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Autore: Yssis    24/02/2024    0 recensioni
A partire dal rapporto con suo papà (che in effetti non ha spiccate doti genitoriali) e quello con Kageyama (emotivamente costipato e dispensatore di traumi ambulante), per poi arrivare al legame con la Teikoku Gakuen (bulli griffati molto affezionati), superando la separazione da sua sorella (bu-uh) e inaspettati slanci sentimentali (le splendide cotte delle scuole medie)...
Per passare dall'impacciato magro orfanello Yuuto all'arrogante regista e capitano Kidou, la strada è lunga.
Genere: Angst, Comico, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Altri, David/Jiro, Joe/Koujirou, Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tutti conoscono il grande Kidou Yuuto, abile calciatore e gamemarker della Teikoku Gakuen, eccellente stratega, vincitore di numerose competizioni giovanili. Fra i membri dell’alta società è conosciuto come un ragazzo educato, obbediente, rispettoso dell’autorità, ma socievole, disinibito, vivace conversatore, veloce nel pensiero e dedito agli impegni scolastici. Una persona brillante, per nulla timida, fiera e disinvolta, che sa dare ordini e sa quando chinare il capo: un figlio modello, di cui essere orgogliosi, un erede impeccabile per la grande e prospera attività di famiglia condotta da generazioni prima di lui.

Nessuno, conoscendolo, dubiterebbe delle sue attitudini caratteriali, perfettamente in linea con le aspettative riposte in lui. Nessuno penserebbe che non sia un Kidou fatto e finito: tuttavia non è sempre stato così. Yuuto in particolare non ha sempre avuto la certezza di potersi definire a tutti gli effetti un membro della famiglia e godere di quella tranquillità tipica di chi sa da dove viene e qual è il suo posto. Nel corso degli anni ha dovuto continuamente dimostrare di essere all’altezza della scelta che era stata fatta, di accoglierlo in famiglia e di educarlo come erede, ha dovuto costantemente confermare quell’aspettativa, che ha sempre pesato sulla sua testa come una minaccia, più che come un conforto e una tutela. A volte, in effetti, dubita ancora adesso e nel silenzio della propria camera, svegliandosi con il batticuore, ha paura di venir diseredato a causa di qualche sua mancanza. Futili motivi, ma se è in gioco la propria vita, anche il più futile dei motivi assume di colpo un’importanza decisiva.

Era categorico vincere, era prioritario primeggiare, per poter confermare la sua presenza in quella casa. L’ossessione per la vittoria, l’ambizione all’eccellenza, furono pensieri che si introdussero nella sua mente di bambino molto presto, sin da quando dall’orfanotrofio si trasferì nella residenza dei Kidou. Si rese conto ben presto delle aspettative riposte in lui, del significato strategico ed egoista della sua adozione. Suo padre, il signor Kidou, doveva sfoggiare quel figlio che non aveva mai avuto e di cui aveva, quasi politicamente, bisogno. L’unico che davvero aveva a cuore il suo futuro e si interessava a lui era il signor Kageyama. Era stato lui a raccomandarlo ai Kidou e a insistere perché venisse iscritto alla scuola di cui era dirigente. Yuuto adorava il signor Kageyama, quell’uomo si era interessato a lui guardandolo giocare e fin da subito gli aveva fatto molti complimenti. A Yuuto piaceva giocare a calcio e Kageyama lo incoraggiava a fare ciò che gli piaceva, non come suo padre, che pretendeva che facesse cose che Yuuto non conosceva e in cui non era molto abile. Anzi, Kageyama lo aiutava a rispondere positivamente alle aspettative che i Kidou riponevano in lui, gli dava dritte di ogni tipo, dagli allenamenti per migliorare la calligrafia agli ammonimenti di buona educazione a tavola. Kageyama era un vincente e Yuuto aveva bisogno di diventare proprio come lui, così suo padre sarebbe stato fiero di lui e non l’avrebbe riportato in orfanotrofio: doveva diventare grande, potente, intelligente e sapere tante cose, proprio come il signor Kageyama. Seguendo il suo esempio e le sue indicazioni, ci sarebbe senz’altro riuscito.

I primi tempi a scuola non erano stati per niente semplici per lui. Tutti i bambini in quell’aula già si conoscevano fra loro e Yuuto veniva guardato male, sistematicamente escluso. Di suo non era mai stato molto abile a socializzare, in orfanotrofio aveva sua sorella da proteggere e aveva sempre avuto attorno bambini che erano una minaccia, dei veri nemici: competitori agguerriti, nell’infausto e miserevole compito di corteggiare i visitatori dell’orfanotrofio, di rendersi piacenti agli occhi di potenziali nuovi genitori. Yuuto non era abituato a non temere sgambetti e cattiverie, non era familiare all’idea di fare amicizia, di socializzare con altri bambini; d’altro canto, i suoi compagni alla Teikoku erano figli di famiglie abbienti, di natura sospettosi e ostili verso chi proviene dall’esterno della loro ristretta cerchia di conoscenze. Passava il suo tempo chino sul banco, obbediente dei regolamenti affissi alle pareti, e tornava subito a casa dopo le lezioni; se suo padre era impegnato a lavoro, Yuuto passava in presidenza le ore del doposcuola, seduto su un banchetto che Kageyama aveva provveduto a sistemare per lui, in un angolo dove non desse fastidio a potenziali visitatori del suo ufficio. Silenzioso, svolgeva i compiti assegnati dai vari docenti ed era Kageyama che ogni tanto andava a controllare se stesse bene: l’aveva beccato un paio di volte a fare dei disegni per sua sorella, che aveva prontamente provveduto a far sparire, e altre volte a riprodurre su carta gli schemi di gioco delle partite viste in televisione. Il preside non faceva mistero della fascinazione che provava per questa innata propensione di Yuuto e faceva sì che la sviluppasse il più possibile, proponendogli situazioni di gioco a cui doveva controbattere con strategie vincenti. Per il giovane Kidou era un gioco, per Kageyama un vero investimento.

Erano passati solo alcuni mesi dal suo ingresso in quel nuovo mondo, quando a scuola vennero consegnati dei moduli da compilare inerenti alcune attività formative extracurriculari. La maggioranza dei suoi compagni, già informata di questo, compilò il foglio e lo consegnò direttamente al coordinatore di classe. Anche a Kidou era stato detto che in quei giorni avrebbe dovuto compilare certi documenti per le attività scolastiche e avrebbe voluto comportarsi esattamente come gli altri suoi compagni di classe. Disgraziatamente si accorse che, fra i campi da compilare, era presente anche la dicitura dell’indirizzo di residenza, che lui proprio non riusciva a ricordare. Sicuramente gliel’avevano detto, ma, per quanto si sforzasse, non riusciva a portare alla mente quell’informazione. Così chiese il permesso al docente di portare a casa il modulo e consegnarlo l’indomani mattina, permesso che gli venne concesso. Yuuto era tranquillo: nel doposcuola l’avrebbe domandato al signor Kageyama, per evitare di fare una brutta figura con suo padre, e avrebbe così risolto il proprio problema. Malauguratamente realizzò che Kageyama era impegnato in alcune riunioni importanti e non poteva tenerlo in presidenza con sé quel pomeriggio: il suo autista lo venne a prendere sotto scuola e lo portò a casa.

Yuuto a quel punto era molto agitato: suo padre sarebbe rientrato da un momento all’altro e gli sembrava parecchio inappropriato chiedergli quale fosse l’indirizzo della casa dove abitava ormai da tante settimane. Ci pensò su, aveva urgentemente bisogno di trovare una soluzione, i documenti andavano consegnati l’indomani mattina e Kageyama era irreperibile. D’altro canto, non poteva uscire di casa per controllare il nome della via e il numero civico, sarebbe stato davvero sconveniente da parte sua. Come un’illuminazione, lo colse un pensiero: nel documento di identità era riportato l’indirizzo di residenza. Poteva leggerlo e copiarlo da lì, bastava solo recuperare il documento, il proprio o quello del padre. Entrambi erano conservati nel portafoglio di suo padre. Contento di aver trovato una soluzione, Yuuto non perse altro tempo: così venne colto con le mani nel portafoglio dal signor Kidou, che rimase pietrificato sul posto.

Chissà cosa passò per la testa dell’uomo in quel momento: non lo disse mai a suo figlio, né tantomeno raccontò l’incidente a qualcuno nei giorni seguenti. Era fonte di imbarazzo sociale avere in casa un bambino così poco educato da rovistare nel portafoglio di un adulto senza permesso. Forse si pentì di aver seguito il suggerimento di Kageyama, accogliendo in casa un orfano sconosciuto: forse, seguendo un inconscio pregiudizio dissacrante nei confronti dei più sfortunati, si chiese che razza di sangue di ladro e criminale avesse quel bambino nelle vene. Forse valutò seriamente l’ipotesi di cacciarlo di casa, in modo da evitare altri incidenti di quel tipo. Forse, più semplicemente, non sapendo cosa pensare, si lasciò solo prendere dall’ira e dalla delusione.

Ciò che accadde fu che richiamò Yuuto vicino a sé e, quando lo ebbe a portata di mano, gli afferrò il portafoglio e lo strattonò bruscamente. Gli occhi grandi del bambino erano ricolmi di spavento e mortificazione per essere stato beccato in flagrante: non aveva mai visto suo padre arrabbiarsi e non avrebbe mai voluto vederlo. Venne ricacciato in camera sua, Yuuto si precipitò su dalle scale come fosse inseguito.

La sua mente correva a mille all’ora, rincorsa dal panico. A che prezzo aveva pagato la lettura di quell’indirizzo, in che razza di guaio si era cacciato! Era stato così attento in tutti quei mesi, si era impegnato tantissimo, seguendo alla perfezione tutte le istruzioni che aveva ricevuto e facendo sì che suo padre venisse sempre lodato per la sua accurata scelta, dai docenti a scuola ai conoscenti, dai colleghi ai vicini di casa… Ora si vergognava tantissimo del suo avventato comportamento e temeva le conseguenze di quella rabbia che aveva letto negli occhi del genitore adottivo. Se avesse cambiato idea e l’avesse riportato all’orfanotrofio? Avrebbe rivisto Haruna e ne sarebbe stato contentissimo, ma era estremamente difficile già di per sé trovare una famiglia adottiva, se fosse stato riportato indietro per maleducazione e negligenza nei confronti dei doveri familiari, nessuna famiglia l’avrebbe voluto con sé una seconda volta. Sarebbe rimasto completamente solo e senza risorse, non avrebbe più avuto nessuna speranza di rivedere sua sorella e avrebbe passato seri guai anche dentro l’orfanotrofio.

Provava infinita vergogna e temeva già di dover abbandonare la sua stanza: con orrore, guardandosi attorno, realizzò che, se l’avessero riportato indietro, non avrebbe potuto portare con sé niente di quelle che definiva le sue cose. Tutto quello che era presente in quella camera, dal suo peluche di cucciolo di pinguino dalle ali super morbide alle scarpe sportive, dai quaderni di scuola al letto tutto per sé, erano cose che gli avevano dato con l’adozione e che potevano togliergli insieme al nome. Spaventatissimo, pieno di sgomento, si rannicchiò nel letto, stringendo a sé il peluche. Dopo un tempo che non riuscì in nessun modo a quantificare, sentì la porta della sua camera aprirsi e balzò subito a sedere, gli occhi sbarrati e piccoli dal terrore. Non era il signor Kidou, come aveva temuto, bensì Kageyama. Si vergognava molto di quello che aveva fatto e il pensiero che il signor Kageyama ne fosse già informato non gli rendeva la situazione più semplice da gestire.

-Kidou.–, lo chiamò subito l’adulto, procedendo nella direzione del suo letto. Yuuto tremò sentendolo appellarsi a lui ancora con quel nome, non sapendo come interpretare il fatto. Sgusciò giù dal letto tenendo gli occhi bassi, pieno di mortificazione. Cercò di parlare, di dire qualcosa, ma sentiva un nodo stretto alla gola e gli occhi bruciare: riuscì solo a sussurrare il nome di Kageyama in modo strizzato e patetico, così prossimo al pianto da risultare quasi incomprensibile. Lo sguardo del suo allenatore era rigido e fermo su di lui, attraverso quelle lenti scure sembrava scrutargli l’anima, senza giudicarlo neanche meritevole di uno sguardo diretto.

-Dopo tutta la fiducia che ho riposto in te, dopo tutto quello che tuo padre ti ha offerto, così ti comporti? Tuo padre se lo merita?-

In preda a puro terrore il bambino scoppiò a piangere, singhiozzando confusamente delle scuse. Le parole di Kageyama avevano smosso quella stretta che sentiva in fondo alla gola e non era più riuscito a contenere il pianto. Kageyama lo ammonì duramente di non piangere: -Peggiora solo la tua condizione, già critica. Smettila immediatamente.-

Yuuto si sentì ancora più mortificato e patetico. Il suo protettore, la persona che per prima aveva scommesso su di lui, che aveva visto qualcosa in lui meritevole di un futuro, ora gli parlava con tanta durezza da fargli paura. Ingoiò i singhiozzi, obbedendo, completamente preso dal panico e bisognoso che gli dicesse come comportarsi. Kageyama rimase a guardarlo, senza commentare i patetici tentativi del bambino di calmarsi, mentre i singhiozzi gli mozzavano il respiro e lo facevano sussultare. Asciugandosi il viso con il palmo della mano, Yuuto chiese con voce rotta se suo padre aveva intenzione di riportarlo in orfanotrofio. Kageyama lesse il terrore in quello sguardo vermiglio brillante e umido di pianto: era evidente che il bambino temesse quell’eventualità più di ogni altra. La peggior punizione non era il sequestro di un gioco o il divieto di svolgere una qualsiasi attività ludica: quelle erano punizioni frequenti e comuni per i bambini. Ma Yuuto era diverso, lui temeva che venisse messo in discussione qualcosa di molto più importante… Il suo timore era fondato. A qualsiasi altro bambino non sarebbe mai venuto un simile dubbio, mentre nel giovane Kidou il terrore dell’abbandono era un seme che era già germogliato. Si trattava solo di fertilizzare con cura il terreno. 

-Ho parlato con tuo padre, è molto arrabbiato, ma posso convincerlo a far sì che continui a tenerti con sé.– fece una pausa, notando come il bambino alzasse subito lo sguardo su di lui, pieno di ammirazione e rispetto. La sua potenza esercitava sul piccolo un fascino non indifferente e ne era consapevole –Però devi dirmi per quale motivo hai preso il portafoglio di tuo padre senza permesso.-

Yuuto si sentì trafiggere sul posto e arretrò appena. Fortemente a disagio abbassò lo sguardo, tenendo le labbra serrate. Si vergognava del ragionamento impulsivo che aveva fatto e soprattutto si imbarazzava ad ammettere di non ricordarsi l’indirizzo di casa, motivo scatenante di tutto quel disastro. Notando come il bambino rimanesse in silenzio, Kageyama si adirò, considerandolo un atteggiamento di sfida totalmente sconsiderato, vista la situazione in cui si ritrovava. Alzando la voce, gli si rivolse in modo brusco: -Complimenti, Kidou! Se il tuo obiettivo è rimanere di nuovo senza famiglia e smettere di seguire le lezioni a scuola, ti stai proprio comportando in maniera impeccabile.-

Yuuto scoppiò nuovamente a piangere, spaventato dal tono di voce alto e rabbioso dell’adulto di fronte a lui. Kageyama sentì salirgli i nervi a fior di pelle, gli scoppi emotivi di quel bambino erano totalmente ingestibili per lui e immotivati, dal suo punto di vista. Doveva agire in maniera più razionale e comportarsi in modo tale da meritare il perdono, non piagnucolare come un perdente. "Solo i perdenti piangono e vengono umiliati e disprezzati", per Yuuto aveva scelto un futuro diverso. La sorte l’aveva reso orfano molto giovane, impedendogli di vivere la frustrazione di essere figlio di un atleta fallito, il quale aveva dovuto abbandonare le competizioni internazionali a causa di un infortunio, che gli era costato la carriera e la reputazione. Dove altri avevano visto una grande sfortuna, Kageyama aveva visto una salvezza, addirittura una benedizione: Yuuto avrebbe potuto sviluppare le sue doti calcistiche senza l’ombra del fallimento paterno, avrebbe potuto vincere e avrebbe vinto sempre. Per farlo doveva essere un Kidou, la sua famiglia gli garantiva la sicurezza economica e sociale necessaria per dedicarsi a tempo pieno allo sport per cui era molto portato. Avrebbe fatto di quel bimbetto timido e impacciato un atleta vincente: certo non avrebbe permesso ad uno stupido incidente di rovinare il futuro che aveva scelto per lui.

-Kidou, io mi fido di te.– attirò la sua attenzione, facendosi più vicino a lui, senza chinarsi. - So che sei un bravo bambino, obbediente, intelligente, non faresti mai qualcosa di così stupido senza un motivo.- Yuuto ingoiò di nuovo un singhiozzo, annuendo con il volto paonazzo e strofinandosi gli occhi, per smettere il più velocemente possibile di piangere. Kageyama continuò: -A me puoi parlare, dimmi cos’è successo. Poi una soluzione con il tuo papà la troviamo.-

Il piccolo Kidou annuì ancora, rassicurato dal tuo tono di voce, molto più calmo e controllato adesso. Il signor Kageyama era davvero buono con lui, lo teneva in grande considerazione e lo aiutava anche quando avrebbe potuto ignorarlo. Fidandosi di lui sarebbe sempre stato al sicuro, tutto in lui era grande e forte, poteva proteggerlo dai suoi stessi errori e aiutarlo a non compierli più. Con un sussurro cominciò a raccontare quello che era successo a scuola, gli mostrò il documento che teneva in tasca e gli spiegò i suoi ragionamenti e i suoi timori, che l’avevano portato ad agire in quella maniera sconsiderata. Kageyama si accorse di quanto si vergognasse, ma la sua attenzione venne catturata soprattutto dalla fragilità che mostrava il bambino in quel momento: era decisamente terrorizzato all’idea di deludere il proprio genitore mostrando una mancanza, un difetto. Questa consapevolezza gli procurò un lieve bruciore all’altezza dello stomaco e un’indistinta sensazione di soddisfazione e potenza. Senza commentare in alcun modo la confessione o proporgli rassicurazioni di qualche tipo, lasciò la stanza. Il bambino, scosso e disorientato, si ritrovò di nuovo da solo e tornò istintivamente sul letto ad abbracciare il proprio peluche, con il cuore che gli batteva violentemente nel petto.

Dopo un altro tempo che parve infinito e brevissimo al contempo, Yuuto sentì di nuovo la porta aprirsi e questa volta Kageyama era in compagnia di suo padre. Saltò giù dal letto, lasciando a malincuore il pinguino sulle coperte, e tenne lo sguardo in alto, non sapendo chi dei due guardare. Kageyama era imperscrutabile come suo solito, il signor Kidou era molto serioso, a Yuuto faceva ancora paura.

-Se quello che dice il signor Kageyama è vero, non solo hai fatto una cosa molto grave, ma sei stato anche molto sciocco.-

Umiliato, Yuuto barcollò, sentendo il petto gonfio di mortificazione. Il tempo che aveva passato da solo gli era servito per calmarsi e recuperare un tono di voce più fermo, nonostante lo spavento: pronunciò chiaramente parole di scuse, assicurando che non voleva in nessun modo deluderlo e che non avrebbe mai più fatto qualcosa di simile.

-Quanti soldi ci sono nel portafoglio?–

Arrivò secca e diretta, come domanda, da parte di suo padre. Yuuto inclinò per un momento il capo, colto di sorpresa. Era stato interrotto nelle sue scuse per un’interrogazione del genere? Non aveva guardato nel portafoglio per prendere i soldi, assicurò ancora, con un tono di voce leggermente più basso, non aveva idea di quanto denaro potesse esserci. Era la verità, non aveva affatto pensato ai soldi, sapeva che gli bastava chiedere e subito si provvedeva ai suoi bisogni. Perché avrebbe dovuto derubare suo padre? Ma le sue argomentazioni caddero nel vuoto: il signor Kidou, prima di commentare in qualsiasi modo, rivolse lo sguardo a Kageyama, quest’ultimo rimase con lo sguardo fisso rivolto sul bambino. Piegò lievemente un angolo delle labbra, Yuuto avvertì l’incoraggiamento: “So che sai fare di meglio. Sii un vincente, spiegami perché dovrei fidarmi”.

Allora il giovane Kidou strizzò un poco gli occhi, cercando di riflettere velocemente. Si sentiva sotto esame, era probabile che la sua risposta a quella domanda avrebbe condizionato in maniera significativa la decisione di suo padre di tenerlo con sé o di rispedirlo in orfanotrofio. Kageyama si fidava di lui e gli aveva dato la possibilità di dimostrare a suo padre che valeva. Ora non poteva sbagliare. Si concentrò, cercando di ricordare le occasioni in cui in sua presenza suo padre aveva completato un acquisto. Facendosi forza e scommettendo tutto su quella possibilità, proferì con tono di voce più alto e sicuro di sé.

-Non ho preso il portafoglio per sottrarti dei soldi, papà, non ho neanche guardato. Ma quando siamo in giro a fare acquisti paghi sempre con la carta di credito e l’altro giorno con il signor Igorashi hai commentato la notizia di alcuni furti nel quartiere vicino, criticando la scelta di certe famiglie di tenere tanto contante in casa. Per cui, a ben pensarci, non credo affatto che ci sia denaro in quel portafoglio.-

Il signor Kidou si illuminò sentendo la risposta del figlio, ne parve molto rassicurato. Confermò la versione di Yuuto e, facendosi più vicino, gli disse che poteva non pensarci più, però la prossima volta che aveva bisogno di qualcosa, doveva chiedere a lui, al personale di casa o al signor Kageyama, senza agire di testa propria, perché “certe avventatezze possono essere molto compromettenti e sconvenienti”.

Yuuto chiese ancora scusa, chinando più volte il capo come gli era stato insegnato, e promise di comportarsi meglio in futuro. Mentre parlavano così, Kageyama lasciò la stanza: prima di ritirarsi, depose sulla scrivania all’angolo il modulo compilato con tutti i dati che Yuuto aveva lasciato in bianco.

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Salve a tutti <3
Per chi avesse seguito la prima parte della serie (Come un sogno d'amore preadolescenziale può avverarsi), ben ritrovati. Qui troverete un po' di approfondimenti sull'infanzia di Yuuto, che sono stati o saranno sviluppati in futuro.
Per chi fosse arrivato adesso, niente paura, si può leggere in modo perfettamente indipendente!
Non posso garantire gioia per Kidou, ma cercherò di fare in modo che la lettura sia divertente quantomeno per voi.
Grazie a chiunque legga e a presto :)
  
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