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Autore: vegeta4e    27/04/2024    0 recensioni
Non tutto quello che finisce rappresenta la fine. A volte una fine può rappresentare un nuovo inizio: la morte di Claire, l’abbandono di Peyton che segnò Mac molto più di quanto volesse ammettere… eppure il lavoro riuscì a salvarlo, ad obbligarlo a non crogiolarsi nei ricordi. E funzionò, almeno fino a che Peyton non decise di fare ritorno a New York.
“Niente si crea, niente si distrugge, ma tutto si trasforma”. Dietro questa frase si cela una grande verità per il detective Taylor. Un’accusa di omicidio a suo carico, vecchi fantasmi tornati dal passato, rapimenti, lutti difficili da accettare.
Forse i problemi d’amore erano quelli di cui preoccuparsi meno.
[MacxPeyton] - Ambientata all’inizio della 5^ stagione.
[L’avvertimento cross-over riguarda solamente un paio di capitoli verso la fine della storia.]
- Pistola e distintivo. -
Mac ci mise qualche secondo per realizzare. Fissava Sinclair interdetto, incapace di comprendere il perché, incapace di combattere quella serie di ingiustizie che lo stavano lasciando disarmato.
Dopo lo stupore iniziale, non riuscì a trattenere una risata nervosa. Serrò i denti a labbra chiuse, passando lo sguardo da Sinclair a Don, che non aveva neanche il coraggio di guardarlo in faccia.
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Messer, Don Flack, Mac Taylor, Peyton Driscoll, Stella Bonasera
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXVII

Dopo aver firmato il foglio delle dimissioni e aver ascoltato le raccomandazioni del medico, Mac indossò con cautela la maglia di ricambio che Flack gli aveva gentilmente portato.
- Sei sicuro di avere tutto l’occorrente per la medicazione? - Chiese Stella mentre salivano tutti in auto. Taylor prese posto davanti, accanto a Don.
- Sì. - Rispose allacciandosi la cintura mentre Flack metteva in moto. - Me l’ha ripetuto tre volte, come se non sapessi cambiare una fasciatura. -
- Fallo, però! -
- Sappiamo la prognosi di quel bastardo? - Cambiò prontamente discorso Mac.
- Tre giorni. - Rispose Don. - Ma forse con un po’ di pressione potremmo già averlo stasera. Alla peggio domani. -
Taylor scosse la testa non riuscendo a non pensare al momento in cui si era reso conto che gli avevano sparato.
- Piuttosto vengo a interrogarlo qua. -
Flack rise prendendo una curva. - Avvisami in caso, voglio conoscere la Maserati. - Sentendo per l’ennesima volta quella battuta, Peyton chiese spiegazioni.
- Posso sapere cos’è questa storia della Maserati? -
Mac guardò prontamente fuori dal finestrino, passandosi poi una mano sugli occhi. Ci pensò Stella a farle un riassunto.
- Stanno paragonando i due uomini della vittima a una Maserati e a una vecchia Cinquecento in base a chi usasse il Cialis. - L’espressione del detective Bonasera rispecchiava quella di una maestra alle prese con dei bambini, facendo sorridere Peyton.
- Le classiche battute sulle prestazioni a letto. - Annuì. - Tipico degli uomini. -
- Vi correggo entrambe. - Intervenne il detective Taylor. - Io non ho detto nulla, parla al singolare. - Disse guardando Stella dallo specchietto retrovisore.
- Ma ti fa ridere. - Lo riprese lei.
- Mi fa ridere Flack, non la cosa in sé. Non mi interessa con chi andasse a letto la vittima. - Provò a difendersi Mac. Sentendosi tirato in causa, Don gli diede una gomitata amichevole.
- C’è sempre quella scatolina a disposizione, se vuoi. -
- La cosa divertente è che, la maggior parte delle volte, siete voi che vi create paranoie inutili. - Disse ancora Peyton. - Vi fate problemi dove non ci sono. Le donne guardano altro. -
Il detective sospirò in direzione di Flack.
- Io non ho nessuna paranoia, mi sono limitato solamente a dire a Don che quella roba non mi serve, ma visto che a me non crede, diglielo tu, no? -
Sentendo quell’assurda insinuazione, sorrise anche lei.
- Lo vedi? - Sbottò Flack. - Ride anche lei! Dove sono le vostre teorie femministe? -
Taylor si passò nuovamente una mano sulla fronte, lanciando un’occhiata a Peyton dallo specchietto come a dire “digli la verità”Intuendo, lei annuì dando una rapida occhiata alle mani che teneva in grembo per raccogliere il coraggio di uscire allo scoperto.
- D’accordo, ehm… Flack, Stella: a luglio Mac sarà padre. -
Il suv sbandò improvvisamente a sinistra, invadendo la corsia accanto. Don gestì prontamente il volante per tornare nella propria, mentre Mac, istintivamente, aveva afferrato la maniglia della portiera. Stella urlò.
Taylor era rimasto basito tanto quanto gli altri. Non si aspettava di certo che lei annunciasse la notizia con “dire la verità”, si riferiva più che altro al fatto che, per fortuna, non avesse ancora bisogno di farmaci.
- Sei impazzito?! - Sbottò Mac voltandosi verso Flack, notandolo con gli occhi sgranati.
- Scusa! - Disse lui ancora sconvolto. - Devo ancora elaborare la notizia. -
- Congratulazioni! - La testa di Bonasera comparve tra i due sedili. Regalò un sorriso sincero a Mac, contenta di pensare che finalmente, dopo tanta sofferenza, anche per lui fosse arrivata un po’ di felicità.
- Sì… Congratulazioni. - Fece eco Don. Non sapeva realmente cosa dire nonostante lo elettrizzasse l’idea di un piccolo poliziotto con le sembianze di Mac Taylor.
- Grazie. - Risposero all’unisono, imbarazzati.

La mattina dopo, anche complici le condizioni dell’uomo, le pressioni del Dipartimento fecero sì che il Signor White fosse seduto nella sala interrogatori. Di fronte a lui, Stella e un furioso Mac Taylor occupavano le due sedie dall’altro lato del tavolo.
- Cosa sperava di risolvere sparandomi? - Domandò il detective mascherando bene il risentimento.
Maximilian sospirò sconfitto. - Di evitare l’arresto. - Ammise. - Anche perché avevo in mente di suicidarmi. -
Taylor annuì. - E invece le verrà aggiunto un altro capo d’accusa. Complimenti, doveva essere il suo giorno fortunato. -
- Aggiunto? - Domandò White stando attento alle parole usate dal detective. - Aggiunto a cosa? -
Stella lo fissò negli occhi con freddezza. - All’omicidio di Rachel Hill. -
- Voi siete pazzi, non avete prove. - Rispose lui sistemandosi meglio sulla sedia.
- Vogliamo parlare del suo movente? - Intervenne Mac. - Rachel era incinta e il bambino era suo. -
White rise. - Non potete dimostrarlo. Sì, mi ha detto di essere incinta! - Ammise l’uomo. - Continuava a dire che fosse mio, voleva che lasciassi mia moglie e mi prometteva che lei avrebbe divorziato. Le ho detto di no, non avrei di certo buttato all’aria la mia vita privata e la mia reputazione sul lavoro. -
Il detective perse la pazienza di fronte al suo incessante mentire di fronte all’evidenza. Afferrò il bordo del tavolo con la mano destra e lo spinse verso l’uomo. Il discorso raccapricciante di Maximilian gli fece ribollire il sangue più del solito. Mac era sempre stato un uomo buono, con grande rispetto per donne e bambini, e si sarebbe schierato moralmente in ogni caso dalla parte di Rachel, ma in quel momento poteva perfettamente capire come ci si sentisse nel sentirsi dire dalla propria donna che era incinta.
- Possiamo dimostrarlo eccome! - Alzò il tono di voce. - Il DNA del feto non corrisponde a quello del marito, ma al suo! Le analisi parlano, e il fatto che lei non sia in grado di gestire la sua vita privata e lavorativa, non le dà il diritto di toglierla agli altri! L’ha già fatto con quella donna, e poi ci ha provato anche con me! -
Si fissarono negli occhi per una decina di secondi, tempo in cui il silenzio calò nello stanzino. L’unico rumore che rimbombava nelle orecchie di Mac era il battito accelerato del suo cuore.
- Di cosa era colpevole quella donna, eh? L’errore l’avete fatto in due, chi le ha dato il diritto di toglierle la vita? - Domandò ancora.
- Ero alle strette! - Sbottò l’uomo. - Voleva che ci mettessimo insieme e che mi prendessi cura di suo figlio! Io non potevo farlo, ho cercato di spiegarglielo! - Le giustificazioni che provava a campare in aria avevano l’effetto opposto sui detective, Stella si limitava a guardarlo senza trovare gli aggettivi per descriverlo.
- Lei non aveva nessun obbligo legale nei confronti di Rachel. - Rispose Mac riprendendo il controllo delle proprie emozioni. - Forse morali, ma la legge non considera questo. Poteva semplicemente ignorarla e continuare la sua vita mentendo a sua moglie. Invece ha optato per ucciderla. E non contento, di sparare a un agente. -
L’uomo non trattenne una risata nervosa. - Ignorarla? Lavoravamo insieme, dannazione! -
- Queste sono solamente scuse che lei si racconta per giustificare quello che ha fatto. - Lo fissò negli occhi cercando di trovare un barlume di pentimento, ma lo vide solamente deglutire perché aveva capito di non avere più scampo. Non si sentiva minimamente in colpa per l’omicidio e Taylor non provò neanche un po’ di pietà nell’immaginarlo in cella.
Con la mano fece un cenno all’agente fuori dalla porta, che rapidamente entrò per scortare fuori l’uomo dopo averlo messo in manette.
Rimasto solo con Stella, Mac prese il fascicolo chiuso sul tavolo.
- Il caso più veloce della mia carriera. - Commentò provando a ironizzare.
Lei gli sorrise. - Potrai raccontarlo a tuo figlio. - Disse sentendosi strana nel pronunciare quelle parole riferite a lui. Si guardarono capendo di provare entrambi la stessa sensazione di alienazione.
- … È strano anche per me pensarlo. - Sorrise. - Dobbiamo ancora metabolizzare la notizia. Tutti quanti. -
Stella ricambiò il sorriso, appoggiandogli poi una mano sul braccio sinistro.
- Non vedo l’ora. -

Dopo aver lanciato un’ultima occhiata all’agente che scortava l’uomo in manette, Mac scese in obitorio per vedere come procedeva la valutazione di Quinn.
Superata la vetrata subito dopo la porta, intravide Peyton impegnata ad esaminare un corpo in fondo alla sala, mentre Quinn, qualche metro più distante, scriveva di tanto in tanto degli appunti sul proprio foglio. Taylor raggiunse la collega in pochi passi.
- Ciao. Come va? - Lei si girò sussultando non appena riconobbe la voce del detective. Era più forte di lei, le avrebbe fatto quell’effetto per sempre.
- Mac! - Le sfuggì un sorriso sollevato nel vederlo sano e salvo. - Dovresti prenderti qualche giorno di riposo. - Gli suggerì tentando di nascondere il velo di preoccupazione. Era arrivata anche a lei la voce che gli avessero sparato, e dire che si fosse preoccupata era un eufemismo.
- Non è poi così grave, mi hanno ricucito senza complicazioni. - Minimizzò come sempre.
- Sei il solito! … - Sorrise in un modo inequivocabile che Mac colse subito. Era abituato a quell’atteggiamento, ci aveva avuto a che fare per anni, ma decise semplicemente di ignorare. - A volte mi domando se tu non sia fatto d’acciaio! -
Lui sorrise divertito. - Mi sarebbe piaciuto esserlo quando mi hanno sparato, almeno mi sarei evitato la sutura. - Si guardarono negli occhi, in quelli di lei era chiara l’attrazione che avesse nei confronti del detective. - Per il resto? Come prosegue la valutazione? -
Quinn abbassò lo sguardo sulla cartelletta che teneva in mano, dando un rapido sguardo a tutto quello che aveva scritto fino a quel momento.
- Molto bene, non c’è nulla da dire. È professionale, precisa, metodica… Controlla le cose tre volte, mi ricorda qualcuno. - Gli lanciò un’occhiata divertita che trafisse Mac da parte a parte. - La supererà a pieni voti. Avevi ragione. -
- Mac? - La voce di Peyton li interruppe, costringendo entrambi a girarsi nella sua direzione. - Posso parlarti un momento? -
- Certo. Dammi un minuto. - Disse voltandosi verso Quinn, poi seguì la compagna poco più in là.
- Ha confessato? - Gli chiese lei una volta in disparte.
Taylor annuì. - Sì, lo stanno già portando via. - Peyton tirò un sospiro di sollievo, rincuorata dal fatto che un altro pazzo fosse stato tolto dalla circolazione.
- … Stasera casa mia o casa tua? - Lo guardò con un leggero disagio. Sapeva bene quanto lui fosse restio a parlare di fatti privati sul luogo di lavoro, ma era stato più forte di lei.
Il detective rimase in silenzio per qualche secondo, tentando con tutto se stesso di mascherare un sorriso.
- Non è molto professionale, dottoressa Driscoll. Stavamo parlando di lavoro. - Lei scostò lo sguardo altrove, facendolo vagare tra i lettini e alcuni scaffali oltre la figura dell’uomo.
- Lo so, è che sono preoccupata per te. Ti hanno sparato e non voglio che tu rimanga solo stanotte. - Tornò a guardarlo negli occhi accorgendosi che lui non le aveva mai tolto lo sguardo di dosso. Si sentì arrossire.
- … Facciamo da me, lì ho tutto l’occorrente per disinfettare la ferita. Chiamami se stai male, io torno in laboratorio. - Lei sorrise intenerita. L’aveva chiamato perché era preoccupata per lui, e alla fine era stato lui ad essersi dimostrato in pensiero per lei. Avrebbe voluto dargli almeno una carezza sulla guancia, ma sentiva gli occhi di Quinn perforarle la schiena.
Senza aggiungere altro Mac la superò, facendo poi un cenno di saluto all’altra donna. Prima di rimettersi a lavorare Peyton gli lanciò un’ultima occhiata, osservandolo mentre camminava con il suo solito portamento elegante oltre la vetrata che divideva l’entrata. Il rumore dei tacchi le fece intuire che Quinn si stesse avvicinando mentre lei, tranquilla, si era già riabbassata sul corpo per proseguire con il proprio lavoro.
- Ti piace, vero? - Quella domanda a bruciapelo lasciò l’inglese di sasso. Deglutì a vuoto provando a cercare una risposta sensata da darle, ma qualunque cosa le sembrava fuori luogo, scontata, inutile. Era come se lei avesse già capito, e infatti l’anticipò. - Si vede da come lo guardi. -
Peyton, ormai spalle al muro, alzò lo sguardo su Quinn. - Ah sì? Beh, Mac è un uomo notevole. -
L’altra sorrise, sistemando la cartelletta tra le mani e alzando un sopracciglio. La conversazione stava prendendo una piega interessante.
- Cosa intendi per notevole? - Indagò.
Peyton scosse le spalle mentre si apprestava a ricucire il corpo steso sul lettino, non trovando grandi difficoltà nel dare aggettivi a uno come Taylor.
- Ha molti pregi: è un uomo buono, coraggioso, elegante, intelligente, attento. -
Quinn sorrise. - Sì, non c’è che dire. Ti piace proprio. -
- Piace anche a te, vero? - Fu Peyton a lasciarla senza parole con quella domanda. L’aveva capito anche lei, aveva capito che tra i due c’era stato qualcosa, quindi perché non cogliere l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa?
Si guardarono per alcuni secondi e Quinn sorrise, scoprendo i denti bianchissimi.
- Siamo due attente osservatrici. Colpevole! - Ironizzò. - Non ti nascondo che abbiamo flirtato parecchio anni fa. -
- E lo fate ancora? - Chiese istintivamente Peyton.
- No, tranquilla. - Replicò con onestà. Sapeva bene di non avere alcuna possibilità con Mac, ma se lui aveva una storia con quella donna, le sembrò semplicemente cattiveria gratuita metterle strane idee in testa. - Ormai è acqua passata. Sono io che provo ancora qualcosa per lui. Anzi, è sempre stato così, in realtà. - Peyton fece per dire qualcosa, ma Quinn abbassò lo sguardo sul foglio per non farle vedere gli occhi lucidi.
Decise di rimanere in silenzio, attendendo che fosse lei a riprendere la parola.
- … Ci siamo dati solo un bacio. Uno solo, ma lui era sposato. - La guardò senza vergognarsi dei ricordi. - Da quel giorno mi ha ripetuto così tante volte che era stato uno sbaglio e che amava sua moglie, che ho iniziato ad odiare quelle parole… Sicuramente tu sarai più fortunata. -
Peyton la guardò in silenzio, intuendo quanto dovesse aver sofferto per il rifiuto di Mac.
- Quindi lui non ti ha mai ricambiata? - Ebbe il coraggio di domandare dopo poco.
- Non credo, o penso che avrebbe provato a cercarmi una volta libero... - Ammise.
- E allora perché ti avrebbe baciata? - Domanda legittima.
Quinn sospirò. - Sono stata io, in realtà. Lui avrà ricambiato per quanto, un secondo? - Abbassò lo sguardo sentendosi tremendamente sciocca. A parlarne con un’estranea, alla luce dei fatti era palese che Taylor non ricambiasse, quindi perché insistere? Eppure non riusciva. Non riusciva a staccarsi da quel pensiero che forse, un giorno, lui avrebbe cambiato idea.
- E tu a lui piaci? - Domandò trovando la forza di rialzare lo sguardo.
Peyton chiuse l’ennesimo punto sul petto del corpo, dando poi un’occhiata a Quinn.
- Penso proprio di sì. Aspetto suo figlio. - L’altra sgranò gli occhi, non riuscendo a trattenere una smorfia di estremo stupore.
- Ecco… Ecco perché stavi male! Sei incinta! - Rise incredula scuotendo la testa. - Santo cielo, già me lo vedo a trattare con un bimbetto che non vuole mangiare le verdure o che non vuole andare a dormire! -
Peyton non trattenne una risata divertita. Era uno scenario decisamente probabile e immaginare il detective alle prese con un bambino era forse una delle cose più comiche che potesse vedere.
- Devo sperare che prenda da lui, allora. -

La mattina dopo Mac Taylor era operativo come se non avesse un foro di proiettile appena ricucito, e alle 7:40 AM era già sulla scena di un corpo ritrovato in un posteggio che si affacciava su Richards St, vicino a Coffey Park. Di fronte a lui Peyton stava già analizzando il corpo e quando lo vide si limitò a sorridergli senza rimproverargli che fosse in servizio. Guardandosi intorno vide solamente Stella oltre loro, notando la strana assenza di Don.
- Ciao. - Disse rivolto ad entrambe e fermandosi accanto al corpo. - Notizie di Flack? Pensavo di trovarlo qui. -
Stella, impegnata poco più in là nell’analizzare il terreno, alzò lo sguardo sul detective.
- Non saprei, non lo vedo da ieri sera. -
- Hai provato a chiamarlo? - Domandò con una punta di preoccupazione.
- Sì. L’ultima volta che ho provato è stato prima di venire qui, ma il telefono è staccato. -
Il detective annuì guardando l'uomo a terra. - D’accordo. Ci penserò io. -
Rimasero in silenzio per qualche secondo, poi Mac si abbassò accanto a Peyton, che nel frattempo aveva estratto il termometro dal fegato della vittima.
- Causa della morte: colpo d’arma da fuoco. Gli hanno sparato minimo dieci colpi, sembra un’arma automatica. L’ora della morte risale indicativamente a 6 o 8 ore fa. - Spiegò lei guardandolo. Taylor non disse nulla mentre infilava i guanti, scostando poi il colletto della giacca dell’uomo e notando il collo privo di segni. Gli aprì poi un occhio per assicurarsi che non ci fosse emorragia petecchiale, e non c’era. Ebbe quindi la conferma che gli spari non erano un modo per coprire la vera causa della morte.
Notò solo in quel momento il portafoglio spuntare dalla tasca destra dei jeans, quindi lo prese, aprendolo. Dentro c’erano un centinaio di dollari, una carta di credito American Express e tutti i documenti. Da una tasca secondaria spuntava una fotografia e Taylor la sfilò. Una donna dai capelli lunghi e castani sorrideva verso l’obiettivo, con lei un bambino di non più di un anno.
- Non cerchiamo un ladro. La vittima si chiamava Jason Climb, 29 anni. - Parlò ancora Mac controllando i documenti dell’uomo. Dopo averlo messo in una busta di plastica tornò a controllare il corpo, notando che l’incisivo superiore sinistro era scheggiato.
Prese la torcia per illuminare meglio. - Cerchiamo eventuali bossoli e tracce che possano indicare che l’assassino si sia ferito. Sembra che qualcuno volesse regolare i conti, quest’uomo è pieno di contusioni e ferite da difesa, magari è riuscito a graffiare chi l’ha ucciso. -
- D’accordo. - Rispose Stella, mentre Peyton si alzava pronta a tornare in obitorio insieme al corpo.

Un’ora dopo Mac varcò la soglia del proprio ufficio non avendo minimamente dimenticato la strana assenza di Flack. Dopo aver appeso la giacca all’appendiabiti si arrotolò le maniche della camicia nera fino ai gomiti, provando nuovamente a telefonare a Don.
Spento. Imprecò a denti stretti, prendendo nuovamente la direzione dell’ascensore nonostante fosse arrivato da meno di un minuto. Una volta sceso al piano delle scrivanie dove quotidianamente faceva interrogatori si guardò rapidamente intorno sperando di trovarlo sulla sua solita sedia, ma come si aspettava trovò la postazione vuota.
Un poliziotto di alto rango si fermò dietro il detective bloccandogli ogni via di fuga.
- Taylor. - Mac trattenne un sussulto, voltandosi e sfoggiando un sorriso di circostanza falso come una banconota da tre dollari.
- Tenente Saith. - Rispose lui.
- Stava cercando qualcuno? - Domandò con astuzia l’agente, ma il detective era abituato a sguazzare in quell’acquario di squali, e aveva la risposta pronta.
- Sì, proprio lei. Ha due minuti? -
- Anche cinque. Mi dica, detective. Si tratta di Flack? -
Mac rimase qualche attimo interdetto, poi annuì. - Esatto. Mi ha riferito di non stare molto bene oggi, quindi gli ho dato la giornata libera. Spero non sia un problema per lei. - Infilò le mani nelle tasche dei pantaloni per ostentare sicurezza. Sapeva che i poliziotti erano addestrati a leggere il linguaggio del corpo, quindi perché non utilizzarlo di proposito a proprio vantaggio.
Il tenente annuì, probabilmente fingendo di credere alle parole di Taylor.
- Certo che no. Lei è sicuro di voler garantire per Flack? - Domandò il tenente.
- Certo. - Rispose Mac senza esitare. - Lui l’avrebbe fatto per me. - Si scambiarono un’occhiata strana, in cui il detective percepì un fondo di preoccupazione per Don, perché chiaramente non aveva ancora elaborato la perdita di Jessica.
Mentre risaliva al piano del laboratorio non riusciva a fare a meno di sperare che non si fosse cacciato nei guai.
Una volta arrivato al piano del proprio ufficio, Taylor andò a passo spedito da Adam, trovandolo attaccato a uno dei computer a smanettare sui dati del caso di quella mattina.
- Ah, capo! - Esclamò lui vedendolo. - Ho messo le impronte della vittima nell’afis e… -
- Non sono qui per il caso, Adam. - Lo fermò Mac. L’altro lo guardò sorpreso, non aspettandosi una risposta del genere. - Voglio che triangoli il cellulare di Flack, e appena hai un risultato devi avvisarmi. -
La sua espressione non lasciava dubbi: non stava scherzando. Adam annuì senza fare troppe domande, certo che se il capo gli avesse chiesto una cosa del genere doveva avere i suoi buoni motivi. Lo guardò lasciare la stanza a passo spedito, probabilmente diretto verso il proprio ufficio.
Fu lì che si diresse infatti, mentalmente stanco già alle 10:12 AM. Iniziò a guardare i documenti sulla scrivania che probabilmente gli fecero perdere la cognizione del tempo, perché venne destato solamente da Stella che, con tre tocchi sulla porta di vetro, lo costrinse ad alzare lo sguardo.
- Posso? - Domandò vedendolo occupato.
Lui le fece un cenno con il capo. - Certo, entra pure. -
Bonasera si fece avanti, arrivando fino alle poltrone di fronte alla scrivania.
- Ho parlato con la moglie. Mi ha detto che, prima di sposarla, Jason era stato in carcere dieci anni. Ultimamente stava mettendo la testa a posto, Mac… Specialmente per lei e il bambino. Ha detto che della gente è venuta a cercarlo. -
- Dici per riportarlo nel giro della malavita? -
- Non lo sa. - Sospirò Stella. - Dice che Jason non voleva coinvolgerla. -
Mac annuì. - Se fosse vero sarebbe comprensibile. E se le avesse mentito? - Si avvicinò rapidamente alla tastiera del computer e digitò il nome dell’uomo sul database. - Jason Climb: arrestato per spaccio e sparatoria. Un bel tipo, insomma. - Le lanciò un’occhiata.
Lei alzò le sopracciglia. - Già. Vedo se Danny ha scoperto qualcosa dai proiettili e ti faccio sapere. Tu hai notizie di Flack? - Chiese preoccupata.
Mac sospirò. - Ho chiesto ad Adam di triangolare il suo cellulare. Ti chiedo il favore di sostituirmi durante la mia assenza. -
- Vuoi andare da solo? -
- Sì. - La guardò negli occhi. - Credo di essere quello che lo capisce meglio di tutti. -
Stella annuì pensando che avesse ragione. - D’accordo, ma fai attenzione. -

 

To be continued...

   
 
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