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Autore: Yssis    12/02/2024    0 recensioni
-Quello che voglio dire è… Siamo cresciuti in questi anni, e sono successe molte cose, ma tu sei sempre rimasto. Per me. In me. I-Intendo che sei importante. Ecco. Ho sempre pensato che fossimo semplicemente piccoli, e beh sono cose che capitano no?, ma ora tu sei qui e rivederti è stato davvero stupendo e io. Lo penso ancora. Dovevo dirtelo. Sì.-
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Nella vita di Kidou Yuuto ci sono sempre state molte incertezze, ma un fatto è sempre rimasto incrollabile: la sua crush per Gouenji Shuuya. Durante gli anni delle scuole superiori, Kidou "ci mette una pietra sopra", Gouenji non è più così irrimediabilmente eterosessuale, Haruna e Fudou si divertono a loro spese e, fra una cosa e l'altra, Yuuka ottiene un cucciolo.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Axel/Shuuya, Caleb/Akio, Jude/Yuuto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Shuuya aveva sempre spinto il pensiero di fare coming out nel fondo della sua mente, determinato ad ignorarlo. Non era da lui, a dire la verità. Era molto più abituato a prendere gli scenari negativi di petto, con serietà ed ostinazione, fino a quando non venivano ad una risoluzione: quando c’entrava suo padre, il suo coraggio si sgretolava.

Shuuya si sentiva diverso con suo padre. Chiunque l’avrebbe definito un ragazzo carismatico, determinato, riservato, serio e di buon cuore; chi lo conosceva meglio avrebbe aggiunto che era appassionato, audace, timido, leale. Tuttavia, quando era intorno a suo padre, riusciva soltanto a sentirsi e a comportarsi come un ragazzino, per sempre bloccato nell’impotenza e nella rabbia dei suoi dodici anni. Era nervoso e irascibile, permaloso e sospettoso, non riusciva a parlare con lui sentendosi suo pari e moriva dalla voglia di sfidarlo e di vedere quell’espressione grave di disapprovazione.

Kidou sotto sotto pensava che fosse un idiota infantile, Gouenji lo sapeva. Era oltraggiato e offeso, ma una parte di lui temeva avesse ragione.

Si erano lasciati da due giorni e Shuuya non aveva dormito nessuna delle due notti. Era così addolorato da non riuscire a sdraiarsi a letto senza ricordare come fosse avere Yuuto accanto a lui fra le lenzuola; era così arrabbiato da non riuscire a fare altro che ripetere la loro litigata nella sua testa, in continuazione. Così si era tenuto occupato. Si era allenato fino a sentire i polpacci in fiamme, sfiorando il limite dell’esagerazione; ma non avrebbe messo a repentaglio la sua qualifica solo perché Kidou lo aveva fatto incazzare, così tornava a casa più nervoso di prima e cercava di stemperare le sue emozioni con docce gelide.

La valigia era aperta al centro della sua stanza, già piena. Quando faticava a dormire ricontrollava di non aver dimenticato nulla e cercava di proiettarsi al futuro. La città europea dove avrebbe vissuto in vista del torneo. I nuovi compagni di squadra con cui avrebbe giocato. I nuovi regimi di allenamento, ben più intensi di quelli a cui era abituato. I grandi campioni che aveva sempre ammirato in televisione e che forse avrebbe conosciuto. Kidou avrebbe guardato le sue partite e lo avrebbe visto vincere, quel vigliacco. Nel buio profondo delle tre del mattino, le mani serrate sul dolcevita rosso che tante volte aveva prestato al suo ex ragazzo, Shuuya sperava che avrebbe rimpianto di non essere partito con lui.

Il giorno della sua partenza si avvicinava e non riusciva a liberarsi della sensazione che, però, Kidou avesse avuto ragione. Le sue parole gli rimbombavano in testa, ritornavano quando credeva di essere finalmente riuscito a concentrarsi su altro. Codardo, ripeteva Yuuto nella sua mente, facendogli mancare la porta, Vieni a fare la predica a me quando non hai neanche le palle di affrontare tuo padre. Scappa pure all’estero e continua a nasconderti come un ratto.

Si stava talmente ossessionando che ogni volta che incrociava lo sguardo di suo padre il cuore gli balzava nel petto accelerando i battiti. Kidou si sbagliava. Lui non era più un ragazzino e non aveva paura di suo padre. Lo disapprovava già, dopotutto. Non solo aveva insistito tanto per continuare a giocare a calcio durante il Football Frontier International, la sua permanenza in Germania era stata completamente inutile: era stato mediocre e appena sufficiente nella scuola preparatoria per studiare medicina – suo padre non lo sapeva, ma Gouenji poteva ammettere con se stesso di non essersi applicato un singolo giorno di quei tre anni. Tornato in Giappone, si era rifiutato di continuare quegli studi e ancora più testardamente di smettere di giocare a calcio. Si era invece formato professionalmente come atleta e allenatore, perché non c’era altra cosa al mondo che desiderasse di più. Poi c’erano state le qualifiche per i mondiali e le chiamate degli sponsor: si era fatto notare da scout esteri e aveva avuto il lusso di scegliere fra un paio di offerte di contratto di squadre diverse. A pochi giorni sarebbe partito per debuttare sul panorama mondiale nelle categorie per adulti e suo padre cosa aveva fatto, oltre che non parlargli e rivolgergli indirettamente delle ramanzine? Al diavolo. Suo padre non poteva controllarlo. Il vaso non era traboccato finora, poteva anche dirgli che gli piacevano gli uomini. “Cosa sarebbe potuto accadere?”, si ripeteva con gli occhi fissi sul soffitto. Al diavolo Yuuto e al diavolo suo padre. Non lo controllava. Kidou non aveva ragione.

Shuuya credeva di aver già sperimentato la rabbia di suo padre quando Yuuka era stata coinvolta nell’incidente d’auto. Ricordava poco di quei giorni, che aveva passato in un completo e muto stato di panico. Aveva ignorato ogni telefonata dei suoi compagni della Kidokawa e per giorni non aveva scambiato una parola con nessuno, a parte la sua governante, che aveva cercato goffamente di stargli vicino. Suo padre era stato giorno e notte in ospedale, finché le condizioni della piccolina non si erano stabilizzate, finché non era stato chiaro che avrebbero solo potuto aspettare che si svegliasse da sola. Non aveva rivolto una singola parola a Shuuya, ma non ce n’era bisogno: aveva capito dal suo sguardo cupo che incolpava lui e la sua partita. Disperato e atterrito, aveva giurato a se stesso di non giocare mai più a calcio, nonostante dentro di sé sapesse quanto fosse illogico e ingiusto. In Endou aveva trovato un amico, un confidente e soprattutto un’assoluzione.

Quando l’Aliea lo aveva minacciato aveva chiesto aiuto a suo padre, come qualsiasi quattordicenne avrebbe fatto. La sua voce tremava di spavento e avrebbe voluto essere abbracciato. Suo padre gli era sembrato ingrigito tutto di colpo nel suo ufficio tutto bianco, la pelle scura tesa su rughe di tensione e stress. Sua figlia si era appena risvegliata dopo l’anno più straziante della sua esistenza e alla prospettiva che fosse di nuovo in pericolo era scattato come una molla, cieco a qualsiasi altra cosa che non fosse un disperato istinto di protezione. Si era alzato di scatto dalla sedia e si era messo ad urlare: -Devi finirla con questo calcio, è un’ossessione, non sei più un bambino-, i suoi occhi erano stralunati e gli sembrava che non lo vedesse, -Stai mettendo in pericolo la nostra famiglia per un capriccio!- Sull’aereo per Okinawa, Shuuya aveva pianto e si era promesso che da quel momento non si sarebbe più comportato come un bambino: avrebbe risolto da solo i suoi problemi e non avrebbe più chiesto aiuto a suo padre. Hijitaka si era preso cura di lui per quei mesi solitari e Gouenji non aveva mai ricevuto una telefonata da casa; aveva creduto che suo padre non avrebbe voluto parlargli mai più, proprio come aveva temuto dopo l’incidente di Yuuka. La paura era stata tale che, quando non era più stato in pericolo, aveva preferito unirsi subito alla sua squadra piuttosto che tornare a casa e affrontare suo padre.

Col senno di poi, era stato dall’incidente di Yuuka che qualcosa fra di loro era andato in frantumi e tutto ciò che era accaduto dopo erano state schegge che si conficcavano sempre più a fondo, sempre più vicine alle arterie. Non c’era nulla che Shuuya potesse fare per soddisfare suo padre, non davvero, e in effetti non c’era nulla che sarebbe stato disposto a fare per renderlo contento, non davvero. Da quel momento, da quel singolo giorno raccapricciante di dieci anni prima, erano state due rette divergenti sempre più distanti. Il dottor Gouenji voleva che Shuuya diventasse un medico e un padre di famiglia, voleva che lo aiutasse a proteggere Yuuka e a tenere unita la famiglia. Doveva fare onore al sangue che gli scorreva nelle vene, gli ripeteva sempre. Questo futuro era nel suo DNA e il calcio era una sciocchezza, era vergognoso che alla sua età impiegasse ancora tante energie in qualcosa di così frivolo. Lo biasimava, perché neanche per il bene della sua famiglia era stato disposto ad abbandonare un tale passatempo infantile. Shuuya avrebbe solo voluto gridare che quello che era successo alla sua sorellina non era colpa sua e che non era giusto che pagasse per la sua intera esistenza per questo. Avrebbe solo voluto gridare che anche il sangue di mamma gli scorreva nelle vene, quello non contava niente solo perché lei non c’era più?

Gli era uscito dalla bocca all’improvviso, come una bolla che scoppia. Era seduto sul divano in salotto e stava facendo vedere a Yuuka i file informativi che gli erano appena arrivati dalla federazione con cui aveva firmato il contratto per la stagione: c’era il nome della città in cui avrebbe vissuto e le indicazioni per come raggiungerla dall’aereoporto e si erano messi a cercare tutte le foto che erano riusciti a trovare. Suo padre era entrato e si era innervosito, constatando che Yuuka non era venuta sulla soglia a salutarlo. Più diventava grande, più gli sembrava che sua figlia si schierasse dalla parte di Shuuya. Era passato davanti a loro per lasciare la sua cartellina nello studio e aveva buttato lì un commento torvo, denigrante. Lo faceva da tutta la settimana a dire la verità, tutte le volte che sentiva qualche informazione sul contratto di suo figlio, ma quella volta Shuuya non ci aveva più visto.

Si era alzato di scatto e aveva intimato a suo padre di ripetere quello che aveva detto. Yuuka gli aveva preso la mano e aveva cercato di spingerlo di nuovo seduto accanto a lei, preoccupazione sul bel volto pallido, ma suo fratello aveva scrollato via quel contatto. “Stanne fuori”, era sembrato intimarle, ma Yuuka era ormai quasi quindicenne: era abbastanza grande da capire che non sarebbe stata una litigata qualsiasi. Non era riuscita né a muoversi né a parlare, i grandi occhi scuri che assorbivano la rabbia di cui la stanza straboccava.

-Non hai il permesso di alzare la voce con me, Shuuya.-

-E tu non hai il permesso di trattarmi in questo modo. Non sono più un bambino e questo sarà il mio lavoro, devi portargli rispetto.-

Il dottor Gouenji l’aveva squadrato dall’alto in basso, deridendolo senza l’accenno di un sorriso. -Da quando hai deciso di impiegare la tua vita in un gioco sì, sarai sempre un bambino. Questo non è lavoro, è pari ad una gita scolastica. Te ne accorgerai prima o poi e tornerai qui a darmi ragione.-

-Potrei tornare con la vittoria di un torneo mondiale, questo non conta nulla?-

-Ho operato una donna di trentacinque anni oggi. Era madre di un bambino e, grazie a me, quel bambino non è diventato un orfano. Mi stai dicendo che con il tuo torneo mondiale potrai fare una cosa del genere?-

Un’espressione cupa e rabbiosa aveva trasformato il volto di Shuuya. Yuuka non assisteva spesso a queste discussioni: sapeva che succedevano tutte le volte che suo padre e suo fratello erano in una stanza con la porta chiusa, ma non alzavano mai la voce e sembrava fossero attenti a non farle sentire nulla. In effetti, anche ora suo padre era rivolto verso il proprio ufficio, degnando a stento Shuuya di un’occhiata di sbieco, come se avesse intenzione di andarsene da lì a poco. In un’altra occasione suo fratello avrebbe lasciato stare, ma quella volta era diverso. Yuuka non sapeva perché, ma l’espressione di Shuuya non lasciava dubbi.

-E’ così difficile capire che non voglio fare il medico e basta, papà?-

-Stai compiendo una scelta stupida. Sai qual è il tuo destino, quello per cui sei in questo mondo, ma ti ostini a voler giocare come quando avevi sette anni. E’ ridicolo.-

Shuuya aveva i pugni serrati lungo i fianchi e le sue mani tremavano. -Questo gioco ridicolo è la passione più grande della mia vita, da sempre. Non mi farai cambiare idea, non succederà mai. Non puoi accettarlo e basta?-

-Accettare che mio figlio sia un inetto e un incapace, che vuole buttare la sua vita dietro ad una palla che rotola?-, ribatté il dottor Gouenji, come se fosse la cosa più stupida che qualcuno potesse chiedergli. Gli aveva dato completamente le spalle e aveva ripreso a camminare. Aveva smesso di considerare quella conversazione, e suo figlio, degni della sua attenzione.

-E accettare che tuo figlio sia un finocchio, allora? Questo almeno lo puoi fare, papà?-

Yuuka non riuscì a trattenere un sussulto di sorpresa. Cercò lo sguardo di suo fratello, ma Shuuya guardava fisso la schiena di suo padre. Aveva gli occhi lucidi e le guance rosse e sembrava non stesse respirando. Non riusciva a credere alle sue orecchie, cosa stava facendo? Perché non le aveva detto che intendeva fare coming out con loro padre?

Anche il signor Gouenji era rimasto immobile, come pietrificato. Per qualche agonizzante istante ci fu silenzio.

-Pensavo di averti insegnato la decenza, Shuuya. Non voglio più sentire questi scherzi osceni, per di più davanti a tua sorella.-

Shuuya fece un passo in avanti. I suoi occhi fiammeggiavano. -Non sto scherzando.- Decretò con voce ferma e seria, così in contrasto con le sue mani ancora tremanti. Le serrò più forte per cercare di fermarle.

Qualcosa nella sua voce doveva averlo convinto, perché il signor Gouenji si girò. Guardò suo figlio per qualche momento con gli occhi spalancati sotto agli occhiali, cerchiati da occhiaie, infossati da anni di sonno arretrato, alla ricerca di qualche segnale di irriverenza o beffa. Ma Shuuya lo guardava fisso a sua volta, in quel modo limpido e grave, quell’espressione determinata che, ironia della sorte, aveva preso proprio da suo padre.

-Non è possibile.-, affermò dopo qualche momento, scuotendo la testa. -Hai sempre avuto delle ragazze.-

-Invece sì, papà. Mi piacciono gli uomini.-

Era raro che riuscisse a lasciare suo padre senza parole. Imbaldanzito dalla sua espressione attonita, Shuuya si sentì riempire di scherno e desiderio di rivincita. Aveva voglia di scrollarsi dalle spalle il peso di tutti i rimproveri, di tutto il biasimo e la colpa. Voleva sentirsi grande e capace e in controllo. Voleva dimostrare a se stesso che Kidou non aveva avuto ragione.

-Credi di sapere quale sia il mio destino? Non hai neanche capito che tuo figlio si fa scopare da un uomo da due anni, figuriamoci cosa è meglio per il mio futuro. Non sai un bel niente di me e non sei nessuno per dirmi cosa fare! Io giocherò a calcio perché è quello che desidero e tu non puoi impedirmelo. E non puoi impedirmi neanche di volere un uomo. Al diavolo il tuo DNA, papà.-

Le parole gli stavano uscendo dalla bocca senza controllo e sentiva di star perdendo la presa su se stesso. Troppo volgare, troppo aggressivo. Non sarebbe andata bene. Il silenzio di suo padre era preoccupante. Non riusciva comunque a fermarsi, l’arrendevolezza passiva di Kidou gli balenava negli occhi e fomentava la sua rabbia. Era furioso con suo padre e con Yuuto, due voci che nell’agitazione del momento andavano sovrapponendosi. Kidou l’aveva sempre biasimato per come si comportava con suo padre, fra le righe sosteneva sempre che dovesse assecondarlo, ma ad ogni momento buono non aveva mai mancato di ricordargli quanto fosse patetico a non avergli mai confessato la sua sessualità. Suo padre gli aveva insegnato la rettitudine, il valore del duro lavoro e degli ideali, l’importanza di credere con fervore in qualcosa, ma da anni non faceva che chiedergli di tradire quegli stessi principi. Sentiva le loro aspettative come formiche sul corpo ed era dominato dalla smania di scrollarle via.

-Basta! Non tollero queste oscenità in casa mia! Mio figlio non è un finocchio e il discorso è finito qui!-

-Dovrai proprio tollerarlo invece. Un bravo medico come te non è neanche riuscito a fare in modo che suo figlio crescesse sano, dovresti farti qualche domanda.-

-Ho detto basta, Shuuya! Hai passato il limite.-

Il signor Gouenji fece uno scatto incontrollato in avanti. Non aveva mai alzato le mani sui suoi figli, neanche quando erano piccoli. Ritornò in sé solo perché il suo sguardo cadde su Yuuka, congelata sul divano con i suoi occhi scuri spalancati e le labbra tremanti, che si stava sforzando di non piangere. Inspirò profondamente e si rassettò la giacca, tirandone i bordi verso il basso con un gesto brusco.

-Non voglio mai più sentire queste schifezze, hai capito? Tu non sei frocio, non te lo permetto. Mio figlio non potrebbe mai essere un… un deviato. Hai già disonorato abbastanza la tua famiglia così.-

Shuuya emise un piccolo suono strozzato, a metà fra una risata e un singhiozzo. Sentiva di star tremando dalla testa ai piedi adesso. -La mamma non l’avrebbe mai pensata così.- Commentò. La sua voce si era fatta piccola, appena un soffio. Non sapeva parlare di sua madre in altro modo se non quello.

Il volto del signor Gouenji si fece rosso tutto di colpo. -Cosa c’entra tua madre adesso?- Il suo tono gelido e trattenuto era un avvertimento.

Non si parlava mai della signora Gouenji in quella casa, persino Yuuka lo sapeva. Erano passati quindici anni dalla sua morte ed era ancora un buco aperto nel petto di loro padre, la diretta via d’accesso ad un dolore indescrivibile che i due bambini avevano imparato presto a non sfiorare. Ma Shuuya era spaventato e arrabbiato e si era reso conto tutto di colpo che avrebbe tanto voluto la sua mamma, in quel momento. Avrebbe voluto dire a lei i suoi dubbi e le sue scoperte, raccontarle di Markus e di Kidou, dirle “Mamma, sono bisessuale” e farsi abbracciare e dire che sarebbe andato tutto bene. Invece davanti a lui c’era solo suo padre e lo odiava per questo.

Così alzò il mento e parlò più forte. -La mamma non l’avrebbe mai pensata così. Io non sono solo figlio tuo, sono anche figlio suo. Sei tu che disonori lei.-

Capì ancora prima che suo padre aprisse bocca di aver superato una linea a cui non bisognava avvicinarsi. Se fosse stato meno ferito, forse avrebbe pensato di scusarsi, ma sentiva solo il sangue pulsare nelle orecchie e la bocca asciutta.

-Non so chi tu sia.- Sentenziò suo padre, guardandolo dritto negli occhi. La sua voce era tornata secca e controllata. Shuuya si sentì strangolare. -Non voglio estranei in casa mia. Hai cinque minuti per aprire quella porta e andartene. Mi fai ribrezzo… Tu non sei mio figlio.-

Rimase immobile, a guardare come in un sogno suo padre che si girava di scatto, riprendeva la cartellina che aveva appoggiato a terra e si dirigeva nel suo studio, chiudendo la porta senza sbatterla, come se non avesse appena cacciato di casa suo figlio. Solo dopo trovò la forza di scuotersi, come un giocattolo a cui viene data la carica. In camera sua, la valigia era già pronta, constatò con uno slancio di ironia crudele. Non poteva esserci tempismo migliore.

Yuuka gli corse dietro, naturalmente. Aveva gli occhi arrossati e le guance segnate di lacrime e si aggrappò al suo braccio.

-Fratellone, fratellone, dove stai andando? Papà non diceva sul serio, non puoi andartene, risolveremo tutto…-

Quello che gli stava chiedendo in realtà era di non lasciarla sola. Shuuya chiuse la valigia e la abbracciò forte, tenendosela stretta al petto e respirando l’odore dei suoi capelli. Era cresciuta così tanto, gli sembrava ieri che doveva inginocchiarsi per guardarla negli occhi.

-Mi dispiace, Yuuka. Non volevo farti assistere.- Ammise con rimorso. Sua sorella si allontanò dal suo petto per guardarlo in faccia, determinata e seria. Sembrava che quello sguardo concentrato e responsabile venisse naturalmente a tutti i Gouenji… o, forse, come diceva sempre Kidou, lui e Yuuka si somigliavano più di quanto credessero.

-Vai da Kidou-senpai. Provo io a parlare con papà, sistemeremo le cose.-

Una fitta di dolore gli attraversò il petto. Prese la valigia e indossò la giacca. -Yuuto mi ha mollato.- Non si voltò, perché l’espressione sorpresa di sua sorella gli avrebbe fatto troppo male. -Non preoccuparti, il mio aereo è domani sera.-

-Fratellone…-

Se ne andò sbattendo la porta e, anche se qualcuno glielo avesse detto, non avrebbe mai creduto che quella fosse davvero l’ultima volta che entrava in casa sua.

Dormì in albergo quella notte e andò in aeroporto con un anticipo ridicolo. Nessuno venne a salutarlo al gate, anche se Gouenji si stancò gli occhi fino all’ultimo a forza di cercare nella folla qualcuno che somigliasse al suo Kidou. Si erano lasciati da neanche una settimana e sentiva il suo mondo fatto a pezzi. Suo padre non permise a Yuuka di venirlo a salutare. Volò sul continente per raggiungere il suo futuro nel calcio, quello che aveva passato tutta la sua adolescenza a sognare, e si disse che, a questo punto, avrebbe anche potuto non tornare mai più indietro.


Non ti abbattere, fratellone, le cose si risolveranno
Fai buon viaggio e conquistali tutti!
Farò il tifo per te da qui
Scrivimi quando atterri xoxo

author's corner

Ad onor del vero, voglio bene a Katsuya. Non è colpa mia se sia lui che Shuuya sono due muli
Beh, eccoci qui! Grazie per tutti quelli che hanno seguito questa storia fino alla fine!
Sto già lavorando ad un sequel che spero di farvi leggere presto. Nel frattempo, pubblicherò un piccolo approfondimento prequel, principalmente sull'infanzia di Yuuto. Se vi ritroverò lì, sarà un piacere <3 <3

  
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