso di caffè nero e si ustionò la punta della lingua. «Sei nata in California e questo fa di te un'americana.»

«Parlo delle mie origini. La mamma ha sempre cucinato le specialità del suo paese.»

«Patate, cipolle...» Richter sospirò. «Prima di trasferirmi con voi, non credevo che si potesse fare la zuppa con ogni cosa.»

«E vogliamo parlare della panna acida?»

«"Se non la finisci tutta, non avrai la tua vodka, stasera".» Risero tutti e due. Poi, calò il silenzio.

Forse, c'era una parte di Richter, incastrata tra quella americana e quella europea, che apparteneva a una terra fredda e lontana nella quale non era mai stato.

«In Unione Sovietica non hanno il pollo fritto con i waffle e nemmeno l'avocado toast,» continuò Mary. «Ora che siamo da soli, posso mangiare quello che mi pare e diventare davvero americana. Però, ti confesso una cosa: l'altra sera, quando non c'eri, ho preso delle cipolle al negozio sotto casa e le ho cotte per un'ora intera. La casa puzzava da fare schifo, ma quando ho preso un cucchiaio di quella brodaglia, mi sono sentita come se la mamma fosse lì con me.» Agitò il barattolo dello sciroppo d'acero e lo strizzò con due mani sotto agli occhi attoniti di Richter.

«Non credo che quello vada lì,» le disse. «E dovresti fare pace con tua madre invece di perdere tempo con... qualsiasi cosa sia questo.» Lo sciroppo colò dal pollo fritto e Mary si infilò il pollice in bocca per ripulirlo.

«Lo farò quando mi darà delle spiegazioni. Si rifiuta di parlarmi del suo passato, quindi, mi sto attivando per scoprirlo da sola.» La schiuma del cappuccino le era rimasta sul labbro superiore. «E comunque, per tua informazione, questo è un brunch.»

«A me sembra un pranzo,» mormorò Richter, «anzi, un pranzo e una cena messi insieme.»

«Ho lavorato tutta la notte, ho bisogno di energie. Hai idea di quanto sia faticoso il mio lavoro?»

«Sai che c'è? Non voglio saperlo.»

«Scommetto non ti dispiacerebbe scoprirlo con Annette.» Mary si levò il chewing-gum dalla bocca e lo appiccicò al vassoio. «So che avete discusso per le elezioni.»

«E tu come fai a saperlo?»

Aprì i palmi delle mani e disegnò dei cerchi nell'aria. «La tua aura urla frustrazione.»

«Parli come tua madre.»

Mary fece un sorriso, concentrata a tagliare il waffle in due. «Sono pur sempre sua figlia, in qualcosa dovrò assomigliarle.» Poi, aggrottò le sopracciglia. «Comunque, siamo qui per parlare di te e di quanto sei imbranato a flirtare. Io e Anne siamo uscite, ieri, mi ha detto delle cose.»

«Cazzo...» Maledetta sorellanza.

«Senti, Richie, sarò onesta con te: Anne non è una per principianti.»

«Io non sono un principiante.»

La risata di Mary suonò come un insulto.

Richter guardò fuori dalla vetrata e si sentì avvampare. «Lei è così...» scontrosa, incazzata, emotivamente inaccessibile, «è una scatola chiusa e ultimamente mi sembra ancora più lontana.»

«Lontana come?»

«Come se tutto quello che le dicessi fosse sbagliato ancor prima di uscire dalla mia bocca.»

«Il clima è teso in questi giorni, Anne tiene molto alla politica e a te non frega un cazzo, quindi è normale che vi scontriate.»

«Ehi, io sono attivo politicamente.»

«E io sono una suora,» ribatté in fretta. «Se ci tieni tanto, diciamo che te ne frega meno che a lei per ovvie ragioni. E questo innesca delle discussioni.»

Innescava discussioni, certo, come tutto il resto. Negli ultimi mesi le cose erano peggiorate tra lui e Annette e, ormai, litigavano di continuo, per qualsiasi cosa. Se Richter andava al cesso, ubriaco marcio o strafatto, e lasciava la tavoletta alzata, lei non solo si imbestialiva, ma partiva con la solfa del patriarcato. Usava quella carta anche quando Richter commetteva l'errore imperdonabile, a quanto pareva, di giudicare una persona in base al genere. Non lo faceva con cattiveria, solo per comodità; Richter amava le cose semplici della vita e tutte quelle regole che Annette imponeva rendevano le cose così complicate... Gli facevano venire un gran mal di testa.

«Non so mai cosa vuole sentirsi dire,» ammise Richter, dopo un po'. «Se offro io la cena mi risponde che sono maschilista; se dico, va bene allora offri tu, mi dice che sono uno stronzo perché dovrei sapere come se la passano lei ed Ed.»

«Hai provato a smettere di pensare a quello che vuole sentirsi dire?» chiese Mary.

«Certo, così finisco per farmi prendere a calci.»

«No, Richie, sei fuori strada. Anne vuole che tu prenda una posizione, lo capisci?»

«Una posizione su cosa?»

«Avrai una tua idea sulle cose che le interessano. La musica, la politica, il patriarcato... Bathory e la sua campagna elettorale, per esempio.»

Richter sentì una vena di ostilità nei confronti di Mary e la rivide, per un momento, come quella prima sera nell'appartamento. Ingenua, ma terribilmente minacciosa.

Incrociò le braccia. «Certo che ce l'ho.»

«Okay,» fece lei, mentre rigirava la coscia di pollo nello sciroppo, «e?»

«Io non...» si bloccò, di colpo. «Non sono andato a votare.»

Mary sbatté il coltello sul tavolo, come per trattenersi dalla tentazione di usarlo. «Non ci sei andato?» ripeté a bassa voce. «Anne lo sa?»

«Sono vivo, quindi no.»

«Avrebbe ragione a volerti uccidere.» Si calmò così in fretta da lasciar pensare a Richter che quella di prima fosse stata solo una recita. «Te lo dirò solo una volta, Richie: capisco cosa stai passando. Le cose che ti sono successe sono terribili, dal raid alla comune alla morte di tua madre. Non è giusto che i responsabili rimangano impuniti, ma il mondo cambia velocemente e, se continui a pensare al passato, finirai solo per rimanere indietro.»

«Quindi, secondo te, avrei dovuto votare per i Democratici e far finta che Venice Beach sia stata una specie di ingiustizia? Ci viveva gente pericolosa, armata, con ideologie estreme! Dovrei far finta che quegli stronzi non siano venuti a casa mia nel cuore della notte e abbiano ammazzato mia madre solo perché faceva il suo lavoro?»

«Non so darti una risposta su questo,» disse Mary, addolorata, «ma credo che dovresti parlare con Anne di quello che senti e delle cose che ti turbano, sono sicura che capirebbe.»

«Magari ci penserebbe su,» disse Richter, con un grugnito, «mentre mi prende a calci!»

«Conflitto,» dichiarò Mary, addentando il pollo. «Ricordi cosa significa?»

«Sinceramente, inizio a pensare che lei non funzioni come le altre donne.»

«Anne non ha un padre, quindi il rapporto con gli uomini è inesplorato.»

«Che cazzo c'entra il padre adesso?»

«Fidati, c'entra sempre.» Mary strofinò le mani per levarsi le briciole. «Ascoltami, le donne comunicano con gli uomini verso i quali sono attratte tramite il conflitto. Conflitto significa confronto. Gli uomini sono fisici, menti semplici (non te la prendere), usano la lotta per comunicare tra loro.»

Richter non si rivedeva per niente in quella descrizione e stava quasi per puntualizzarlo, ma si trattenne. Annette lo stava trasformando in una specie di paladino schierato contro pregiudizi e stereotipi. Che cosa stava diventando?

«Noi donne abbiamo imparato a usare la lotta per entrare nella bolla che vi costruite intorno,» continuò Mary. «Così, per avvicinarci, vi diciamo che avete torto, che siete stupidi, che non ci importa nulla di voi... ma la verità è che vogliamo solo un contatto. Ecco, in un altro caso ti consiglierei di affrontarla, ma, vedi, Anne, prima di essere una donna, è tua amica e ha bisogno di supporto. Vorrebbe che tu la capissi e la sostenessi nelle cose importanti per lei.»

«Quindi...» Richter si era perso a metà discorso, «devo scegliere il conflitto o la comprensione?»

Mary serrò le labbra. «Sarò sincera, è una situazione complicata.»

«Wow, non so davvero perché ci provo ancora,» Richter si mise una mano in faccia. «Fai proprio cagare a dare consigli.»

Mary mosse le spalle come per sfilarsi un maglione immaginario. «Scusami,» rise, «sono abituata alla lotta, non al dialogo. I miei clienti non mi pagano per starli a sentire. Se avrai bisogno consigli a letto, però...»

«No, Mary,» Richter la interruppe subito, «no.» Il peso che aveva nel petto stava diventando insopportabile. «Forse, dovrei lasciare tutto così com'è con Anne, precario e pieno di casini. Per lo meno, lei fa ancora parte nella mia vita. Non potrei accettare di perderla per aver fatto qualche stronzata.»

«Mm, queste cose gliele hai mai dette?»

«Figurati...»

«Dovreste imparare tutti e due a comunicare. Mi dispiace, ma non posso fare da tramite per sempre.»

«Da tramite? Vuoi dire che ti ha detto qualcosa su di me?»

Le campane della chiesa rintoccarono le undici del mattino e Mary si spinse gli occhiali da sole tondi sul naso. «Finalmente, ci siamo. Si sta spostando.»

Le persone iniziarono a riversarsi sul sagrato della chiesa e nel parco, attraverso il ponte. Mary si spostò lungo il tavolo, fin contro la vetrata, si abbassò gli occhiali e osservò la folla di fedeli.

«Cerchi qualcuno in particolare?» chiese Richter.

Le unghie dipinte ticchettavano sul tavolo, poi si fermarono. «Eccoti lì, brutto figlio di puttana,» disse Mary. «Non puoi rinunciare al tuo scotch dopo la funzione, vero?»

Richter si spostò contro la vetrata. Ad attirare la sua attenzione furono due uomini che stavano attraversando la strada. Uno di loro era particolarmente elegante, con la camicia dal colletto alto e stretto. «Porca puttana, non sarà un po' eccessivo per un prete?»

«Reverendo,» lo corresse Mary.

«Quello che è. Non dovrebbero vestirsi di nero, con la gonna o roba simile?»

«Quelli sono i cattolici.»

«Beh, un completo così costa un sacco di soldi, se vendesse il crocefisso d'oro che ha sul taschino sfamerebbe mezza città,» commentò Richter, «e quella tenuta da Cowboy? Ma dai.» Sopra al completo cobalto, il Reverendo indossava un cappotto panna, come il cappello. Doveva essere appena uscito dalla chiesa in compagnia del suo accompagnatore, che... Era una divisa federale, quella? Richter strizzò gli occhi. «Ehi, ma lo conosco.»

«Mm?»

«Il poliziotto,» precisò Richter.

«Aspetta...» Mary si voltò, «in che senso lo conosci?»

«Lavoravamo insieme quando ero all'FBI.»

«Cioè, anche lui conosce te?»

«Cazzo, sì! È Mizrak.» Richter si sbracciò contro la vetrata e fu sicuro che, oltre gli occhiali da sole, Mizrak lo avesse visto perché sollevò due dita in saluto. «Ma è in servizio? E cosa ci fa con un prete?»

«Reverendo,» lo corresse di nuovo Mary.

«Pensavo fosse nella scorta di Bathory.» Richter aveva sentimenti contrastanti nel rivedere il vecchio collega, «l'ho visto l'altro giorno in TV e ora qui, che coincidenza.»

«Nella scorta di Bathory...» Mary si portò le mani davanti alla bocca. Poi gettò la borsa sul divanetto alle sue spalle. «Cazzo, cazzo, cazzo, stanno venendo qui. Fai finta di niente.»

«Finta di niente?»

Mary balzò oltre lo schienale e si mise seduta, il capello calcato in testa e lo sguardo rivolto dall'altra parte. «Io e te non ci siamo mai visti prima.»

Continua...

 

   
 
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