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Autore: Katty Fantasy    15/03/2024    0 recensioni
Un mondo in declino, dove l'umanità non ha più speranza per sopravvivere. Cinque ragazzi sono destinati a lottare contro entità potenti.
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𝐀𝐧𝐧𝐨 𝟐𝟎𝟐𝟕
La Terra è ormai devastata dai continui disastri climatici alterati e guerre civili. L'umanità, quasi del tutto inerme contro gli assalti di attacchi terroristici e conquiste territoriali su tutti i fronti, è stata quasi interamente decimata per sette lunghi anni.
Ora c'è solo una lotta continua sulla sopravvivenza.
I destini dei cinque protagonisti, apparentemente non hanno nessun collegamento tra di loro, finiranno per intrecciarsi quando un uomo li assolda per affrontare la vera causa. I protagonisti si accorgeranno presto di essere coinvolti in un conflitto contro entità più grandi di loro.
Questa è la storia della 𝐶𝑜𝑚𝑝𝑎𝑔𝑛𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑆𝑒𝑟𝑝𝑒𝑛𝑡𝑒.

✶ ©𝐂𝐨𝐩𝐲𝐫𝐢𝐠𝐡𝐭 𝟐𝟎𝟐𝟒 :: 𝐓𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐢 𝐝𝐢𝐫𝐢𝐭𝐭𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐢.
✶ 𝐈𝐝𝐞𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐞 𝐜𝐨𝐥𝐥𝐚𝐛𝐨𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 :: @Kait_001 e @Pier_swaggon (Wattpad)
Genere: Avventura, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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𝟕 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐝𝐨𝐩𝐨, 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚


Continuò a girarsi e rigirarsi, aggrovigliato tra le lenzuola, cercando una posizione più comoda. Era difficile riprendere sonno a causa degli incubi, non era una novità per lui. Li sentiva ridere e sbeffeggiare come dei diavoli dietro il fuoco pronti a trascinarlo giù, nelle profondità della terra, assieme ai vermi. Erano, come li chiama lui, dei veri bastardi.

Si mise a pancia in giù, la testa sepolta nel cuscino. Dei brividi scesero lungo la spina dorsale, colpa della pelle che non era coperta dalle lenzuola; l'aria autunnale entrò dagli spifferi della finestra. Il freddo non gli dava fastidio, anzi, era il suo elemento naturale e, caratterialmente, un pezzo di ghiaccio. Lo era diventando col passare del tempo. Le vene delle tempie gli pulsavano come un martello pneumatico. Un grugnito soffocato attraversò la stoffa soffice del cuscino. Sarebbe scoppiato da un momento all'altro. Scosse le lenzuola con violenza e si sedette, tirando i capelli all'indietro. La morbidezza del tappeto fece solleticare la pianta del piede, separandolo dal freddo pavimento.

'Ma quanto ho bevuto?', si domandò, stordito. 'Devo aver esagerato troppo...'

Ricordava ben poco di quella serata, il che lo infastidiva molto. Fece una smorfia dolorante, spremendo le meningi. Barcollante, si trascinò miracolosamente verso il bagno. Si resse allo stipite della porta per non cadere di faccia a terra; lo stomaco si contorse su sé stesso. Lo spazio era minuscolo, da far venire la claustrofobia, il soffitto costellato da piccole muffe e ragnatele, un filo di polvere grigio si era accumulato sui mobiletti. Si precipitò immediatamente sul gabinetto e vomitò.

'Ho decisamente bevuto troppo... Cazzo!', confermò la sua ipotesi, amareggiato.

Ispirò profondamente non appena finì di vomitare. Si sentiva uno schifo, lo ammetteva tra sé e sé, mentre si puliva un angolo bocca; la testa gli scoppiava, si ritenne fortunato di non essere in un vicolo deserto come un'idiota. L'odore del vomito era acro, nauseante, perciò cercò la manopola e premette lo scarico. Adesso si sentiva meglio. Si rialzò a fatica, aggrappandosi al lavandino immacolato. I muscoli erano tutti indolenziti, il respiro affannoso e le spalle incurvate, la pelle sudata e i capelli unti... Si doveva lavare, perciò entrò nella doccia. Il getto d'acqua lo fece risanare. Era sollevato e rilassato. Nonostante lo distruggessero, bere e fumare erano gli unici passatempi che lo calmavano. Un modo per dimenticare il passato e scappare da esso. Ma fuggire del tutto non avrebbe cambiato la situazione. Perciò optò per un nuovo passatempo di tenere la mente occupata: uccidere.

Uccidere lo paga bene

Uccidere lo rende sicuro di sé, più stratega e più calcolatore. Di mostrare a tutti quanto fosse superiore su qualcuno.

Uccidere era un ricambio su tutti coloro che aveva conosciuto anni addietro. Infierire tutti i torti e gli abusi marchiati sia sulla pelle sia nel suo animo diventato marcio. Il ricordo di averli torturati, mutilati, massacrati, di aver sfogato il suo odio sui loro corpi dipingeva un ghigno sul suo volto. Un malsano divertimento. Non importava chi fossero: un uomo o una donna, o addirittura un bambino.

Un assassino, un ricercato.

Uscì dalla doccia, prese un asciugamano vicino a lui. Il vapore causò una leggera nebbiolina, piccole gocce trasparenti scivolano sulle mattonelle vecchie, scolorite, con piccole increspature e del calcare nelle strette fessure. L'aria e il calore resero il piccolo spazio irrespirabile. Si fermò davanti allo specchio rettangolare, appannato. Titubante, passò la mano e togliendo la patina sulla superficie. I capelli fradici e bagnati, di un bianco opaco, le gocce d'acqua scendevano lungo il viso allungato e pallido, con due borse viola sotto gli occhi color ghiaccio.

'Non ho un bell'aspetto...' , ammise a sé stesso, uscendo dal bagno e recuperando i vestiti, rimanendo solo in canotta e in jeans.

Il soggiorno era immacolato, piacevolmente arredato, ma dalla tonalità monotona, spoglia, che si affaccia alla cucina, un Open space. In una vetrinetta posta all'angolo c'era un piccolo televisore a plasma e un lettore DVD di vecchia marca; una piccola libreria colma di libri che, a giudicare dalla polvere, non erano stati sfogliati da molto tempo. Messi lì come abbellimento. Il divano aveva l'aria di non essere affatto comodo, e un tavolino da caffè sul quale erano sparpagliati una dozzina di riviste e una leggera polverina bianca rimasta sulla superficie. Il pavimento di linoleum ormai vecchio e consumato, per nulla pulito, i vestiti sparsi in giro e qualche busta nera della spazzatura dalla quale usciva uno sgradevole odore.

'Che letamaio...' , pensò disgustato il ragazzo, aggrottando la fronte.

Si diresse verso la piccola cucina. Il piano cottura era incrostata di macchie di chissà quale cibo abbia cucinato, con le grate fuori posto, mentre nel lavello si erano accumulati piatti sporchi e pentole incrostate, ammassati uno sopra l'altro, occupando tutto lo spazio. Un vero disastro. Cercò un bicchiere pulito in mezzo a quel caos, aveva la bocca asciutta e teneva ancora i residui del vomito, ne trovò finalmente uno, fece scorrere l'acqua dal rubinetto difettoso e bevette tutto d'un fiato. La gola si rinfrescò con gran sollievo, solo il dolore alla testa non diminuiva. Buttò un secondo sorso, poi si sdraiò sul scomodo divano.

Pian piano alcuni pezzi di memoria si incastrarono uno dopo l'altro gli avvenimenti della sera precedente: non seppe con quale brillante idea lo convinse ad entrare in quel pub, forse spinto dalla voglia di sbronzarsi o di riscaldarsi dal freddo, decise comunque di andarci. Trovò bizzarro e divertente quando, entrando nel locale, tutti i clienti lo adocchiavano e bisbigliavano tra di loro. Kait sospettava che qualcuno lo avesse riconosciuto o che cercasse di ricordare o di associare a chiunque venisse in mente. Non ci faceva molto caso, voleva solo starsene in tranquillità, in solitudine.

Solo una donna si era avvicinata a lui.

Svagando con la mente, ricordava i suoi lineamenti delicati e un sorriso attraente. Sarebbe stato ancora di più se non fosse tutto quel trucco: l'ombretto marcato sulle palpebre e la matita nera agli angoli, le sopracciglia sottili e curate da colpi di pinzetta. Le labbra carnose piene di rossetto molto marcato. Non si ricordava dettagliatamente la conversazione, solo di aver bevuto un Black Russian accompagnato da shottini di vodka polacca, e di averla poi convinta a farlo entrare in casa per una nottata di sesso.

'Chissà quanti uomini si è scopata...' , si chiese.

Più tardi, Kait avrebbe fatto un sopralluogo con tutta calma. Voleva ricavare qualcosa da vendere o che tornasse utile per il rifugio. Chi mai sospetterebbe di aver ospitato un ladro? Lui non era solo un assassino, aveva anche imparato l'arte del rubare. Dopotutto, ogni cosa era una mercificazione, in quel nuovo mondo. Per pietà delle sue povere natiche, si alzò da quello scomodo divano, finché il suo piede urtò contro qualcosa. Abbassò lo sguardo. La borsetta color rosa pastello era rivolta sul pavimento. La curiosità prevalse, l'afferrò e capovolse tutto il contenuto sul tavolino.

«Wow,», fece lui, ghignando sotto i baffi, «ne ha di roba nascosta.»

Prese il portafoglio, gonfio, strapieno di carte di credito e molte, moltissime banconote. Soldi facili con la prostituzione. Li prese con entusiasmo e li mise in tasca. Rientrò nella camera da letto, dove giaceva sul letto la proprietaria. Il viso ancora truccato era sbavato e il restante impregnato sul tessuto, i capelli un castano quasi chiaro e spettinati, ora sparsi sul cuscino. La corporatura esile, avvolta nel lenzuolo per metà busto, seni e fondoschiena abbondanti. Sulla pelle erano percepibili i segni di morsi e succhiotti violacei.

Kait frugò ogni cassetto, spostando i vestiti o lanciandoli a caso. Se c'era altro denaro si sarebbe comprato altre sigarette e qualcosa da mangiare dai suoi colleghi contrabbandieri. Si fermò, trovando ciò che cercava. In un vecchio e logoro beauty case, erano raccolti cofanetti di orecchini, collane, bracciali costosi. 'Rango farebbe i salti di gioia per venderli', pensò alla faccia del suo amico. Forse sarebbe ritornato il giorno successivo per truffare oggetti essenziali e utili per la vendita. Recuperò la felpa, e si allacciò le scarpe su una poltroncina malconcia.

La donna mugolò nel sonno, segno che si stava svegliando, e tastava con i polpastrelli sul materasso dove era disteso il ragazzo.

Kait non la calcola minimamente, non era interessato in modo sentimentale; considerava tutte le donne un oggetto di sfogo. Una volta allacciate le scarpe, indossa la sua giacca di pelle nera, controlla i suoi effetti personali se erano al loro posto. Era pronto ad andarsene, ma aveva lasciato qualcosa in sospeso.

«Ehi...? Dove vai...?», domandò lei, con la voce impastata dal sonno.

La ignorò nuovamente, si prese le chiavi dell'appartamento, gli sarebbe servito per entrare e rubare il resto una prossima volta. Il furgone era sotto il condominio, un ottimo modo per poter raccogliere tutta la roba e caricarle.

«Ehi! E la paga!», strillò la donna.

Il ragazzo assottigliò lo sguardo, irritato, era il momento di concludere ciò per cui era davvero lì. Possibile che quella sgualdrina non abbia capito chi era? Era ancora sotto l'effetto della sbornia o così stupida da non essersi accorta di avere a casa sua un assassino? La donna continuò a chiamarlo, come una cornacchia. Ecco cosa odiava delle donne: si lagnavano ed erano superficiali, vogliono ottenere qualsiasi cosa come delle bambine viziate. Lo chiamò per l'ennesima volta.

«Sei troppo chiassosa per i miei gusti...», mormorò lui, con espressione seria.

Dopo aver detto questo, in modo cupo, chiuse la porta della camera da letto. Urla e mugolii soffocati, colpi violenti sul materasso fecero cigolare le molle del letto.

Poi silenzio.
 

 

Il furgone sfrecciò sull'autostrada, superando il confine della Lombardia ed entrare nel Veneto.

La strada completamente deserta, seminata da buche qua e là, i tratteggi centrali erano sbiancati con il tempo, fusi in un'unica riga invisibile come se stesse tirando il veicolo per il paraurti verso casa; eppure sembrava non finire mai. Quasi non volesse aiutarlo ad arrivare fino a destinazione. La luce pallida e fredda rifletteva sui vetri del parabrezza e, di tanto in tanto, piccole gocce atterrano sulla superficie. Iniziava a piovigginare. L'unico suono udibile era il rombo del motore e la musica dello stereo che divorava il silenzio della strada. Tutti i finestrini chiusi, eccetto un piccolissimo spiraglio. Il giubbotto di pelle piegato sul sedile del passeggero, il cellulare posto sul cruscotto.

Il viaggio non sarebbe così lungo, tuttavia doveva essere prudente, poche soste e non fermarsi al lungo. Una delle regole di sopravvivenza: trovare un autogrill, razziare ciò era rimasto e poi andarsene. Si doveva prendere tutto, stessa cosa nelle vecchie case abbandonate. Rarissime volte i mezzi di trasporto passano da quelle parti, alcune potevano essere del Governo con militari armati fino ai denti, trasportavano qualsiasi cosa: provviste da sfamare un'intera comunità, medicine e beni necessari. Passavano soprattutto i commercialisti del mercato nero: della Mano Rossa o del Ciuffo Ribelle, portavano armi illegali e droga. Nessuno aveva il coraggio di alzare un dito e derubarli, per paura dell'arresto della GAU, o dell'ira dei capi del mercato nero. Rare volte, neanche la merce dei Rinnegati veniva toccata.

A Kait non importava, aveva già il suo lavoro. Si teneva soddisfatto del bottino preso dalla casa della prostituta. Tutto per pura fortuna.

Il ragazzo prese il cellulare, tolse il blocco schermo pronto per comporre il numero. Si bloccò. Sul display era impostata una foto da anni cara. Non si fermò al lungo, digitò il numero sulla rubrica e chiamò il suo unico e migliore amico. Il telefono squillò per un paio di secondi, ma non ottenne alcuna risposta.

'Ma che starà facendo a quest'ora? Non avrà messo di nuovo il silenzioso di nuovo?', si chiese per nulla sorpreso. Conosceva il suo amico come le sue tasche.

«Ehi, sto arrivando... E spero che quella cazzo di caldaia sia in funzione o ti getto dalla finestra. Non mi va di congelarmi il culo come l'anno scorso, chiaro? A dopo.», disse, registrando la chiamata, e la chiuse per poi gettarlo con noncuranza sul sedile di fianco.

«Continua sempre a non rispondere il tuo amico?», domandò una voce roca e profonda, da uomo adulto.

Kait non si scompose, continuò a guidare. Il mal di testa era diminuita, grazie alle pastiglie trovate nell'appartamento. «Lo conosci, è fatto così.», rispose tranquillamente, alzando le spalle. «Il lato positivo è che abbiamo della bella merce dietro il furgone.»

«Ma per quanto tempo vorresti continuare?», chiese di nuovo.

Non era la prima volta che gli imponeva quella domanda. La guerra aveva i suoi lati positivi e i suoi lati negativi. Il mondo era devastato, la gente poteva essere così perfida e astuta da usare la situazione a loro vantaggio. Ne aveva conosciuti un paio, ma uno in particolare era testardo come un mulo e insistente non gli piaceva le sconfitte. Il lato positivo era, con qualche strana fortuna, non si fece vivo da un bel po'.

«Vorrei avere una risposta da te, magari.», ripeté la voce.

Il ragazzo sbuffò, roteando gli occhi. «Lo sai perfettamente la mia risposta, ormai.»

«Grazie mille...»

«È sarcasmo, non è vero?» Kait abbozzò un sorrisetto beffo.

«Mi stai facendo diventare sarcastico ogni giorno che passa, ragazzo.»

Lui rise sotto i baffi. «Non fare il melodrammatico.»

«Non sto facendo il melodrammatico, Kait.» La voce roca del suo mentore sembrava un tuono a ciel sereno. «Continui a fissarti in continuazione di volerti fare tutte le donne e poi ammazzarle. Ti vedo... Turbato stamattina.»

«Non sono turbato, anzi mi sento a meraviglia. È stata una buona distrazione.»

«Dal tuo passato?», domandò il mentore, zittendo l'allievo. «Non sono nato ieri, Kait, so già che continui a fare gli incubi ogni notte, anche peggiori non appena si avvicina quel mese. Sogni ancora quella strage.»

«È ciò che meritano.» Kait strinse il volante diventando le nocche bianche. «sai bene che cosa mi è successo, Obscura, l'ho fatta pagare a tutti quanti»

«Tutti, tranne due.», intervenne Obscura.

Kait tacque, irrigidito, con gli occhi color ghiaccio leggermente sgranati. Aveva toccato un tasto dolente. «Quando li avrò tra le mie mani, allora posso ritenermi soddisfatto! Non dimentico così facilmente i miei obiettivi!» alzò la voce.

«Anche "lei"?», esordì il mentore, anche questa volta, facendolo zittire. «In quella strage c'era anche lei, ma non l'hai uccisa. Eppure era compresa nella tua vendetta, ma non l'hai fatto. Quella ragazza era molto di più, non è vero?»

Il giovane non rispose.

Quello era stato un altro errore, il pentimento più grande. Scacciò via quel pensiero, doveva calmarsi o sarebbe esploso. Il viaggio proseguì in silenzio, finché non trovò un autogrill saccheggiato e abbandonato. Uscì dal furgone, respirando aria pulita a pieni polmoni. Sbatté forte lo sportello, alzò il cappuccio della felpa, percorse il parcheggio deserto, rimanendo sotto la tettoia al riparo. Frugò nella tasca della giacca ed estrasse il pacchetto di sigarette, accendendo una e ispirando lentamente. Si sarebbe rovinato con tutto quel fumo, ma non gli importava. Sarebbe stato qualcuno a farlo fuori prima o poi, almeno. Un altro tiro, più lungo e profondo. Le narici gli bruciarono un poco, quando venne il momento di espirare e lo fece tramite il naso. Pensò alle parole del suo mentore, non era un caso che avesse ucciso quella prostituta. Aveva un conto in sospeso con Lei. Tirò fuori dalla tasca un piccolo taccuino, segnò un X su un nome, quello della prostituta. Era una preda.

Gettò a terra la sigaretta, ormai quasi del tutto consumata, il freddo cominciò a essere pungente, la pioggia stava diventando più spessa. Si incamminò a risalire sul veicolo, più o meno rilassato. Tuttavia non vedeva l'ora di finire la giornata. Sorpassò un cane spelacchiato e mal denutrito, il muso rivolto nella spazzatura in cerca di cibo, non ci fece caso. L'animale alzò la testa, guardando le spalle del ragazzo, i suoi occhi mutarono in modo innaturale: la scarlattina si tinse di un rosso cremisi e verde, ritornando di nuovo normali.

Kait ebbe una strana sensazione, come se qualcuno lo stesse osservando, raddrizzando i peli dietro la nuca. Si voltò di scatto.

Il cane non c'era più.
 

Il rifugio si trovava su una limpida collina, la stradina sconnessa e piena di buche creavano scossoni sotto le ruote


Il rifugio si trovava su una limpida collina, la stradina sconnessa e piena di buche creavano scossoni sotto le ruote. I piccoli rami e ciuffi d'erba secchi sporgevano dal sentiero colpendo i lati e i motori sottostanti del furgone. Era una di quelle stradine che non gli piaceva, voleva evitarlo del tutto, purtroppo era obbligato se non avesse trovato il prodotto contro la ruggine del cancello, nella stradina secondaria. Veniva utilizzata un tempo per le salite brevi e facile per i mezzi di trasporto.

L'edificio era grande, a forma di L, ancora integra e con poche collisioni. Le vetrate erano mezze distrutte, altre invece intatte per qualche strano miracolo. A fianco un tendone di un verde oliva, molto vecchio, dalla forma di una cupola, era la palestra. Parcheggiò vicino all'entrata principale, spense il motore, si rimise il giubbotto e uscì. L'aria fredda lo colpì in pieno viso come una scarica elettrica, alzò il cappuccio della felpa riparandosi.

C'era un silenzio irreale, da mettere i brividi.

Kait guardò il paesaggio spoglio e grigio, non c'era anima viva nei dintorni. Lo considerò un bene, non ci sarebbero stati alcun rompiscatole a disturbarlo nello scaricamento del materiale. Accanto all'entrata, la lastra di marmo era mezza distrutta e rovinata, quasi illeggibile. Una volta era un liceo – ormai abbandonata -, situato nelle vicinanze di una vecchia città decaduta anni addietro. Quella era sia la loro casa sia il luogo di vendita, un negozietto personale. Non era così grande quanto la Mano Rossa, tuttavia gli affari andavano a gonfie vele.

Il ragazzo entrò nell'edificio, l'interno faceva ancora più freddo, segno che la caldaia non era stata riparata. L'atrio era deserto, silenzioso. Solo una piccola particolarità di quel posto apparentemente spettrale: la musica.

'Bel modo di stare meno allo scoperto...'

La palestra era enorme, polverosa e umida. Quello che doveva essere una volta un campetto da calcio. I nastri bianchi e gialli erano completamente spariti. Il metallo che supporta la copertura era arrugginito, per via delle continue piogge e il tessuto era zuppo e strappato in diversi punti. Vicino alla porta, su un piccolo banchetto, uno stereo acceso e collegato al pannello elettrico. La musica metal rimbombava in tutta l'area. Era a tema piratesco, canzoni della band "Alestorm".

«Rango!?», lo chiamò a squarciagola. «Sono tornato! Ma dove cazzo sei!?»

Il ragazzo sbuffò, irritato, non ottenendo alcuna risposta. Voleva tanto andarsene in stand by e alla fine, il resto lo avrebbe fatto Rango stesso. Invece di riparare la caldaia come aveva chiesto, lui preferì di coprire gli squarci del telone con pezzi di stoffa e adesivo, si lamentava di quanto lui rompesse ogni cosa durante i suoi allenamenti con i poteri, cosa che odiava molto. Alzò lo sguardo al soffitto, tra i supporti di ferro – alcune sostituite, altre rinforzate -, la figura esile e incappucciata di un ragazzo, girato di spalle, stava strappando un pezzo lungo di nastro adesivo e applicare tra la stoffa e il tendone. Seduto su uno di essi, i piedi sospesi nel vuoto, legato dalle attrezzature d'impalcature da scalatore per non cadere. Era così concentrato da non accorgersi della sua presenza.

«Rango! Mi senti!?», urlò di nuovo il ragazzo.

Come sospettò Kait, l'altro non lo sentì. Storse il naso e, infastidito, si diresse verso il pannello elettrico a grandi falciate. Il suono della musica rimbombava fin nelle ossa come un terremoto. Afferrò la spina e lo tolse con prepotenza. Tutto cessò di colpo.

Rango sobbalzò sul posto e si guardò freneticamente attorno, spaventato. «Eh!? Cosa!? Che succede!? Perché non sento la musica?!», disse, agitato.

«Guarda giù, cazzone!»

Lui abbassò lo sguardo, il cappuccio scivolato dalla testa rivelando la chioma scura che copriva leggermente il viso ovale. I suoi occhi color cioccolato puntarono sulla figura dell'amico. «Oh, ciao Kait!», lo salutò, contento, e sventolando la mano. «Quando sei arrivato?»

«Non hai sentito la chiamata?»

Rango inclinò la testa di lato. «Quale chiamata?»

«Quella in segreteria.», lo incalzò Kait, sbuffando.

Il ragazzo con i capelli scuri rimase un po' spaesato, inarcando un sopracciglio. Posò la mano libera nella tasca della felpa prendendo il cellulare. Un angolo del display era scheggiato, creando lunghe crepe, ma ancora funzionante. Controlla le chiamate perse, la trovò, e serrò le labbra da una sottile linea retta.

«Opss...», fece, per poi abbozzare un sorrisetto nervoso. «...scusami, ero impegnato e poi la musica! Era tutto un Pam! Pem! Doo Doom! Skreooow!.»

Kait socchiuse gli occhi. «...e hai pensato al tendone invece della caldaia?»

«Di che parli? Guarda funziona perfettamente!»

«Me lo hai già detto la settimana scorsa e non funziona.» Kait scosse la testa e sospirò, se lo aspettava come risposta.

Rango sbuffò, spostando un ciuffo dagli occhi, offeso. Cominciando a scendere con cautela. Con un salto, atterrò con sicurezza in piedi in modo infantile, con un piccolo sorrisetto sulle labbra come un bimbetto pronto a ricevere una sorpresa.

«Ok, ok, lo ammetto.», disse, alzando le mani in segno di arresa. «Ma la palestra sta andando a pezzi, colpa dei tuoi allenamenti! prima o poi, questo posto ti cadrà addosso! Ma non adesso con questo freddo! Non voglio diventare un Bigfoot ghiacciato. Sono troppo giovane per morire!», aggiunse, abbracciandosi le spalle e sfregare, per imitare che ci fosse un enorme spiffero lì dentro.

Kait lo guardò, aggrottando la fronte. «Rango... Se non ripari quella fottuta caldaia, non sarà del freddo che ti dovrai preoccupare...», disse.

«Stai dicendo che te ne occupi tu?», disse Rango mentre lo fissava ingenuo, con occhioni da cucciolo.

«Lasciamo perdere, va'...», sbuffò lui, esasperato, massaggiando le meningi, stava venendo di nuovo il mal di testa. «Vieni, dammi una mano a scaricare.»

I due ragazzi uscirono dalla struttura.

Il freddo continuava ad esserci incessantemente, arrivando fino alle ossa. Scaricarono tutti i pacchi e valigie trovate nell'appartamento della prostituta, Kait si era dovuto fare ben tre viaggi per prenderle una alla volta e caricarle nel furgone. Rango si lamentò per il peso dei bagagli, non era uno che facesse palestra. La sua abilità di fare affari era impressionante: utilizza di più il cervello nel mercato clandestino, un ottimo informatore e uno sbadato spacciatore. Dividevano le somme in parti uguali, anche se non era tanto bravo con i calcoli, non si separava mai dalla sua affidata calcolatrice portatile. Le offerte ai clienti andavano a buon fine, tuttavia c'erano dei vantaggi e svantaggi sulle persone che si presentavano: potevano essere uomini senza cervello o che sanno ragionarci quel poco, potevano trarre molto denaro. Ma le donne erano variazioni su variazioni: potevano essere ingenue e stupide, chi scaltre e spietate da portare un arma nascosta sotto la gonna. Rango era terrorizzato da quest'ultime.

Trasportarono tutto nelle aule diventate dei magazzini, piena di merce rubata e pronta a essere rivenduta. Dovevano montare il tutto nei giorni successivi.

«La mia povera schiena...» Rango gettò l'ultimo borsone con uno slancio. Erano solo dei pacchi di piumoni nuove di zecca coperti da vecchi giornali, stiracchiando la schiena. «Ma quanta roba aveva quel tipo che hai fatto visita?»

«Tipa vorresti dire.»

«Quello che è! Sono troppo pesanti per me.»

Kait scosse la testa, con un leggero sorriso. Ammise che era bello rivedere il suo migliore amico ad attenderlo. Era finalmente a casa.
 


𝐴𝑛𝑔𝑜𝑙𝑜 𝐴𝑢𝑡𝑟𝑖𝑐𝑒

Ed eccoci qua con il primo capitolo! Non c'è molta differenza, solo delle correzioni grammaticali e semplificazioni poiché si perdeva troppo in dettagli che stonano la storia, anche per creare un pò di armonia nella scrittura e non farla risultare pesante. Potrei dire che @Pier_swaggon (Wattapad) ha fatto un ottimo lavoro nel correggerlo. Potete trovarlo sia su Wattpad e Instagram; seguitelo, mi raccomando!

Ci vediamo con il prossimo capitolo!

A presto, 
Katty.

   
 
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