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Autore: Redferne    12/03/2024    1 recensioni
Tra Nick e Judy sta accadendo qualcosa di totalmente nuovo ed inaspettato.
E mentre Nick cerca di comprendere i suoi veri sentimenti nei confronti della sua collega ed amica, fa una promessa a lei e a sé stesso: proteggerla, a qualunque costo.
Ma fare il poliziotto a Zootropolis sta diventando sempre piu' pericoloso...
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capitan Bogo, Judy Hopps, Nick Wilde, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 90

 

 

LAST MAMMAL STANDING – L’ULTIMO, A RIMANERE IN PIEDI

 

 

(TERZA PARTE)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Maggie?”

Sì, capitano?”

“Spara.”

“Spara, Maggie. Spara a tutti quanti.”

 

 

 

 

 

 

Non le servì né le occorse altro.

Sissignore, obbedì e rispose col pensiero la vice, che si trovava ancora dall’altro capo e lato del walkie – talkie che ancora teneva stretto e serrato nel pugno chiuso della propria mano.

Ci siamo, pensò trionfante, mentre lo riponeva e risistemava nell’apposito alloggiamento allacciato e posizionato attorno alla cintura della sua divisa.

Questa volta ci siamo, pensò ancora mentre il ricevitore gli sfuggiva malamente e goffamente di zampa nel maldestro quanto malriuscito tentativo di rimetterlo a posto in fretta, per poi precipitare giù dal ramo e quindi dall’albero con un tonfo da suicida provetto.

Chi se ne frega, aggiunse sempre col pensiero, mentre si riposizionava al volo e rimetteva l’occhio e la propria orbita destra in prossimità del mirino telescopico, riprendendo così la mira sul bersaglio. Anzi, i bersagli, nel giro di un unico respiro e battito di cuore e di ciglia in simultanea.

Porca miseria questa volta ci siamo, si disse. Ci siamo per davvero.

Al diavolo il walkie – talkie e la fine che avrebbe fatto. Non le importava.

Aveva deciso seduta stante che non le sarebbe importato affatto. Perché in quel momento era totalmente presa, assorta e concentrata su quel che da lì a poco avrebbe dovuto fare e le sarebbe toccato di dover fare. E su quel che sarebbe accaduto subito dopo.

Eccolo.

Eccolo lì.

Eccolo lì, finalmente.

Finalmente era giunto quel che attendava da così tanto, e così spasmodicamente. Più di ogni altra cosa.

Da tutta la serata.

Era arrivato, dunque.

Il segnale. E cos’é che le aveva prima detto il suo superiore, in merito e a tal proposito?

Oh, era molto semplice. Di scatenare l’inferno, ecco quel che le aveva detto e raccomandato.

Quel che aveva fatto a quella sottospecie di balordo incrociato con un avanzo vomitato fuori di fresco dal peggiore dei penitenziari di contea altro non era stato che un lieve assaggio.

Non era stato niente di che, anche se di fatto aveva tagliato la testa a tutto quanta la manovra di assalto, mandandola di fatto completamente a monte.

Si era trattato giusto giusto di uno stuzzichino. Di un antipasto utile ad aprire lo stomaco in vista della portata principale, che si preannunciava ben più ricca e gustosa. O almeno era ciò che la daina sperava e si augurava, con tutto il cuore.

Ma andava detto che le premesse c’erano tutte, ed erano da considerarsi più che buone.

Davvero ottimali.

Fino a quel momento si era controllata, più che poteva. Ma ora che Nick le aveva dato il via libera e carta bianca su tutto quanto, Maggie non aveva più alcun motivo o ragione di sorta per doversi trattenere.

Poteva sfogarsi, e dar sfoggio di tutta quanta la sua bravura e consumata abilità nell’impiego indiscriminato e senza alcuna remora di quella che considerava la sua arma prediletta e preferita.

Il fucile di precisione.

Lo era da sempre. Perché era l’arma che le era stata regalata dalla persona che più aveva amato e tenuto in considerazione sulla faccia di tutta questa terra. Ancora adesso.

Era l’arma che aveva ricevuto ed ereditato da suo padre, insieme alle sue conoscenze a riguardo.

Le aveva insegnato tutto. Ogni cosa, senza tralasciare o dimenticare nulla.

Era il suo dono. Stava a lei sfruttarlo a dovere, adesso. Per difendere, aiutare e proteggere un’altra persona che considerava importante. E che lei era tutto.

Più di ogni altra cosa.

Era giunto e arrivato il tempo di mettere da parte i pensieri e le considerazioni private e personali.

Giusto per ricollegarsi alle lezioni che le aveva impartito...quando si spara, bisogna diventare tutt’uno con la propria arma. Con l’arma che si sta utilizzando.

Occorre mettere da parte tutto quello che non c’entra. In un angolo.

Via, a tutto ciò che non serve.

Doveva darsi una mossa. Però...é proprio quando c’é da passare all’azione che non bisogna lasciarsi prendere e trasportare dalla frenesia e dall’agitazione. Altrimenti é facile, molto facile incappare in gesti inopportuni e inconsulti, e compiere così madornali errori.

Magari nel momento cruciale, giusto per non farsi mancare niente.

Per poter dominare si deve essere capaci prima di tutto di sapersi dominare. E se si vuol domare, si deve essere in grado di domare per prima cosa sé stessi.

Questa é la filosofia. Il principio che sta alla base. In caso contrario, sono guai. Guai grossi.

Puoi avere l’arma più grossa, potente e precisa di questo mondo. Ma se non stai calmo e soprattutto pienamente rilassato, potresti persino arrivare a mancare un bersaglio a due centimetri di distanza.

Suo padre glielo diceva sempre, mentre l’addestrava nei poligoni improvvisati e messi su alla bell’e meglio per ogni dove, dentro ai boschi circostanti.

Proprio come quello che stava dietro alla loro stazione di polizia. Quando ancora c’era, prima che quei teppisti la radessero al suolo tra le fiamme.

Quante, quante volte.

Quante volte glielo aveva detto e ripetuto.

Quante volte suo padre, nell’esercito, aveva visto i suoi commilitoni sparare storto e sghembo nonostante avessero il loro nemico praticamente a bruciapelo.

No, non é affatto così facile come sembra.

Puoi avere anche una pistola in mano, ma la cosa non fa automaticamente di te un killer, un assassino provetto.

Se non sai cosa farci o quel che ci devi fare, é molto più probabile che tu sia soltanto come tutti gli altri. E cioé un imbecille e uno sfigato con la pistola.

Null’altro. Null’altro che quello.

Meglio fare un ripasso, quindi. Che non faceva mai male.

I fondamentali. Sono quelli che contano, quando si pratica un’arte.

Sono pressoché irrilevanti l’abilità e il talento che uno sviluppa durante l’allenamento.

Per quanto bravo, eccezionale possa diventare, prima o poi sempre lì deve tornare.

Ai fondamentali. Perché nei momenti critici, se si é fortunati, si riesce ad applicare giusto un minimo di tutto quel che si impara o che ci hanno spigato.

Ma per diventare il migliore, o LA migliore...occorre saper ottenere il massimo col minimo.

E’ solo con un preparazione inadeguata o mediocre che si creano stilismi inutili e fini unicamente a sé stessi, senza alcun costrutto.

Il fuoriclasse fa, deve fare quel che sa fare con estrema naturalezza. Con la stessa genuinità con cui un falegname costruisce sedie.

Semplicità. Quello conta. E basta.

Null’altro.

 

 

 

 

 

Ottimo, Fiorellino. Davvero eccellente. Mi stai rendendo davvero fiero di te, sul serio.”

Grazie, pà.”

Hai ormai imparato a sincronizzare alla perfezione la respirazione, e a far coincidere l’emissione dell’aria con ogni sparo, in modo da ridurre al minimo gli spostamenti necessari e garantire così una mira perfetta. E hai inoltre appreso il giusto atteggiamento mentale. Ormai consideri il fucile una parte di te, nient’altro che un’estensione del tuo braccio. Ma soprattutto...ormai sei in grado di applicare queste due tecniche all’istante, in qualunque momento. Per te é diventato naturale come uno sbuffo di fiato, o sbattere le palpebre. Istintivo come il camminare, o il battito del tuo cuore. In tal modo potrai star certa e sicura che nessuno ti coglierà mai impreparata, e potrai ricorrervi ogni volta che tu lo voglia, in qualunque situazione. E’ quello che io amo definire PARARSI LE SPALLE DA TUTTO, capisci? La vita é già piena zeppa di insidie, rischi e pericoli di per sé, Fiorellino. E di ogni genere. Perciò...devi essere sempre capace di uscirtene fuori il più in fretta possibile. In trenta secondi e in dodici millimetri, tesoro. Mai più tardi o vicino di così. Non metterci mai più di quel tempo e non andare mai oltre quella distanza, chiaro?”

Sì, papà. Ok.”

Bene. Però…”

Però?”

Ti manca ancora qualcosa, per completare il tuo addestramento. Difetti ancora di un tassello fondamentale.”

E...e sarebbe?”

Con tuo padre ti sei addestrata in un luogo sicuro, al riparo da ogni minaccia. Ed é giusto, é l’ambiente ideale per affinare le proprie capacità. Di ciò non discuto. Ma...ma le simulazioni tendono a replicare ogni circostanza in cui tu possa venirti a trovare nel corso di una battaglia, di uno scontro o di un conflitto. Ma anche loro hanno dei limiti, purtroppo. Nel senso che le possono riprodurre il più fedelmente possibile, e non oltre. Alla fine, sono come esperimenti scientifici. Per quanto possano avvicinarsi al vero, non potranno mai eguagliarlo. E in guerra e in missione si tratta della stessa cosa.”

In che senso, papà?”

Io ho provato, Fiorellino. E sulla mia stessa pelliccia, credimi. La realtà é bene diversa, da un addestramento. Una volta che ti ritroverai al fronte, sarà come se tu non avessi imparato nulla. Di colpo dimenticherai ogni cosa, anche la più basilare ed elementare. E sarà tutto ciò che avrai intorno, a ridurti così.”

C – che vuoi dire?”

Gas lacrimogeni, fumogeni e velenosi ti riempiranno gli occhi e la gola, facendoli chiudere e bruciare insieme alla terra e alla sabbia del deserto, o alla polvere di vecchi edifici mezzi abbattuti e diroccati dove ti terrai nascosta. Il fumo e il fuoco ti oscureranno lo sguardo, impedendoti di vedere mentre le fiamme stesse, le più vive e incandescenti, arriveranno fino a te per lambire e incenerire il tuo manto. Il crepitare dei proiettili, il frastuono degli aerei, dei mezzi di terra cingolati, delle bombe e degli ordigni, delle esplosioni e delle urla dei feriti di riempiranno le orecchie fino a fartele scoppiare. E alla fine, come se non bastasse, a un certo punto subentrerà pure la stanchezza. E per quanto tu lo voglia e possa sforzarti, non potrai controllare ancora a lungo la perfetta immobilità del tuo corpo, e nemmeno impedire i crampi improvvisi o il tremolio involontario dei tuoi muscoli, talmente anchilosati che sembreranno diventati di pietra. O il mozzarsi dell’aria dentro ai tuoi polmoni per via dell’ansia. Dopotutto, non siamo che mammiferi. Non siamo fatti di ferro. E nemmeno di acciaio o di diamante. Ognuno di noi ha la sua soglia massima di sopportazione dello stress, e una volta superata quella…”

C – che succede?”

Oh, beh...in genere si cede. Si crolla di schianto. Ci si arrende, e si molla tutto. Anche se non si vorrebbe farlo. E’ una legge di natura, Fiorellino. Magari la volontà non vuol cedere, ma il corpo non le obbedisce più. E si ribella. Eppure...eppure tu in tutto questo dovrai trovare il modo di rimanertene lì. Ferma e immobile. Perché non sei un fante, tesoro. Tu sei un CECCHINO. Un FUCILIERE. L’ultima linea di difesa. E la linea resta dove tu la tracci, ricordalo. Dove tu hai deciso di tracciarla. E una volta che l’hai tracciata...la devi tenere fino alla morte. O fino alla fine della missione. Fino a che non hai colpito il bersaglio o tutti i bersagli designati.”

Dunque, non potrò fuggire…”

No, tesoro. Mai. Devi coprire tutti i tuoi compagni in ritirata, fino all’ultimo. Altrimenti, se non lo fai tu...chi altri lo farà? Potrai andartene da lì solo quando si saranno messi tutti in salvo, o se un tuo superiore ti darà l’ordine. E prega almeno tu di trovare un comandante che capisca l’importanza di avere un bravo cecchino vivo e in salute dentro al suo battaglione, poiché morto stecchito non serve proprio a niente e a nessuno. A me, ad esempio...non é mai capitato. Erano tutti un gran branco di idioti patentati, i miei superiori. Figli di gente ricca che avrebbe potuto comperargli un bel congedo in qualunque momento, ma che invece hanno voluto entrare ugualmente nell’esercito solo per il semplice gusto di voler vedere com’era. Salvo poi rendersi conto di aver commesso il peggiore, il più stupido e madornale errore di tutta quanta la loro insulsa vita. Quegli imbecilli...volevano semplicemente MORIRCI, laggiù. Non chiedevano altro. Con simili inetti...é un vero miracolo che tuo padre sia ancora vivo.”

Dici...dici sul serio?”

Ci puoi scommettere, Fiorellino. Su quel che hai di più caro.”

Beh...meno male, allora.”

E’ perché mai, tesoro?”

Se tu avessi tirato le cuoia per colpa di quelli...io non sarei mai nata, ad esempio. E non avrei potuto avere neppure la consolazione di andarli a prendere uno per uno per vendicarti, non ti pare?”

Ah, ah, ah? Puoi dirlo forte, tesoro. Comunque, tutto quel discorsone bello pomposo te l’ho voluto fare per un solo motivo. Tante parole altisonanti per una cosa che, alla fin fine, é niente. Quel che volevo farti capire é che in simili, tragici frangenti ti occorre UN PUNTO FERMO.”

U...un punto fermo, dici?”

Esatto, Fiorellino. Prendila come una sorta di ANCORA. Un’ancora alla quale aggrapparti e attaccarti in mezzo alla tempesta, e a cui dovrai ostinarti a rimanere legata per non convincerti a mollare tutto e a crollare. Un punto fermo e tranquillo in cui poter e dover credere indipendentemente da tutto quello che ti potrà succedere e in barba a tutto quello in cui potrai venirti a trovare o rimanere invischiata. Solo così si sopravvive. Perché la vita non é altro che un gigantesco oceano in perenne tempesta, bambina mia. Un mare sempre agitato che non si calma mai, e in cui tutti noi non siamo che miseri naufraghi a bordo di sparute e malmesse zattere. Perché la vita é fatta così, Fiorellino. Non guarda in faccia a nessuno, mai. Ma non lo fa perché sia buona oppure cattiva. Lo fa perché é la sua natura, così come ognuno di noi ha la nostra. Dovunque ci porta o ci porterà...essa ci ricondurrà sempre AL CAMPO DI BATTAGLIA. Ma tu tieni bene a mente quel che ti ho appena detto, tesoro. Qualunque cosa succeda, e ti succederà da qui in futuro. Anche nel caso...anche nel caso in cui io te, insomma...in cui io e te non potessimo più parlare, per qualche motivo.”

N – non...potessimo più parlare? M – ma cosa…”

Ricordalo, Maggie. Ricorda sempre che hai e avrai ME. Insieme a tutto quello che ti ho detto e che ti ho appena detto. Promettimelo. Promettimi che la farai, bambina mia.”

Io…”

Promettilo. Croce sul cuore.”

Io...lo prometto. Te lo prometto, papà. Croce sul cuore. Come vuoi tu.”

Bene. Ricorda bene quel che hai sentito. Tienilo sempre a mente e ti assicuro, ti posso assicurare che sarai in grado di farcela, sempre. Ti garantisco che POTRAI SOPRAVVIVERE A QUALSIASI COSA.”

Sì, papà.”

Mph. Brava la mia figliola. E ora...quel che ti serve é un bel discorso da imparare a memoria.”

U – un discorso? A memoria?”

Sì. Una frase, oppure un testo che dovrai sapere a menadito. Dovrai farne il tuo proponimento, il tuo mantra. A cui attingere ogni volta che non potrai permetterti o concederti il lusso di sbaglaire. Neppure un sol colpo, o un solo proiettile.”

Un...mantra? E di che tipo, scusa? Di che genere?”

Questo non lo so, Fiorellino. Tuo padre non può saperlo. Ognuno ha il suo, e lo deve trovare. E’ chiamato a trovarlo, se vuol far bene questo mestiere.”

I – io...non saprei. Ad esempio?”

Vuoi un esempio, dici? Oh, beh…”

Tu, ad esempio.”

Io?”

Sì, papà. Tu cosa usi, per esempio?”

A me piace usare le frasi della Bibbia, tanto per intenderci. Non che sia questo gran esempio di credente, e a dirla tutta non mi interessa molto quel che hanno da propormi in termini di significato. Ma posso ammettere che le trovo...rilassanti. Inducono all’inerzia e all’abbandono. E saper tenere i muscoli rilasciati, ben molli e distesi é fondamentali, in questa professione. Inoltre...mi piace pensare che quando ci obbligano, ci costringono o ci ordinano di imbracciare il fucile, noi lo facciamo per un bene superiore. La nostra é opera di giustizia, non semplice atto militare. Sappi che nell’esercito non puoi mai rifiutare un ordine che ti viene impartito da un tuo diretto superiore. Ma lo puoi interpretare a tuo piacimento. Cambiare il modo in cui vediamo le cose: ecco l’unica, vera e sola libertà che ci viene concessa a questo schifo di mondo. Non puoi cambiarlo, ma solo pensare che stai facendo quel che fai allo scopo di renderlo senz’altro migliore di quel che é adesso.”

La Bibbia?”

Esattamente. Potresti...potresti provarci pure tu, che ne dici? Dopotutto, se hanno funzionato con me...in fin dei conti, hai il mio stesso sangue. E mi hanno sempre detto che in genere...buon sangue non mente. Così come mi hanno detto che il sangue non é acqua.”

D – davvero? E tu quale mi suggerisci?”

Te l’ho detto, Fiorellino. Devi scoprirlo da sola, quel che va bene per te. E vale sia per l’uso del fucile che per ogni altra cosa della vita. Tentare e ritentare, finché non ti accorgi che trovi qualcosa che funziona. Prova a leggerne qualche passo, e scegli quello che più ti ispira o più ti piace. Il resto...vedrai che verrà da sé, e il bello é che quando arriverà il momento lo comprenderai da sola.”

Non...non saprei. Non saprei davvero quale…”

Oh, insomma? Ma non te lo insegnano catechismo, a scuola?”

Beh, sì…”

Voglio dire...non ve la fanno leggere la Bibbia, durante l’ora di religione?”

In teoria, papà. Ma diciamo...ecco, diciamo che durante quell’ora io preferisco leggermi i fumetti di CAPITAN CAROTA...ma mi raccomando, che rimanga un segreto tra me e te. Non dirlo alla mamma, ti prego.”

Ah, ah, ah! Stà tranquilla. La mia bocca é cucita. Del resto anch’io facevo la stessa cosa, se ci tieni a saperlo.”

Dici...dici sul serio?!”

Ah, ah, ah! Sicuro! Certamente che lo facevo. Anch’io a scuola leggevo i fumetti, durante quell’ora. Il catechismo mi annoiava a morte. Ti capisco perfettamente, Fiorellino.”

Tu che brano preferisci, papà?”

Vuoi sapere quale uso io, vero?”

Perché no? Ho il tuo stesso sangue, quindi…”

Ok, mi hai fregato. Sta a sentire…”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Suo padre glielo rivelò. Senza alcun problema da parte sua.

In effetti non aveva proprio un bel niente da nascondere, dato che gli serviva unicamente a fini pratici.

Maggie lo lesse. Lo imparò. E scoprì con enorme piacere che funzionava a meraviglia anche con lei, su di lei.

Un altro tassello, un altro pezzo prezioso da aggiungere agli altri dentro allo scrigno. Sul fondo del forziere che conteneva l’eredità di suo padre.

Quel brano era pressoché l’ideale per qualunque evenienza. E adesso...adesso lo era ancora di più.

Mai come adesso, proprio. Perché parlava di giustizia e vendetta sacrosante. Per vendicare un grave torto, un’indicibile offesa fatta subire a chi teneva. E a chi amava.

Quante volte se l’era detto tra sé e sé, in questi ultimi tre giorni.

Quante volte si era detta che gliel’avrebbe fatta pagare, per tutto quel che le avevano fatto. E cara, pure.

A lei come agli altri.

E quel passo era adattissimo alla situazione, sia fuori che dentro di lei. La rispecchiava e rappresentava alla perfezione.

Semplicemente perfetto per l’occasione.

Direttamente dal libro del profeta Ezechiele.

Paragrafo venticinque, versetto diciassette.

Con ogni strofa che andava pronunciata dopo ogni sparo. E naturalmente facendo centro dopo l’esecuzione di ogni colpo, senza fallire mai.

Da ripetere all’occorrenza più e più volte, a piacere e a piacimento, e fino ad esaurimento. E ovviamente, già che ci si era, fino al compimento e al definitivo completamento dell’operazione. E della missione.

Il tutto secondo la rigida osservazione delle istruzioni, delle avvertenze e della modalità d’uso che gli aveva sempre raccomandato suo padre.

Agguantò la levetta laterale dell’otturatore, e avvicinò il più possibile l’iride al mirino. In quanto al dito, quello stava già sul grilletto da un bel pezzo.

Inspirò, e partì. Con la ferma quanto evidente intenzione di non fermarsi fino a quando non li avrebbe abbattuti tutti, uno dopo e dietro l’altro.

Doveva rimanerne solo uno, alla fine.

Non doveva rimanere in piedi che lo sceriffo. Il suo sceriffo.

Non doveva restare in piedi che Nick. Il suo Nick.

Solo lui. Nessun altro all’infuori di lui.

“Il cammino del mammifero timorato di Dio…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Viene da sempre minacciato e osteggiato in ogni parte del mondo dall’avidità e dalle iniquità degli esseri crudeli ed egoisti…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...E dalla tirannia senza freni di tutti gli esseri malvagi.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Quindi benedetto sia sempre colui che nel nome della carità e della buona volontà…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...Conduce i deboli, gli indifesi e gli inermi attraverso la valle delle tenebre...”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...Perché egli é in verità il pastore di suo fratello...”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...E il ricercatore dei figli che il Grande Padre ha smarrito.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“E la mia giustizia calerà inesorabile sopra di loro, tutti loro...”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...Con grandissimo sentimento di vendetta e furiosissimo senso di sdegno...”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...Su tutti quanti coloro che proveranno, si azzarderanno o anche solo penseranno di osare ad ammorbare...”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...E infine a distruggere anche uno solo, uno soltanto tra i miei amati e adorati fratelli.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“E allora tu, solo allora tu saprai che il mio nome é quello del Signore, lo stesso del Signore...”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...Quando farò calare tutta quanta la mia ira e la mia vendetta sopra di te e sopra la tua testa.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Padre mio, ascolta la mia voce e sappi che accetterò la tua scelta, qualunque essa sia.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Se deciderai di volerli perdonare...allora offri loro il tuo perdono, se puoi e se te la senti. Perché io…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Perché io, invece...NON LO FARO’. Non lo farò mai. Anche se potrà darsi che sia tu che il cielo lo farete.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Hanno osato deriderti…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...Sbeffeggiarti…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...E ti hanno ingiuriato, così come hanno calpestato la tua dignità e la tua onestà.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“E quindi io ora farò strage e scempio di tutti i nemici che tu vorrai consegnare nelle mie zampe.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Rimarrò sorda alle loro grida…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Non degnerò della minima attenzione le loro invocazioni…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“...Non presterò attenzione alle loro suppliche…”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“E non me ne rimarrò a sprecare un solo istante per provare a udire le loro imprecazioni e le loro urla di dolore.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

“Non avrò di loro alcuna pietà, o padre. Come loro non ne hanno avuta per te.”

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo. Era questo.

Questo era il suono che aveva ricevuto in dono e in eredità direttamente da suo padre.

Per sua bocca e poi, successivamente, dal suo braccio.

Con le parole e con le azioni.

L’insieme limpido e cristallino di suoni che le aveva tramandato. E che lei aveva imparato così bene a riconoscere. E ad amare.

Ogni volta che lo percepiva, era come se insieme a quello percepisse anche qualcosa d’altro.

Ogni volta che lo udiva, era come se udisse anche lui.

Ogni volta che riusciva a sentirlo, riusciva a sentirlo più vicino.

Ancora lì, con lei.

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

Proprio come aveva detto al suo comandante, quella volta che per testare il fucile nuovo si erano messi a giocare a tiro a segno e al piattello con la tazzina colma di caffè nero e fumante tenuta in mano dal lurido suino.

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

Era il suono della storia, gli aveva detto.

CLICK – CLACK. CLACK – CLICK.

STUMPF.

Quello era davvero il suo della storia, accidenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche Nick aveva deciso di passare all’azione.

Almeno nei limiti consentiti da quanto e da quel che poteva, s’intende.

Subito dopo aver dato l’ordine alla sua fidata vice, aveva mollato il trasmettitore dall’unica mano che al momento poteva impiegare e utilizzare, facendo cadere così l’apparecchio verso il basso, a perpendicolo e facendogli compiere un perfetto tuffo in verticale, mentre precipitava.

A quel punto gli fu più che sufficiente girarsi un poco di lato col fianco, quel tanto che bastava per far coincidere e collimare la custodia posta lungo la cintura con l’oggetto destinato a finire contenuto e preso in consegna lì dentro.

E sin dall’inizio, dato che era proprio da lì che proveniva.

Il calcolo si rivelò esatto e spaccato quanto efficace, col walkie – talkie che entrò nell’apposita fondina a momenti senza neppure strisciare lungo i bordi, riempiendo alla perfezione tutto lo spazio messo a disposizione dal minuscolo contenitore progettato e ideato al solo scopo di alloggiarlo per poterne così permettere il trasporto.

Col braccio reso nuovamente libero da quell’ingombro, la volpe poté risollevare prontamente l’arto e far riassumere alle sue dita la forma usata in precedenza.

Ovvero la pistola. Almeno nella sua fervida quanto sconfinata immaginazione, da sempre avvezza a viaggiare a briglie completamente sciolte.

Dote e caratteristica fondamentale ed essenziale se si vuol fare il truffatore e avere fortuna in quel campo, dato che per campare e possibilmente un giorno arricchirsi a spese degli allocchi di turno tocca inventarsene praticamente mille. E ogni giorno di nuove.

Estese quindi nuovamente le prime due dita a formare la canna, col pollice tenuto ben dritto e puntato all’indietro a fare da dispositivo di caricamento. E con l’ultimo dito, come da copione, ripiegato e pigiato contro l’interno del palmo.

Poi prese la mira ed emise ancora una volta il verso tipico di casi come questo.

Quello che aveva funzionato così tanto bene col corpulento felino, poco fa.

“BANG!!”

Mirò ancora, questa volta da un’altra parte. E di nuovo accompagnò il gesto con quella singolare espressione vocale.

“BANG!!”

E ancora.

“BANG!!”

E poi ancora.

“BANG!!”

E di nuovo. Due volte, stavolta.

“BANG! BANG, BANG!!”

Anzi tre, per l’esattezza e a voler fare i precisi ad ogni costo.

La cosa davvero incredibile era che riusciva a indovinare il colpo prima ancora che questo andasse a segno.

Anche questo era davvero strano. A dir poco pazzesco, in realtà.

Come in una sorta di transfert, di bizzarra telepatia, ogni volta in cui la volpe mirava ad un punto subito dopo vi si stampava sopra un dardo proveniente dall’arma di Maggie.

Sembrava potesse essere davvero in grado di anticipare i colpi un istante e un attimo prima che andassero a segno. O che fosse in grado di suggerire alla sua vice, con la sola forza della mente e del pensiero, i vari bersagli che via via e di volta in volta erano da beccare.

Come galvanizzato da quella scena e dai suoi relativi effetti, Nick cominciò a muoversi in modo ritmico e sincopato, abbassandosi sulle gambe e roteando col tronco in modo da schivare veri e propri proiettili immaginari diretti e indirizzati alla sua figura e alla sua persona.

Era diventato identico in tutto e per tutto a quegli eroi dei film d’azione provenienti da San Fransokyo e dintorni. Vestiti sempre di nero e che portavano un lungo spolverino di pelle sintetica insieme a un paio di occhiali del medesimo colore. E che di norma imbracciavano e portavano un’arma in ciascuna mano, utilizzandole ed usandole in contemporanea.

Belli quanto fichi, stilosi, e invincibili a livelli sovrannaturali, quasi divini. Capaci di far fuoco e stendere decine di avversari sparando con entrambe le loro pistole, mentre tutt’intorno piovevano dardi e proiettili da ogni dove.

Andò avanti ancora un pò, poi bene presto smise. Quasi subito, a volerla dir tutta.

Forse era già bello che stufo. O magari si era stancato. Dopotutto non si era ancora completamente ripreso, ed era già da considerarsi un autentico miracolo che riuscisse a rimanere e a reggersi ancora in piedi, con le ferite e le contusioni ancora in via di riabilitazione e guarigione.

Fatto sta che, poco dopo, si rinfilò la mano integra in saccoccia e se ne rimase lì, bello fermo e pacioso nel bel mezzo dello scontro a fuoco. A gustarsi e a godersi lo spettacolo, con aria beata quanto trasognata.

Per forza: era come vedersi un film in prima fila. E vi é un momento in cui diventa davvero d’uopo e opportuno porre un limite a tutto. E questo vale anche per le buffonerie e per le pagliacciate.

A maggior ragione, per quelli.

Ad un certo punto le mossette e le corbellerie diventano davvero di troppo e risultano sgradite. Almeno quanto può diventare stridente la gag o la battuta ripetuta e insistita oltremisura da un comico o da un cabarettista provetti ma che talvolta esagerano col proprio ego.

Come si fa a continuare a fare gli idioti di fronte a tanta beltà e bellezza?

L’umorista di buon senso e con un minimo di sale in zucca sa quando é il momento di smetterla e di piantarla, prima di cominciare e iniziare a rovinare tutto con delle trovate fuori luogo.

Era il turno della cara Maggie, ora.

Lui glieli aveva scaldati e cotti a puntino, adesso toccava a lei.

Cominciava il suo show. Anzi...era già partito.

Aveva i suoi ordini, dopotutto. Li aveva appena ricevuti. E come da prassi e tradizione consolidata tra loro, li aveva capiti e recepiti al volo. E poi eseguiti in maniera altrettanto rapida e fulminea.

Da quel momento in poi Nick aveva deciso che le avrebbe lasciato campo totalmente sgombro unito a piena libertà d’azione.

Era la sua specialità. Non era quindi il caso di interferire ulteriormente.

E la daina era partita, dando così il via alle danze.

Aveva cominciato a decimare il nutrito gruppetto direttamente dal davanti, in modo da frenare la rincorsa di chi stava per attaccarlo e raffreddargli così i bollenti spiriti.

Poi da lì, intuendo perfettamente le loro prossime mosse e intenzioni, aveva rivolto la sua attenzione e i suoi riguardi alle retrovie, infierendo e accanendosi particolarmente in quel punto e in quella zona.

Era fondamentale sfoltire il retro, di un battaglione. In tal modo e maniera si scoraggiano e dissuadono eventuali tentativi di fuga.

Subito dopo si occupò di ambedue i lati. Ovviamente per scongiurare qualunque possibile sortita o controffensiva da parte loro.

E al momento giusto, andava sottolineato.

Qualcuno dell’infame gruppetto, infatti, nel frattempo aveva avuto un’idea.

Anche quella classica e tipica da film. Approfittare della confusione per svincolarsi e tentare di girare al largo attorno al proprio avversario, per poi prenderlo alle spalle.

Una strategia vista e stra – vista, ma sempre infida. E molto astuta, anche se risaputa. Perché chi tenta di rispondere ad un attacco é sempre da lì, che parte.

Niente di nuovo, ma pur sempre rischioso.

Una potenziale minaccia che Maggie aveva provveduto a stroncare da prima di subito.

Direttamente sul nascere, per non darle neppure il tempo di tramutarsi in via di fatto.

A quel punto, visto che ormai erano privi di qualunque altra strada o svincolo secondario, ai superstiti non rimase altro da fare che riprendere a percorrere la prima via.

Valeva a dire quella principale. Che puntava dritta all’obiettivo grosso, certo. Ma che però in cambio non offriva né riparo né scorciatoie di sorta.

Non avevano altra alternativa se non quella di gettarsi in avanti tutti insieme ma non certo appassionatamente, a testa bassa e allo sbaraglio come un gregge o un branco di montoni, in preda alla disperazione che montava in loro.

Confidando in un pizzico di fortuna. E sperando e augurandosi di riuscire ad essere più rapidi e veloci di quel che li stava colpendo. E di arrivare prima di lui.

Una sfida persa in partenza. Dato che da sempre la disperazione, pur fornendo una gran forza, costituisce un ben debole movente. Ed é una pessima consigliera.

Un’opzione senza la benché minima speranza, per loro. E un’autentica manna dal cielo per la vice – sceriffo, che li aveva centrati in pieno uno dopo l’altro.

Davvero un lavoro a regola d’arte.

Nick sorrise. Avevano davvero trovato un nuovo fuciliere per la Regina, glielo diceva sempre.

E adesso lo aveva pensato una volta di più.

Attese la fine del tiro a segno. E poi si rivolse direttamente agli sgherri di Zed, rimasti ancora tutti in piedi. Ed esterrefatti di quanto era appena accaduto.

“Lasciatemi indovinare” disse. “Scommetto che vi starete chiedendo perché non vi ha fatto ancora niente, a differenza del vostro capo.”

Gli scagnozzi annuirono, rimanendosene tutti zitti. E muti.

“Beh, sapete...non sono certo un medico” illustrò loro la volpe. “Ma mi ritengo abbastanza ferrato in materia da poter affermare che molto dipende dalla pressione e dalla circolazione sanguigna dell’individuo, quando si tratta di inoculare una sostanza. Ed esse sono strettamente correlate al temperamento e dall’indole. In altre parole, posso azzardarmi a supporre che su quella testa vuota che se ne sta disteso a terra ha avuto effetto praticamente immediato per via del suo carattere fumantino quanto impetuoso. Nonché estremamente violento, aggiungo. A uno così, qualunque cosa gli inietti gli va in circolo all’istante.”

“Ma non temete” li rassicurò ironicamente, “Non credo ci vorrà molto. Piuttosto...ritengo che la domanda che vi sta frullando nelle vostre zucche sia un’altra. Probabilmente vi state domandando perché il vostro capo non é caduto addormentato, non é forse così?”

Altro silenzioso cenno di assenso da parte di tutti.

“E di conseguenza vi starete anche chiedendo perché non siete caduti a terra narcotizzati pure voi, dico bene?”

Altra tacita e breve affermazione, mediante un generico e ritmico movimento di gruppo da parte dei loro crani.

“E’ presto detto” proseguì Nick. “Ve lo spiego io. Dovete sapere che la maia partner, almeno per queta volta e in quest’occasione, su mio diretto e specifico ordine non ha utilizzato le normali munizioni in dotazione alle forze dell’ordine e di polizia. E l’arma con cui vi ha colpito la mia partner non era caricata coi dardi soporiferi che di solito rifilano a noi sbirri.”

A quell’inaspettata rivelazione terrore, sgomento e smarrimento si dipinsero sul muso dei presenti ad eccezione di chi aveva parlato. E al massimo dell’intensità disponibile.

“Aah, Tranquilli” ci tenne a precisare, quasi intuendo il terribile pensiero e sospetto che aveva attraversato i loro cervelli ristretti. “Non dovete preoccuparvi. Ci tengo a precisare che non si tratta nemmeno di quei famosi anzi, famigerati DARDI VENEFICI che vanno tanto per la maggiore laggiù a Zootropolis e dintorni, e nelle città limitrofe. E che stanno causando un sacco di grane, grattacapi e problemi, di questi periodi. Vedete...le munizioni che vi hanno sparato e che vi hanno centrato sono caricate a LASSATIVI.”

“La...LASSATIVI?!” Esclamò Crusher, allibito.

“Già” confermò Nick. “Hai capito. Avete capito tutti bene, quel che vi ho detto. Lassativi. Per PACHIDERMI. O per ELEFANTI, se preferite i termini più comuni e terra – terra. E ad effetto immediato.”

“Beh, più o meno” si corresse subito dopo. “Dovrò far recapitare le mie rimostranze al farmacista. Mi aveva garantito che avrebbero funzionato all’istante.”

“Cosa?!” Rispose il panciuto leopardo. “M – ma tu...ma tu devi essere pazz…”

Ma prima ancora di finire la frase e di parlare, crollò sull’asfalto piegandosi letteralmente in due per le atroci fitte. E ben presto, uno dopo e dietro all’altro, il resto dei componenti della gang terminarono anch’essi al suolo, contorcendosi in preda al dolore.

Nick, certo di non correre ormai più alcun genere di rischio, decise di avvicinarsi di qualche passo.

Si concesse persino il lusso e l’azzardo di transitare eccessivamente vicino a Zed.

Tanto sapeva di non temere più alcunché da lui, nello stato pietoso in cui versava. Per tacere del fatto che era ancora svenuto.

“Adoro queste cose” dichiarò soddisfatto. “Sul serio, ne vado a dir poco matto.”

“Di cosa, vi chiederete voi?” aggiunse. “Ma di quel che ho detto prima al tizio che adesso giace alle mie spalle, inerme e totalmente inoffensivo. E che con tutta quanta la probabilità di questo mondo pretende di comandarvi e spadroneggiare su voi tutti senza alcun limite o riserva quando in realtà temo non sia neppure capace di badare e decidere per sé stesso, il più delle volte.”

Ed eccolo lì che si ritoccava di nuovo la tempia con l’indice.

Del resto lo si sa, com’é. Di fronte a intelligenze e facoltà mentali alquanto ristrette tocca ed occorre ripetere più é più volte gli stessi e medesimi concetti. Alle volte persino ai limiti dell’ottundimento, se necessario. E a costo di essere barbosi quanto noiosi.

“Adoro i piani ben organizzati e riusciti. Specie quando scopri di aver azzeccato tutto e si svolgono per filo e per segno proprio come avevo immaginato. Quasi quanto l’odore del napalm la mattina presto, come direbbe un tale. Perché rappresentano coi fatti il trionfo dello spirito sulla materia. Dell’empirico sulla mera praticità. E come le caso del bestione alle mie spalle...della materia grigia sui bicipiti. Lui avrà anche una forza mostruosa e una potenza impareggiabile, ne convengo. E probabilmente nessuno potrebbe tenergli testa, nel corso di un combattimento. Ma fortunatamente esistono altri modi per risolvere un duello che non siano i pugni. E io, per fortuna...ho QUESTO.”

Di nuovo si premette la punta del dito contro il lato della fronte.

“Il cervello, ragazzi. Il cervello, come ha potuto accorgersi quella testa vuota che vi dirige a bacchetta e a suon di minacce. E il mio, quando si mette in moto...é molto ma molto più efficace di qualunque ammasso di muscolacci pompati. E credo di avervelo ampiamente dimostrato riducendolo alla più completa impotenza.”

“Scor...scordatelo…” tentò di zittirlo una voce cavernosa dietro di lui. “F – fossi i – in te...fossi in te n – non...non canterei vittoria t – troppo presto...”

Naturalmente era Zed. Ma di questo Nick se ne doveva essere già accorto, come minimo. E nonostante ciò, seguitava a rimanersene tranquillo e pacifico a dispetto di tutto.

Ne aveva ben donde, e ben motivo. La pantera aveva ripreso conoscenza, ma era a dir poco agonizzante. E stava sbattendo ripetutamente i propri pugni sull’asfalto per la rabbia cocente, quasi a voler contrastare l’altrettanto estrema sofferenza.

“Oh...sei di nuovo in piedi?” Gli fece Nick. “Hai deciso di tornare di nuovo tra noi? Ti informo che non vale, sai. Secondo il mio copione eri privo di sensi dal capitolo precedente. E dovresti rimanere tale fino alla fine dell’episodio.”

“Io ti amm...ti ammazzo...t – ti a – ammazzerò, l – lo g – giuro...agh...g – giuro c – che i – io t – ti…”

Nick sbuffò, reso spazientito da tutta quell’inutile e superflua ostinazione.

“Ecco che ci risiamo” commentò.

“Uh...urgh...m – me la p – pagherai...gghhh...t – ti g – giuro...i – io t – ti giuro c – che me la p – pagherai, maledetto sbirro...me la p – pagherai cara…”

“Proprio non ci arrivi, eh? E’ inutile. Inutile, inutile, inutile, inutile, inutile, inutile” osservò la volpe, facendo il verso al famigerato intercalare impiegato dalla pantera la scorsa volta, in occasione del loro primo e sanguinoso duello. “E si che ti ho avvertito a riguardo, mi pare. Ti ho detto poco fa che sarebbe consigliabile non sforzarti troppo, nelle condizioni in cui ti trovi e stai messo. Le conseguenze potrebbero essere a dir poco disastrose.”

“E comunque stai barando spudoratamente” puntualizzò.

“C – che…che cosa?” Esclamò Zed.

“Hai capito” gli replicò Nick. “I conti non tornano, amico. Secondo i miei calcoli, eri già svenuto dal precedente capitolo. E avresti fatto meglio a rimanertene tale, e buono lì a terra dov’eri. Mi puoi credere sulla parola.”

“M – ma...ma c – che...che diavolo stai d – dicend…”

Non gli riuscì di terminare la frase.

Proprio mentre aveva deciso di ignorare l’ammonimento tentando di rialzarsi faticosamente in piedi, una nuova quanto intensa fitta lo aveva raggiunto e ghermito direttamente all’interno dell’addome.

Si poté udire rumore simile ad quello di una tessuto o di un vestito lacerati e strappati provenire dal suo corpo, seguito a accompagnato a ruota da una nuova ondata di tanfo maleodorante, intanto che se ne finiva di nuovo lungo e disteso.

E questa volta definitivamente, a giudicare dall’immobilità delle sue membra squassate dalla sofferenza. Una volta per tutte.

Non si mosse più.

“Ed eeeecco fatto, signori” cantilenò Nick, che si era appena rimesso i panni da anchormammal televisivo impegnato nella presentazione e nella conduzione di uno show da prima serata e in mondovisione. “E meno male, oserei dire. Ultimamente dall’autore di questa storia mi aspetto ogni genere di bassezza e di colpo mancino. Chissà...forse non ha ancora capito che sta davvero esagerando, ultimamente. Ma se si trova in ascolto, farà bene a ricordare che il qui presente si fa fregare una volta sola! Che si sappia!!”

Ridacchio sotto alle vibrisse, a quel pensiero a dir poco assurdo che l’aveva attraversato.

Ma tu guarda. Stava iniziando a ragionare o meglio, a sragionare proprio come faceva quel buon vecchio mattoide d’una sagoma di Finn. Specie quando millantava e delirava sul fatto che si trovavano tutti quanti dentro a un fumetto. O a un cartone animato. Oppure in un film. O dentro a un racconto o a romanzo. E che c’erano davvero un paio d’occhi sopra alle pagine o alla pellicola intenti ad osservarli qualunque cosa stessero blaterando, pensando o facendo.

Occhi appartenenti a chi stava leggendo. Oppure guardando. O girando.

O magari scrivendo.

I sottoposti di Zed, o almeno ciò che ancora di ben poco rimaneva della sua gang all’apparenza così terribile, si turarono nuovamente il naso e ripresero ad arretrare, sempre più schifati e disgustati.

“Argh! C – che...che schifo!!”

“N – non...non resisto!!”

“Urgh! C – che...che puzza!!”

Ma non più di tanto, a volerla dir tutta e sincera sino in fondo. Perché ormai avevano ed erano già in ballo con una bella e fitta gragnuola di beghe tutte loro, da affrontare e risolvere. E in più, o quel che era peggio dir si voglia...sapevano ciò che li stava aspettando e che li avrebbe attesi da lì a poco.

Lo avevano visto direttamente sull’ipertrofico corpo di colui che si era auto – designato come loro capo, in infame virtù della forza che possedeva e del terrore che aveva saputo incutergli ed instillargli così bene.

Erano ben consci del sopraggiungere di grosse, grossissime rogne, all’orizzonte.

Rogne che non tardarono ad arrivare.

E infatti, proprio come volevasi e solevasi dimostrare, e non certo dal mero punto di vista ella geometria piana...di lì a poco partì tutto un altro bel concertino, oltre a quello del caro Mister Pezzo Grosso dei suoi stivali.

Alle sue, che già erano da un bel pezzo ben udibili e distinguibili, seguirono e fecero degna compagnia tutta un’altra bella serie di cacofonie mescolate da una rida di tanfi, miasmi ed olezzi a dir poco nauseabondi. E in breve, uno dopo e dietro l’altro, tutti i componenti del resto dell’infame ghenga si accasciarono tutti tenendosi i rispettivi ventri, che dovevano essere sul punto di esplodere in preda com’erano a dolori e fitte paragonabili a quelle di un parto imminente.

Che stessero per dare alla luce qualcosa era innegabile quanto fuori di ogni dubbio, questo era poco ma sicuro. Ma anche fuori da ogni logica, per certi versi.

Perché non era certo un neonato, ciò che stava per venir fuori dai loro corpi. E soprattutto non dalla parte davanti, come natura prevedeva.

Piuttosto dall’uscita posteriore e di servizio, e non certo mediante uteri o placente di sorta.

Da colon, intestini crassi e retti, per la precisione.

Nick si allontanò, giusto per mettere di nuovo al sicuro e fornire adeguato riparo al suo tartufo così sensibile e suscettibile, specie per ciò che riguardava e concerneva gli odori forti e di tipo particolarmente penetrante ed urticante.

E questa volta con la chiara e ferma intenzione di rimanerci, bello lontano dove si stava trovando ora.

“E dai, ragazzi” li esortò. “Fatevi coraggio, che non tutto é perduto. Probabilmente non vi starò molto simpatico, dopo il tiro che vi ho giuocato. Beh...immagino che simpatico non vi stavo nemmeno prima, no? Neppure all’inizio. E dopo questa bella prodezza e bravata il vostro odio nei miei confronti non farà che intensificarsi. Ed aumentare, dico bene? Ma lasciate che vi dica una cosuccia, gente. Ce l’avete con me perché so cosa cosa pensando, in questo modo. Davvero incredibile, eh? Voi che pensate. Starebbe a significare che, in fin dei conti, un cervello in fondo in fondo ce l’avete pure voi. Ma in fondo in fondo, eh? Non esageriamo.”

Finse una faccia stupita, battendosi con forza la mano sulla guancia.

“Eeh, la tecnica moderna…” disse, scuotendo il capo. “Cosa non fa, al giorno d’oggi...ma non divaghiamo, suvvia. Voi in questo momento siete infuriati, oltre che estremamente doloranti, per via di un fatto bene preciso. E cioé che siete tutti belli convinti che per colpa e precisa responsabilità del sottoscritto siete costretti a patire un supplizio a dir poco biblico o divino. E che vi é toccata una punizione tremenda quanto ingiusta. Pienamente legittimo, ci mancherebbe altro. Ma come dico sempre io, é tutta una questione di punti di vista. In altre parole...da come la si vede. O meglio ancora, da come si decide o la si vuol vedere. Per cui, lasciate che vi aiuti, visto che sono stato proprio me medesimo a farvi cacciare nei guai e a procurarveli. Datemi la possibilità di rimediare e di redimermi, per favore. Vi supplico. E vi scongiuro.”

Giunse le mani al petto, assumendo un’espressione caritatevole. Anche se in realtà la mossa in questione la poté fare con una sola mano dato che solo di quella disponeva, almeno per il momento e per l’occasione.

“Scuse accettate?” Domandò. “Bene, bene. Vi ringrazio di cuore, non c’é che dire. Troppo buoni, davvero. Come vi stavo dicendo, alla fine é tutta una questione di punti di vista. E di come si decide di prendersela. Ad esempio...come vi dicevo poc’anzi, voi starete vedendo tutto questo come una sorta di castigo enorme quanto immeritato. Forse persino eccessivo, magari. Io, invece, la vedo diversamente. La vedo come un’OPPORTUNITA’.”

“Esatto” ribadì loro con tono conciliante e mellifluo. “Vi sto offrendo un’opportunità, brava gente. Anche se forse in maniera un po' drastica, ne convengo. Almeno questa mi sento di volervela concedere. Ma non prendetevela a male. D’altra parte situazioni estreme richiedono metodi e soluzioni altrettanto estreme. Dovete sapere che molto tempo fa, una certa personcina decise di dare un’opportunità anche ad una misera volpe come me. Il più disprezzato e bistrattato tra i mammiferi. Anche se in tutt’altro modo e maniera. Ma il concetto che sta alla base é lo stesso e medesimo. Secondo l’umile e modesto parere di quella persona...tutti avevano e dovevano avere sempre il sacrosanto diritto ad un’altra possibilità. Ad una seconda chance. Persino chi non lo meritava o non aveva mai fatto nulla in tutta quanta la sua vita, per meritarlo. E anche quelli che sentivano di non doverlo meritare per nessun motivo. Tipo il qui presente, ad esempio.”

“Eeehi, il bicchiere é sempre mezzo pieno, sapete?” Proclamò. “Questo era il suo motto, insieme a un altro che però non starò qui ad esplicarvi, visto che non é di certo mia intenzione farvi perdere tempo ulteriore. Specie quando la natura chiama, come nel vostro sfortunato e specifico caso. Ma sapiate che quella frase era uno dei suoi mantra, e ci teneva a raccomandarlo e ricordarlo a tutti, in modo che non lo potessero scordare né dimenticare mai. Era l’unica a pensarla così. Una vera eccezione, direi. L’unica mosca bianca in un mondo dove tutti, chi più chi meno, abbiamo in genere la fastidiosa tendenza a vederlo sempre vuoto, quel dannatissimo bicchiere. O in alcuni casi, tipo sempre io, quel bicchiere lo abbiamo visto sempre, solo e soltanto ROTTO. Con tutto il liquido che conteneva sversato e fuoriuscito tutt’intorno e per ogni dove. A macchiare, sporcare ed insozzare tutto quanto. E che reagiamo infastiditi e scocciati ogni volta che arriva e giunge qualche sciocco a volerci a tutti quanti i costi convincere del contrario. Beh...indovinate un po'? Pazzesco a dirsi ma quella personcina, dai e ridai e poco per volta, alla fine ci riuscì. Mi convinse, in pieno. E mi fece tornare della sua idea. Aveva ragione lei, su tutto. E perciò...ho deciso di convertirmi alla sua causa. Oh, sì. Ho stabilito or ora di concedere una possibilità anche ad un branco di miserabili canaglie quali siete voi, almeno per questa volta. Pensate che roba: persino a dei luridi manigoldi della vostra risma. Che ne dite? Davvero impensabile, eh? Da non credersi, proprio. Ma come ho detto poco fa...ciò che per alcuni sembra castigo, per altri può esser misericordia. Io, dal canto mio, la chiamo e la definisco pure e semplice GIUSTIZIA. Un atto di giustizia in piena regola, equa e solidale. E perciò é proprio per questo motivo che vi sto dando la possibilità di rifarvi una vita, gente. Nella fattispecie come AGRICOLTORI, considerando i soggetti con cui ho malauguratamente a che fare. E poi, del resto...qui intorno é tutta zona incolta, come potrete ben notare e vedere da voi.”

Allargò il braccio sinistro con un movimento bello ampio e circolare, come a voler indicare e mettere in risalto tutto il terreno circostante.

“E sentiamo…” propose con tono sibillino, “...secondo il vostro modesto parere, qual’é la prima cosa che occorre fare, prima di mettersi ad arare, dissodare e seminare il terreno. Coraggio, eppure é così ovvio. E va bene, vorrà dire che vi darò un piccolo aiutino. Ma solo per quest’occasione soltanto, intesi? Siamo d’accordo. Oook, dicevamo...cos’é che bisogna fare su di un terreno, prima di ogni altra cosa? Ma CONCIMARE, perbacco! E a giudicare da quel che vedo ma soprattutto da quel che SENTO, whew...ANDATE E CONCIMATE, ordunque.”

Sentiva di aver fatto abbastanza, per quella sera. E di aver detto tutto quel che vi era da dire.

E infatti, giusto un istante dopo aver pronunciato quelle parole, diede bellamente le spalle e le terga a tutti quanti i presenti e si incamminò tranquillo in direzione opposta, verso il paese.

Non che gli altri ne ebbero a male. Del resto, in quel momento dovevano di sicuro avere altro a cui pensare. Nonché da fare.

“Oh, quasi dimenticavo, ragazzi” concluse, fermandosi di colpo e quasi senza preavviso, mentre voltava un’ultima volta il proprio capo all’indietro e verso di loro. “Almeno vedete di aspettare che mi sia allontanato, prima di cominciare. E’ una semplice questione di buona creanza.”

E riprese quindi a camminare. Lentamente, come se si trovasse in una radura desolata o in pieno deserto, sotto ad un sole spietato quanto cocente.

Avanzava piano, con tutta calma, con la mano sana riposizionata dentro la tasca corrispondente dei pantaloni. E fischiettando una triste melodia a cui fece seguire un altrettanto malinconico canto.

 

“I’m a poor, lonesome cowfox, and i’m long long way from home...and this poor, lonesome cowfox, has got a long long way to roam…”

 

Percorse alcuni passi, e poco dopo si voltò verso la propria destra. In una direzione precisa.

In direzione di qualcuno o meglio di QUALCUNA, per la precisione.

Di qualcuna che ben sapeva trovarsi lì, appostata da qualche parte-

Al sicuro ma sempre in guardia e all’erta.

Il suo angelo custode, che l’aveva aiutato e che aveva vegliato su di lui per tutto il tempo e per tutta durata dell’intera operazione.

Una gran bel pezzo di angelo, a volerla dir tutta e sincera sino in fondo. E…

E no. Questa volta non era Carotina.

No, non si trattava di lei.

Judy aveva dato la benedizione, certo. Ma a metterla in atto era stata un’altra fanciulla.

Poliziotta pure lei, guarda caso.

Già. Ma guarda un po'.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mentre la volpe si allontanava e i ceffi arrancavano doloranti e strisciavano come meglio potevano verso i numerosi e bassi arbusti circostanti, in cerca di un riparo e di un luogo adatto ed opportunamente appartato in modo da poter finalmente dar sfogo ai loro più bassi tratti ed istinti intestinali prima di rischiare una vergognosa esplosione collettiva, una minuscola sagoma incappucciata e rivestita completamente di nero come la buia notte che avvolgeva si fece largo nello spiazzo ora sgattaiolando tra le vetture abbandonate nel bel mezzo della strada, ora muovendosi carponi.

Pareva un ninja, per come stava combinato. Il costume lo mimetizzava alla perfezione nelle tenebre. E lo stesso si poteva dire del copricapo in stile Mefisto, con il classico pertugio a forma di striscia sottile ed orizzontale, situato come di solito appena sotto alla fronte e all’altezza delle orbite. E che lasciava scoperti unicamente gli occhietti vispi, furbetti e sanguigni. Ma che però non poteva fare a meno di lasciar intravedere due voluminose quanto spropositate orecchie, che spuntavano da altri due buchi ricavati ancora più sopra e ai lati.

Ci doveva tenere proprio, a non essere visto da quella gentaglia e marmaglia. Men che meno correre il rischio di venire riconosciuto, fosse anche per puro e semplice sbaglio.

Da uno di loro, in particolare.

Una precauzione, la sua, necessaria e senza alcuna ombra di dubbio saggia quanto avveduta. Per non voler dire ammirevole, pur nella sua inutilità, perché tanto per come stavano messi i diretti interessati a cui era rivolto il suo pressoché perfetto camuffamento da sicario shinobi non si sarebbero accorti nemmeno di un elefante, se si fosse trovato a transitare di lì per puro caso o sbaglio.

Ma il buon vecchio Finn avrebbe detto che sta proprio nei dettagli più infimi e miserrimi, la sottile quanto tenue differenza tra la riuscita e il fallimento in un’ardita ed eroica impresa. Pertanto...la prudenza, fosse finanche eccessiva, non era da considerarsi mai troppa.

Una volta che ebbe stabilito di non essere nel campo visivo di eventuali impiccioni o curiosi, si mosse rapido.

Sapeva ciò che doveva fare e quel che vi era da fare, per filo e per segno.

Prese ad esaminare un veicolo dietro all’altro, in ordinata e scrupolosa successione, alla ricerca delle chiavi di accensione poste appena sotto ai volanti. E non solo.

Sbirciava e toccacciava allungando le tozze zampine anteriore anche dentro ai vani dei cruscotti, delle portiere e dei portaoggetti, segno evidente che era pure alla ricerca di qualcosa d’altro.

Inoltre, sulla schiena portava uno zainetto di materiale sintetico contenente roba non meglio specificata.

Ma la cosa non era e non costituiva certo un problema. Per il semplice fatto che gli sarebbe servita sì, ma dopo.

Molto dopo. Ma ad essere onesti e precisi neanche tanto, poi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In tutto questo, Maggie si trovava ad un miglio e più di distanza circa, ancora bella appollaiata sul suo albero.

Il suo albero di fiducia. L’albero che aveva scelto e che aveva saputo funzionare così tanto alla grande, ben ripagandola così della sua scelta.

L’albero che le era stato così tanto utile.

Se ne stava ancora lì, con il suo fucile di precisione ancora piazzato in posizione di tiro ed ancora puntato sul luogo dello scontro. E col proprio occhio destro color della nocciola ancora al centro del mirino telescopico.

Ma questa volta non per sparare. Era tutto finito, ormai. E tutto si era concluso per il meglio.

Era finita come meglio non si poteva.

Per loro. Per la gente del paese. Per tutti.

A parte che per quei teppisti, ovvio. E per quel bestione psicopatico che li comandava. E fatta debita e dovuta eccezione pure per chi li aveva inviati e mandati.

Per Carrington, naturalmente.

Adesso Maggie stava facendo quel che stava facendo unicamente per piacere personale.

Per meglio godersi la scena. E per vedere meglio LUI, già che c’era.

Due piccioni con una fava, proprio. Ammesso e non concesso che i piccioni esistessero ancora l’infuori che nei modi di dire.

Lo inquadrò e lo mise a fuoco. Giusto in tempo per vedere il suo comandante guardare proprio verso di lei.

Nick ammiccò e strizzò una palpebra, facendole un occhiolino per ringraziarla. E subito dopo lo vide porre le prime due dita della mano sinistra sulla sua nera bocca di volpe, a fior di labbra, usandole per schioccare un bacio che poi soffiò al suo indirizzo.

E dulcis in fundo...a completare tutto questo fece seguito un labiale a dir poco inequivocabile.

Non poteva udirlo, da dove si trovava. Ma Maggie aveva capito cosa le aveva appena detto, e decise di rispondere.

“Oh, sì” disse sorridendo, come se avesse davvero potuto sentirla. “Mi stai chiedendo se lo so? Ma certo che lo so. E anch’io TI ADORO.”

A quelle improvvise parole si scostò bruscamente dall’arma, come se di colpo fosse diventata troppo rovente perché continuare a tenersela stretta ed impugnata come aveva fatto finora.

Una via di mezzo tra un brivido e una scossa le aveva attraversato il plesso solare, tra lo stomaco ed il resto dell’addome. Seguita a ruota da un gran caldo, anche se non le procurava fastidio.

Era come se uno sciame di farfalle avessero sbattuto tutte quante le loro ali all’unisono dopo aver scelto di nidificare e imbozzolarsi dentro e direttamente all’interno della sua pancia.

Non le riusciva di comprendere se ad averla stupita di più fosse stata la frase o il gesto compiuti dal suo diretto superiore, o quella che lei aveva appena pronunciato.

Era una sensazione a dir poco strana, quella che la stava attanagliando. Sconcertante ma piacevole al tempo stesso. Ma che per fortuna o forse purtroppo, decise di durare fin troppo poco. E venne degnamente sostituita da un’altra.

Qualcosa di sicuramente meno soffice e soffuso, ma ben più diretto e travolgente. E che perlomeno non le riempiva la testa di così tanti dubbi.

Di nuovo quei brividi e quella scossa alla pancia. Ma questa volta era e si trattava di pura, semplice e benefica quanto irresistibile ridarella.

Un bell’attacco di stupidera come qualcuno di lassù comandava.

La daina si girò velocemente sulla schiena, alzando le iridi castano scure al cielo e posando il fucile al petto in modo che non potesse cadere. Quindi scoppiò in una risata irrefrenabile tenendosi il ventre con ambedue le mani, visto che si agitava e tremolava come e peggio di un budino a causa del gran sghignazzare di gusto e senza sosta che la stava sconquassando.

Ma era e lo trovava dolce, assai dolce, perdersi e naufragare in quel maremoto emotivo. E perciò scelse di lasciarsi investire, ghignando fino a farsi venire le lacrime agli occhi.

“Eh eh eh...AH AH AH! Oh, cielo...lo sapevo, LO SAPEVO! Lo sapevo che ce l’avrebbe fatta! L’ho sempre saputo...l’ha fatto per davvero! L’ha fatto sul serio, quel matto! Quel matto che non é altro! Avevo ragione, allora...ho sempre avuto ragione io!!”

“Era come pensavo…” aggiunse, cercando ancora di trattenere le fitte e la ridarella.

Troppo tardi. Fu inutile. Il fucile le cascò di mano e di grembo, finendo nello spiazzo sottostante e in prossimità della grosse radici.

Pazienza. Poco male. Era ultraleggero, ma al contempo coriaceo e bello resistente.

Per forza, l’avevano progettato e costruito apposta. Per essere trasportabile ovunque, e per poter resistere a sapersi adattare a qualunque tipo di condizione e situazione, comprese le più estreme.

L’aveva comperato apposta proprio per via di queste sue caratteristiche. Altrimenti, per quale altro dannato motivo avrebbe dovuto farlo?

Un urto del genere era niente, per quel gioiello. Non si sarebbe fatto troppo male.

“Era proprio come pensavo” ripeté a sé stessa, mentre alzava lo sguardo al cielo buio e oltre le fronde. “Sei proprio un bel tipo, tu.”

“Sì” concluse. “Sei un tipo incredibile, Nick Wilde. Sei davvero un tipo incredibile. Sei FANTASTICO, caro il mio SIGNOR VOLPE.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nick aveva ormai raggiunto l’ampio piazzale situato sul retro del Sunken Hope Saloon , il locale di proprietà di quell’adorabile stordito di Tobey, nonché dove lavorava e cercava di sbarcare il lunario alla meno peggio.

A dirla tutta lo aveva raggiunto da un bel pezzo. E adesso si trovava appoggiato ad una delle due fiancate del Lobos Z – 1, il van guidato e posseduto dal buon vecchio Finn. Dove anche lui, sovente, cercava di sbarcare il lunario alla meno peggio.

Posseduto in senso prettamente oggettistico, s’intenda. Che con un infoiato cronico del genere é questione di un attimo, ad equivocare malamente. Ci si mette davvero un nonnulla.

Teneva la propria schiena a sostegno e a ridosso di quella rimasta più sana tra le due. Oppure quella ridotta meno peggio, che tanto era uguale.

Un po' come lo erano le sue braccia in quel preciso momento, del resto.

Guardò il proprio polso, come a fingere di fissare una sorta di orologio immaginario allacciatovi attorno.

Anche se non sapeva l’ora, non doveva mancare poi molto.

Dovrebbe essere qui a momenti, pensò. Ma quanto ci mette, per la miseria?

No. Non doveva mancare poi molto al suo arrivo.

E meno male, perché era tutto calcolato alla perfezione, al millimetro e sul filo dei secondi. E pertanto non erano di certo ammessi ritardi o sgarri di sorta.

Era da considerarsi letteralmente una gara, una corsa contro il tempo. Ed ogni istante era a dir poco prezioso, per non dire vitale.

Ma non c’era assolutamente da preoccuparsi. Lui era sempre puntuale, nei suoi ritardi cronici.

Sempre quei dieci minuti fatali, figli della pretesa assurda di voler gestire sempre le cose a proprio modo e all’ultimo momento. Con la prevedibile conseguenza che, quando si parte già in ritardo rispetto alla tabella di marcia, basta una minima fesseria per trasformare e far diventare quei dieci minuti di troppo delle mezze ore, e da lì addirittura delle ore intere.

Pazienza. Poco importava. Tanto il suo piano aveva tenuto debito conto anche di questo.

E comunque, il suo orologio invisibile era avanti di almeno una ventina di minuti buoni.

O forse era indietro?

Bah. Alla prima occasione avrebbe dovuto provvedere a fargli cambiare le pile.

Dovrebbe essere qui a momenti, ripeté mentalmente, sbuffando.

Ed infatti, poco dopo, una minuscola quanto orecchiuta figura incappucciata e di nero vestita fece la sua comparsa all’imboccatura di uno dei vicoli adiacenti.

Era la stessa che, meno di un’oretta prima, si aggirava tutta bella indisturbata tra i mezzi di trasporto di proprietà e di utilizzo esclusivo degli Hell’s Fangs o presunti tali. Dove con tutta probabilità, all’interno, anch’essi cercavano di sbarcare il lunario alla meno peggio scorrazzando da una parte all’altra. E che adesso erano da considerarsi inservibili per via dei pneumatici resi sgonfi e ridotti a terra.

Il tappo pareva ed appariva alquanto trafelato. Segno più che evidente e palese che doveva aver corso, per cercare di arrivare puntuale al rendéz – vous stabilito. O quantomeno, per tentare di ridurre lo scarto e il lasso di tempo al minimo.

Ma tutto ciò non doveva costituire una buona ragione per smettere di correre, o per non riprendere ancora. E così fece, infatti, mentre copriva in un lampo la distanza che lo separava dal suo socio nonché adorato figlioccio.

Le zampette posteriori si muovevano e saettavano velocissime sul manto stradale, quasi invisibili e impercettibili, col tronco messo in orizzontale e quasi parallelo al terreno. E con le due braccine che si trovavano più o meno nella stessa e medesima posizione e angolazione, tenute estese al massimo.

Con quell’andatura e postura che teneva e che si ritrovava, più che correre sembrava stesse addirittura SCIVOLANDO in avanti. Come trascinato verso Nick da una forza e da un’attrazione magnetica quanto irresistibile, alla pari di una coppia di calamite.

Stava stringendo qualcosa, nella zampetta anteriore destra. Qualcosa che, fino ad un’ora fa circa, doveva far parte del contenuto misterioso dello zainetto che ancora portava sulle proprie spallucce.

Una videocamera. Minuscola, digitale e portatile. Per non dire tascabile.

Molto comoda. E utile, di sicuro.

Raggiunse il suo compare.

“Allora, caro il mio buon Finn” gli fece Nick. “Hai provveduto a filmare tutto quanto come ti avevi chiesto, vecchio mio?”

“Sssuuuuuure…” smiagolò sornione il piccoletto.

“Ti te puede estàr cierto, que l’ho fatto” gli confermò prontamente, intanto che si levava il cappuccio calandolo all’indietro.

La sua vociaccia rauca era lievemente incrinata, ed inoltre aveva gli occhi ancora lucidi. Per non parlare dell’espressione che aveva assunto la sua faccia non appena erano entrati in argomento.

Aveva una sorta di ghigno letteralmente e perennemente stampato sul muso e sui denti. Questo e gli altri a cui si era appena finito di accennare erano tutti segni fin troppo evidenti che, fino a quelache istante prima, era ancora intento a ridersela di gusto e della grossa.

Fin quasi al punto di strozzarsi. Persino mentre giungeva lì.

C’era poterci giurare, a riguardo. Da starne certi.

“Trànquilo” gli confermò ancora, nel caso ve ne fosse di ulteriore bisogno. “Dalla muy premiada ditta Finnick and Finnick und affini te devi aspetàr seulemént er mejo. The best of the best. Over the topo, forever and ever. Semo un carognificio de primero ordine y de primera categoria! Anca si el dìficil es stado reussìr a tener el cinexin, riuscire a tenere la cinepresa ben ferma mentre me la spanciavo dal ridere à la stragrande y à la pussée bela, alla gran plus bella. Y ahora derva esto dannato furgòn ed entramo! Adelante, socio! Vamonos! Come here!!”

Nick non se lo fece ripetere due volte. Anche perché in realtà l’operazione in questione era da considerarsi pressoché semplicissima da eseguire, dato e visto che non c’era proprio un bel nulla che si dovesse aprire o spalancare di sorta.

Proprio un bel cavolo di niente. Entrambi i portelloni, insieme ad ambedue le portiere situate poco più avanti ad essi a chiusura e a protezioni dei rispettivi posti di guidatore e di passeggero anteriore si trovavano ancora dov’erano rimaste e dove le avevano lasciate l’ultima volta. E cioé valeva a dire a terra, sull’asfalto, dopo che il mezzo era caduto a pezzi. Anche se sarebbe stato meglio ma molto molto meglio dire che era collassato ed imploso su sé stesso, a dir poco.

E tutto in seguito e per merito della folle e turpe scorribanda eseguita da Zed e i suoi.

Quella che era costata a tutti e tre e a tutto quanto il resto della popolazione l’intera stazione di polizia, al gran completo.

Nessuno vi aveva messo più mano, e men che meno aveva tentato di osare a ripararlo o anche solo a volersi azzardare a rimetterlo un minimo in sesto.

Nessuno che avesse voluto provarci. Proprietario compreso ed in primis. E adesso giaceva lì, paragonabile ad una cattedrale progettata, architettata, sorta, costruita e realizzata in pieno deserto.

Come, alla pari e alla stregua di uno scheletro abbandonato sotto il sole rovente e cocente, anche se era ancora notte fonda e buio pesto, senza neppure il minimo sindacale di rispetto e conforto garantiti di norma da una degna e corretta sepoltura consacrata, indipendentemente dalla religione in cui poteva aver creduto o che risultasse professata da colui che che avrebbe dovuto provvedere a far eseguire le esequie.

Mollato lì così, a quel modo. Proprio come il prodotto finito accennato in precedenza dal piccoletto.

Quello che, stando a quanto e a ciò che blaterava, la sua premiata ditta era l’unica a vantarsi di saper produrre e vendere, al punto di fare mercato e settore praticamente da sola.

Le carogne, ecco qual’era il prodotto finito in questione. E per come stava ridotto e conciato, purtroppo il suo povero van doveva senz’altro costituire un’ottima e rinomata materia prima, a tale riguardo.

Non c’era più nulla, lì. Proprio più nulla che si potesse far scorrere, spostare, muovere, aprire, spalancare o chiudere. Eppure Nick decise di stare egualmente al gioco.

Chissà perché, o per quale motivo si era sentito spinto ad agire così.

Chissà, forse voleva solo contribuire a sdrammatizzare e ad alleggerire un poco l’atmosfera, tutto qui.

Mosse il braccio sinistro, e finse di far slittare uno sportello bello grosso quanto invisibile.

Quello destro. Un portellone fatto praticamente d’aria, e che doveva unicamente esistere dentro e all’interno della sua mente, della sua immaginazione mentre procedeva lungo la coppia di guide metalliche poste sia sopra che sotto di esso.

Beh, andava detto che almeno quelle c’erano ancora, se non altro.

Bueno. Sempre meglio che niente.

Si intrufolarono al volo. E una volta nell’abitacolo, seppur si trovassero immersi come nella pece più nera, il fennec cominciò a rovistare e ad armeggiare nervosamente con un piccolo ma al contempo ben nutrito e pasciuto mucchietto di cianfrusaglie e di roba messa alla rinfusa lì nelle vicinanze.

Malgrado i modi bruschi sapeva dove mettere le zampe, così come sapeva ciò che gli serviva e che stava cercando.

Come ogni volta, del resto. Perché aveva un suo ordine, da sempre.

Nel suo caotico e sempreverde disordine vi era insito un ordine.

Tutto, anche se piazzato e sparpagliato indecentemente qua e là, aveva una sua intima coerenza. Anche se sepolta e sommersa da una tonnellata e mezza di robaccia nella maggior parte dei casi inutile e superflua.

Era tutto nero, lì dentro. Ma non avevano bisogno di accendere luci di sorta, dato che avevano e disponevano entrambi di occhi buoni.

I loro occhi naturali di predatori, in grado di poter vedere e scorgere qualunque cosa, anche in mezzo alle tenebre più fitte e dense.

Nessuna lampadina ad eventuale supporto, dunque. Anche perché non ce n’erano, nel retro. E neppure sul davanti.

Finn, coadiuvato dall’istinto nonché da una buonissima memoria almeno per quanto riguardava le sue carabattole, andò praticamente a colpo e botta sicuri e tirò fuori non si sa come da tutto quel bordello un vecchio portatile.

Era davvero desueto ed oltremodo vetusto. Uno di quei modelli che avrebbero potuto esseri alimentati a legna, data l’età. E pesante come un mattone imbottito di sassi.

Roba di terza o addirittura di quarta mano, probabilmente ricettata. Quasi certamente rubata.

Era ancora attaccato al suo cavo di alimentazione. Il fennec tirò con entrambe le braccia fino ad estrarre la spina dalla catasta di ciarpame. Poi la prese e la attaccò ad una presa che spuntava dalla parete, collegata molto probabilmente ad un generatore ausiliario.

In quanto portatile, per sua natura avrebbe dovuto garantire una certa autonomia, ma doveva essere talmente usurato che senza il supporto fisso da parte della corrente non c’era la benché minima speranza di farlo durare oltre o più di una trentina di secondi, o giù di lì. E già si era stati di manica fin troppo larga.

“Dì un po', vecchio mio” gli fece Nick, alquanto dubbioso. “Sei...sei sicuro che funzioni ancora, questa roba?”

Era fin troppo evidente che anche la volpe doveva aver condiviso tale perplessità.

“Claro que sì” gli rispose il tappo. “Es muy viejo ma bello coriaceo, yo te lo puede assecuràr. Un computero revisionado y regenerado da giente de mia feducia? You are joking? Che tu vuele scherzà, hm? Te ce poiu jogàr el porta – coda, socio.”

Premette il minuscolo tasto di accensione, poi gli si sedette di fronte a gambe incrociate, mentre Nick gli si sistemava a fianco dopo essersi accomodato e messo seduto a sua volta.

Una luce azzurrina illuminò i loro musi. Per poi spegnersi subito dopo.

Niente. Bello che andato pure il generatore, a quanto pare. E senza di quello...come già evidenziato in precedenza, sperare nella durata delle batterie interne era impresa vana.

Una battaglia persa.

Finn mollò un pugno rabbioso sulla tastiera.

“Direi che forse é meglio fare un salto dentro dal nostro Tobey” gli suggerì Nick. “So che di recente ha installato il wi – fi dentro al suo locale, grazie ai rimborsi e ai risarcimenti danni che gli abbiamo elargito. Dopotutto...era il suo che avevi intenzione di sfruttare, dico bene? Se non erro, prende fin qui.”

“Già” ammise il nanerottolo. “Brav’nduvenat’.”

Raccattarono tutto quanto e uscirono dal furgone, diretti alla chetichella ma di gran carriera verso il pub.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Neanche cinque minuti dopo erano di nuovo seduti. Ma questa volta su della comode sedie in mogano che circondavano un tavolo del medesimo, scuro materiale.

Da Tobey non c’era nessuno, quella sera. Anzi, quella notte.

E ci sarebbe mancato altro, vista l’ora. Ma lo squinternato gestore si ostinava a rimanere aperto fino alle prime luci dell’alba, certe volte.

Quelle bizzarre aperture straordinarie si svolgevano in maniera totalmente casuale ed arbitaria, asua totale discrezione.

Vai tu a sapere e indovinare il perché, visto che non vi erano di mezzo neppure le elezioni o il Super Growl, a pallida quanto misera e patetica scusante per giustificare un’interrotta sequela di bevute fino a sbronzarsi e cadere a terra in banana dura.

Poco male. Era perfetto com’era, ovvero deserto.

L’ideale, per fare quel che stavano per fare.

Tobey, dietro al bancone, puliva bicchieri finalmente nuovi di zecca e di pacca con un panno altrettanto lindo e novello. Anche quelli frutti dei recenti indennizzi, molto probabilmente.

Aveva chiesto ai suoi amici, o come li definiva tali e per antonomasia avendoli apostrofati col consueto termine non appena eranro entrati e avevano messo mezzo zampa lì dentro, se gradivano qualcosa da bere.

Nick aveva declinato, mentre Finn aveva rinviato e rimandato la gustosa offerta a più tardi.

A quel punto il cavallo li aveva lasciati in pace e si era rimesso a nettare boccali e quartini da whiskey e da scotch, fischiettando a tono basso la celeberrima Rumba delle Noccioline.

Un pezzo vecchio come il cucco posseduto da Matusalemme in persona, ma che tirava sempre.

Un po' come il computer di Finn.

Provò a riaccendere. Ricomparve di nuovo la luce azzurrina, ma questa volta aveva tutta l’intenzione di rimanere. E a lungo, anche.

“Bién” disse. “Bueno. Y ahora que se fa? Che ‘ffamo, hm?!”

“Quel che ti avevo detto e che avevamo stabilito sin dall’inizio” replicò la volpe. “Tutta la bella roba che hai filmato dopo che me ne sono andato se ne finisce dritta dritta in rete. Così vedremo se quelli avranno ancora il coraggio di mettere i loro sudici grugni fuori dalla tana, DOPO.”

“Okie – dokie, Jefe.”

Finnick collegò la videocamera al computer mediante un triplice cavo composto da un tricolore di spinotti in una fantasia alternata in successione rispettivamente di roso, bianco e poi giallo.

Sulle prime, il monitor mostrò tramite messaggio che era piuttosto restio a voler riconoscere quel dispositivo.

Doveva essere alquanto reticente, ad accogliere ed ospitare estranei e sconosciuti nel suo sistema.

O forse era solo un po' riservato. Per non dire timido. Chissà.

In ogni caso, Finn non la prese bene.

No, non la prese bene per niente.

“Ma vàrda tì…” esclamò contrariato. “Ma tu guarda esta soto y spécie de gràn hijo de una calcolatrìz arruggenita y de un registradòr de cassa guasto. Esto affare delle segùndas guerre puniche me l’hanno molàdo y refelado praticamiente aggratise, ma fa una fatiga, certe volte…”

“Escusame, socio” aggiunse. “Seulemént un poquito de paciencia. Ce metto justo un attemo, non te preocupe.”

Ammollò un bel cartone allo schermo, intanto. Un papagno tirato con la parte inferiore del pugno, tenendolo ben chiuso e sferrandolo con una traiettoria a martello, intanto che imprecava nella sua lingua che però non era affatto madre.

“DAVAJ! ROBOTA! Lavora, maldido hijo de pu…” disse, smozzicando la parte terminale di quella frase. “C’MAAAN! QUE’ ELA GRAN FULANA DE LA TU’ MADRE TIENES LA CONCHA FRIA! ENTIENDE?!”

Eh. Inteso sì, purtroppo. Fin troppo.

Malauguratamente l’ultima parte, con somma gioia di chi l’aveva appena udita, invece non l’aveva interrotta proprio per nulla.

Manco per il cavolo.

Tirò un altro cartone. Identico nel precedente per quel che riguardava sia la tecnica di esecuzione che la zona colpita, ma ancora più forte e deciso. Al punto che questa volta ottenne e sortì l’effetto tanto sperato.

Sul video comparve finalmente la tanto sospirata schermata con la richiesta di download.

“Ooh! Ce semo!!” Esclamò il fennec. “Finalemént! Finalmente dai che ci siamo!!”

“Bene” si limitò a commentare Nick. “Riguardo a Carrington che mi dici, piuttosto? Hai scoperto il suo indirizzo e – mail?”

“Sure, socio, Ceeerto che si. Obviously, Nickybello. Ho grattato un bel mucchio de smartphonos sui sedili dei pick – ups de quel branco de’ balordi. Y compreso quelo del loro capo. Und naturally, ovviamente, non aveva provveduto a cancielàr la correspondencia de los last y ultemòs dias, degli ultimi giorni. Beh...tanto pégio por lù. Peggio per lui. Scovare la casella de posta del botolo suinante es éstado un autentico juego da ragassi. Una fazenda da ninos, da bimbi o giù dellì. Tipo como quando rubavo en giesa, in chiesa. Rroba semelàr, hombre. Stessa roba.”

“Lasciamo perdere, che é meglio. Ottimo comunque. Spediscigliela anche a lui. Così contribuiremo a rallegrargli la serata. E a proposito dei pick – ups…”

“Todo sistemado puro lì, socio” intervenne Finn, zittendolo. “Un’opera d’arte pura, tel dise mi. Mejo de Van Gogh, Cézanne, Matisse, Picasso y Bizét mise ensemble, messi insieme. Avéc Goya y Gouguin à far da panchinari. O era Gogol? O Goghen? Oppuro Giger? O GIGEN?”

“Gauguìn” lo corresse opportunamente e debitamente Nick. “Con l’accento sulla i. Come Platini.”

“Como?!”

“Lascia perdere. Una vecchia leggenda di un tempo che fu. E poi...sbaglio, o Bizét era un COMPOSITORE?”

“Aah. Chissene. Torniamo a bomba, socio. Y cioé all’operaciòn. Azucar. Bello mio. Zollette de zucchero dritte dritte into the serbatoio. Meza escatola y deppiù ciascuno. Tradotto en pobres palabras, in parole muy povere...implanto de alimentaciòn completamiente ruvenat’, rovinato. Y machine enteramiente gone, andata. Devono seulemént provarcie, a remetterle en moto dopo haber fenido de andàr ripetutamiente de cuerpo...glie sarebbe toccato de spostarsele tode quante a spinta! Y puro con le gomme sbusate, coi pneumatici forati! Ahr, ahr, ahr! Ti te lo puede emaginàr, socio! Te lo lascio immaginare, ahr, ahr, ahr! Da schiattare dal ridere!!”

“Già” ammise Nick.

“Aspetta un attimo, però” intervenne subito dopo, alquanto scettico.“Come sarebbe a dire GLI SAREBBE TOCCATO? Che intendi, scusa?”

“Ah, ecco” proseguì Finn. “Visto que emo en tema...nun me verrai adìr que te ne sei dimenticato, vero? Recuerdate de quel che tu me ha promiso, socio. Di quel che m’hai promesso. Todo quel che finisce o remane en mein sciampa, in zampa mia al termine de ogni colpo miso a segno resta y remane al sotto y puro escritto. Così erano i patti. Avimm’siempre fatto accussì, y ce semo siepre trovadi a maravilla, a meraviglia.Y perciò yo no vedo el motivo y la ragiòn por que se dovrebbe changér, cambiare. Non trovi anca ti, socio?”

“Non preoccuparti, Finn” lo rassicurò la volpe. “Me lo ricordo più che bene. Me li ricordo benissimo, i patti. Alla perfezione, persino. IO.”

“Che fai, socio? Osi dubitàr de mi? Dubiti di me, forse? Ma che davéro?!”

“Ma figurati. Ci mancherebbe altro.”

“Bueno. Bién, En ogne caso...a casa mia , chi cierca trova. Y chi trova se lo prende. Y se lo tiene, puro. Ergo y en otras palabras, in altre parole...i loro cellulari remangono a mi. Y accussì i loro mezzi de locomotiòn. I pick – ups se ne restano y se ne remangono dove sono y dove stanno. Llamerò quelque d’un de los mes amigos, chiamerò uno dei miei amici por que ce pienzino loro. Y l’estesso vale por gli intoiti sùr le revendidas, sulle revendite dei pezzi.”

“Mph. Tutti tuoi, per quel che mi riguarda” tagliò corto Nick, con tono e aria di totale indifferenza e facendo spallucce.

“Gut” rispose il tappo. “Y visto que semo a tema…”

Prese uno dei telefonini e pigiandone ripetutamente i tasti compose al volo ed in fretta e furia un numero che come minimo doveva essere ignoto persino al suo degno compare e figlioccio. E che con tutta quanta la probabilità del mondo doveva conoscere solo lui, visto che era andato completamente a memoria e non l’aveva segnato da nessunissima parte.

C’era da star più che sicuri che, una volta terminata la chiamata, l’avrebbe cancellato dalla lista inerente alle chiamate effettuate.

Ma da scommetterci, proprio.

Doveva essere uno dei suoi numeri segreti.

Per quelli come Finn, anche un soldino risparmiato equivaleva a un soldino guadagnato. L’importante era solo che il soldino che ci metteva NON FOSSE MAI IL SUO.

Ma alle volte si era messi talmente male e da schifo che oltre al soldino non c’era neppure il salvadanaio dove infilarlo. E allora tornava utile tutta una serie di amicizie, agganci e contatti stretti all’interno del sottobosco criminale.

Gente che Nick, che pur si vantava da sempre di conoscere e di sapere ogni cosa e tutto di tutti, non aveva mai avuto il dispiacere di incontrare. E che aveva sentito unicamente per cornetta, a prova tangibile della loro esistenza. Peccato che però l’unico che parlava era il suo mentore.

Gente ma più che altro gentaglia senza volto e senza voce. Ma che però erano reale.

Vera. Verissima. Ed esistente. Nonché pericolosa.

Molto, molto pericolosa. Pericolosissima.

E il tizio che stava chiamando Finn...doveva essere uno di loro, senz’altro. Uno di QUELLI.

E quando ciò accadeva, gli aveva sempre raccomandato una cosa. E cioé di starsene zitto, e per tutta l’intera durata della conversazione via telefono.

L’unica spereza di non mandare tutto alla malora e catafascio, uscendone così perfettamente interi ed integri...era di NON DIRE PIU’ ASSOLUTAMENTE UNA SOLA PAROLA.

Solo Finn aveva il diritto di parlare, in quei momenti. Nessun altro all’infuori di lui e che non fosse lui. Altrimenti saltava tutto.

La trattativa si guastava e si interrompeva. E quando l’accordo si scioglie...gli emissari o chi contatta va LIQUIDATO.

ELIMINATO. Senza se e senza ma.

Il telefono squittì a più riprese, senza risposta. Poi, finalmente o purtroppo, qualcuno dall’altra parte della cornetta si decise ad alzarla, la benedetta ed insieme stramaladetta cornetta in questione.

Finn cominciò subito ad attaccare bottone, iniziando con la sua commedia in modo quasi che non volesse dare al tizio il benché minimo tempo o possibilità di replicare alla sua offerta.

Il tono sembrava quello tipico di una gaia quanto gioviale conversazione tra due vecchissimi amici di lunga data, e che non si sono né visti né beccati da un bel pezzo. Eppure…

Eppure metteva a dir poco i brividi. Perché Nick, abituato da sempre a simulare, a fingere e a nascondere e celare accuratamente le proprie vere e sincere emozioni, ci aveva messo praticamente un niente a capire che era tutta finzione.

Il suo compare, dietro quella maschera di cordialità e spiritosaggine, doveva ben sapere con chi stava parlando. E stava prendendo tutte le cautele e attenzioni del caso per non contrariarlo o peggio offenderlo.

Finn gli aveva sempre detto che al mondo esistevano cose e persone di cui aveva paura persino lui.

Ecco. Questo tizio doveva far parte di quella ristrettissima e sparuta cerchia.

Come Zed, probabilmente.

Si augurò, chiunque fosse, di non dover essere mai costretto ad incontrarlo, nella vita.

Uno se l’era già beccato, fino ad adesso. E gli era più che basato ed avanzato.

Perché se erano tutti come lui…

“Prronto, Bing?” fece intanto Finnick. “Ehilà, bello. Como te butta? Nun ce sta besogno que te dica chi soy, o el mì nombre, right? No? Tanto me hai giamò reconossiuto, dai. Y se tu sas chi sono, saprai anca por que te ho llamado. Te chiamo por que tiengo cinque macchine muy grosse da smontar complietameniente, y de cui dovemo révender loso piéces, i pezzi sengolarmiente. Se. Se. Tranquilo, bello. Es todo en perfete condicionés. Beh...a parte el serbadoio y l’empianto de alimentaciòn que sono pieni zeppi de azucàr. Ma si nun me recuero mal la cossa por ti no ha mas costetuido un problemo, right? Esteriormente es todo entatto. A chi cogna gliene puede emportàr si funziona oppuro no?!”

Nick lo guardò, con un espressione che da sola diceva tutto.

 

Beh, ad esempio al povero idiota di turno che lo compera, mio buon vecchio Finn. Tu che ne dici, hm?

 

Fu lì lì anche per dirlo. Ma non appena mosse le sue labbra nerastre Finn, intanto che ciacolava, gli assestò e rifilò uno sguardo fin troppo eloquente che lo convinse a desistere. Immediatamente.

Gli aveva piantato addosso due occhi di fuoco, guarniti da un’espressione spiritata. Che dicevano altrettanto tutto.

 

A quanto mi risulta non ricordo di aver richiesto alcun parere del £&$$% da parte tua, socio.

O forse mi sbaglio?!

 

“L’emportante es vendere, amigo meu. Y una volta venduto, tu te lo tienes accussì como es. I nuestri prodotti no tiengono ninguna garanzia de scadencia o de resarcimiento. Spiase. Allora? Tu ce estàs? Ce stai, por caso? Ooh, maravilliosso. Gut. Allora te fornirò l’enderizzo dove te farò portàr toda la roba. A ti te toccherà prenderte solo el desturbo de andar a reterartela. Ma si nun sbaglio tu te preferisset inscìi, giusto? Correcto? Oookay. Vaaaaaa bene. D’aaaaccordo. Quanto vienes, tu dise? Aah, ma lo sai que con ti no es un problema de soldi. Quando te pare, bello. Y quando tu puede. Me fido.”

Nick scosse la testa, allibito.

 

Da non credere, ragazzi. Quando eravamo in affari io e lui, se solo tradavo di mezzo secondo a dargli la quota pattuita era giaà lì che mi veniva a cercare con oggetto contundente stretto in zampa.

 

“Como? La percentuàl, ti te vuele savér? Como al solito, que domande me fai. El vienti por ciento, como siempre!!”

 

Nick seguitava ad agitare il capo, sempre più allibito.

 

Certo, Finn. Come no. Io mi ricordo che con questa storia del venti per cento eravamo sempre sotto, da maledetti. Era una guerra continua. Con questo, invece…

 

Era pressoché inutile insistere, ad ogni modo. Così come prendersela.

Se Finn calava le brache a quel modo, doveva avere i suoi buoni motivi. Per non parlare di una fifa a livelli cosmici.

“Allora semo d’accuerdo su todos! Muy bien, bello. Dimme ‘n po', plùtot...your son, tuo figlio? Como se la cava? Eh? L’hanno ciapato? Me stai a ‘ddì che l’hannpo beccato un’altra vuelta? Ancora a Sing – Sing? Altri dieci anni, gli hanno dato? Tsk...sin ofesa, ma yo te l’agg’ siempre dito. Me rencresce, ma nun tiene la stoffa, el nino. Ce prova, ce reprova, ma nun se applica. Non ha la minema stoffa, quel ragazzo, rién a faire! No ghe nada de ìffa, niente da fare! No has un solo briciolo, de le tu capacidàd. El tuo sangre es diventado gua, dans le su veins, nelle sue vene. Eeeh...yo lo sé, amigo. Yo lo sas muy bién. Es mas brutto quando los hijos nun correspondono à los aspectatives de nos otros, de noi padri...mira el mio, por example. Tu guarda el mée...es el exacto encontrario del tuo, que tiene la voja ma non el talento. Il mio tiene el talento, ma nun c’ha voja. Che ‘cce voi fa...a ognuno el suo. Es diventado muy ma muy difìcil trobàr un juven avec el còeur de un leone, putruepo. Y ad ogne modo, si tu vuele vedér el lato possitivo...fa pure rima, no? Bing...Sing – Sing...que nun te piase? Que nun te fa ridere, por caso? A mi me fa escompisciàr, a dir poco. Ah , nun l’hai capita? Y vabbuò, poi à la primera ocasiòn te la spiego por benino. Ooook, allora d’accordo su todo, rimanemo accussì. Te saludi. Suerte.”

Attaccò.

Nick gli fece un cenno, come a chiedere se adesso poteva parlare. E Finn asserì tranquillamente.

“Good” gli fece la volpe. “Adesso che hai finito con quella tua assurda telefonata, giusto per curiosità...non é che mi diresti dove l’hai rimediato, il fenomeno con cui hai appena finito di parlare? Così, giusto per sapere.”

“Chi?” gli domandò il fennec. “Que te riferisci a Bing, por caso?”

“Mph. E chi, se no?” Gli rispose Nick.

“Ma niente de que” replicò il nanerottolo. “Io e lui ce conosciamo da una vita, y forse anche deppiù. Sin da los tiempos da las scolàs, dai tempi delle scuole. Eravamo sempre insieme, noi tre.”

“Noi...tre?”

“Yup. Io, lui, e Fresno Bob. Vuoi que te diga cossa es succiesso a Fresno Bob?”

“Non che ci tenga particolarmente, vecchio mio. Visto che con tutta quanta la probabilità non si tratta di nulla di bello o di piacevole. Garantito.”

“Toccato en pléin, socio. Y comunque es muy tardi, troppo tardi. Anca si tu no voeul...adesso agg’encumenciàt mò te la becchi tutta, bello mio. Y sìn dall’enicio. Facevamo todo en compagnia, y ne combinevamo de cotte y de crude. Dal trafugamiento de los sàlmas dai cemeteri a scopo de estorsiòn preso los parentés alla veneraciòn de lo ratòn pasàndo por l’obstruciòn del corso de los fiùmes avec materiàl de scarto feroviàrio. Avéc conseguentés aluvionés de tode le valli y zone vecine y limitrofe. Ma ti no te preocupe, eh. En fondo anca le popolacionés de le zone aluvionade ce tenevano, visto que dopo ce mettevamo d’accurdo y facevamo la mezza sùr le sovencionés estatales, i risarcimentios de estato. Poi a un certo punto, en combutta avec los aciéndas farmaceuticas che sperimentaveno su non otros...abbiamo eneciato a pijarce los malanos, le malattie più assurde apposta en modo da testàr los farmacos, i farmaci. Figurate che qualcuno ce chiedeva por que y por qual motivo facevamo una cosa insìi tanto peligrosa, pericolosa. Oltre che por la grana, s’entiende. Y tu sas cossa ce rispondevamo noi, eh? Je disevamo que lo facevamo por farla pagare ai nostri parentes, ai nostri genitori per nun averce fatto mancar mai nulla.”

“Ma che cavolo stai dicendo, Finn!!” Saltò su Nick. “Ma se tu non ce li hai mai avuti, i genitori! Non sai nemmeno chi siano!!”

“Por l’appunto, socio. Poi, però...un bel giorno la nostra amicizia terminò. Finì tutto, sul più bello. Y tu sas por que? Por que un bel iuorno yo viengo a sver y a escovrìr que quel malnato de Fresno Bob s’é andato a ciappàr una malattia rarissima, que lo laboratories pagheno letteralmiente a peso d’oro. Proprio quella que volevo yo, sì! Y puro Bing! Da lì, por un bel piezzo, nun ce semo più parlati y revolti la palbra, la parola. Anca por que yo y Bing avevamo eneciato un’altra florida i plùs remuneradiva actividàd.”

“Sarebbe a dire?”

“Oh, i’ts muy simple. Mandavamo le nostre compagne de classe a fàr le passeggiatrici y a battere sul bordo dei marciapiedi. Alcune avec el recatto, dato que glie scattavamo le foto quando stavano mezze nude into lo spogliatoi dopo l’ora de gennastica, y le minacciavamo de render las fòtos pubbliche si nun fasevano quel que volevamo noi y que glie dicevamo de faire, de fare. Ma non tutte, eh. Precisiamo. Altre, que tu ce creda o no...beh, erano proprio loro a venircie a chiedere de farlo. Tu sas...justo justo por remediàrse qualche espicciolo con cui comperarse borsette, trucchi, braciàlettos, orelogi, vestìtos y toda quela robaccia que gusta tanto a todos lo embras, alle femmine.

Y noi no ervamo cierto dei tacàgnos o avàros, que ti credi...dividevamo y glie davamo el giussto. En plùs, en quanto gestori y organezzadores...quelque volta ce vincevamo y remediavamo puro un giro de giostra sùr el materasso y de sota à le covierte aggratis! Ahr, ahr, ahr! Ma tornando al nuestro amigo Fresno Bob...vuoi que te dica que es succiesso? Tu voeul que te diga cosa glie abbiamo fatto, a Fresno Bob, hm?”

“Eh…” sospirò Nick. “Nulla di buono, immagino. Come ti ho detto in precedenza, mio buon caro Finn...non che ci tenga particolarmente, a volerlo sapere. Ma...suppongo che giunti fino a questo punto, sia inutile in sistere. E che tanto valga andare avanti, fino alla fine.”

“Ma fa in fretta” lo avvertì. “Sappi che comincio ad averne abbastanza. E ad essere un po' stufo.”

“Jawohl! Agli ordini, mein herr. Dunque...un bel giorno sapendo que la sua malattia, el morbo o la sindrome de vattelapesca o qualcosa del genere glie empediva la deambulaciòn y lo costrengeva a stàr de sovra a una cadrega avéc rotellas, a una sedia a rotelle, da brave carogne yo y Bing semo andati a casa dei suoi e glie abbiamo detto se podevamo portàr de fora el cadaverino a farse un giringiro. Y loro hanno detto que massì, almeno se svagava un poquito, visto che loro erano stufi de tenerselo en casa a vegetàr todo el dia. Y tu sasa cossa abbiamo fatto? Lo avimm’caricato sùr el mi furgone, lo abbiamo portato en un bello spiazzo y quando ce ha dito que voleva un poco de agua por que tieneva sed, sete, glie abbiamo detto que se poteva arrangiàr, que tanto no guariva né se beveva, né si nun beveva. Y poi, en nome della nostra vecchia amicizia, que lo avremmo cosparso ben bene de benzina y que poi gie avremmo dato fuego, usandolo como mozzecone por debelàr una buena fetta de macchia litoranea y mediterranea. No es encroyable, socio? Non é incredibile?”

“Incredibile, dici? E’...é una storia a dir poco AGGHIACCIANTE, la tua.”

“Bof, en effetti, ahora que tu me ce fai pienzàr...lui, a sentir esto, lì por lì ce remasto muy mal. E si é offeso. Ma sotto sotto, por mi era contento, de faire un favòr a due vecchi amici. Una zampa a chi se conoscie da siempre nun la se refuda mai. Y comunque, de seguro nun ce siamo offesi noi, visto che abbiamo recevuto un muy bonito gruzzolo dai palazzinari que en seguito ce hanno potuto costruir un bel compleso condominiàl, de sopra a toda quela distesa de tierra bruciada y carbonezada. Y nun se sono offesi nemmeno i suoi genitori, visto que se sono enstascati las ua asicuraciòn sùr la vida! Ahr, ahr, ahr!!”

“Y meno màl que hanno ben pienzato de avvesarce, prima. Tu piensa que ce ne hanno dato pure una bella fetta, por el desturbo y por aveirce pensato nos otros! Y anca por comperàr y otenér el nostro silencio, obviously.”

“La sai una cosa, Finn? Ma te la dico con tutto il cuore, davvero. A modesto parer mio si tratta della storia più pazzesca che io ti abbia mai sentito raccontare. La trovo talmente grottesca, surreale e assurda che mi riesce parecchio difficile, da mandar giù. Così come ritengo che sia molto difficile bersela, rimanendo in tema di bere come col tuo sfortunato amico di nome Fresno Bob o come diavolo si chiamasse. E infatti...non credo a una sola parola. Mi spiace.”

“Andiamo…” gli fece, con tono estremamente confidenziale. “Anche tu hai i tuoi limiti, nonostante vuoi fra credere di non averne. Nemmeno tu ti spingeresti così lontano.”

“Really? Tu non me crees?” Reagì piccato Finn. “Non ci credi, eh? Liberissimo puro de farlo, socio. Ma lassa que te dica una cossa, en toda sincieridàd. NON PENSARE MAI DE CONOSCIERME, socio. Mai, fin en fondo.”

“Stai dalla mia parte, no?”

“Cieeeerto, Nickybello. Avec toi a l’outrance. Con te ad oltranza, y anca oltre.”

“E allora tanto mi basta, vecchio mio. Ed ora, visto che a casa mia come amo dire sempre io una cosa o la si fa per bene oppure non la si fa proprio...direi che prima di procedere faremmo bene a riguardarci il filmato per assicurarci che sia tutto in regola. E anche per farci altre due belle risate, visto che ci siamo.”

“Okie – dokie. Yo porto da bebér. Spetta che ciappo da bere.”

“Scordatelo, Finn. Non l’hai ancora imparato che non si beve, in servizio? Anche se sono, come dire, piuttosto elastico nei tuoi confronti e ho deciso di concederti una certa libertà a livello sia di condotta che di comportamento...ci tengo a rammentarti che rimani pur sempre un vigilante ausiliario, nonché il mio aiutante ufficiale. E quando si lavora...non ci si ubriaca, é chiaro?!”

“Uff...e va bene, va bene. Piuttosto...quand’é que pienzi de mandàr uno zufolo, un fischio al tu’ amigo Slotthie? Al bradipo?”

“Flash, dici?”

“Yay. Por los pick – ups, entiendo.”

“Ma perché vuoi che se ne occupi lui, scusa?”

“Visto que qualcuno li deve comunque réterar y smontàr lo stéso, allora me dicevo...por que non farlo fare a los mejores, no? Sin contàr que glie verrà de fora una bella cifretta anca por loro, una volta piazzata y sestemata a dovér toda la mierce.”

“Sì, immagino” commentò Nick. “Non ne dubito. Ma non é che…”

“Aah. Tranquilo” lo rassicurò Finn. “Tu te puede estàr sereno. Ninguna rogna. Basta solo que una volta smantellati, lassino todo de fuera dal cancello la sera, sùr le retro de l’ofizeina, poco prima de serràr y chiudere, y de andarsene via. Y che nun se mettano a curiosàr y a fàr tante domande estupide y enutili. La mattina depuìs, dopo...non troveranno più nulla. Todo sparido y repulido. Nessuna grana, yo te lo puede garantìr. Tu tiénes la mì palabra. Hai la mia parola, y yo como tu sa ne tiengo una sola y una soltanto. Bastarà fàr como te digo. Y que facciano como yo te dirò de dirglie.”

“D’accordo” si convinse la volpe. “Ma ora occupiamoci del filmato, per piacere. E dopo...penseremo anche a Carrington. Nel frattempo mi sono venute un paio di ideuzze davvero niente male.”

“Ah, sì?!” disse Finnick. “Y quali? Dime, que soy tode orejàs. Son tutt’orecchi, socio.”

“A suo tempo, vecchio mio. Una cosa alla volta.”

“Comandi.”

Finn si mise alacremente al lavoro, senza aggiungere più nulla.

Intanto, mentre lo osservava in rispettoso silenzio, Nick provvedeva mediante apposito messaggino a mettere sull’avviso Flash e la sua cricca sul lavoro imminente che li attendeva.

Imminente quanto urgente.

Rifletteva sul fatto che ben più di una volta la battaglia senza quartiere e senza esclusione di colpi tra lui e i suoi da una parte e Carrington con la sua lurida marmaglia dall’altra non poteva proprio fare a meno di ricordargli e riportargli alla mente quel vecchio film poliziesco che da piccolo guardava sempre sul divano di casa sua, insieme e abbracciato stretto stretto a sua madre.

Puntuale all’appello, ad ogni immancabile e periodica replica e passaggio in televisione.

Quello in cui un eroico agente federale, insieme ad un ristretto e fedele gruppo di accoliti, da solo contro tutto e tutti riusciva nell’impresa di mettere all’angolo e sotto scacco un temutissimo e potentissimo boss che spadroneggiava sun un’intera metropoli, terrorizzandone tutti gli abitanti.

Aveva sempre adorato i film d’azione e i polizieschi. Ma c’era un genere che ancor più adorava, di quelli.

I western. E non a caso si dice che i polizieschi migliori di tutta quanta la storia del cinema siano in realtà tutti dei western travestiti.

Perché la sua é una formula paragonabile a un vecchio ma caldo e comodo abito. Ovvero, sta e va bene con tutto. Si adatta a qualsiasi cosa.

Persino alla fantascienza, in certi casi.

E cosa sono le città se non le versioni formato gigante dei paesini sperduti al confine? E cos’é lo spazio se non la nuova, inesplorata e sconfinata frontiera?

Fino ad ora, nei panni del grande Elliott a capo degli INTOCCABILI, Nick ci si era trovato e ci aveva sguazzato dentro a meraviglia. Come d’incanto.

Gli calzavano a pennello. Ma ora...ora serviva qualcosa di più.

Qualcosa di nuovo, di diverso.

Era giunta l’ora. L’ora di far entrare in scena qualcun altro.

Toccava a lui. Toccava al buon vecchio WYATT.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Alla fine della fiera, il botolo dalle lunghe orecchie e dal manto color della sabbia in pieno deserto non prese nulla, dentro il pub di Tobey. Nonostante ci lavorasse part – time e potesse quindi contare su ordinazioni, forniture, credito e consumazioni praticamente illimitate e a volontà.

Preferì piuttosto tornarsene in compagnia di Nick al suo vecchio, logoro, sgangherato e completamente scassato furgone, dove risalì a bordo e si recò nei pressi di un mini – frigo portatile situato lì nei paraggi.

Curioso, comunque. Per non dire assai strano. Molto, molto strano.

Il suo compare avrebbe potuto giurare che durante la precedente visita e sortita non c’era.

Ma dopotutto, non era certo la prima volta che capitava. Perché stupirsene o meravigliarsene, dunque?

Aveva ormai imparato che da quel posto poteva sbucar fuori di tutto.

Qualsiasi cosa, anche la più bizzarra. Persino se uno ci stava particolarmente attento.

E comunque, in quanto collegato anch’esso al generatore da viaggio fuori uso e fuori servizio, pure lui era ovviamente spento. E qualunque cosa dovesse trovarsi all’interno doveva avere come minimo il sapore, la consistenza, l’aroma. La densità e la temperatura di un certo liquido color giallo paglierino che viene espulso d’ordinanza e a ritmi più o meno regolari dalla vescica di ogni mammifero quando si ritrova troppo gonfia per via di abbondanti libagioni con conseguente gran lavoro da parte dei reni.

Tipo palla da biliardo, in certi casi. Giusto un attimo prima di esplodere. E magari vergognosamente in pubblico, a causa di ingenti quanto impellenti e arretrate necessità di stampo fisiologico.

Ma tutto ciò non impedì e neanche fece cambiare idea al fennec. Men che meno farlo desistere dall’aprire la porta e tuffarvisi letteralmente dentro, a rovistare alla gran più bella.

“Allora? Que te sbevazzi pòr brendàr à la victoire y à la nuestra salùd, socio?” propose, intanot che armeggiva con bottiglie, flaconi e bottigliette varie. “Cervéza? Vino? Stout? Lager? Ron? Whiskey? Cachaca? Bumba? Grog? Sgnàpa? Oppuro zabaione?”

“Nulla di quello che hai appena finito di elencare, vecchio mio” replicò Nick. “Per me succo di mirtillo, grazie.”

“Waddafakk...juice de mertijo? Really?!”

“Proprio così, Finn. Succo di mirtillo bello fresco. E se permetti ho preferito portarmelo da me. L’ho preso da Tobey, per la precisione. Si sa mai che in quello che tieni tu non vi sia qualche aggiunta strana.”

“Por el Sacro Govi!!” Imprecò il tappo. “Grande Giove Pluvio y grondante de fulmini que magia tuoni y cac…”

“Finn…”

“Y que butta de fòra saette da l’otra parte. Me sei diventato puro analcolico sul serio! Pensa te...de bòn en mieux, de bene en mejo! Ma que ce sarà mai una fìn a todo esto sfacelo, hermano? Smetterai mai un bel iuorno de percorrere la tù estrada a senso uneco verso la perdiciòn y de votarte à l’autodestrutiòn de te stiso medesimo?!”

“Eeh…” sospirò. “...Nun zia la muerte, el pejòr de tuti i mali. Le acque oligominerali...sono un mal assai peggiore.”

“Basta chiacchiere e fa partire il video” gli intimò Nick. “Se permetti vorrei dargli un’ultima occhiata, prima di inviarlo.”
“Y como facciamo?” Domandò Finn. “Lo sas bienissemo anca ti que no ghe es niguna corente, aqui de dentro! Es esto rottame de computero sin eletricidàd no functiona!!”

“No problem” rispose la volpe. “Mentre stavi in pausa – toilette ho provveduto scaricato il filmato su uno dei cellulari. E visto che in ogni caso si tratta di un modello sicuramente più recente del tuo portatile...dovrebbe essere anche più facile inviarlo, da lì.”

“Great, socio. Und prosit” disse il botolo, porgendo una lattina a sé stesso e incitando un brindisi. “Comenciamo, allora” propose subito dopo. “Ques stemo aspetando?”

“Ah, io non lo so. E tu?”

“Ah, boh. Nin zo nemeno yo, socio. La corriera, forse? El filotranvai?”

“Non credo proprio. Via, allora.”

“Occhei.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Da lì a poco, a chiunque fosse venuto in mente di passare ed avventurarsi dalle parti di quel piazzale, e per la precisione si fosse avvicinato ad uno scalcagnato van che, giusto e fino a un attimo prima di finire a pezzi al termine di uno spericolato quanto rocambolesco inseguimento con sportellate a degno contorno poteva esibire una bella carrozzeria color nero e arancione con tanto di immagine fantasy ormai mezza bruciacchiata quanto irriconoscibile…

Ecco, quel chiunque avrebbe potuto giurare si chi avesse meglio preferito o ritenuto più affine ed opportuno di poter udire delle assordanti risate provenire dall’interno del vano posteriore, oltre quel che rimaneva delle portiere e dei portelloni laterali a scorrimento mezzi scassati.

Chiunque si trovasse lì dentro...si stava sganasciando fin quasi a strozzarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tempo dopo arrivò anche Maggie. E quando sia le ghignate che lo spettacolo che le aveva generate erano ormai finite e terminate da un bel pezzo.

Non che avesse volgia di parteciparvi, sia ben chiaro.

Una volta sopraggiunta, trovò ad attenderla i suoi due compagni di squadra.

Nick ed il fennec la stavano aspettando al centro dello ampio spiazzo, poco distante dal furgone.

Li riaggiunse.

“Avete…” disse loro, a momenti senza nemmeno essersi ancora fermata.

“Abbiamo” le fece eco Nick, senza darle neppure il tempo di concludere la frase.

“Abbiamo appena inviato tutto” specificò. “Tutto quanto. Senza tralasciare alcun particolare.”

“E...e adesso?” domandò Maggie. “Adesso che facciamo? Che...che cosa dovremmo fare?”

“Noi?” le rispose Nick. “Nulla, mia cara. Assolutamente più nulla. Il resto saranno i nostri filmati, a farlo per noi. Insieme alla rete e al vizio congenito da parte della gente che ci vivacchia e sverna dentro a rendere virali le cose più assurde. Mi spiace soltanto di non vedere la faccia che farà quell’emerito imbecille di Carrington quando vedrà coi suoi occhi come abbiamo ridotto le sue truppe. E proprio in quello che crederà essere il suo momento di massima gloria e trionfo, pensa un po'...ma d’altronde sai come si dice, no? E proprio quando si é ad un solo passo dalla vittoria finale e definitiva che si rischia di cadere, se non sta più che attenti. E più vicino sei al traguardo e al trofeo, più rumore farai quando rovini al suolo! E ti assicuro che farà taaanto rumore, questa volta...al punto che sono pronto a scommettere almeno quello lo sentiremo fino a qui!!”

Le rivolse un sorriso.

Puro, candido e innocente. Proprio come quella sera che aveva rischiato di morire. Di finire ucciso e trucidato per mano di un autentico mostro.

Ma questa volta, quella sera era diverso, finalmente. Tutto diverso.

Non c’era più pericolo, almeno per quella notte. E non c’era nulla di cui avere paura.

Avevano vinto.

VINTO.

Ancora una volta.

Ma in quest’occasione non si era trattato di una vittoria ottenuta sul filo di lana, o di una tregua basata su di un equilibrio talmente debole e sottile che avrebbe potuto spezzarsi da un momento all’altro, senza il benché minimo preavviso.

No. Questa volta erano partiti all’assalto. Ed avevano intercettato, preso ed infilato in contro – tempo ed in contropiede il nemico, sbaragliando tutti quanti gli avversari che gli si erano trovati di fronte. E che avevano osato e avuto l’ardire di comparirgli davanti.

Maggie ricambiò degnamente il sorriso.

“Missione compiuta, dunque” affermò.

“Missione compiuta” ripeté soddisfatto lo sceriffo. “E grazie di tutto, agente Thompson. La tua é stata davvero una prestazione encomiabile.”

“Hai svolto un ottimo lavoro” continuò. “Anzi, eccellente. Brava.”

“Grazie a te piuttosto, capitano” replicò la daina. “Hai pianificato tutto quanto alla perfezione. Io mi sono limitata unicamente a eseguire gli ordini, come mi raccomandi sempre tu.”

“E lo hai fatto” specificò la volpe. “Come meglio non si poteva. Sono fiero di te.”

“Idem” buttò lì la vice. “Come io lo sono di te, intendo dire. Ma non ti sei ancora deciso a voler rispondere a quanto ti ho chiesto. Adesso...che si fa, di grazia?”

“No, sul serio” insistette, e a riguardo pareva anche parecchio allarmata.

Tradiva una certa quanto evidente agitazione.

“Dovremmo iniziare a imbastire una strategia per quando quelli torneranno, no?” Suggerì loro. “O qualcosa del genere, credo...perché torneranno, é così?”

“Non temere” la rassicurò Nick. “Torneranno, questo é sicuro. Ma non oggi. E neppure domani. E men che meno dopodomani, stà tranquilla. Per quel che ne so e stando a quanto ne so, se non altro gli abbiamo dato qualcosa su cui riflettere. E se non vorranno farlo...beh, con le dosi di purgante che gli abbiamo rifilato cadauno sta pur certa che avranno comunque altro da fare che tentare di tramare qualcosa di pericoloso alle nostre spalle.”

“Staranno in ballo per un bel pezzo” dichiarò. “ E quindi, per prima cosa...credo proprio che mi concederò due belle settimane di sonno arretrato. M – mi raccomando...di…”

Mentre parlava, Maggie notò che stava cominciando a dondolare e barcollare vistosamente.

“D – di...n – non...non svegliarmi…”

La voce gli si stava letteralmente impastando.

“Se non...se non per questioni della...della massima urgenza...e...e...ora...b – buonanotte, ragazzi. E...e…”

Diede l’impressione di cadere in avanti.

“E sogni d’oro a t – tutti voi…”

Nick socchiuse i verdi occhi e crollò.

Era sfinito. Semplicemente sfinito.

“Nick!!”

Maggie si gettò verso di lui per afferrarlo al volo.

Ci riuscì. Ma quel che non le riuscì fu di contenere lo slancio del suo superiore.

Finirono entrambi a terra, con la vice che atterrò sul proprio sedere mentre lo teneva stretto tra le sue braccia.

“Ooff!!”

Di puro istinto Nick alzò la testa, e con uno sguardo tra il beato e il trasognante nonostante se la stesse ronfando della grossa e alla gran più bella, tirò fuori la sua lingua setosa e la leccò.

Sì, esatto. Proprio così.

Le tirò una leccata.

Una bella spennellata in piena guancia, eseguita a regola d’arte, come facevano tutti quelli appartenenti e affini alla sua specie quando volevano fare amicizia o compiere un gesto di profondo affetto.

O magari fosse stato anche solo per ringraziare. Ma anche…

Anche per AMORE. Nei confronti di chi si AMA.

Maggie era come una statua. Come un doccione.

Proprio come quando si metteva ad utilizzare la sua fida arma di precisione. Proprio come aveva fatto poco prima.

Ma stavolta non c’era proprio nessuno a cui dovere prendere la mira e sparare, perché questa volta…

Questa volta era LEI, quella che avevano centrato. E proprio in pieno.

E non si trattava neppure di un dardo di quelli moderni con cui si caricano le pistole o i fucili, ma uno di quelli realizzati alla vecchia maniera.

Una freccia, scagliata e proveniente dritta dritta dall’arco tenuto ben teso dalla zampetta di un Dio capriccioso e dalla alucce birichine, il cui nome inizia con la C.

O con la E, se ci si tiene particolarmente a voler fare il figurone da eruditi ed intenditori di stoia antica e classica.

La daina trovò giusto la forza di lasciar scivolare e poggiare la testa del suo superiore a ridosso della spalla più vicina, mentre con una mano si accarezzava e lisciava ripetutamente il fianco della propria faccia, ancora umido e impregnato di saliva. Con l’insopprimibile tentazione di promettere a sé stessa che quella parte del viso non se la sarebbe come minimo lavata mai più.

Il fiato le si era mozzato nella gola, resa sottile come una cannuccia di quelle che di norma si usano per bere dalle lattine.

Una cannuccia, sì. Ma di quelle di cartone biologico e bio – degradabile che non durano e nont engono praticamente un niente, che con la squallida e patetica scusa dell’ambiente ci si fa andar bene che si smollano e si infracicano non appena le immergi e le inzuppi a contatto con la bevanda gassata di turno.

Il cuore le stava battendo sempre più forte nell’esile e slanciato petto, e pareva sul punto di esplodere. O di uscirle direttamente fuori dalla bocca, la prossima volta che l’avesse aperta.

Provò a spalancarla lo stesso, ma non uscì un filo d’aria che fosse uno. Era praticamente in apnea.

 

Oh, mio Dio, pensò.

Questa é la volta buona, mi sa.

Questa é la volta buona che M’INNAMORO DI LUI.

N – non...é possibile.

Non é possbile, m – ma...ma i – io...

I – io…io MI STO DAVVERO INNAMORANDO DI LUI.

MI SONO INNAMORATA DI LUI.

SUL SERIO.

 

“Ehy! Psst! Ehy, chica!!”

Maggie sentì un buffetto nella parte superiore della schiena.

Si voltò. Era Finn, ovviamente. Anche se l’aveva già capito dalla voce.

Il tappo aveva intuito che era necessario il suo aiuto.

Urgeva un suo intervento risolutore. E immediatamente, anche.

“Tranquila, Nocciolina” le fece lui. “Es normàl. Es todo a puesto, y todo en ordine. Varda que tu te puede anca recomenciare à respiràr, ogne tanto.”

“O almeno…” aggiunse, “Ti recuerdate de farlo entro cinquo menutos, como natura y sciencia comandeno! Ahr, ahr, ahr!!”

E piantò giù una bella risata.

“Gra...grazie, Finn” gli disse lei, mentre riprendeva il controllo.

“Mph. De nada. Non te preocupe. Tu no tiénes rién de cui vergognarte, querida.”

“No, invece” provò a giustificarsi Maggie. “N – non...non avrei dovuto reagire così, e lo so. Lo so fin troppo bene. Ma...ma non ero pronta. Non ero preparata. Non a questo. Mi ha...mi ha preso in contropiede. E alla sprovvista.”

“Naturàl” le fece il fennec. “Ah, l’ammore...como se dise siempre, l’amour quando arriba l’arriba. No se es mai pronti, por cosas como esta.”

“Tsé!!” Esclamò poi, mentre osservava Nick. “Ma tu guarda el mì socio. Que tonto que es. Se la duerme de gusto, el babbeo. Sin un estracio de pensiero al mundo.”

“Già” gli confermò la daina, che nel frattempo si era messo a fissarlo a sua volta. “Dorme come un angioletto, davvero. Come un cucciolo. Tranquillo e beato.”

“Eexactly” proseguì Finn. “Sai como se dicie, no? Duerme el sueno de lo justo. Il sonno dei giusti. Il giusto y buén reposo de chi sas de aver compiuto el sòo duvér fino en fundo. Il proprio dovere fino in fondo, y fino all’ultemo. Y à la fin de Ls cuentas, in fin dei conti...por cierti versi es proprio accussì.”

“C – che vuoi dire?”

“Je veux dìr que anca esto es plùs que naturàl, Nuts. Più che naturale. Has compiuto uno esfuerzo que avrebbe spossato y lassato sin forzas la qualunque. Chiunque. Dì...ma tu penzi veraimént que Nickybello se sia veramente represo en accusì poquito tiempo?”

“Cosa?” Esclamò Maggie. “M – ma...ma allora…”

“Ce sei arrevata, muchacha. Dì...lo signés de la batosta que s’é ciappato en pléin se li portava ancora tutti addosso. Y non es roba que tu puede esmaltìr en un juerno oppuro dòs. Manco trés, si es por esto. Ma como se dise, y como has dito quelque d’un...un’anema fuerte resiede en un cuerpo forte. Y en una mente fuerte. Y anca into un còuer fuerte. Y en ultemo, anca en un cuerpo fuerte. Y si existe por davero un’anema, a esto munno...es avéc quela. É con quella che il mio socio has combatudo, esta noche. Yo me soy uniquemént lemetado a fornirglie un pequeno ayudino, un piccolo aiuto.”

“Intendi...intendi forse quell’erb…”

“Date un no – prize alla fanciulla” dichiarò il fennec. “Sai...pare que lo cerebello, il cervello, sia in realtà una rice – trasmittente collegata derectamiente avéc los pianos altes, i piani alti. Y col Segnore que sta de sovra. Ma la si può attevare seulemént in circumstànces particùlar, en occasioni particolari. Tipo col degiuno, o avéc la meditaciòn trascendentàl. Ma cierta ‘gginete que connoussi mì, que conosco yo...en particolare un certo sciamano, su cierte cosas es da siempre plùs avànt, più avanti. Le tradiciòn de la su tribù sono più avanti, anca si li hanno siempre trattadi como piézzas de los piéds en quanto sparuta minorancia. Loro non hanno mai tenuto voja de metterse a cuocer soto al sol y a tagliarse y affettarse de per lur la cotena por habér en cambio los vésiones. Y nemmeno de seguitàr a lavarse con l’agua fria, l’acqua gelata puro da vecchi. Y allora...ecco que hanno enventado la yerba que agg’usato con Nickybello.”

“Ora capisco...adesso capisco tutto. In effetti mi sembrava un po' su di giri…”

“Yep. Ma tu no fraintendere, bella. Quelo que has fado, todo quel che ha fatto...es stada pura farina del su sacco. Yo glie ho solo permesso de remetterse en piedi il prima posible. Il problema, se mai...es un altro.”

“E cioé?”

“Quela roba te mette en contato derecto con Dios. Ma en géner...de solito nose puede sobrevivér.”

“Cosa?!”

“E’ così, ragazza” chiarì il piccoletto. “Non si sopravvive al contatto con Dio. Y nepure alla su vista, o a udìr la su voz, la sua voce. Ce possono reussìr justo justo los sàntos, i santi. Oppuro i profeti. O los sciamànos, justappoint. Tuttal’plùs qualche martire. Possibilemént no vìrgin, magari. Ne las méjores de los ipotesis, se deventa locos. Se impazzisce, como la mayonnais. Se perdono sia la raisòn que el senno. Y se si é particolarmente lucky, se si é fortunati...al massimo no ce se recuerda nulla y nada de quanto es succiesso.”

Maggie trasalì.

“M – ma...ma tu ti rendi conto?” Esclamò, “Ti rendi conto di quello che abbiamo rischiato? Di quel che gli hai fatto rischiare? Praticamente mi stai dicendo che Nick ha quasi corso il rischio di MORIRE!!”

“Sure. Abbiamo corso un gran bel rischio, c’est vrai. Però, se non l’avessi remesso en sesto en tiempo, sarebbe morto lo stesso. Quella carogna l’avrebbe accoppato, esta volta. Non avrebbe avuto scampo, en alcun modo. Con quel que avevo en mente de fàr yo una posibilidàd Nicky la teneva, por quanto remoda. Un òtra véz contra de Zed...no, purtruepo. Y tu me devi créder, chica...se l’ho fatto, si ho agito accussì es por que l’agg’ guardato deritto deritto ne le bàlas de lo su ojos, nelle palle degli occhi mentre me lo chiedeva. Y seulemént allora...solo allora agg’comprendido, ho capito che ce la poteva fare. Che CE L’AVREBBE FATTA, per davvero.”

“Ma tu puede restàr tranquila” le confidò. “El mi socio es remasto vigile y lucedo fino a que no es caduto en letargo y en preda al sonno mas profundo. Quindi, tiengo muy motivo de credere que sia andato todo bién, y felato todo lissio. Tutto liscio, como y plùs de l’olio. Te posso assecuràr sin da ahora que el tù zorro preferido, el volpacchiotto del tù corazòn no ha subito ninguno danno. Contenta?”

“Non so...secondo te?”

“Vedrai que quando se reprenderà y se resveglierà...se recurderà de todo! De ogne cosa!!”

“A...aspetta: intendi dire TUTTO?!

“A – ah!!” Esclamò il tappo. “ Y aqui borla giòo l’aseno, qui casca il somaro. Ma non te preocupe. Visto que se hablava de memoria de breve, anzi de brievissemo termine...el mi socio aveva giamòo pierso lo sienses, aveva già peso i sensi quando ha preso a lapparte el tù bel faccino. Perciò...de sguro nun se n’é minemamente accuerto. Non se n’é accorto. Y se tu non gliene parli...yo nun ne parlo.”

“Si tu no habla, yo no hablo” le promise solennemente. “Toda quanta la fazenda resterà intra mi e ti. Tra me e te Our little secret, el nuestro respectivo pétit, pequeno, piccolo segreto! Ahr, ahr, ahr!!”

“E mò che hai?” Le domandò subito dopo. “Que tu tienes, Magda? Forse sbaglio...ma adesso me sembri quasi dispiaciuta.”

“Beh, Finn…” ammise lei, “...ti confesso che per certi versi é un peccato. Io, invece, se proprio ci tieni a saperlo...quel che mi ha appena fatto non lo scorderò mai più.”

Si accarezzò nuovamente la guancia. Con un gesto lento e languido.

“Mph. Contenta tu” le fece Finn. “Como tu te preferiscie, dolcezza. Adiesso però tirate en piedi. Y vedi de darme una màin, un mano a solevàr el bello addormentato qui presente. Direi que glie servono proprio quelle dòs semaines, quelle due settimane de sonno de cui parlava poco fa. A occhio y crocie derei que ne tiene un gran besogno.”

“O – ok.”

“Portiamolo à la maison de la tu mamacita. Yo criedo che un letto por lui ce sta siempre, y lo troberemo anca ora. So che la tù madre nun te sta muy sempatica por motivi que nun conìnosco y que nun ce tiengo a conossér, ma...fame el favor de turarte el tù nasino delicato y de mandar giù el bocòn, almeno por esta vuelta.”

“Fatela andàr ben” le ordinò. “Tu m’as comprìs, right?”

“Aggiudicato, Finn. Farò del mio meglio.”

“Brrava rragazza. Accussì tu me piase. Così mi piaci.”

Mentre lo tirava su dopo avergli piazzato ambedue le mani sotto alle ascelle per meglio reggerlo, Maggie ripensò per un attimo a quanto aveva detto a Finn poco fa. E alle parole che aveva pronunciato.

Ci rifletté sopra a dovere. E concluse che era vero.

Non se lo sarebbe scordato mai più, quel che era appena accaduto tra loro due.

Perché anche se Nick non se n’era accorto, e anche se il tutto era stato eseguito e si era svolto in maniera piuttosto grezza, rozza e raffazzonata...quello era da considerarsi il primo, da quando si conoscevano.

Quello era stato il loro PRIMO BACIO.

Ed era vera anche un’altra cosa, a riguardo. E cioé che non se lo sarebbe scordato mai più.

Purtroppo Nick non era dello stesso avviso, in quel momento. E se Maggie avesse potuto leggere per un istante i suoi pensieri inconsci, beh...chissà se sarebbe rimasta dello stesso avviso, su certe cose.

Chissà se avrebbe continuato a pensarla uguale. E a illudersi.

Un altro nome stava occupando la testa della volpe, in quel preciso momento. Così come i sogni che la stavano popolando.

Il nome di colei che forse era la vera, reale destinataria di quel bacio dato tra il sonno e la veglia.

 

...Judy...

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non stava più nella pelle.

Carrington non stava letteralmente più nella propria cotenna dalla fremente eccitazione che lo stava divorando.

La stava aspettando.

La stava aspettando trepidante come si aspetta il pacchetto delle ultime figurine o dei francobolli richiesti e inviati direttamente per mezzo posta dalla casa editrice.

Quelli necessari a completare definitivamente il proprio album o la propria collezione che ci ha tenuti impegnati così tanto a lungo, e che ci é costata un bel mucchio di soldoni.

Un anno intero, e forse più. Sia di tempo che di risparmi. Ma con la consapevolezza che, alla fine, la soddisfazione ripaga pienamente entrambe le spese.

La stava aspettando. E adesso…

Adesso era arrivata.

Era arrivata, finalmente.

Quasi non ci credeva, quando aveva visto comparire l’icona sullo schermo del proprio smartphone, dopo che quest’ultimo si era messo a vibrare come un forsennato.

Era fatta, dunque.

Era fatta, finalmente. Quella lurida volpe, a quest’ora, si doveva già trovare sul fondo del più cocente degli inferni.

Il posto degno dei ladroni infami e patentati quali erano sempre stati. L’unico luogo degno per loro.

Wilde era di sicuro all’altro mondo. E Zed, come da accordo precedentemente stipulato, doveva avercelo mandato nel peggior modo e maniera possibili.

Facendolo soffrire come il canide che era, fino all’ultimo respiro.

Fino all’ultimo soffio di fiato.

Già se lo immaginava, tutto preso a rantolare mentre il bestione gli spezzava anche l’ultimo osso sano rimasto.

Dopo avergli spezzato tutti gli altri, uno dopo l’altro. Con calma, e lentamente.

Quello del collo. Che spegne definitivamente la testa, staccandola di netto dal resto del corpo. E con essa anche la volontà e i pensieri, insieme alla vita.

Un lavoro magnifico. E soldi assolutamente ben spesi, dal primo all’ultimo. E tutti stra – meritati e stra – guadagnati.

Pensò che gli avrebbe dato un bel surplus, a lui e al suo brnaco di manigoldi.

Sì, sì. Un bel bonus. Un corposo extra, a tutti quanti. Se l’erano meritato.

Proprio vero. La soddisfazione sta sopra ad ogni cosa, e viene prima di tutto. E alla fine ripaga sempre dell’attesa. E della spesa.

Wilde era all’inferno, ora. E lui aveva di nuovo campo sgombro, ed era libero di agire come meglio credeva e riteneva.

Nessuno poteva più fermarlo, adesso. Nessuno.

Wilde era all’inferno. E Quincey Carrington pensò anzi, sperò, di più prego che stesse ancora bruciando.

Un altro po'. Soltanto un altro po'.

Gli stava mancando la terra da sotto le zampe porcine.

Eh no, si disse.

Questa volta il suo salotto circondato dagli altri rossi emissari del demonio completamente imbalsamati non bastava più, per l’occasione.

Ci voleva il meglio del meglio, stavolta.

Qui ci voleva il caviale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si trovava nella sua minuscola sala da proiezione privata, ricavata ed appositamente costruita in una nicchia situata nei sotterranei e nel sottosuolo della sua villa.

Ancor più in basso del seminterrato, dove teneva i succhi d’uva d’elite. E dove non aveva mancato di fare un salto, per accaparrarsene una nutrita scorta.

Il salottino era un vero e proprio cinema in miniatura.

La riproduzione esatta della galleria di un cinema d’essai con tanto di maxi – schermo, fila di poltroncine belle comode e imbottite e suono quadri – dimensionale.

Ci mancavano giusto il sintetizzatore di odori e lo spruzzino per simulare le scene di pioggia torrenziale. Ma ci stava lavorando, in merito.

Destinava quel luogo unicamente alle visioni di un certo tipo, che si faceva recapitare a strettissimo quanto riservato giro di corrispondenza.

Come le figurine e i francobolli, pressappoco.

Ma quella roba era destinata a una clientela esclusiva e rigorosamente selezionata, e nessuno doveva permettersi di dare una sbirciata o di scoprirle. Neppure per errore o per sbaglio.

Le conseguenze sarebbero state a dir poco terribili.

Li si poteva considerare dei filmini dal vivo, anche se non certo di stampo o di grana amatoriale. E le riprese erano a base di procaci puledre ed altre avvenenti femmine quadrupedi.

Tutte belle figliole e fanciulle in fiore, e tutte intente ad intrattenere e sollazzare a dovere aitanti giovanotti. Da sole oppure in gruppo. E lui le preferiva, quando erano ammucchiate.

Ma c’erano dei dettagli su cui non si poteva proprio sorvolare, ed era proprio qui che iniziava il bello.

Le ragazze in questione erano tutte minorenni. E i maschioni tutti incappucciati, per non farsi riconoscere una volta messi davanti a occhio di cinepresa.

Inoltre, si vedeva che le stavano costringendo.

Le obbligavano con la forza. Lo si capiva dal fatto che erano tutte in lacrime.

Piangevano, e gridavano ed invocavano aiuto. Questo fino a che avevano le bocche ancora libere, prima di finire imbavagliate. O prima che gliele occupassero e riempissero con gingilli e protuberanze di varia natura. Organica e non.

Il servizio funzionava a richiesta. Il riccone depravato consultava un catalogo apposito o altrimenti, se i prodotti in lista non soddisfacevano i suoi gusti, provvedeva a fornire connotati e caratteristiche e ci pensava l’agenzia, a soddisfare i suoi capriccioni personali.

Ed era proprio qui che mesi di appostamenti di fronte a scuole, parchi, vie del centro e negozi di moda per selezionare le migliori e più appetibili davano i loro frutti.

I loro sporchi frutti.

Le si rapiva alla prima occasione, e poi...si ritrovavano loro malgrado catapultate nel mondo del cinema. Anche se di categoria piuttosto spinta.

Per loro doveva essere paragonabile a un film dell’orrore, o giù di lì.

Pff. Quante storie. In fin dei conti é quello che vogliono, no?

Vogliono godere pure loro, anche se non lo ammettono.

Ci stanno tutte. Lo vogliono tutte, anche se fanno finta di non volerlo. E di non saperlo.

Ipocrite. Nient’altro che piccole sgualdrine ipocrite.

Lo sanno tutti che in fin dei conti una femmina prova piacere nel dolore. Ed é nel pianto, che gode.

Nei loro no c’é sempre un sì. E nei loro “Basta!!” in realtà si trova sempre un “Ancora!!”

Dicono una cosa e ne pensano un’altra. Ovvero l’esatto contrario.

Tutte sgualdrine. Che hanno e ricevono quel che si meritano, nient’altro.

La colpa é tua, bellezza. Solo e soltanto tua.

Ti vesti come a voler dire, ordinare “Guardami!!” e poi osi lamentarti e aver da ridire se il primo che capita decide di metterti addosso altro, oltre che gli occhi.

E a proposito di farsi notare e mettersi in mostra.

Quella Gazelle, o come diavolo si chiama.

A Quincey sarebbe tanto piaciuto vederla come interprete principale in qualcuna di quelle pellicole, prima o poi. E da quel che aveva capito, scambiandosi messaggi con altri membri del club...non era l’unico, ad aver avuto quella stuzzicante pensata.

L’agenzia gli aveva risposto picche, pur col massimo garbo e rispetto possibili.

Aveva fatto la ritrosa, proprio come un’insulsa femmina sul più bello.

Gli avevano spiegato, sia a lui che agli altri, che con quel genere di personaggi non si può.

Non si può proprio. Specie con i VIP.

Troppo conosciuta. E troppo famosa, almeno per il momento. E con gente così c’é solo da perderci, più che da guadagnarci.

Se scompare una persona qualunque, non importa né interessa a nessuno. Al massimo ai parenti, ma poi si rassegnano quando acquistano la consapevolezza che il resto delle loro miserabili ed inslse vite sarà uno schifo. Più di quanto non fosse già prima.

Non é altro che un ulteriore sasso in più dentro ad uno stagno. Una tegola che cade e precipita sopra a una vita appena passabile.

Sopra a una casa piuttosto cadente, se non addirittura mezza diroccata.

A nessuno interessa, in quel caso.

Ma se il sasso o la tegola in questione decidono di cascare sopra a una casa di prim’ordine, sopra a una vita pressoché perfetta...allora é diverso.

Se una come quella svanisce nel nulla, son rogne. Perché la cercano, e smobilitano tutto e tutti.

Stampa. Televisione. E ovviamente, le forze dell’ordine.

Con i mezzi di comunicazione e di informazione si comandano e si hanno tra le zampe le opinioni ma soprattutto l’indignazione e lo sdegno di centinaia, migliaia, milioni di lettori e di spettatori.

E’ un’arma. E quando decidono di muoverla contro qualcosa o qualcuno...sono guai. Guai seri.

Verrebbe fuori una roba troppo grande, troppo grossa, troppo rumorosa. E quindi ingestibile.

Per adesso quella sciacquetta si poteva considerare salva e al sicuro. Sì, ma per quanto?

La fama e il successo nel mondo dello spettacolo e dello show – biz sono effimeri, al contrario del suo.

Non é come l’industria, che regge e dura in eterno in quanto si danno lavoro, stipendi e da mangiare assicurato per chiunque si decida di assumere.

I direttori e i capi d’azienda sono le colonne della società, non certo i cantanti. O quelle che vanno su un paco ad abbaiare quattro squallide canzonette in croce.

Bastava attendere e pazientare quando non sarebbe stata più così tanto famosa.

Però non sarebbe stata neppure più così giovane.

Ma non era detto. Chissà, magari mettendosi insieme e pagando la giusta cifra…

Le holding servono a quello, dopotutto. Anche se forse era un po' eccessivo ed esagerato dar vita addirittura ad un intero monopolio e cartello solo per far finire una squinzia a girare filmini a luci rosse.

Però ne sarebbe valsa la pena, forse. Come si é già detto...la soddisfazione ripaga di tutti gli sforzi. Ed é il miglior premio.

Ma ora basta.

Prese il cellulare lì vicino e aprì per leggere il famoso messaggio. Quello che attendeva da tutta la sera.

Da tutta una notte.

Aprì la schermata dedicata alla posta in arrivo e consultò rapidamente le missive, che tanto già sapeva che doveva trovarsi in cima alla lista.

La trovò. E la aprì, senza pensarci due volte.

 

SPERO CHE POSSA ESSERE DI SUO GRADIMENTO.

CORDIALI SALUTI.

 

Questo c’era scritto, appena sopra al file.

Ma tu guarda un po', si disse.

Che strano. L’altra volta non era stato di certo così cortese.

 

In effetti qualcosa non gli quadrava. Era una dicitura ben singolare, quella.

A cosa era mai dovuto un tale quanto inatteso slancio ed esubero di garbo?

Così all’improvviso, poi.

Mah.

Forse si stava preoccupando davvero troppo.

Dopotutto tra quei selvaggi poteva anche esserci qualcuno abbastanza erudito da compilare almeno i dati minimi di una raccomandata, e questa volta Zed doveva aver afidato l’incarico a lui.

O magari era vero che il profumo e la fragranza dei soldoni fruscianti contribuiscono a rabbonire anche le bestie più feroci.

In ogni caso ciò che per lui contava davvero, adesso, era il filmato allegato.

Non ci sarebbe voluto che un attimo. Aveva fatto in modo di far collegare lo smartphone direttamente al maxi – schermo, bastava un semplice clic e avrebbe dato il via alle danze. E allo show.

Il miglior spettacolo del mondo.

La macellazione dal vivo di una lurida quanto infida volpe.

Una di meno sulla faccia di questo schifo di mondo.

Si preparò con tutta quanta la dovuta e necessaria calma, nonostante l’evidente impazienza.

Si versò un bel calice di champagne di quello buono oltre che estremamente pregiato, e sistemò per bene il proprio largo deretano sullo schienale.

Era pronto. Era tutto pronto.

Premette finalmente sul segnale a forma di triangolo con la punta tendente a destra ed il lato verticale situato dalla parte opposta, ovvero il tipico simbolo adibito all’attivazione del comando PLAY, e…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mezz’ora dopo, Quincey Carrington era un mammifero distrutto.

Giaceva a terra, completamente inebetito quanto sconvolto. Con la flute e la bottiglia di champagne a fargli degna compagnia, completamente rovesciati. E con il loro intero contenuto che stava provvedendo a dissetare copiosamente il tessuto porpora dei sedili e della moquette del pavimento, i quali lo avevano ormai già quasi mezzo assorbito.

Non credeva ai suoi occhi. E neppure a quel che aveva appena visto.

Non era possibile. Non era davvero possibile.

Non poteva essere possibile. Non poteva essere accaduto sul serio.

Una disfatta, ecco ciò a cui aveva appena assistito.

Un’assoluta e totale disfatta. Una Waterloo in piena regola.

Zed e tutti i suoi Hell’s Fangs. Quelli che riteneva la sua carta migliore e vincente, il suo asso nella manica, completamente annichiliti.

Annichiliti, umiliati e sconfitti.

Il suo braccio armato, pesante ed invincibile completamente spazzato via.

Una delle bande e gangs di teppisti tra le più violente, odiate e temute in circolazione avevano fatto letteralmente la figura degli emeriti idioti. Ridotti ad un branco, ad un ammasso di...di…

No. Era inutile. Non gli venivano nemmeno le parole.

Non aveva parole né giustificazioni per giudicare ed assolvere un simile e tale scempio.

Poteva soltanto assumere un’espressione del tutto incredule, sconcertata ed esterrefatta.

La faccia di chi ha perso. E di chi é stato battuto.

Sullo schermo il filmato era finito e terminato da un pezzo, e al suo posto vi era un tumultuoso e forsennato ribollire e friggere di puntini in quadricromia e in tutte le tonalità concesse e disponibili di bianco, grigio e nero, senza sosta alcuna-

Era l’immagine che di consueto suggellava la conclusione delle trasmissioni. E invece, una manciata di istanti dopo, comparve qualcosa d’altro.

Apparì Nick.

In formato gigante e maestoso, che lo scrutava dall’alto di tutti quei pollici e degli ultimi ritrovati della tecnologia al LED e della massima definizione, con aria di sfida.

Dal suo volto traspariva un’aria glaciale.

Altro che finire nell’oltretomba, tra i perduti.

O meglio...doveva esserci finito per davvero, in quel lugubre e tetro posto. Ma adesso...adesso era tornato indietro. E aveva persino deciso di fornirgliene un assaggio.

Che stupido. Che stupido, che era stato.

Doveva immaginarlo. E avrebbe fatto molto meglio ad arrivarci prima.

Pensare, pretendere di mandare direttamente al cospetto di Satana coloro che sono da sempre i suoi prediletti e preferiti, e che rappresentano gli inviati del demonio stesso, rossi come le ardenti fiamme che lambiscono, circondano e flagellano incessantemente il suo regno di fuoco...é impossibile.

Pura follia. Tanto equivarrebbe a voler far risalire ciò che per natura scende dalla parte terminale del fondoschiena quando e mentre si é squassati da dolori atroci al basso ventre. Giusto per restare a tema col disgustoso spettacolo a cui aveva appena assistito.

La volpe esibiva una calma a dir poco glaciale. Che in quanto tale metteva ancora più paura.

“Allora, Carrington” disse, con voce atona quanto indifferente. “E’ tutto qui?”

“E tutto qui?” Ripeté, certo che il suino fosse all’ascolto. “E’ tutto qui, quelle che sai fare?”

“E’ VERAMENTE TUTTO QUI?!”

Un chiazza scura comparì sui pantaloni eleganti del maiale, all’altezza dell’inguine, e si propagò tutt’intorno fino a mischiarsi con lo champagne per poi formare una mistura dall’odore intenso quanto nauseante.

“MI SPIACE PER TE, QUINCEY! MA NON MI FAI PAURA, MI HAI SENTITO? NON E’ CAMBIATO NULLA! NON MI FAI ANCORA PAURA, CAPITO? CI VUOL BEN ALTRO, PER ME! NON MI FAI PAURA! TI DOVRAI IMPEGNARE DI PIU’, MOLTO DI PIU! MA ADESSO...SAPPI CHE E’ ARRIVATO IL MIO TURNO, DI FARTI PAURA! ADESSO TOCCA A ME!!”

La calma si trasformò, e divenne furore.

Un furore pieno, cieco, belluino. Ma insieme lucido e razionale.

“CORRI, RAZZA DI CAROGNA!!” Gridò a pieni polmoni. “CORRI! SCAPPA! FILA DA TUTTI GLI ALTRI DANNATI ROGNOSI CHE TIENI AL GUINZAGLIO, E DI’ A TUTTI A LORO CHE STO ARRIVANDO! DI’ A TUTTI GLI ALTRI CHE NICK WILDE STA ARRIVANDO! STO PER VENIRE A PRENDERVI, MALEDETTI! STO VENENDO A PRENDERVI, UNO DOPO L’ALTRO! E MI PORTO DIETRO L’INFERNO, CON ME!!”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Meantime, meanwhere.

Così si potrebbe dire, se non fosse che le cose non stanno proprio così.

Un altro tempo, tutt’altro luogo.

Ecco. Così va meglio.

Dal punto di vista del primo dettaglio, un giorno di distanza circa rispetto alla clamorosa rivincita presa dalla nostra volpe preferita su quelli che al momento costituiscono i suoi peggiori nemici.

Mentre per quel che riguarda e concerne il secondo aspetto, se messo a paragone con Haunted Creek e dintorni o persino Zootropolis, beh...qui ci si trova agli antipodi, gente.

A Thule oppure ad Avalon, al confronto. O a qualunque altro posto che faccia rima con terre sconosciute ed estreme, poste ai confini del mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Udì dei passi provenire in direzione della sua cella.

A dirla tutta, grazie alle sue orecchie allenate e sopraffine aveva già potuto accorgersene sin dai piani più sopra, che stava arrivando e sopraggiungendo qualcuno.

In realtà, prima ancora dei passi, era il rumore del piano elevatore in fase di discesa che aveva potuto percepire.

In ogni caso, non ne fu contento.

Aveva già fatto domanda, anzi ben precisa richiesta di avvisare preventivamente in caso di visite, dato che non le gradiva particolarmente in quanto lo distoglievano dalle sue ricerche ma soprattutto dalla sua profonda contemplazione di tutto quel che lo circondava all’interno della sua sconfinata gabbia, con barriere composte da elementi puramente naturali ma egualmente invalicabili.

La tranquillità e la pace le giudicava vitali come e più dell’aria per sopravvivere, data l’estrema solitudine e la singolare amenità del luogo ne qual l’avevano condannato a trascorrere il resto della propria esistenza.

Si diresse con tutta la dovuta calma verso l’ampia vetrata trasparente che lo teneva separato ma insieme anche protetto dal resto di tutto il mondo.

Un mondo meraviglioso. Ma lordato ed inopportunamente insozzato da tante vite insulse ed inutili. Che lui si era auto – proposto di contribuire a far migliorare. E un domani magari anche evolvere, chissà.

E’ un processo lento, ma costante e continuo. In cui occorre una gran pazienza, ma che sa regalare anche delle belle soddisfazioni a chi sa aspettare.

Il problema era convincere a far ragionare tutti in quel modo. Tutti all’infuori di lui, ovviamente, visto che già lo faceva.

Perché per poter scorgere il cambiamento sottile il mutamento positivo ma invisibile, occorre ragionare in ERE. Ma le genti, o quanto meno la maggior parte, non sono neppure in grado di concepire oltre il giorno successivo.

I più, se non la totalità, vivono alla giornata. All’ora. Addirittura al minuto.

Che squallore. E che spreco. E a tal proposito…

Calcolò alla precisione il tempo necessario per arrivare alla vetrata nello stesso, medesimo momento esatto e spaccato in cui il visitatore inatteso e sconosciuto avrebbe fatto la sua non certo voluta comparsa.

Non da parte sua, almeno. Ma se proprio non si poteva evitare, almeno gli avrebbe concesso il meno possibile, dato che non aveva la benché minima intenzione di sprecare anche uno dei preziosi secondi che componevano la lunga ma non certo infinita giornata in più a sua disposizione.

Una giornata dove si poteva fare, costruire, inventare. E dove non si aveva e non si poteva lasciare tempo per altro o ad altro.

Si piazzò di fronte allo schermo trasparente, in annoiata e per nulla trepidante attesa.

E infatti, nel medesimo istante, ecco che arrivò.

Un montone. E quindi un secondino.

Li sceglievano apposta, di quella specie. Ottusi e duri come i calanchi da dove provenivano, quando nei tempi antichi procedevano su tutte e quattro le zampe.

Testoni sia sull’usare la testa per ragionare, che per impiegarla per sferrare micidiali capocciate e cornate.

L’ideale per un carcere di massima sicurezza, quindi.

Lo ben conosceva, l’agente penitenziario in questione. Come chiunque lì dentro, del resto.

Aveva imparato a memorizzare musi, volti, nomi e cognomi. Di ognuno di loro.

Dietrich. Sì, Dietrich. Un altro spreco di vita e di organi, ma tutto sommato simpatico nella sua ignoranza. E che doveva tenersi ben stretto, facendogli credere di contare davvero qualcosa.

Li teneva da conto tutti, avendo stipulato una fitta rete di alleanze e favori tramite una serie di taciti e segreti accordi di convenienza all’insaputa dei loro diretti superiori.

Era così facile, trovare un terreno d’intesa comune.

In quel luogo dimenticato da Dio mandavano solo i disperati. E non si trattava di gente che non aveva più nulla da perdere, perché nessuno era talmente messo male da farsi andar bene un simile quanto infame incarico.

Quando non hai niente, non ti importa di niente.

Chi accettava era solo perché non voleva perdere quel poco che gli era ancora rimasto. Ed era su di loro che si poteva lavorare alacremente.

Chi aveva la moglie malata, chi debiti di gioco, chi non riusciva a far quadrare i conti...ve n’era per tutti i gusti e di ogni risma.

Lui gli risolveva il problema. E da lì era un gioco da ragazzi guadagnarsi la loro sempiterna fiducia e collaborazione.

Come ad esempio Dietrich, visto che se n’era appena finito di parlare.

Quanto gli sarebbe piaciuto avere una figlia laureata. Peccato solo che non avesse i soldi per iscriverla al prestigioso istituto che aveva adocchiato da tempo.

Ma se non era che per questo...detto, fatto.

Un discreto gruzzolo girato da un conto cifrato sul suo misero libretto di risparmio, ed ecco che per la rampolla si sarebbero spalancate le porte di un luminoso avvenire.

Certo, come no. Presso un call – center a cottimo, molto probabilmente. Che ormai i diplomati e i laureati li buttavano nel mondo del lavoro a palate e ad un tanto al chilo.

Però col pezzo di carta. Eh. Fa niente che lo potevi usare giusto per pulirtici le parti basse ed innominabili.

E comunque, che diavolo era venuto fin lì a fare?

Non aspettava visite.

Notò che Dietrich stava reggendo pure un vassoio.

Ottimo. Di bene in meglio. Anzi, peggio ancora.

Non lo voleva, il nauseante rancio che servivano lì dentro.

Durante la permanenza aveva fatto in modo di essere perfettamente auto – sufficiente, all’interno del suo alloggio.

Cucinava e coltivava le materie prime come frutta, cereali e verdura praticamente da solo e per proprio conto, lì dentro. E aveva ricavato pure un laghetto artificiale dove pescare.

Badava e bastava a sé stesso, senza bisogno o necessità di nessuno.

Stava per dirglielo in modo da cacciarlo via, ma si fermò quando vide Dietrich muovere la bocca in compagnia delle sopracciglia. Il tutto in perfetto silenzio.

Era un linguaggio muto. Il linguaggio dei segni e delle smorfie che gli aveva insegnato.

Ma prima di ogni altra cosa...era il codice.

 

Rhukh Dhuh Lheh Kiehl Nohel.

 

Era una lingua perduta, arcaica, di cui non era rimasta traccia nei libri o nei manuali di storia.

Frutto di un lavoro certosino andando a pescare una parola qua, un vocabolo là da discendenti e meticci, anche se ormai avevano imbastardito i termini con le lingue moderne e correnti.

Non lo aveva fatto lui. Ma aveva pagato profumatamente e a peso d’oro lo scopritore di quell’idioma, in cambio dell’esclusivo uso ed utilizzo.

Non aveva mai avuto il cosiddetto talento specifico. O le fantomatiche doti innate, che dir si voglia.

Non le aveva mai possedute. Però poteva pur sempre rubarle a chi invece le aveva. Per poi impararle a sua volta.

E aveva scoperto, con enorme gioia e gaudio da parte sua, di saperle apprendere in fretta.

Molto in fretta. Questo sì.

Quelle parole erano il segnale. Il segnale di qualcosa di estremamente importante e in arrivo all’orizzonte.

Comunicava così, con le guardie. Per non farsi beccare, dato che in quel punto era tutto registrato e filmato.

Le telecamere lo sorvegliavano giorno e notte, per via della sua pericolosità.

Perderlo di vista anche per un solo ed unico istante equivaleva a lasciarlo sfuggire al controllo a cui avevano deciso e stabilito di sottoporlo.

Ed era inimmaginabile quel che poteva compiere, se lo si lasciava libero di agire.

Dietrich aprì lo sportellino reclinabile, estrasse l’apposito scomparto mobile, vi mise sopra il vassoio con le vivande e poi lo ri – spinse dentro, richiudendo infine il tutto.

Guardò il prigioniero, che gli rispose mediante il linguaggio silente ben noto ad entrambi.

 

Ti ringrazio, Dietrich.

Ora và. E porta i miei saluti a tua figlia.

Dille di studiare sodo, mi raccomando.

La scuola non é inutile, lo tenga bene a mente.

Tra le sue mura, i giovani costruiscono il loro futuro.

 

Dietrich rispose a sua volta

 

Lo farò.

E sono io ad esservi grato, piuttosto.

Servo vostro, ora e sempre.

I miei omaggi, signor SAILAS.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Svuotò immediatamente il contenuto del piatto nel piccolo cratere fumante.

Che se la mangiassero loro, quella insulsa sbobba.

Per fortuna che durante i ripetuti scavi nella roccia per estrarre e far scorta di minerali, sia per collezione che per interesse prettamente geologico al fine di studiare la composizione e la storia di quel terreno, si era imbattuto in quella solfatara che comunicava direttamente con una minuscola pozza di magma.

Troppo debole per eruttare, ma che funzionava a meraviglia per smaltire i rifiuti. Di qualunque tipo essi fossero.

Era meglio di un inceneritore portatile.

Avrebbe anche potuto buttare tutto nel fiume sotterraneo che scorreva incessante poco più sotto, ma dalle impetuose e fragorose correnti lui ci traeva da bere, nonché da innaffiare per le sue colture.

Una schifezza come quella avrebbe potuto alterare la limpidezza e la composizione chimica dell’acqua. E quell’acqua serviva a nutrire quel che gli dava da sfamarsi.

Siamo ciò che mangiamo, dopotutto. Non bisognerebbe mai scordarlo.

Sul fondo del piatto ormai sgombro vide una minuscola busta di plastica che conteneva qualcosa.

La strappò in una sola mossa, e poi gettò i residui nella buca per non lasciare traccia alcuna.

Era una chiavetta USB.

Sapeva cosa farne.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aveva ottenuto il permesso di recuperare un vecchio portatile ormai guasto da tempo e rotto per via dei troppi utilizzi e strapazzi senza alcun ritegno a cui lo avevano sottoposto, con la scusa di dargli un’occhiata e magari riuscire a ripararlo.

Lo avevano accontentato, con tutta probabilità ridendo al pensiero che dove si trovava e dove lo avevano gettato non esisteva corrente elettrica. E che quindi non avrebbe mai avuto modo di sapere se gli fosse riuscito di rianimarlo.

Un lavoro inutile. Da completi imbecilli. O almeno era così, che dovevano pensarla.

Ma in verità gli imbecilli erano loro, perché avevano trascurato un piccolo ma fondamentale dettaglio.

Gli avevano concesso di allevare nel laghetto alcune anguille insieme alle trote, alle carpe e ai gamberoni di fiume.

Un po' con la scusa di poter studiare e osservare l’adattabilità degli esseri viventi di rango inferiore agli habitat più disparati. Ma anche perché si era un po' stancato di rifornirsi sempre allo stesso bancone, per quel che riguardava i prodotti ittici. E un minimo di varietà nel cibo non gli avrebbe di sicuro fatto male, men che meno guastato.

Apparentemente, il motivo era quello.

Ma quella razza di anguille era in grado di generare corrente. Inoltre, aveva impiantato una varietà di canapa le cui fibre, una volta intessute ed intrecciate, si erano rivelate degli straordinari super – conduttori.

Grazie ad essi aveva creato dei cavi e degli accumulatori a dir poco eccellenti, e realizzati in maniera del tutto naturale ed ecologica.

Come ottenere la tecnologia senza la tecnologia. E senza tutto il consumo e sfruttamento insensato di risorse con relativo ed inevitabile inquinamento che ne consegue.

Spesso si sbaglia a pensare, e a trarre conclusioni.

Il vero punto di forza di un genio non é rappresentato da quel che realizza, ma da quel che glielo fa realizzare.

Non dalle sue invenzioni, ma dal suo cervello.

Uno scienziato non é valido perché é in grado di costruire un aereo super – veloce, supersonico ed ultra – teconologico. Ma perché, grazie alle sue conoscenze, potrebbe ed é tranquillamente in grado di trovare il modo di costruirlo anche sperduto in pieno deserto, con a disposizione solo un mucchio di sabbia e una misera manciata di aghi e spine di cactus.

Neanche quest’opera era farina del suo sacco.

Aveva ottenuto il brevetto dall’ultimo proprietario nonché discendente delle industrie Stark, salvandolo dalla bancarotta, dopo che quest’ultimo si era bruciato tutto per via della sua insana passione per il bere e per la vita dissoluta.

A conti fatti, niente era suo.

Però poteva comperare. E apprendere da quel che aveva comperato.

E lui apprendeva e comperava senza sosta.

Doveva diventare il depositario di ogni cosa. E ad ogni costo. Perché il miglioramento, per prima cosa...passava da lui.

Era per lui, che doveva passare.

Affinché le cose funzionino, é necessario istituire un sistema che filtri, setacci, e che sia in grado di promuovere e bocciare. Assimilando, tenendo con sé e tramandando quel che funziona facendolo così diventare tradizione, e scartando le novità scarsamente redditizie se non persino controproducenti.

Assorbi ciò che é utile, e che ritieni sia utile.

E a questo, che serve il sistema. E lui, Sailas...doveva far diventare sé stesso il sistema. In persona.

Ne sarebbe diventato l’incarnazione vivente.

Collegò il cavo al portatile, accendendolo.

Ci mise parecchio. Era ancora vivo, ma era vecchio. Ed ogni volta che lo schermo si illuminava, con quel suo pallore fisso sembrava invitarlo, implorargli di ucciderlo e di mettere fine una volta per tutte alle sue sofferenze.

Niente da fare. Lo aveva salvato dal robivecchi, dalla discarica e dal finire smantellato.

Gli aveva salvato la vita. E quindi non poteva morire.

Nossignore. Non prima di aver svolto la sua missione e il suo dovere, fino in fondo.

Ogni essere a questo mondo, sia genuino che artificiale, nasce con uno scopo ed un obiettivo ben precisi. E deve vivere e consumarsi giorno dopo giorno, senza sosta, percorrendo il proprio percorso finché la ragione per cui esiste non si rivela…

Il destino é scritto. E il percorso già tracciato. Non rimane che incamminarci lungo la strada.

C’era un filmato. Lo fece partire. E sorrise.

Ma guarda. Forse c’erano davvero delle novità, questa volta.

Novità abbastanza interessanti, succose e sfiziose da valerne la pena. Da giustificare il fatto di farlo uscire dal letargo, anche se per poco.

Ma sì. Poteva risultare interessante, tutto sommato.

Ciò che stava vedendo gli suscitava un rinnovato senso di curiosità, come non provava da un mucchio di tempo.

Forse poteva stare sveglio per un poco, prima di tornarsene a dormire come aveva seguitato a fare in questi ultimi periodi.

“Ah, ah, ah…” ridacchiò. “Ma tu guarda un po'...pare che ci si ritrovi proprio in strani, stranissimi posti, a quanto sembra. Ma si lasci dire che é un vero piacere, ritrovarla.”

“Sì…” concluse soddisfatto, “Sono contento di rivederla di nuovo in azione e all’opera, AGENTE WILDE.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

Finalmente, aggiungo.

Certo che ne é passato di tempo...ma da come potete vedere e da quel che potete leggere, il sottoscritto é ancora vivo e vegeto!

E non ha smesso di scrivere un solo istante, in tutti questi mesi.

Purtroppo, scrivere e basta sarebbe il mio sogno. Ma ho anche una vita con cui dover fare i conti, e che reclama sempre più spazio.

Come é giusto, del resto.

Dallo scorso Settembre mia figlia ha iniziato le scuole medie, e gli impegni si sono triplicati.

Specie coi compiti: gliene danno una marea. E io, da buon papà, non posso fare a meno di darle una mano. Quando occorre, s’intende.

Italiano, storia e materie umanistiche ok, quelle sono sempre state il mio forte. Ma mi é toccato persino imparare una buona volta la matematica, tra l’altro con risultati sorprendenti.

E dire che ero una frana, ai tempi...tre fisso, proprio.

Grazie al cielo oggi esistono tutorial di ogni tipo, pure per fare le equazioni.

Certe volte li invidio, i ragazzi di oggi. Avessi avuto io tutto questo ben di Dio, allora...mi sarei arrangiato da solo.

Ma una volta potevi solo contare sui professori, e basta. Non c’era internet.

O meglio c’era, ma era agli albori. E non certo alla portata di tutti.

Ma soprattutto non c’era la mole di informazioni che circolava oggigiorno.

E la cosa peggiore di una materia già complicata di per sé...era quando a spiegartela c’era un insegnante che non era neppure buono di spiegare!!

Eh, sì. Perché sapersela cavare in una materia non significa essere automaticamente in grado di spiegarla, purtroppo. Ma guai a dire i faccia ai prof che erano un branco di incapaci: li pungevi sul vivo, e reagivano come gli aspidi.

Dicono tanto che i ragazzi non hanno voglia di studiare.

Lo dicevano anche di noi, e io fornisco sempre la stessa risposta.

Tutte balle. E’ la scuola che fa schifo, ecco la verità.

Ma da tutto questo schifo tocca riuscire a cavarci fuori qualcosa di buono. Perché, nel bene o nel male, sui banchi ti stai costruendo il tuo futuro.

E’ importante.

Tornando a prima...mia figlia con la scuola,e una nuova mansione sul lavoro decisamente meno sfiancante ma con moooolte più responsabilità rispetto a prima. E che, dulcis in fundo, dal punto di vista prettamente pratico da un annetto circa a questa parte mi ha stravolto completamente tutti gli orari.

Ero riuscito persino a tornarmene in palestra a fare un po' di boxe, accidenti. Ma ho dovuto accantonare di nuovo tutto. Un’altra volta.

Ma io non mollo, eh. A costo di andarci quando andrò in pensione...alla prima occasione io ricomincio.

E poi...anche sul fronte scrittura, qualcosa si é mosso.

Ho partecipato a un concorso con un racconto breve, é andata bene anche se alla fine purtroppo ci sono stati degli intoppi logistici. Ma tutto sommato é stata una bella soddisfazione.

Adesso, per quanto riguarda il mio romanzo inedito, sto aspettando una risposta da parte di un concorso letterario che si terrà i prossimi mesi.

Incrocio tutte quante le dita delle mani e dei piedi a mia disposizione...e speriamo bene.

E ora veniamo al capitolo.

Si conclude quindi la rivincita tra Nick e Zed, con al vittoria che questa volta arride in pieno alla nostra volpe preferita.

Bella forza, direte voi. E avete ragione.

Viste le premesse, non poteva che concludersi così.

Ma attenzione, però. Perché se pensate che sia finita qui, vi sbagliate di grosso.

Al momento sono in perfetta parità.

Il primo scontro lo ha vinto Zed, il secondo Nick.

Uno a uno, e palla al centro. E adesso...tocca alla bella.

Piuttosto, vorrei condividere con voi un mio pensiero.
In genere tendo a essere sempre severo, nei confronti di tutto quel che scrivo.

E’ da sempre la mia filosofia, ragazzi. E ormai avete imparato a conoscermi, e quindi lo sapete bene anche voi.

Il mio é un pessimismo costruttivo: Pensi sempre che andrà a finire male, e quindi controlli ogni minima cosa.

Mai essere contenti, e volare basso. Perché se pensi di aver scritto un capolavoro...nel 99 per cento dei casi hai soltanto sprecato tempo, energie e carta.

Però...stavolta voglio proprio dirlo.

Sono e mi sento soddisfatto, gente. Contento, in una sola parola.

Contento perché ritengo che questo sia uno dei migliori capitoli che abbia mai fatto. Ultimamente e da quando ho iniziato questa storia (ormai ben SETTE anni or sono).

E’ venuto fuori proprio come volevo e desideravo, nei pregi come nei più che probabili difetti.

Ho faticato, parecchio. Ma al contempo mi sono divertito un mucchio.

E’ stato un vero godimento, scriverlo. In primo luogo perché sono riuscito a tirare di nuovo fuori il “vecchio” Nick. Quello che si aggirava per Zootropolis truffando e ingannando la gente a tutto spiano, prima di incontrare una certa coniglietta…

Nick, in quest’occasione, ha decisamente rispolverato il suo lato più “carogna”. Istrionico ma anche decisamente cinico e spietato, che non si fa alcun scrupolo e che utilizza qualunque mezzo pur di ottenere il suo scopo.

E meno male. Il “nuovo” Nick, il poliziotto, contro Zed non ce l’avrebbe mai fatta.

Occorreva recuperare la sua capacità innata di trovare una soluzione anche nelle situazioni disperate e senza alcuna via di uscita.

Beh, che dire...ce l’ha fatta.

Ce l’ha fatta, cazzo (scusate).

L’ho gettato in mezzo a un arena piena zeppe di trappole e insidie, a un ceto punto mi ci sono buttato dentro pure io a dargli manforte, e...ne é uscito indenne. E io con lui.

Ha combattuto una battaglia talmente impossibile che alla fine ha vinto.

Ed é meraviglioso, quando succede.

Mi é sembrato di vedere una scena molto simile al finale Del primo KUNG – FU PANDA.

A proposito: tra poco esce il quarto. E indovinate un po'? Anche lì, la co – protagonista nonché probabile discepola di Po sarà una bella volpacchiotta.

Non c’é niente da fare. Dal mitico Robin in poi, le volpi nei cartoni tirano SEMPRE.

Comunque...ve lo ricordate Tae – Lung, l’avversario di Po nel primo film?

Fortissimo. Malvagio. Praticamente invincibile. Almeno in apparenza.

E come fai a sconfiggere un nemico simile, che sembra in tutto e per tutto superiore a te?

E’ molto semplice. Risolvi tutto con una bella risata.

Proprio come avrebbe fatto un certo Goku. Che a dispetto della sua incredibile potenza é sempre stato un personaggio dal cuore d’oro. E dall’animo più calmo, puro, buono e candido che sia mai esistito.

E non l’ho nominato a caso. Ma ne riparliamo nelle ultime righe.

Tornando a prima...fai come ha fatto Po, che per inciso é un’altra anima candida e innocente (anche se molto ma molto più fesso).

Butti tutto in farsa. E al cattivaccio di turno gli fai fare la figura dell’emerito cogl...ehm, dell’emerito idiota davanti a tutti quanti.

Certe volte é la strategia migliore.

Mi sono divertito perché tra impegni e smazzi vari ha avuto una gestazione lunghissima, ma in cambio succede davvero di tutto.

Risate, azione e alla fine un pizzico di inaspettato romanticismo.

Anche il loro rapporto si sta evolvendo. E dovranno affrontare la cosa, prima o poi. Che lo vogliano o no.

Poi abbiamo del citazionismo a manetta e a ruota libera.

Un sacco di citazioni, tra cui quella relativa a un film western che adoro. E poi un’altra che coinvolge uno dei più bei film di tutta la storia del cinema (e sarà contento mio fratello, che ne é un assoluto fanatico. Sia del film, che del regista).

Vedendo Nick che urla minacce addosso a Carrington, é impossibile non correre col pensiero a un incazzatissimo Kurt Russell che, supportato da una colonna sonora che é da fine del mondo, nella scena madre di quel film grida la stessa, medesima frase.

E visto che siamo in argomento...l’ho detto nell’editoriale di qualche capitolo addietro e in risposta alle vostre precedenti recensioni. E qui lo ribadisco, visto che ne abbiamo appena avuto la riprova e la conferma.

Qualunque cosa accada...NON BISOGNA MAI FAR INCAZZARE NICK WILDE.

MAI.

Infine, nell’ultima parete dell’episodio compare finalmente LUI.

Lui chi? Direte giustamente voi.

E ci risiamo. Perciò ritengo doverosa qualche spiegazione.

Parlo ovviamente di SAILAS.

Il personaggio in questione é in realtà l’antagonista principale di un’altra fan – fiction, ovvero IL MIO AMICO CR – 0C del mio illustre collega (nonché amico. E pure editor, visto il corposo lavoro di correzione dei testi che fa senza chiedere nulla in cambio) Sir Joseph Conrard. Di cui vi consiglio vivamente la lettura.

Ci teneva tanto, a far comparire questo suo personaggio all’interno del mio racconto.

E visto tutto quel che ha fatto per me, ritenevo giusto contraccambiare in qualche modo.

Premetto che il personaggio in questione se ne rimarrà sostanzialmente defilato, manovrando dietro le quinte e rimanendo al corrente di tutto quel che accade.

Ma anche lui avrà la sua parte, non temete. E sarà importante quanto quella degli altri.

Mi é costato un gran lavoro supplementare, e la costruzione di un paio di capitoli partendo praticamente da zero. Infatti, nei prossimi due episodi, la storia devierà leggermente dal percorso principale.

E’ stata una bella sfida, ma ne é valsa la pena. Inoltre, credo di averlo saputo re – interpretare alla mia maniera, con risultati davvero molto interessanti.

Spero vi piaccia. Così come mi auguro che vi divertiate a leggere almeno quanto mi sono divertito a realizzare.

A proposito...segnatevi questa data, ragazzi.

 

26 NOVEMBRE 2025.

 

Secondo le più recenti indiscrezioni, sarà il giorno in cui uscirà finalmente…

Dai, che avete capito.

ZOOTROPOLIS 2!!

L’hanno annunciato, a quanto pare.

Non vedo l’ora. Sempre che non scoppi la terza guerra mondiale, s’intende.

Che di questo passo…

La situazione in giro non é affatto buona. Anzi, é pessima.

Purtroppo, non si può far altro che tenere duro. Arriveranno tempi migliori.

O prima o poi ci si darà di nuovo tutti quanti una calmata e si ricomincerà a ragionare.

Certo che da due anni di pandemia non abbiamo imparato proprio niente, eh.

E ora l’angolo della colonna sonora.

Voglio anzitutto riproporre i tre pezzi che avevo consigliato nello scorso capitolo, dato che questo ne é un proseguimento diretto e quindi calzano a pennello pure qui.

I tre brani in questione sono:

 

- I LOVE IT degli Iconapop;

- THE ROCK SHOW dei Blink 182;

- KICK – ASS (WE ARE YOUNG) di Mika.

 

A questi ne aggiungo altri tre.

Quando Nick rifila la slinguazzata a tradimento sulla guancia ad un’imbarazzatissima Maggie, ascoltatevi questi due brani:

 

- IRRESISTIBLE FORCE dei Jane’s Adddiction;

- IT MUST HAVE BEEN LOVE dei Roxette.

 

E poi, quando Nick lancia la minaccia finale a Carrington direttamente ad un terrorizzato Carrington, ascoltatevi QUESTO.

E così ci siamo giocati il mistero su una delle citazioni. Ma il pezzo é davvero troppo bello, per non nominarlo.

Si tratta del brano principale del film TOMBSTONE, di Bruce Broughton.

Roba da pelle d’oca.

Bene, e adesso siamo arrivati al consueto angolo dei ringraziamenti.

Un grazie di cuore a Sir Joseph Conrard (su Sailas posso dirti solo una cosa...goditelo. E spero ti piaccia, che questo é solo un assaggio), Devilangel476 e a RyodaUshitoraIT per le recensioni all’ultimo capitolo (al terzo che ho nominato un razie anche per la recensione al capitolo 88).

E come sempre, un grazie a chiunque leggerà la mia storia. Così come a chiunque se la sentirà magari di lasciare anche un suo relativo parere in merito.

Prima di chiudere, ancora una cosa.

E’ stupendo, essere tornati.

Mi mancava questo posto stupendo. E prima di ogni altra cosa mi mancavate VOI, ragazzi.

Come l’aria.

E’ meraviglioso ritrovarsi qui.

E’ stata dura, difficoltosa e lunga. Ma ce l’ho fatta.

Anche stavolta.

Mi sento come se avessi scalato una montagna.

Un’altra impervia cima é superata. Sotto con la successiva, adesso.

Grazie ancora a tutti e alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

P.S:

 

Approfitto per un’ultima aggiunta al volo, anche se...di un’aggiunta simile ne avrei fatto volentieri a meno, purtroppo.

La notizia é stata resa pubblica soltanto pochi giorni addietro, ma all’inizio di questo mese ci ha lasciati il grande Akira Toriyama.

A 68 anni.

Vorrei dire tante cose, soprattutto che mi viene da pensare a un vecchio discorso che ho tirato fuori alla dipartita di un altro grande.

Parlo del povero Kentaro Miura, l’autore di Berserk.

La faccenda relativa ai meccanismi e ai ritmi di produzione infernali dell’industria editoriale giapponese, ad esempio.

Ma al momento non ho la voglia e non me la sento di riprendere certi argomenti.

Inoltre, trovo che i commiati in sostanza siano inutili e non servano a nulla. Oltre che estremamente tristi.

Ma due parole mi sento di spenderle ugualmente.

Potrei dire che senza il suo Dragonball molti dei best – seller di oggi come Fairy Tail, My Hero Academia, One – Punch Man, Naruto ma soprattutto One Piece ( e Oda é il primo a sottolinearlo, giustamente) non esisterebbero neppure.

Sono tutti figli di Goku, in qualche modo. Che ancora oggi rimane un punto di riferimento per chiunque voglia creare un personaggio memorabile, grazie soprattutto alla sua straordinaria umanità. E alla capacità di risolvere sempre tutto con un sorriso grande così.

Oppure potrei dire che l’arrivo del manga qui in Italia ha fatto da apripista alla seconda e definitiva invasione, quella che dura ancora oggi. Ed é grazie a lui, il primo che abbiamo letto “a rovescio”, se oggi tutti i fumetti giapponesi si leggono col senso di lettura identico a quello della loro madrepatria.

Dragonball. Ma prima ancora...Dr. Slump e Arale.

Col suo mondo tozzo, coloratissimo, folle e spassoso pieno zeppo di caricature, personaggi assurdi e cacchette rosa dall’espressione buffa ha di fatto sdoganato il concetto di super deformed.

Uno stile e un tratto assolutamente unici, e riconoscibilissimi. Al punto che quando abbiamo visto Dragonball ci siamo detti subito MA E’ LO STESSO DI DR. SLUMP!!

Manco sapevamo chi fosse Toriyama, allora.

Dragonball.

Quelli che come me hanno visto (e mai più rivisto) la primissima versione trasmessa su Junior TV dopo che era finito Ken, lo hanno considerato per molti anni una sorta di leggenda metropolitana.

La primissima versione senza censure e doppiata dagli studi romani dei vecchi cartoni di una volta. Dove Goku aveva la stessa voce di Tare, il fratellino della Miki di Devilman.

Quella ormai andata perduta per sempre. E che si era pure interrotta.

Non ne abbiamo avuto più alcuna notizia per tanto, tantissimo tempo.

Poi arriva il manga, finalmente. Che aspettavamo da anni, in modo da poter finalmente vedere come andava a finire.

Ma intanto arrivarono anche i primi OAV in lingua straniera (per me in spagnolo, grazie), le immagini e anche i videogiochi di Dragonball Z, dove si vedevano delle robe a dir poco PAZZESCHE.

Avevamo i due estremi, senza però un tratto di congiunzione ad unirli.

E in quella zona vuota fiorì ogni genere e sorta di voce incontrollata, da far impallidire quelle sulla celeberrima e fantozziana Italia – Inghilterra durante l’ennesima, ammorbante riproiezione de La Corazzata Potemkin.

Ecco, tutto qui. Io di lui e della sua opera più famosa ho questo ricordo.

Aggiungo anche che sarebbe bello avere un Drago Shenron con le sue sette sfere in grado di riportare in vita i nostri cari che non ci sono più.

O una persona come la vecchia Sibilla, che almeno per un giorno riporta a richiesta sul pianeta Terra le persone defunte, con tanto di aureola sulla testa.

In un mondo come il nostro, dove il tempo scorre impietoso e non fa sconti a nessuno, sarebbero i doni più belli che possano esistere.

Ecco, se c’é davvero un Aldilà, me lo immagino proprio come quello ideato da Toriyama.

Questo capitolo, quello del mio ritorno dopo tanto, tantissimo tempo, lo voglio dedicare a lui.

Grazie, Maestro. Non la dimenticherò.

Grazie di tutto.

Un giorno ci rivedremo senz’altro, da qualche altra parte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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